Treviso, Trieste e Borghetto sul Mincio

Quattro giorni dedicati alla scoperta di questi gioielli veneti e friulani (e dei loro dintorni) accomunati da un forte legame con l'acqua.
Scritto da: alvinktm
treviso, trieste e borghetto sul mincio
Partenza il: 07/10/2020
Ritorno il: 10/10/2020
Viaggiatori: 3

Una finestra di bel tempo nello strano ottobre 2020, segnato dall’incertezza meteorologica nel nord Italia e dall’incombere del Coronavirus nella quotidianità di ognuno di noi, ci costringe a decidere per una partenza, letteralmente, all’ultim’ora.

 

1° GIORNO

Diverse centinaia di chilometri separano la Valtellina da TREVISO. Un viaggio lungo, ben ricompensato dagli scorci fascinosi della cittadina veneta sospesa sull’acqua. Una possente cinta muraria ben conservata ne abbraccia il centro storico. Fu eretta dalla Repubblica di Venezia nei primi due decenni del ‘500 con lo scopo di difendere Treviso dai nemici. Per costruirla fu deviato il fiume Botteniga, creati un fossato e un sistema di chiuse ancora visibili con i quali poter allagare in caso di necessità lo spazio circostante. Una volta entrati il rumore del traffico viene sopraffatto da quello delle cascatelle e si mischia allo sciabordio costante delle onde nei canali, fino a scomparire del tutto nei vicoli pedonali.

Soggiorniamo al B&B Hotel Treviso, un albergo a due passi dalle principali attrazioni con personale gentile e disponibile a elargire informazioni, camere minimal ma ampie, colazione buona, privo di parcheggio ma adiacente a un posteggio pubblico gratuito e con un ottimo rapporto qualità-prezzo.

Affamati, abbandoniamo i bagagli in camera per attraversare la vicina piazza Vittoria con il monumento dedicato ai caduti della Grande Guerra e imbucare Viale Cadorna dove si trova la pizzeria ristorantino da Roberto, individuata su tripadvisor e scelta per i giudizi positivi. In effetti il menù ampio di cucina e pizzeria, la terrazza esterna e l’abbondanza delle porzioni non deludono le nostre aspettative.

Pieni di energie positive, fisiche e mentali, siamo pronti per avventurarci nella Restera sull’Alzaia del fiume Sile, che è poi famoso per essere il corso di risorgiva più lungo d’Europa. Lo facciamo a bordo delle due ruote fornite gratuitamente dall’albergo. E’ il modo migliore per apprezzare in poco tempo e senza fatica la porzione del Sile affiancata dal tracciato denominato alzaia perché un tempo, sulle stesse pietre, gli animali da fatica trascinavano controcorrente i burci, cioè delle barche, fino al porto fluviale di Treviso. La Restera fa parte della ciclovia ‘il GiraSile’ che collega la città a Casale e a sua volta è inclusa nel parco naturale regionale del Sile. Noi arriviamo soltanto sino a Casier ma è abbastanza per immergerci in uno scenario unico nel suo genere: il cimitero dei Burci. Le robuste imbarcazione dal fondo piatto utilizzate per il trasporto di merci vennero via via abbandonate lungo le rive a seguito della fine dell’attività fluviale. In un punto particolare detto cimitero se ne trovano a decine. Camminando su passerelle in legno sospese sopra la superficie dell’acqua l’occhio viene attirato da legni curvi, robusti e flessibili assieme, dalla forma simile a quella di una costola umana. Tali elementi rendono il posto curioso, spettrale e singolare. Il percorso ciclo-pedonale poi si addentra nei boschi, costeggia tenute private e campi coltivati, e ritrova la luce abbagliante del giorno nella piazza con la parrocchia di Casier. Il paese era noto per le cave di ghiaia, rimaste attive fino a due secoli fa, e per la sua piarda, ovvero l’argine a curva dove le barche potevano attraccare per caricare e scaricare la mercanzia. Il Sile infatti rivestiva un ruolo fondamentale nel commercio essendo interamente navigabile da Treviso sino alla laguna. Gli uomini di 4000 anni fa già conoscevano tale caratteristica e facevano fiorire lo scambio di manufatti in rame e bronzo come spade e coltelli. Gli esemplari rinvenuti in tempi recenti dai macchinari impiegati nell’estrazione della ghiaia ne sono la testimonianza.

Trascorriamo il pomeriggio sul Sile per dedicare la serata al cuore di Treviso perché si sa, le luci dei lampioni calano un fascino d’altri tempi sulle città, a volte malinconico, eppure attraente ed elegante.

Partendo a piedi dal B&B Hotel Treviso il primo monumento che incontriamo è la Cattedrale di San Pietro Apostolo, il cui candore del grande pronao neoclassico, ispirato all’architettura greca, attira lo sguardo dei passanti. Le sei colonne in stile ionico sono il frutto della ricostruzione dell’edificio avvenuta nella seconda metà del ‘700, mentre dell’epoca romanica sono rimasti i due leoni in marmo rosso posti ai lati dello scalone d’accesso al portale. Il bianco dell’esterno prosegue all’interno e sebbene le navate siano imponenti non mi colpiscono particolarmente. La stessa impressione vale per le cupole rivestite con lastre di rame della copertura e in generale per l’intero complesso religioso, che risulta inglobato, quasi soffocato, dagli edifici circostanti.

Pochi passi ci catapultano in Calmaggiore, l’arteria principale del centro storico consacrata allo shopping, quindi si apre davanti a noi Piazza dei Signori, il salotto signorile di Treviso dove i tavoli dei bar e dei ristoranti accolgono turisti e abitanti.

Sulla sinistra vediamo il Palazzo del Podestà, ospitante la Prefettura, e la Torre Civica risalenti al XIII secolo. Ma mentre della seconda osserviamo la struttura originale, il primo è stato ricostruito quasi per intero tra il 1874 e il 1877 richiamando lo stile romanico. E’ proprio sotto le arcate di questo edificio che ci accomodiamo per la cena, nel ristorante pizzeria ‘da Pino’. L’offerta di piatti e pizze è ampia, la qualità buona e il prezzo onesto se rapportato al luogo. La viuzza laterale al palazzo conduce in una piazzetta dove l’acqua zampilla dai seni di una donna. Si tratta della Fontana delle Tette. Voluta nel 1559 dall’allora pretore a seguito di una severa siccità, per tre giorni consecutivi di ogni anno fino alla caduta della Repubblica veneta, e in onore dell’arrivo del nuovo podestà, da un seno scaturiva il vino bianco mentre dall’altro vino nero…per la grande gioia degli abitanti.

Nella piazza dei Signori impone la sua possente mole rossiccia fatta di laterizi e risalente all’epoca romana il Palazzo della Ragione, detto dei Trecento. Venne costruito fra il 1185 e il 1213 ma il loggiato sul piano stradale risale al 1552. L’intero edificio subì importanti interventi di ristrutturazione a seguito dei danneggiamenti durante la Seconda Guerra Mondiale. La sala al piano superiore, accessibile grazie uno scalone bianco che spicca sulla facciata rossastra, è chiamata Salone della Ragione e ospitava i banchi dei giudici e del Podestà. Qui dentro perciò veniva amministrata la giustizia, sotto una maestosa capriata in legno e fra affreschi, figure allegoriche e stemmi degli uomini di potere che si sono succeduti. Oggi è sede del consiglio comunale, proprio come in origine e ancor prima di venire occupato dagli organi giudiziari. Essendo arrivati fuori dagli orari di apertura non lo abbiamo visitato ma posso immaginarmelo simile, seppure in scala molto ridotta, al meraviglioso interno del palazzo della Ragione di Padova (https://turistipercaso.it/veneto/76158/gioielli-veneti-soave-vicenza-e-padova.html.

Più avanti incappiamo nella Loggia dei Cavalieri, il simbolo della potenza politica dei nobili ai tempi del libero comune. La struttura eretta tra il 1276 e il 1277 è una mescolanza dello stile romanico con quello veneto bizantino. In origine era un luogo di riunione e di intrattenimento della nobiltà, cioè i Cavalieri, tuttavia nel corso dei decenni il suo utilizzo cambiò. Quando alla fine del XV secolo la Serenissima eliminò le autonomie dei signori locali la Loggia fu chiusa con dei portoni, divenendo un magazzino. Poi venne abbandonata per secoli, rischiando di essere persino demolita, e solo nel 2013 si riappropriò della sua anima grazie a un intervento di restauro.

Intrufolandoci nei vicoli più stretti e seguendo il suono dell’acqua giungiamo sull’Isola della Pescheria, l’isolotto creato nel 1856 dagli austriaci nel mezzo del Cagnan grande, il maggiore dei rami del fiume di risorgiva Botteniga, grazie al collocamento di sedimenti naturali. Oggi è la sede del mercato cittadino del pesce e attorno a essa si affacciano begli edifici residenziali di epoca medievale sulle cui pareti risaltano degli affreschi. Accanto all’isola è in funzione un molino facente parte del progetto di riqualificazione ‘roste che illuminano’, cioè il programma che prevede l’utilizzo della forza generata dai salti dell’acqua sulle pale delle vecchie ruote presenti in otto punti del centro storico per generare luce. Per quanto riguarda la Pescheria l’energia elettrica rinnovabile dovrebbe alimentare un impianto posizionato sott’acqua che illuminerebbero l’isola con effetti di sicuro fascino. Proprio come quelli da noi goduti proseguendo alla scoperta del quartiere dei Buranelli le cui abitazioni creano strettoie suggestive attorno al canale omonimo, il ramo medio del fiume Botteniga. Il nome è dovuto al palazzo Buranelli di proprietà di una famiglia di commercianti originaria di Burano che qui costruì una fiorente attività. E tra archi, terrazzi e ponticelli si scoprono ristorantini, bar, negozi e l’atmosfera è resa ancora più magica dalle luci dei lampioni e dai giochi ci colore gettati sull’acqua da lampade colorate.

2° GIORNO

Salutiamo Treviso, e con esso il Veneto, e in meno di due ore trascorse quasi per intero in autostrada siamo nel centro visitatori della prima meta di giornata nella provincia di TRIESTE, in Friuli Venezia Giulia. Il pianerottolo d’accesso all’attrazione non consente di capire cosa si nasconde oltre il cancello. Si intravedono solo delle scale che sprofondano in una voragine scura, aperta tra le querce e le betulle. Seguiamo la guida e gradino dopo gradino iniziamo a vedere il tesoro nascosto sotto la superficie rocciosa del Carso triestino. La galleria è stretta, le pareti umide e lisce, le luci disegnano il percorso sotto di noi creando un serpentone ricco di suggestione che conduce verso uno spazio più ampio. Ma cosa c’è di così interessante? Ci troviamo nella GROTTA GIGANTE, scoperta nel 1840 da Anton Frederick Lidner calatosi nel buio appeso a una semplice corda. L’infinita bellezza del luogo è regalata dalle stalattiti e le stalagmiti. Le prime pendono dal soffitto e si formano nel corso di migliaia di anni grazie ai continui depositi di carbonato di calcio presente nell’acqua che se ne arricchisce percorrendo le rocce calcaree sovrastanti e poi gocciola ininterrottamente dall’alto. Le modalità di creazioni delle seconde sono le stesse, con l’unica differenza che queste crescono dal pavimento e, spesso, proprio sotto alle ‘sorelle’ stalattiti. Quando le due si congiungono danno origine alle colonne. L’aspetto strabiliante è che la natura non si è limitata a formare dei semplici coni ma ha saputo forgiare delle figure originali che ognuno di noi può interpretare a secondo della propria immaginazione. E’ impossibile restare indifferenti a una tale bellezza. Una volta ascoltate le spiegazioni della guida sentiamo il bisogno di rimanere in silenzio, concentrandoci solo sulla magnificenza della natura. Qui la temperatura è costante e si attesta attorno agli 11° centigradi, attorno a noi la larghezza della cavità tocca gli 850 metri e siamo alla profondità di 100 metri, raggiunta dopo 500 gradini. Per abbandonare il punto più profondo se ne salgono altrettanti, ma a passo lento, perché non abbiamo fretta di abbandonare quest’ambiente così fragile e protettivo assieme.

Per visitare la grotta è obbligatoria la prenotazione sul sito, per scegliere giorno, ora e procedere con il pagamento del biglietto.

Solo una ventina di minuti ci separano dal mare, immenso e di un azzurro brillante illuminato dal sole del pomeriggio. Il pranzo frugale consumato nell’area picnic esterna alla grotta ha impedito di rubare minuti preziosi alla visita del simbolo di Trieste. Il CASTELLO DI MIRAMARE si colloca alla fine di un viale lunghissimo, che parte dal quartiere triestino della Barcola e sfiora le onde, e si trova adagiato ai piedi del promontorio roccioso e ripido di Grignano. Un grande parco, ad accesso libero, lo circonda da una parte, mentre il mare lo lambisce dall’altra. Arrivando in automobile se si è fortunati la si può lasciare in un parcheggio gratuito poco distante, oppure bisogna oltrepassare la sbarra di accesso per posteggiarla, a pagamento, nei pressi della Scuderia. Questo edificio è il primo che si incontra e ora è utilizzato per mostre temporanee. Proseguendo sul viale dei lecci si giunge presto alla fontana zampillante al centro di un cortile piano che poi prosegue fino al livello del mare grazie ai terrazzamenti collegati fra loro con scalinate. Sulla sinistra la sagoma signorile, maestosa e candida del castello spicca su tutto. Fu l’arciduca Ferdinando Massimiliano d’Asburgo a volerlo, per godere di questo luogo incantevole assieme alla moglie la principessa Carlotta del Belgio. Lo fece realizzare fra il 1856 e il 1860 ai piedi del promontorio carsico di Grignano. La sua architettura eclettica segue la moda di quei tempi e appare come un miscuglio di medievale, gotico, rinascimentale, un mix torrette e decori, mura merlate e bifore.

Per accedere all’interno non è necessaria la prenotazione ma si deve pagare un biglietto. Il percorso obbligatorio da seguire comincia dal piano terra, destinato agli appartamenti privati di Massimiliano e Carlotta, dove subito si respira un’atmosfera intima, grazie pure ai rivestimenti in legno e ai ritratti di famiglia. La camera da letto dell’arciduca, con il soffitto ribassato, somiglia a una cabine delle navi in cui ha soggiornato. La successiva sala Novara imita lo studio dell’omonima nave della flotta austriaca con ananas, ancore e corone alle pareti. Poi la biblioteca, la sala da pranzo e gli appartamenti della principessa, la cappella e la sala della rosa dei venti la cui particolarità sta nel quadrante con lancetta ancorato al soffitto e collegato a un indicatore sul tetto, che mostrava la direzione del vento. Davvero originale. La visita prosegue salendo il sontuoso scalone a rampa doppia, a mio parere una vera e propria opera d’arte. Conduce al primo piano, quello di rappresentanza e riservato agli ospiti. Lo stile cambia radicalmente e diviene pomposo, con tappezzerie rosse, intagli complessi, simboli imperiali e stemmi, le stanze si ispirano al barocco e sono zeppe di quadri, vasi, lampadari sfarzosi. Anche qui non manca un tocco di originalità nei salottini orientali che ricreano ambienti in stile cinese e giapponese, nei quali si respira un’atmosfera esotica. La sala però che lascia senza fiato e costringe a percorrerla con gli occhi rivolti verso l’alto è quella del trono. Enormi tele raffigurano gli imperatori degli Asburgo e le capriate del soffitto regalano una suggestione unica. Destino vuole che Massimiliano non occupò mai quel trono. Venne ucciso in Messico da un plotone di esecuzione. Questa fu la sua fine tragica che ha cosparso di amarezza la nostra uscita dal castello.

L’allegria del sole e il lieve sciabordare delle onde nel Mediterraneo ci contagiano positivamente l’umore. Iniziamo a esplorare l’oasi verde della tenuta attraversando il ponte di accesso al Parterre sul torrentello uscente dal vicino lago dei cigni con l’isolotto al centro e la casetta svizzera destinata ai giardinieri sulla riva. Oltre alla funzione pratica, la passerella rappresenta il passaggio fra l’area boschiva del parco, romantica, dov’è la natura a farla da padrona, e il giardino all’italiana con stupende aiuole suddivise in figure geometriche, simbolo della dominanza dell’uomo sull’ambiente. Qui c’è pure un bar ristoro dove ci si può sedere a uno dei tavolini esterni accarezzati dal sole per bere un caffè e mangiare un gelato, e godere in pieno relax di tanta bellezza. Camminando nella fitta vegetazione si scoprono un altro specchio d’acqua, detto dei loti, sculture, prati, sentieri e viali, piccole caverne e pergolati. Verso il mare, affacciati sul porticciolo di Grignano e arroccati sopra le rocce, ci sono pure le serre e il Castelletto, imitazione della residenza principale e abitato solo occasionalmente da Massimiliano e Carlotta. E’ graziosa la fontana antistante con le statue degli scoiattoli sul bordo che Leonardo ha subito notato.

Il parco e la fortezza di Miramare sono un’unica grande opera d’arte. Assistere al tramonto dalle terrazza attorno al castello imprime in noi un ricordo emozionante, forte, intriso di bellezza e serenità.

L’arrivo in serata nel pieno centro di Trieste, chiassoso e congestionato di auto come quello di tutte le grandi città, non scalfisce la gioia regalataci dalla giornata che si sta per concludere. Parcheggiamo l’auto nel silos ricavato nella collina di San Giusto, da cui prende il nome, aperto 24 ore su 24, 7 giorni su 7, a pagamento e con tariffe agevolate per la lunga permanenza. L’hotel Double Tree by Hilton, in cui soggiorniamo per due notti, prenotato sfruttando un prezzo ragionevole grazie e dei credito di viaggio, si trova a una manciata di passi. Occupa un edificio nobile dei primi anni del 1900, con decori sfarzosi sia interni che esterni e un bar storico le cui sale sono degne, per arredi e ornamenti, di un castello. Concluso il check-in e abbandonate le valige in camera usciamo volentieri nel tepore di una serata autunnale alla ricerca di un locale dove cenare. Internet ci aiuta nella scelta ma i primi due tentativi falliscono per mancanza di tavoli liberi, quindi incappiamo alla pizzeria Di Napoli. E’ un’ottima scoperta, attrezzata con posti a sedere nella viuzza antistante, pizze ottime e piatti da leccarsi i baffi come i paccheri e cozze o al ragù napoletano. Ci troviamo talmente bene che la scegliamo per le nostre due cene triestine.

3° GIORNO

Una giornata non basta per ammirare tutti gli angoli di Trieste, è appena sufficiente per comprendere in maniera superficiale l’anima elegante, vivace, fiera di una città dal passato glorioso, mossa dal duro lavoro e profondamente legata alle tradizioni marinaresche. La manifestazione della Barcolana ne è la prova. Si tratta della regata internazionale fra le più grandi e famose al mondo, organizzata ogni anno nel mese di ottobre e quest’anno prevista per domenica 11, al termine di una settimana colma di eventi e competizioni collaterali. Il teatro della manifestazione è il golfo triestino con le barche a vela in movimento fra le onde e attraccate al porto. C’è poi un posto sulla terraferma che ne accoglie il villaggio, con gli stand dei principali sponsor, quest’anno meno affollato per via del distanziamento imposto dal Covid. E’ la magnifica Piazza Unità d’Italia, da una parte aperta sul mare e sugli altri tre lati abbracciata da bei palazzi, oggi sede di enti pubblici. L’ottima conservazione è il risultato dei restauri dei primi anni del 2000. Fra questi risalta l’edificio della Luogotenenza austriaca dall’entrata monumentale coperta da due piani di loggiato e i mosaici raffiguranti gli stemmi di casa Savoia. Accanto, il palazzo Stratti con lo storico caffè degli specchi, e sul segmento opposto della piazza spicca il Grand Hotel Duchi d’Aosta. Nel mezzo, il municipio con la torre su cui stanno aggrappati i due automi incaricati di scandire il trascorrere delle ore. Lì davanti si erge la fontana barocca dei quattro continenti che simboleggia la fortuna di Trieste con la scultura di una donna nel punto più alto, adagiata sopra la pietra del Carso e sulle quattro statue che impersonano l’Europa, l’Asia, l’Africa e l’America.

Non solo qui ci sono edifici degni di essere ammirati, nel centro triestino si susseguono le facciate con decori, colonne, bassorilievi. Basta ricordarsi di puntare lo sguardo verso il cielo, senza rischiare però di inciampare o travolgere un passante. Spazi ampi si aprono tra un vialone e l’altro e sono abbelliti da fontane e monumenti. Attraversiamo l’irregolare piazza della Borsa per proseguire fino al Ponte Rosso sopra il Canal Grande di Trieste. E’ d’obbligo fermarsi per lasciar correre gli occhi al mare da una parte e dall’altra osservare la chiesa parrocchiale di Sant’Antonio Taumaturgo con l’imponente pronao neoclassico. Non siate pigri e arrivate fino a piazza Vittorio Veneto con la fontana dei Tritoni nel centro. Lo stato di abbandono in cui versa l’edificio delle Ferrovie procura un alone di tristezza, accentuato pure dalla pomposità dall’antistante palazzo delle Poste. La città però è anche questo, ricchezza e povertà, abbandono ed esaltazione, due stati contrapposti, riflesso della vita del genere umano.

La scoperta di Trieste prosegue passando dal Teatro romano. Costruito nel I secolo d.C., a quei tempi era lambito dal mare e possedeva una capienza di ben 6000 persone. Ora la sua originaria bellezza è oscurata, oltre che dall’implacabile scorrere del tempo, dal fatto di essere soffocato dal traffico e dai palazzi. Il sito si adagia ai piedi del COLLE SAN GIUSTO in cima al quale si può arrivare percorrendo strade strette e molto ripide oppure usufruendo dell’ascensore scavato nella collina, ubicato nel parcheggio multipiano. Per comodità scegliamo la seconda opzione e in una manciata di secondi giungiamo nel luogo un tempo sede del primo insediamento umano, poi divenuto foro romano, infine area che accoglie cattedrale e castello consacrati al patrono, e parco della Rimembranza a ricordo dei caduti in guerra.

I resti dell’antica civiltà romana risalenti al I secolo d.C. si allargano ai piedi della fortezza. Qui si ergeva una basilica a tre navate, detta civile per gli scopi commerciali e giudiziari che vi erano assolti. L’ingresso all’area si trovava alla base dell’attuale campanile. L’antichità si respira anche nel museo intitolato a J.J. Winckelmann, archeologo e antiquario tedesco simbolo delle istituzioni museali triestine, a cui si accede dalla piazza dopo aver percorso l’orto lapidario tempestato di pietre sepolcrali. Disinteressandoci, per il momento, di archeologia non entriamo al museo, tuttavia apprezziamo il giardino pensile che lo precede per la sua particolarità.

L’adiacente Cattedrale di San Giusto impone la sagoma massiccia di un edificio dalle linee semplici e austere, frutto dei lavori di unificazione tra due chiese avvenuti nel 1300. Sulla facciata a capanna spicca il grande rosone e la sagoma tozza del campanile a pianta quadrata si addossa a essa. Oltre alla stessa pietra con cui sono stati costruiti li accomuna la generosità di reperti dell’epoca romana utilizzati per decorarne le pareti. La severità dell’esterno prosegue anche all’interno, fatta eccezione per i bei mosaici bizantini che meritano di essere ammirati.

L’apice del colle è occupato dal Castello di San Giusto. La storia del sito inizia molto tempo fa, dei resti infatti attestano la presenza di un abitato fortificato fin dal 1000 a. C. La fortezza vera propria invece vede la luce tra il 1468 e il 1474 e si lega alla rivalità tra Trieste, volenterosa di autonomia, e le nemiche Austria e Venezia, interessate a sottometterla. Nel corso dei secoli diviene caserma e prigione, fino agli anni trenta del novecento quand’è sottoposta a una campagna di restauri radicali per trasformarla in quella che viviamo ora: un centro di attività artistico-culturali. A dire la verità l’architettura in sé non ci entusiasma, meritano invece i camminamenti sulle mura dai quali si gode di una discreta visuale verso il porto, la città e i dintorni. Superata la rampa d’accesso alla rocca colpisce il vestibolo, caratterizzato dagli stemmi in pietra appartenenti a famiglie nobili del luogo e collocati sulle pareti. Questo ambiente accoglie pure la grossa campana e i due automi con il compito di percuoterla, chiamati dagli abitanti Michele e Giacomo. Per quasi un secolo hanno scandito le ore dalla torre del Municipio in Piazza Unità d’Italia fino a quando, a causa dell’usura, sono stati sostituiti. Leonardo e mio marito apprezzano l’armeria, sistemata su diversi livelli e narrante l’evoluzione delle armi grazie a esemplari di pugnali, spade, pistole e alabarde. A tal proposito è curiosa la leggenda di San Sergio, uno dei protettori della città e al quale Trieste deve il simbolo appunto dell’alabarda. Pare che il santo abbia promesso che nel momento del suo martirio la cittadina avrebbe ricevuto un segno. Così accadde e nel giorno dell’esecuzione precipitò dal cielo l’arma che, secondo la credenza, corrisponde a quella conservata nel Tesoro della Cattedrale di San Giusto.

Con lo scopo di rilanciare il turismo a Trieste, l’ingresso al castello per l’anno in corso, come per gli altri musei cittadini, è gratuito. Un’iniziativa concreta, intelligente e di sicuro molto apprezzata sia da noi turisti che dagli abitanti.

Torniamo in riva al mare, stavolta scendendo a piedi i ripidi vicoli di colle San Giusto e sempre camminando raggiungiamo piazza Gugliemo Oberdan da dove partono gli autobus numeri 42 e 44 per il Faro della Vittoria. Il tragitto di circa dieci minuti copre buona parte del dislivello in salita per arrivare al monumento, lasciando scoperti solamente gli ultimi centinaia di metri. Fu eretto al termine della Grande Guerra e inaugurato nel 1927 con una doppia funzionalità, pratica e commemorativa. La prima riguardava la necessità di fornire Trieste di un segnale luminoso maggiore rispetto alle piccole lanterne disseminate sulle rive, come testimonianza pure dell’importanza della città. La seconda invece è intrinseca al ricordo dei marinai morti durante il conflitto appena concluso. Guardandolo dal basso si rimane colpiti dalla sua sagoma slanciata e signorile, all’apice della quale è posta la statua della Vittoria alata, mentre alla base vi sono la scultura del Marinaio ignoto e l’ancora del cacciatorpediniere italiano Audace, il primo a entrare nel porto triestino il 3 novembre 1918. Le pietre carsica e istriana con le quali è stato costruito sono la testimonianza dello stretto legame con il luogo. La roccia calpestata dai soldati e dagli abitanti ha generato il faro. Arriviamo al sito solo cinque minuti dopo l’orario di chiusura e ci viene impedito di ammirare il golfo di Trieste dalla cima. Forse un po’ più di flessibilità sarebbe apprezzata.

Ci consoliamo con un’ottima cena ancora alla pizzeria Di Napoli. Poi è d’obbligo la passeggiata senza meta tra le vie del centro che pullulano di gente riversatasi nei ristorantini, i pub e le taverne. La temperatura mite permette di mangiare o sorseggiare l’aperitivo all’aperto, in un clima di allegria che allontana per un po’ l’ansia di un inverno su cui incombe il Coronavirus. Girovaghiamo in una Piazza Unità d’Italia quasi deserta, ancora più fascinosa con le luci dei lampioni, e proseguiamo fin sull’estremità di Molo Audace per apprezzare la bellezza e il romanticismo della Trieste notturna.

4° GIORNO

Nell’ultima giornata di fuga autunnale ci vogliamo gustare il mare. Respirarne l’odore e sentirne la brezza tiepida sulla pelle, vedere le barche a vela scivolare veloci in lontananza, ascoltare le onde intrufolarsi fra i sassoni che disegnano la riva. Quale luogo migliore della Barcola per godere di tutto questo? E’ il quartiere di Trieste conosciuto per la sua aria salubre e gli scenari incantevoli fin dal tempo dei romani. Il lungomare di cinque chilometri regala passeggiate rilassanti con vista sulle acque limpidissime e la possibilità di svolgere corse tonificanti fino al parco di Miramare. Nella parte iniziale i rami dei pini marittimi si aprono a ombrello formando una pineta dove poter trovare refrigerio durante l’estate. Qui ci sono pure attrezzi sportivi e soprattutto molti giochi per bambini che Leonardo pretende di provare tutti.

Salutiamo il Friuli nel primo pomeriggio conservando nell’anima e nella testa i paesaggi e le emozioni positive che ci ha regalato. Attraversiamo quasi per intero il Veneto, fermandoci a due passi dal confine con la Lombardia per esplorare uno dei borghi più belli d’Italia. BORGHETTO SUL MINCIO è una frazione di Valeggio e compare al di là del colle su cui sorge il castello scaligero. Le case non solo si allungano sulle rive del fiume ma si mescolano, lo sovrastano, si intersecano con esso. Qui il legame tra l’uomo e la forza dell’acqua è ancora tangibile, visibile nelle ruote dei mulini dove un tempo venivano macinati i cereali. I resti delle fortificazioni medievali che in parte lambiscono il piccolo villaggio sono la testimonianza di un luogo conosciuto da centinaia d’anni, generoso e sfruttato dalle persone. Così s’innalzano il campanile e le torrette, e sul fluire del fiume i resti del Ponte Visconteo, una diga fortificata del 1395 eretta allo scopo di proteggere i confini del Ducato di Milano, impongono ancora la loro presenza. La breve camminata tra le viuzze di Borghetto consente di viverne il fascino, accompagnati dallo sciabordio onnipresente dell’acqua e dalle vedute sui tavoli romantici dei ristorantini che trovano posto sopra le terrazze e sugli stretti ritagli di terra ferma. Il borgo è sovrastato dalla rocca scaligera costruita su un poggio tra il X e il XIV secolo, raggiungibile a piedi in una ventina di minuti. Nonostante il logorio inflitto dal trascorrere degli anni e dalle mani dell’uomo è riuscita a mantenere l’imponenza grazie alla presenza di una parte delle mure, ai torrioni angolari e all’alta torre del nucleo centrale, il meglio conservato e visitabile pure all’interno. Essendo arrivati al tramonto per godere di un panorama i cui colori si trasformano e cambiano con il calare del sole, non siamo potuti entrare in quanto chiusa. Poco importa, perché la vera bellezza è il luogo che contempla le colline, la pianura, le montagne in lontananza, e conclude al meglio la nostra breve vacanza.

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Grotta Gigante a Trieste

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Castello di Miramare, Trieste

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Treviso

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Piazza Unità a Trieste in occasione della Barcolana

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Borghetto sul Mincio



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