Turisti per caso, non turisti a casaccio!
La battuta me l’ha suggerita un’amica, molto sagace. E mi è subito piaciuta. I Turisti per caso non hanno nulla a che fare con i turisti a casaccio! È un ottimo slogan. Ultimamente tocca continuamente ribadire che – secondo la filosofia dettata a suo tempo da Syusy – il Caso non significa sciatta casualità, ma evoca il Caos, il Padre degli Dei, il Caso come Destino. Come ci ha insegnato Orso, il nostro primigenio Stratega Turistico che ha collaborato alla definizione di tutti i nostri viaggi e ha programmato meticolosamente tutti i nostri primi itinerari, il Turista per Caso prima si incuriosisce di una destinazione (a causa di un libro, di un film, di un documetario, di un racconto di un altro viaggiatore), poi inizia a sognare (cioè a immaginare e progettare), quindi a raccogliere informazioni (cioè a programmare). Tende cioè naturalmente a personalizzare le proprie scelte, a cucirsi addosso il viaggio, su misura.
Va in un posto perchè ci crede, ha un obiettivo. Tutto il contrario del turista che “va a caso”. Se dovete andare in giro a caso, state a casa! Potrebbe essere un altro slogan. Ormai l’overtourism è talmente diffuso che crescono le pubblicità omeopatiche al contrario: per esempio Amsterdam ha promosso una campagna in cui lo slogan è “Se vieni a fare casino, stai a casa tua!”. Insomma, il turismo è diventato un problema. Ma perchè, cosa è successo? Certo, è successa la Pandemia: due anni chiusi e poi tanta (disperata) voglia di muoversi. Nel frattempo la Globalizzazione ha fatto passi da gigante, il Mondo è diventato più uguale, più piccolo e più raggiungibile: sono arrivati i voli low coast (che spesso non è vero che costino poco) e c’è stato lo sviluppo di una vera e propria industria del turismo. E l’industria turistica, come del resto le catene di montaggio, sforna quantità di itinerari preconfezionati, concepiti dal Mercato. Nella nostra Comunità di Turistipercaso si è a lungo dibattuto sul fatto di “fare da sè” o di affidarsi ai professionisti del turismo (Agenzie o Tour Operator). Alla fine ha prevalso l’idea di un sistema misto, ma certamente nessuno ha mai pensato che fosse possibile viaggiare in grandi gruppi organizzati, che fanno gregging seguendo una guida con l’ombrellino in resta. Poi è si è affermata anche una pseudo-informazione che dilaga sui social, dove – mi spiace dirlo – un sacco di cosiddetti influencer danno una rappresentazione spesso superficiale e banalizzante dei luoghi.
Ma, del resto, non è colpa loro: come diceva il vecchio McLuhan “il medium è il messaggio” e come è possibile raccontare le Maldive o le Galapagos in una tiktoccata-e-fuga di pochi secondi? Come si fa a infilare in una immagine verticale il sapore vero di un paesaggio? Un bell’articolo di Francesco Moscatelli sulla Stampa racconta di una coppia di turisti colombiani che volevano visitare #LakeComo (così come è scritto, hashtag compresa) e pretendevano di fare il giro del Lago a piedi, perchè l’avevano visto su Facebook: peccato che la circonferenza del Lago di Como sia di 160 chilometri. Alla fine è successo che il turismo è diventato sempre meno un gesto consapevole e personale e sempre di più uno status. Le avvisaglie c’erano da tempo. Mi ricordo che diversi amici che stavano coronando il sogno di andare in Polinesia ci chiedevano dei consigli. Noi dicevamo: “Lascia stare Bora Bora, è bellissima ma è turistica, meglio altre Isole meno conosciute, tipo Huaine o Raiatea.” Poi gli amici tornavano e, puntualmente, erano andati a Bora Bora: “Ma se al ritorno il mio collega d’ufficio mi chiede com’era Bora Bora, cosa gli rispondo? Se non ci sono andato faccio la figura del pirla.”
E voilà: ecco servito il turismo di massa che procede per luoghi comuni, visitando luoghi celebrati dalla Community, per comunicare semplicemente di esserci stato. Non gli interessano i posti, ma i post. Ma spiace vedere i turisti aggirarsi esausti, assetati, che gli scappa la pipì, con lo sguardo fisso su Google Maps, per le strade di Firenze, Bologna, Venezia, per poi cadere vittime del primo che gli offre un tagliere di mortadella a caro prezzo, oppure tortellini di plastica. A me spiace soprattutto ammettere che… così i miei amici turisti non mi piacciono. Ho sempre solidarizzato con gli altri turisti, sentendomi orgogliosamente uno di loro, li ho sempre guardati con complice simpatia. Adesso sono troppi, hanno sguardi che non mi stimolano complicità. Rappresentano, loro malgrado, un attentato all’identità dei nostri luoghi, occupano i centri storici offrendo la tentazione di trasformare una casa in un B&B, la loro presenza gonfia i prezzi, abbassa la qualità dei nostri ristoranti. Sia chiaro: non hanno colpa loro. Ma allora, di chi è la colpa? Una mezza idea ce l’avrei, ma i mei dubbi ve li confesserò in una puntata successiva…
Buona estate. Patrizio