Lo stesso viaggio visto da “Lei” e “Lui”
Antefatto
LEI, Syusy: In India gli altri ci sono andati all’inizio degli anni ’70, appena dopo che i Beatles erano tornati di là, con le giacche damascate e i colletti da guru, reduci da esperienze extrasensoriali da fumo. Io allora non ci potevo andare, ero troppo piccola. Poi altra gente ci è andata in epoca freak, durante e dopo il ’77, magari a Goa. Io non ho potuto andarci neanche allora, avevo appena aperto un locale per sole donne. Poi c’è chi c’è andato alla fine degli anni ’70, al seguito di qualche guru o in qualche comunità mistica. Anche allora non ci andai: stavo lavorando. Ora, in India, ci si va di meno. L’India è passata di moda. In questi ultimi anni avere la faccia di uno che va in India, se non sei un commerciante, è un attestato di “antistoricità”. Dopo questi stupidi anni ’80 tutti (o quasi tutti) gli ex-giovinastri si sono ripuliti e si sono messi “a fare sul serio”, cioè di badare al sodo. Oggi essere uno che vuole andare in India può voler dire essere un relitto di un’altra epoca, significa essere rimasto indietro, quasi come un vetero comunista. Adesso mi è proprio venuta la voglia di andarci. Adesso nei primi anni ’90, ho persino affrontato il grande tema “ma perché cazzo sono al mondo?” E, da non crederci, una notte ho avuto la mia rivelazione: “Poche pippe: se sei nell’armonia, va tutto già bene così come va!” Quando ti succede questo, quando, da neofiti, si incomincia a leggere di buddismo e di mistica orientale, quando si comincia a pensare ai ciakra, all’energia cosmica, ai santoni come a cose normali… Bisogna andare in India. E così ci vado. Chiedo consigli in giro, ma chi te ne parla è sempre così ispirato: incute rispetto per l’esperienza profonda che deve aver fatto per forza se, appunto, è andato in India. Oppure ti viene detta un’altra frase sibillina e cioè che “in India ognuno trova ciò che cerca, se sei superficiale troverai superficialità, se sei profondo invece…”. Ma questo succede anche qui. Alla fine dei conti comunque ti accorgi che c’è meno gente di quel che credi che c’è andata veramente in India: molti hanno la faccia di quelli che la sanno lunga, ma se la sono fatta raccontare. Molti altri ci sono andati con le gite organizzate e hanno visto solo i monumenti. Ma per andare in India come dico io bisogna “andar per santoni” …E io credo di sapere dove andare.
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LUI, Patrizio: A me, dell’India, non è mai importato nulla. Negli anni settanta, quando è esploso il fenomeno oriental-fricchettone, portavo la cravatta. Condividevo, da studente, con un amico di infanzia che si vestiva con un gilet di perline e specchietti, si infilava in pantaloni alla Alì Babà e coltivava in camera sua una piantina vagamente allucinogena, che più che altro era allucinata dal faro che la illuminava giorno e notte. Per di più suonava una zucca lamentosa chiamata Sitar. Anche quando i Beatles sono andati in India, io non mi sono né mosso né commosso. Per me l’India è sempre stata rappresentativa delle 4 M: miseria, mucche, merda e misticismo. Adesso, poi, che con la crisi dei valori occidentali, con la crisi della razionalità laica e delle ideologie, si è aperta la corsa alla religiosità, tanto simile ad una corsa all’oro, sono diventato ancora più guardingo e refrattario. Ma non c’è stato verso: lei ha voluto andare in India. E io le sono andato dietro, per forza. Prima di partire ho fatto un ultimo tentativo: ho fatto il giro di tutte le agenzie per trovare una soluzione organizzativa che mettesse d’accordo le mie esigenze di sicurezza e tranquillità con la sua sete di avventura. Non c’è stato nulla da fare. Siamo partiti da soli, senza uno straccio di itinerario, senza preparazione, insomma senza paracadute. E per cercare cosa, poi? Io non lo sapevo per definizione, lei non lo sapeva per vocazione.
Oggi
Il sito ha evidenziato fin da subito una curiosità molto diffusa fra gli utenti: quella di capire come è cominciata l’avventura dei due Turisti per Caso nel mondo. Ebbene: quanto sopra potrebbe considerarsi la risposta a questa domanda, anzi: potrebbe costituire una sorta di Manifesto del Reportage di Viaggio a Due. Infatti non è solo la premessa al mitico incontro fra Occidente e Oriente, ma anche l’inconsueto confronto fra l’immaginario salgariano-sahibistico di Patrizio e il femminil-paramistico di Syusy.
E’ un fatto assodato che questa inconciliabile divergenza di intenti, che in altra sede potrebbe costituire la premessa per un viaggio quanto mai sui generis, in realtà ha finito per arricchire quello che avrebbe potuto concludersi come un semplice, univoco racconto delle vacanze: la possibilità di poter disporre di due linee di pensiero così discordanti, ha invece fatto la fortuna di quel famoso viaggio in India.
Che fossero esistite donne viaggiatrici e pioniere come e più dei colleghi maschi Syusy lo ha sempre saputo, ma un recente incontro con le iniziative della Società Geografica le ha fornito lo spunto per tornare sull’argomento:
LEI, Syusy: Tempo fa mi è capitato di andare alla Società Geografica Italiana, a Roma. Loro hanno molte iniziative in corso sulla riscoperta del reportage, anche e soprattutto declinato al femminile. E’ un’altra di quelle cose che stiamo perdendo: c’è moltissimo sulla scrittura di viaggio al femminile, e negarlo è un’assurdità! C’è per esempio questa fantastica viaggiatrice-scrittrice-detective-fotografa-femminista-anarchica! Si chiamava Alexandra David-Néel: ha viaggiato mezzo mondo da sola, scrivendo e fotografando senza sosta, senza mai abbandonare lo studio delle lingue e culture orientali, mettendosi in gioco in prima persona per avventure in luoghi inospitali attratta dai più strani misteri, e ciononostante è campata 101 anni! E non è certo la sola viaggiatrice. Non anticipo di più perché voglio parlarvene più approfonditamente; quel che importa è che lei e tutte le donne che come lei si mettevano in viaggio all’inizio del secolo scorso erano donne straordinariamente libere, per certi versi più libere di molte delle donne di oggi. Intendiamoci: donne che viaggiano ce ne sono sempre state e ovviamente sempre ce ne saranno, e proprio per questo non c’è motivo per cui debba mancare una consapevolezza di questa realtà o per ignorarne la freschezza delle considerazioni, la varietà di impressioni ricavate ed annotate: c’è una bella differenza fra lo sguardo maschile e quello femminile, anzi: c’è una differenza bella, e cometale va esaltata, non appianata. Le opinioni vanno aggiunte, non sovrapposte. Non mi importa che Lui veda come Lei, o viceversa, ma che Lui si accorga, riconosca e accetti che Lei vede le cose in modo diverso. E viceversa. Molti sono solo stereotipi, ma probabilmente mettono in luce ben più di una differenza superficiale: Lui si farebbe scannare prima di chiedere indicazioni per strada: perché? Teme che venga messa in dubbio la sua abilità? In fondo chiedere indicazioni è anche un modo per entrare in contatto con la gente del luogo, per me è così! Ma può darsi che invece Lui assapori maggiormente il senso di conquista, di libertà del viaggio facendo a meno di aiuti e consigli…
LUI, Patrizio: Non saprei. Per la verità secondo la mia esperienza personale, in genere il problema maschio-femmina riguarda principalmente la temperatura: lei ha freddo, nel senso che non vuole andare nei posti freddi. Prova ne sia che quando io sono andato alle Svalbard, lei per provocazione ha voluto andare all’equatore! O la cucina: Lui vuole sempre gli spaghetti, mentre Lei è più innovativa, più disposta a mettersi in gioco. Ma va bene così: in fondo per me quello di venirsi incontro non è altro che un pericolo grave. Mi spiego: un viaggio è come un paio di guanti, che deve calzare a pennello. E quindi farsi trascinare è pericolosissimo. Poi, che dire: il primo viaggio che ho fatto sono stato appunto trascinato da Syusy eppure… Beh: aveva ragione lei!
LEI, Syusy: Oppure: altro stereotipo: Lei va per mercatini, e Lui si scoccia. In realtà non è semplicemente ansia da shopping: il mercatino è l’indicatore di un certo tipo di produzione culturale, con cui è importante entrare in contatto se si vuole saperne di più sul luogo che si sta attraversando. Il discorso quindi non si riduce a mercatino sì – mercatino no: è solo per dire che accettare un punto di vista altro rispetto a un luogo o un’esperienza non può che raddoppiare il beneficio che se ne trae, insomma: in fondo la condivisione è anche un discorso di fiducia nell’altro!
LUI, Patrizio: Fidarsi?! Ne so qualcosa io! Anni fa siamo stati a Barcellona, prima della ristrutturazione in vista dei Giochi Olimpici. Siamo lì, belli tranquilli con l’idea di scoprire con calma la città quando Syusy parte come un razzo nella zona del porto infilandosi in vicoli e vicoletti malfamatissimi, e io dietro. A un certo punto vede un locale da cui provengono musica, voci e grasse risate. Apre la porta. E io dietro. Appena siamo entrati si è creato un silenzio di tomba imbarazzante: erano solo tutti neri, e grossi, e guardavano noi… Due turisti rosa, chiedendosi “E questi che ci fanno qui”. Sembravamo i due turisti americani che entrano all’”Agnello Macellato” in Un Lupo Mannaro Americano a Londra! Per fortuna evidentemente li abbiamo mossi a tenerezza e siamo usciti con tutti i pezzi a posto, però per dire… Anche quando non si può parlare di vera e propria divergenza di interessi e di opinioni, ecco che atteggiamenti come questi possono mettere in imbarazzo Lui, che si presuppone debba difenderla, anche se so benissimo che a volte succede esattamente il contrario! Quindi a questo punto ti offro l’ultimo stereotipo: la sicurezza, Lei di norma è un’incosciente.
Insomma: anche ad anni di distanza dal primo reportage a quattro mani, la questione sembrerebbe spinosa e ben lungi dall’essere risolta!