Savana, la Namibia raccontata da una guida
Non ci sono rumori in questa mattina di agosto. Il silenzio è talmente profondo da essere assordante, pura assenza. La sfera infuocata del sole all’alba colora l’orizzonte di una luce soffusa, ed i canneti si stagliano come immensi candelabri sullo sfondo di un cielo colore dell’ambra, mentre il nero delle acque della palude lentamente si rischiara lasciando intravedere i contorni dei banchi di ninfee con i fiori ancora chiusi, assonnati.
Il lento incedere della piroga non contamina la quiete di questa savana intorpidita dalla gelida notte australe e l’unico brusio a turbare il silenzio è il suono prodotto da milioni di microscopiche gocce d’acqua che ricadono nella laguna dalla pertica del rematore, a tempo con le sue spinte cadenzate. Poi, quasi improvvisamente, arriva la luce ed il Delta si illumina come sotto il fascio di cento fari; ritornano tutti i colori e le acque limpide ed immobili riflettono i verdi intensi delle chiome delle gigantesche waterberry e delle palme makalani, il marrone intenso del teak e delle strabilianti kigelje, il tenue tono pastello dei papiri che, man mano che il sole si alza sull’orizzonte, sfuma nell’ocra e nell’oro. E poi ancora il bianco ed il rosa carico dei fiori delle ninfee palustri, il rosso rubino delle bacche del pepe, tutta la gamma dei grigi argentei degli assurdi fusti dell’albero del piombo e del padre di tutti gli alberi, il baobab. E nel bel mezzo di questa tavolozza come d’incanto si accende la musica, il respiro profondo dell’Africa spazza via in un attimo il silenzio ovattato e l’immobile notte scompare nel risveglio della vita: il cielo si riempie di ali e di stridi, con milioni di aironi, gruccioni, cicogne, cormorani, anatre, tutti insieme a salutare il nuovo giorno. Lontano, nella bruma del mattino, il richiamo ovattato del Bubu, il gufo africano, fa vibrare l’anima di sussulti primordiali, mentre i Martin pescatori si gettano nelle acque a caccia di cibo. Una coppia di aquile pescatrici ci da il buon giorno dalla cima di un teak e mentre la prua della mia piroga vìola uno sbarramento di papiri per tuffarsi in un canale nascosto lo sbuffo profondo ed inquietante degli ippopotami raggela la schiena e blocca il respiro.
Mi perdo tra i meandri di questo mondo d’acqua incuneato tra le sabbie del più vasto deserto del pianeta, a solcare strade nascoste, nuove. Già, strade…Strade di sabbia o polvere, di fango o savana fitta…Strade di roccia nuda e di picchi innevati. Strade di Nulla, tra dune e cielo, e piste di pianure piatte fino all’orizzonte. Ed ancora strade d’asfalto rotto o sentieri di foresta…O, come oggi, strade di acqua e stagni, di laghi e cascate, viottoli tra i papiri o mulattiere di scogliera a toccare il respiro degli Oceani…Guardo indietro in questi anni e le rivedo, le ripercorro, le rivivo. La mia mente riavvolge il nastro dei giorni passati , e la mia penna di colpo scrive di sapori ed emozioni lontane. E mentre il Mokoro scivola sull’acqua dell’Okavango so che vi racconterò di strade, sì..Di Strade d’Africa.”
…Di acqua e di sabbia…
Botswana, Caprivi, Zimbabwe 2008 Il sommesso ronfare del motore del Land Cruiser è un sottofondo piacevole, quasi parte di questa immensità che si apre intorno come un abisso… La strada per Mamuno taglia la pianura sterile come una retta perfetta, senza curva alcuna, mentre dai finestrini via via che ci si spinge ad Est il bush di spini lascia campo alla savana di erbe, infinita, un grande mare giallo oro che si perde all’orizzonte.
Mamuno, frontiera; siamo in Botswana, proprio sul margine della depressione del Kalahari meridionale. E la mente sogna le sabbie ambrate che so estendersi a sud, mentre montiamo il campo. La morsa gelida delle tipiche notti desertiche saluta il primo bivacco nei dintorni di Ganzi in una piana cespugliosa che è come un balcone sul baratro di dune del profondo sud. Ma non è che un attimo e le ruote ci portano velocemente a Nord, a costeggiare il margine occidentale del Delta dell’Okavango, il più esteso delta interno del Mondo, 12000 chilometri quadrati di paludi e canali in pieno Kalahari; un universo d’acqua nel cuore del più grande deserto della Terra… E noi ci stiamo andando proprio nel cuore! Ed è assolutamente pazzesco, incredibile: si sale a nord sulla pianura arida, un tappeto di erbe secche monotono, privo di rilievi, e la strada sembra perdersi nel Nulla più assoluto.
Ed invece la Madre Acqua sta lì ad appena qualche chilometro verso Est, nascosta perfettamente nelle pieghe della savana a permeare la sabbia di linfa vitale. Le barriere veterinarie sfilano via, le sorpassiamo dopo il sacrosanto “bagno” nel disinfettante di pneumatici e calzature. Infine ecco il bivio per Nguma Island, nei pressi di Etsha 13, l’ultimo dei villaggi omonimi sulla sponda del fiume. Finalmente si dimentica l’asfalto e le ruote mordono sabbia, l’infida sabbia del Delta con i solchi profondi e granelli sottili come borotalco. Dodici chilometri di foresta e di colpo, come se si spalancasse una quinta gigantesca, eccolo l’Okavango, possente, gonfio. E non è che un ramo, un piccolo braccio di questo mare d’acqua. Campeggiamo ai margini del canale e già l’imbrunire ci regala la voce di questa nuova Africa con il profondo grugnito degli ippopotami al pascolo.
Alba di aria frizzante e pulita; lasciati a terra i Toyota ci si inoltra nel Delta: due grandi barche a motore vi trasportano a sud est, verso il cuore del Delta Interno, quello più nascosto, meno blasonato, meno battuto. I giganteschi waterberry dal tronco poderoso chiudono la via finchè un muro impenetrabile di papiri ci arresta ed ha inizio il viaggio vero, sulle piroghe, i mokoro… L’intero staff, tende pentole viveri tavoli sedie legna insomma tutto, viene caricato sulle esili imbarcazioni, i taxi del Delta, piroghe di 5 metri di lunghezza per appena 50 centimetri di larghezza. E noi, con tutto il resto!! Siamo tra i canneti, in una selva di papiri, investiti da un silenzio così potente da mettere soggezione, rotto solo dalla sciacquio delle pertiche dei rematori e dagli stridi di milioni di uccelli… Sterne, piovanelle, garzette, pellicani, cormorani, upupe e martin pescatori…E poi ancora perche, giacane africane, oche egiziane gruccioni, aquile, civette, gufi, falchi…Un paradiso di piume e penne su un tappeto di ninfee in fiore.
Tre giorni di paludi, due bivacchi nel cuore selvaggio del Delta con gli ippopotami a visitare il campo nelle tenebre e la luce dei fuochi a tenere lontani i predatori. L’elefante ci attraversa il cammino su di un isolotto sperduto mentre il richiamo cavernoso dei bufali ci accompagna come un’ eco. Siamo di ritorno, si ricaricano i toyota, via verso ovest e poi su, a tutto Nord, lungo il Pan Handle, il “manico della Padella”, l’origine del Delta.
Mohembo, il confine: rientriamo in Namibia, Caprivi Occidentale. Ecco di nuovo le mie amate piste di terra rossa, a sfilare tra gli alberi di mopane…
Attraversiamo i cancelli della Mahango Game Reserve; un breve transito solamente, ci torneremo domani, con calma. L’Okavango scivola alla nostra destra, immenso, nascosto dalla boscaglia. Ci accampiamo alle Rapide di Popa, una formidabile barriera di graniti che costringe il grande fiume a dividersi in una moltitudine di piccoli torrenti spumeggianti, prima di permettergli di ritrovare nuovamente la sua unità e la sua possanza. Il Camp Site di Popa Falls è un piccolo angolo di erba verde in questa savana che l’inverno ha reso arida, dominato da enormi Kigelie Africane, i famosi Alberi delle Salsicce, così chiamati per l’assurda forma dei loro frutti che ricordano appunto dei lunghi ed affusolati salami…Una rocambolesca ricerca dell’ultimo minuto ci permette di scovare una barca per effettuare una mini crociera al sun set sul fiume, tra gli ippopotami che escono dalle acque per andare a brucare nella savana, e gli uccelli che ripopolano i canneti all’imbrunire. Ed il giorno successivo è una full immersion nella Mahango Game Reserve. Parco particolare: non ha una grande concentrazione di animali ma è particolarmente selvaggio, con i suoi sentieri sabbiosi a costeggiare l’Okavango. Incrociamo Lichi Rossi, elefanti, ippopotami, kudu ed orici, in questo fiume che qui si allarga in un’immensa palude cespugliosa…Ed ancora l’Okavango è sovrano, con una seconda crociera, questa volta lunga mezza giornata, ad esplorare i meandri più reconditi di questa autostrada d’acqua che scende verso il Botswana.
Via, direzione Est, lungo la striscia di terra che prende il nome di Caprivi da quel teutonico diplomatico, Von Caprivi, che con giravolte politiche a fine 800 riuscì ad annettere ai possedimenti dell’Africa Occidentale tedesca questo “dito” di savana, 230 chilometri di erbe ad incunearsi tra Botswana ed Angola fino a raggiungere, al villaggio di Katima Mulillo, lo Zambesi, allora importante via d’acqua utile a penetrare nell’Africa equatoriale…Salutiamo l’Okavango e, dopo il Caprivi Strip, ecco un altro gigante, il fiume Kwando, che scende anch’esso verso Sud a tagliare questo lembo di Namibia.
A metà del ponte sul Kwando scatta la Time Line, e si cambia fuso orario…Scendiamo lungo il Kwando verso Sud, ancora verso il confine con il Botswana, nelle terre inondabili del Caprivi Triangle, verso i Parchi di Mudumu e Mamili. Ma troppo abbondante è stata la stagione delle piogge in questo strambo 2008, ed il Mamili è chiuso, perché inondato dalle piene del Kwando-Linjanti (eh si, perché questo fiume cambia nome non due ma ben 4 volte: Kwando, Linjanti, Mashi e Chobe!). Non solo il Mamili è chiuso ma, per giunta, il Mudumu è praticamente spopolato, proprio perché tutta la fauna si è spinta a sud, verso le paludi. Che fare? Si improvvisa, e si fa un’escursione prima al villaggio di Lizauli, una ricostruzione di un villaggio tradizionale a cura di una cooperativa locale, e poi, tanto per non restare digiuni di animali, una puntata ai margini orientali del novello Babwata National Park, sulla sponda occidentale del Kwando. Ancora in barca sul fiume, per poi inoltrarci nelle savane del Babwata su un assurdo, mostruoso camion 6×6 che fa un casino tale che gli animali fuggono quando noi stiamo ancora a chilometri…
Niente paura: presto entreremo nel Chobe National Park e ci rifaremo di ogni delusione: garantisco! Katima Mulillo ci accoglie sonnacchiosa un mattino di agosto, adagiata sulle rive dello Zambesi, in quel piacevole e colorato caos tipicamente africano che contraddistingue i grandi villaggi di frontiera. Facciamo una sosta tecnica, a rimpinguare serbatoi e riserve di cibo, per poi volgere le nostre ruote ancora una volta a Sud, puntando nuovamente verso il Botswana. Ennesima frontiera, ennesimo controllo veterinario: a Ngoma Bridge attraversiamo il ponte sul Mashi (Kwando-Linjanti, che qui, e solo in questo tratto, prende il nome di Mashi, per poi, in Botswana, diventare Chobe…Mah!) e siamo nuovamente in Botswana. Corsa di trasferimento lungo la Transit Road che taglia come una retta la parte settentrionale del Chobe National Park, direzione Kasane, dove faremo campo base per ben tre giorni. Sarà anche solo un transfer ma questa strada asfaltata ci regala subito emozioni: branchi di elefanti di 40, 60 individui ci attraversano la strada, insieme ad antilopi e bufali… Il Parco promette bene, inch Allah, domani vedremo.
Kasane; il campo sul fiume, in periferia della cittadina. Occorre stare attenti anche in città, che gli elefanti si spingono spesso fin nelle sue strade( ve ne sono 120.000 nella zona!). Ed infatti li troveremo, sull’asfalto che conduce al Camp Site lungo il Chobe, al tramonto…
I giorni successivi sono un unico, eterno, meraviglioso peregrinare lungo tutto il Chobe River Front, in una successione di emozioni e di incontri che nessuna fotografia, nessun racconto potrebbero trasmettere: elefanti a centinaia, ma davvero a centinaia.
E bufali, sterminate mandrie di bufali a rendere nera la savana. Ippopotami, Antilopi delle Sabbie, Lichi, Puku, Orici, Kudu…E poi ancora coccodrilli, leoni, leopardi, in una escalation di avvistamenti da brivido, da mattina a sera, fino al tramonto. Ed il giorno successivo ancora ed ancora, a “rubare” a quest’angolo di Africa alcune tra le più potenti emozioni di questi miei ultimi 15 anni.
Ultima corsa, poi, verso Kazungula e la frontiera con lo Zimbabwe. Pratiche più lunghe e laboriose nel border post di questo sfortunato Paese, squarciato da una guerra civile che qui non è tangibile nel suo aspetto violento ma permea tutte le cose attraverso uno stato di miseria che lascia attoniti e frastornati. Victoria Falls non è oggi che una sequela di negozi chiusi, con le vetrine vuote ed impolverate, le strade deserte, nessun turista… Le lunghe file di persone in coda agli sportelli bancari la dicono lunga, là dove per acquistare un solo dollaro USA occorrono ben un miliardo (!!!) di Dollari dello Zimbabwe…Lo stesso parco di Vic Falls, sulle straordinarie cascate dello Zambesi, è praticamente deserto, pochi manipoli di turisti percorrono i suoi sentieri, mentre fuori delle recinzioni una folla di mendicanti attende l’uscita dei pochi viandanti per tentare di vendere qualche oggetto di artigianato…Eppure le torri degli hotel a 5 stelle svettano su questo scenario tragico, come una farsa assurda, e noi, dentro queste bugie di cemento illuminato di sfarzo, ci sentiamo fuori luogo, assurdi a nostra volta.
Ancora una manciata di chilometri, oltre posti di blocco di militari dallo sguardo severo e dall’aria stanca, verso l’aeroporto deserto pure lui…I turisti si imbarcano, il viaggio è finito, ci si vede il prossimo anno, chissà…A noi resta tutto il tragitto di ritorno, nuovamente attraverso il Caprivi, e poi giù, a rotta di collo verso Windhoek in due giorni soltanto, per arrivare in tempo e partire con il prossimo tour, con la mente pronta ad accogliere nuovi nomi, nuovi volti, nuove storie… Ancora una volta immersi in questa Africa che continua a chiamare, e che ogni volta apre le sue grandi porte ad accogliermi in nuovi colori, nuove emozioni…
RoboGabr’Aoun Guida africana