Tutto un altro mondo 2

Negli Emirati Arabi il futuro è già arrivato. Con qualche assurdità e contraddizione...
Patrizio Roversi, 27 Set 2010
tutto un altro mondo 2
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“Abu Dabi e Dubai sono l’Oriente e l’Occidente che si incontrano tra passato e futuro!” Questa bella frase, molto evocativa, è di Marco Livadiotti, il mio amico che già mi aveva fatto da guida straordinaria in Yemen, e che mi ha accompagnato anche negli Emirati Arabi. Effettivamente, se il viaggio in Giappone è stato una specie di viaggio su Marte, cioè in un’altra dimensione, il viaggio negli Emirati è stato davvero un’incursione in un mondo da una parte molto antico ma dall’altra del tutto futuribile. E’ stato come veder realizzata fino in fondo una idea (meglio dire ideologia), quella del libero mercato e libero sviluppo e della cosiddetta meritocrazia capitalistica. Il viaggio mi è piaciuto moltissimo, è stato uno dei viaggi più – letteralmente – interessanti che ho fatto. (Che poi mi sia piaciuta questa anticipazione del “mondo che verrà”, è tutta un’altra storia…). Un viaggio nel lusso, ma non necessariamente carissimo.

Hotel touch screen

Sono arrivato ad Abu Dhabi, un’isola in cui la densità di grattacieli è superiore a quella di Manhattan, dove c’è il lungomare più lungo e lussuoso del mondo. E ho scoperto che gran parte dell’esiguo territorio è letteralmente strappato al mare. Ho avuto giusto il tempo di fare tappa all’Emirate Palace, forse l’albergo più faraonico del mondo: corridoi lunghi 150 metri, stanze che si aprono con una chiave a forma di moneta d’oro. Il mio amico Orso non ha chiuso occhio, perché non è riuscito a spegnere la luce in camera. Infatti tutti i servizi interni erano regolati dalla tastiera (touch screen!) di un computer. Io, molto modestamente, ho inchiodato per mezz’ora la gentile maitre (bella come una Principessa) per avere spiegazioni. Lui, timidone, no. Quindi non è riuscito né ad aprire il frigo, né ad accendere il mega-tv, né a spegnere le luci… Si è rifatto la mattina dopo, e io con lui: la colazione dell’Emirate Palace è la summa di tutto quello che puoi sognare di mangiare. Ed è tutto compreso nel prezzo. O, forse, lo era prima che io e Orso approfittassimo: dopo secondo me hanno scoperto che non gli conviene…

Il fratello “povero”

Tra i due Emirati “fratelli”, Abu Dhabi è quello ricco, cioè quello col petrolio. Dopo una corsa in autostrada (100 km che di notte sono tutti illuminati, come se fossero un viale cittadino) siamo arrivati a Dubai, il fratello “povero”, cioè con pochissimo petrolio, che quindi ha dovuto darsi da fare. Dubai, per intenderci, è il posto del famosissimo Burj Al Arab, la “cartolina” degli Emirati, un simbolo ormai popolare quanto la Torre di Pisa o il Taj Mahal. Il Burj è fatto a forma di vela, appoggiato sul mare. Ci si arriva preferibilmente in elicottero, o in limousine. Io ci sono arrivato con la macchina di Marco Livadiotti, ma sono stati gentili lo stesso. Dentro è un trionfo di neo-barocco, progettato da architetti indiani, con gli appartamenti enormi, con il biliardo e i letti col baldacchino-birichino (cioè sopra al letto hanno uno specchio!). Non ci ho dormito, però sono “sceso” al ristorante: ho preso un ascensore tipo Nautilus del Capitano Nemo che mi ha portato sotto il livello del mare, al ristorante subacqueo, allietato da una parete di un acquario immenso, che contiene 400.000 litri d’acqua e centinaia di specie di pesci.

L’isola che… c’è

Ma Dubai è famosa anche per le altre idee urbanistiche-futuristiche: La Palma e The World. La palma è un’enorme isola (una serie di isole) artificiale, a forma di palma appunto. The World è fatta da 300 isole (sempre fatte dall’uomo) che disegnano dall’alto il planisfero. Sono in pratica dei quartieri residenziali, dove un’isola intera (vuota, ancora da edificare) costa 10 milioni di dollari e un appartamentino 600.000 euro. Il tutto corredato dall’Aeroporto più grande del mondo, attorniato dal Canale artificiale più lungo del mondo. Mentre io ero là si stava costruendo – ovviamente – anche il grattacielo più alto del mondo, che ora è quasi finito. Quasi, perché nel frattempo è arrivata anche là la crisi economica, ma questa è un’altra storia… La prima cosa che balza all’occhio comunque sono le file di auto lungo le strade: anche a Dubai ci sono gli ingorghi. E, naturalmente, ti vien da pensare: ma già che han fatto tutto nuovo, non potevano farlo meglio, e pensarci prima? Ma là non esiste proprio il concetto di servizio pubblico: gli autobus sono privati, dei cantieri, che prelevano gli operai e li portano a lavorare.

Luoghi e non-luoghi

Ma cosa fa un turista a Dubai? Certo può visitare i grandi alberghi, può stare in spiaggia. Può anche andare alla Moschea, che – fedele ad un modello di apertura culturale – organizza anche delle visite guidate per turisti (fornisce anche i veli alle donne). Ma un turista soprattutto può “vivere” dentro i grandissimi Centri Commerciali, che in realtà rappresentano un mondo a sé. Meglio: rappresentano (o hanno l’ambizione di rappresentare) il mondo. Ce n’è uno tutto Indiano, dove sembra di stare nel Palazzo delle Mille e una notte. Ce n’è un altro perfettamente cinese. Un altro costruito dentro a delle vere piramidi egizie. Poi ci sono Alberghi costruiti secondo lo stile Assiro. Va molto anche lo stile Antica Roma. Ovviamente Venezia è citata e imitata qua e là. Ma se le varie Disneyland o Disneyworld erano dei grandi giocattoli, qui si fa sul serio. Qui c’è la dichiarata ambizione di “rifare il mondo”. Una gentile venditrice di appartamenti mi ha detto: “Noi abbiamo a lungo studiato il mondo, abbiamo imparato, ora siamo in grado di rifare tutto, e meglio.” Dalle nostre parti abbiamo chi predica “il fare”, laggiù c’è il “ri-fare”, ma questo istinto non è naive come quello dei primi Giapponesi imitatori, qui si… rifà sul serio. Con l’ambizione vera di fare meglio, di fare il futuro. Ed ecco allora che, anche guardando i quartieri dove abita la gente, si vede di tutto: se noi ci accontentiamo di Milano 2 e di Milano 3, laggiù sembra di vedere Sydney-6 o Seattle-12! Tutto nuovo, tutto rifatto secondo lo schema del nuovo sviluppo globalizzato.

Il clima è impazzito

In quest’ansia di riprodurre non si salva certo la natura, e il clima non è un ostacolo: sono stato a Sky Dubai, che è uno spropositato hangar in cui sono state rifatte tre piste da sci, con relativa neve e gelo artificiale, dove a momenti cado dallo skilift e prendo una polmonite, perché va bene che ti noleggiano anche la tuta e gli scarponi, ma lo sbalzo di temperatura col clima del deserto è feroce. In questo senso lo choc è stato molto più grande rispetto alla stessa esperienza che avevo avuto a Tokio. Sempre a proposito di clima: a Dubai ovviamente tutto è climatizzato. L’aria condizionata è una condicio sine qua non. Mi hanno raccontato che d’estate nelle case si invertono i rubinetti: quello dell’acqua calda si usa come acqua fredda, perché se si spegne il boiler l’acqua che sta in casa è sui 22 gradi. Viceversa l’acqua fredda, che viene dai tubi esterni, d’estate la trovi bella calda, a 40 gradi. Basta saperlo. Ho saputo anche che a Dubai c’è il consumo di acqua procapite più alto del mondo: 400 litri a testa. Naturalmente l’acqua non c’è, va potabilizzata. Per ogni metro cubo di acqua desalinizzata, se ne consumano altri 9, e a forza di togliere acqua e immettere sale, il livello di salinità del mare cresce. Mi hanno detto con orgoglio che l’intervento dell’uomo ha creato un nuovo clima marino, e ha permesso a nuove specie di insediarsi e svilupparsi…

HOMO SAPIENS GLOBALIZZATUS

Ma chi ci abita a Dubai? Solo il 20% degli abitanti sono emiratini, gli altri sono stranieri, attratti qui dalle prospettive del lavoro e del business. Ma tutti ben controllati: il datore di lavoro infatti si tiene il passaporto del lavoratore, e se non lo vuole più lo fa espellere immediatamente. E soprattutto gli stranieri sono organizzati rigidamente secondo una piramide ben precisa: il gradino più basso è occupato dai Pakistani e dai Nepalesi, che rappresentano la manovalanza, che abita in baraccopoli separate (ovviamente moderne). Poi ci sono gli Indiani, che sono i tecnici, quindi gli specializzati più evoluti, tra cui gli Italiani. A proposito di melting pot: in sé potrebbe anche avere i suoi lati positivi. Una volta sono entrato in un locale, dove – mi hanno detto – c’erano giovani ingegneri, banchieri, manager di almeno 30 Paesi diversi. Però, francamente, vestivano tutti uguali, parlavano tutti lo stesso inglese-globale, mangiavano tutti la stessa roba… Le differenze sono belle, quando sopravvivono…

DOPO L’11 SETTEMBRE

Un bravo turista, certamente affascinato da questo mondo futuribile, deve però provare a chiedersi il perché di tutto questo. Da dove viene questo modello? L’ho intuito andando all’Università, dove ho parlato (con la scusa che studiano anche l’italiano) con studenti libanesi, iraniani, egiziani, palestinesi e ovviamente emiratini. Tutti mi hanno detto la stessa cosa: avrebbero preferito andare a studiare in Europa o in America, ma ora è difficile. Dopo l’11 settembre il mondo islamico in generale si è trovato di fronte ad un muro di diffidenza e di difficoltà. E questo vale per la scuola, ma anche per la sanità, o per gli affari. Ed ecco allora che gli Emiri hanno deciso di fare da soli, e di costruirsi tutto in casa: università, cliniche e soprattutto un polo finanziario mondiale, non contrapposto ma certo autonomo dall’Occidente capitalista. E, anzi, hanno cominciato a sedurre parte dell’Occidente, promettendo una società a sviluppo libero, senza freni ideologici di sorta. Qui non ci sono piani regolatori, chi vuole costruisce. Anzi, se vieni qui ad impiantare una tua attività, ti trovano anche i finanziamenti, la sede e i rapporti commerciali. Un vero Paradiso berlusconian-reganiano, che però ora deve fare i conti con la crisi, che non è solo economica ma anche energetica ed ecologica, in tutti i sensi. Mi risulta che anche a Dubai qualcuno cominci a fare sciopero, e anche là le varie bolle speculative stanno scoppiando.

BASTAKIA

Se incontrate un turista che è stato a Dubai, fate una prova, chiedetegli se è stato a Bastakìa. Se non c’è stato, vuol dire che si è limitato da una visita superficiale, e non ha messo fuori il naso dall’aria condizionata. Io, per mia fortuna, ero con Marco Livadiotti, che a Bastakìa ci abita e ha l’ufficio. Bastakìa è – incredibile! – il centro storico di Dubai. Perché nemmeno Dubai, nonostante tutti i suoi sforzi di essere “nuova”, viene dal nulla. Da sempre è stata strategicamente collocata fra Africa e Asia, da sempre è stata la cerniera commerciale di una immensa zona. Ed ecco allora che, nascosto fra i grattacieli, si trova questo quartiere di case basse, dotate di cortile interno confortevolissimo e soprattutto di Torri. Sono le Torri-del-vento, di stile iraniano, che servono ad incanalare l’aria dentro casa, fornendo un’ottima refrigerazione naturale. E accanto alle case si apre un suk, un mercato bellissimo di spezie, gioielli e stoffe, che non ha nulla da invidiare ai mercati tradizionali del Medioriente. E di fianco al mercato, lungo una fetta di canale che quasi passa inosservato durante il giorno, di sera attracca una lunghissima fila di sambuchi, i barconi di legno che di qui caricano frigoriferi, lavatrici, materiale edilizio, cibo, bevande e qualunque altro genere di merce vi venga in mente, e portano tutto via mare sia sulle coste dell’Africa che in estremo Oriente, fino in India. Sono salito a bordo di una di queste barcone, e ho chiacchierato a lungo col capitano, che andava in Sudan: lo aspettava una “crociera” di un mese.

Questa sarà anche la Dubai del passato, ma è quella vera.

Patrizio