Il futuro di Sharm el Sheikh

E’ stato quasi come entrare nella tua stanza da letto e trovarla profanata da mani estranee che in tua assenza hanno rovistato alla ricerca di non so che cosa, danneggiando, distruggendo quanto di più caro sia possibile tenere con se in un luogo che sembra appartenere solo a te. E’ stata questa o molto simile che ho provato quando ho sentito...
Kristian Guttadauro 1, 15 Feb 2010
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E’ stato quasi come entrare nella tua stanza da letto e trovarla profanata da mani estranee che in tua assenza hanno rovistato alla ricerca di non so che cosa, danneggiando, distruggendo quanto di più caro sia possibile tenere con se in un luogo che sembra appartenere solo a te. E’ stata questa o molto simile che ho provato quando ho sentito delle esplosioni che per alcuni secondi hanno sconquassato il clima allegro della cittadina turistica di Naama Bay. Era quasi difficile crederci, sembrava tutto troppo assurdo: tre bombe erano esplose proprio a Sharm, la città della pace, un luogo che mi ha ospitato per ben quattro volte nel corso di quest’ultimo anno, sia per vacanza, sia – come in quest’ultimo mese – per lavoro, e che ormai sentivo appartenermi, così come è stato ed è per migliaia di persone che vanno lì per la prima volta e si innamorano delle meraviglie del deserto, della barriera corallina, della gentilezza degli egiziani, tornando poi in ogni stagione.

L’eco degli attentati di Londra, di Kusadasi in Turchia, della quotidiana tragedia irakena, sembrava lontano da quest’isola di pace dove turisti delle più svariate nazionalità si incontrano tra i resort, tra i bar, tra i suk di Naama Bay e della vecchia Sharm, l’altra sera tragicamente colpita al cuore, in un gesto folle che ha investito non solo i cosiddetti – spesso impropriamente – turisti “occidentali”, ma anche tanti, tantissimi egiziani, musulmani credenti in un dio, Allah, misericordioso e tollerante, e non nella pseudodivinità nel cui nome gente che ha subito uno scriteriato lavaggio del cervello si fa saltare in aria nella speranza di raggiungere un paradiso lontano, disdegnando quello reale che Sharm el Sheikh ha sempre rappresentato e mi auguro continuerà a rappresentare.

Quante volte nelle ultime settimana abbiamo atteso il nostro taxi davanti al Movenpick o al Ghazala Hotel, ridotto oggi ad un cumulo di macerie. Da sempre ritengo di essere un fatalista. Oggi ci credo ancora di più, però in qualche modo sapere che una bomba ha seminato la morte ed il terrore in un luogo che fino a qualche giorno prima sentivo “mio”, beh, certamente ti lascia qualcosa. Ricordo bene quando alcune settimane fa sostavo proprio di fronte al Ghazala intorno alle 7.30 del mattino, aspettando che mi venissero a prendere per portarmi al porto dove mi sarei imbarcato insieme ad alcuni subacquei per una gita al parco marino di Ras Mohamed, ultima gita della sfortunata coppia di Aci Trezza, provando la straordinaria ebbrezza del “battesimo del mare”, la prima immersione con bombole in un paradiso sottomarino, ricchissimo di vita e colori, per raccontarla sulle pagine online del portale www.Goredsea.Com, “vai nel Mar Rosso”.

Aspettavo pazientemente mentre il sole cominciava a diventare sempre più forte, mentre un pulmino scaricava molti dipendenti dell’albergo pronti ad entrare in servizio con le guardie di sicurezza che chiaccheravano tra loro in attesa che la nuova giornata di lavoro iniziasse. Mi chiedo oggi chi di queste persone era presente la scorsa notte. Chi non ce l’ha fatta. Tanti gli amici a Sharm. Sara, Chiara, Arianna, il tassista del mio resort, Ahmed con la sua Hyundai dorata, o Hassan con il suo pulmino sgangherato. So quasi per certo che fortunatamente questi italiani non sono stati coinvolti altrimenti i vari tg avrebbero sbandierato in lungo ed in largo i loro nomi, ma gli egiziani che ogni sera facevano avanti ed indietro su Peace Road proprio in quel tratto colpito? Non lo so. Forse non lo saprò mai. Volti con un nome o senza, ma sicuramente scolpiti indelebilmente nella mia mente.

Perché una cosa è sicura: tra le decine di morti, la stragrande maggioranza sono stati egiziani, gente che non vive a Sharm per godersi la barriera corallina o passeggiare tra i venditori di souvenir, ma che vive lì perché deve lavorare duramente e mantenere la propria famiglia, spesso lontana, al Cairo o ad Alessandria. E’ forse questo uno degli aspetti più raggelanti della vicenda. Che sia stata Al Qaeda o un gruppo di opposizione all’attuale governo egiziano, il risultato ottenuto è stato quello di dare un grosso colpo alla principale industria del paese, ovvero il turismo, immolando sull’altare di chissà quale dio non tanti “infedeli”, ma tanta gente onesta che lavorava per il benessere proprio e del loro paese. Oggi vivremo sicuramente un momento di impasse. Chi ha prenotato la sua vacanza in Egitto, ieri non è più partito. Ha avuto paura. E’ comprensibile. Tuttavia, anche questa reazione penso sia qualcosa che con il tempo deve essere superata. Il terrore di questi fanatici consiste proprio nel minare la sicurezza della gente, infondere quest’aria di morte anche in luoghi simbolo di vita come New York, Londra ed oggi anche Sharm el Sheikh. Ma come per la Grande Mela e per la City la parola d’ordine è “Let’s go on, we are not afraid”, “Andiamo avanti, non abbiamo paura”, anche questo deve valere per Sharm el Sheikh. La strategia del terrore ha dimostrato di poter colpire ovunque. L’Egitto è però un paese che sa di dipendere molto dal turismo, specialmente quella fetta rappresentata dal Mar Rosso. I terroristi hanno colpito solo lì dove potevano farlo con il massimo danno possibile, ovvero con automobili cariche di esplosivo. Dopo gli attentati di Taba dello scorso anno, non si poteva infatti più entrare in auto a Naama Bay, per esempio, e così gli unici obiettivi di questi criminali si sono ridotti a tre luoghi relativamente facili da raggiungere in auto con tanto esplosivo: il Ghazala ed il parcheggio del Movenpick adagiati placidamente lungo la strada principale percorsa da decine di taxi. Conosco la realtà egiziana, non solo per averla visitata più volte ma per averne anche studiato le dinamiche, l’evoluzione. E’ facile credere che si assisterà presto ad un radicale giro di vite per rendere tutta l’area molto più sicura. Forse il turista dovrà sopportare la noia di alcuni posti di blocco o checkpoint supplementari a quelli che già esistono, ma è un disagio necessario per permettere a tutti di continuare a godere di Sharm e vietare l’accesso ad altri criminali. Ben presto, Sharm potrebbe diventare ancora più sicura della metro di Londra e la giostra potrà continuare a girare. Tutti lo speriamo anche perché sarebbe questa una straordinaria vittoria nei confronti di chi con quei gesti dell’altra notte ha inteso insinuare il dubbio, il panico, l’angoscia nelle menti e nei cuori di chi viaggia nel Mar Rosso o lì lavora, egiziani e non. A parte le meraviglie naturali di questa pezzettino di mondo, ciò che più mi ha sempre colpito è stata la personalità degli egiziani, la loro voglia di vivere, la loro simpatia e cordialità. Sì, qualche volta ti scoccia un po’ sentirti chiamare per strada “Amico, italiano?”, seguito da tutto il repertorio di rito, ma anche questo fa parte del gioco, del folklore locale, ed allo stesso tempo ti rendi anche conto, passeggiando tra le vie di Naama Bay o Old Sharm, che non sono solo moine per trascinarti nei loro negozietti e venderti cianfrusaglie che metterete da parte una volta tornati in Italia. C’è molto di più. Tratti, caratteristiche, che essendo originario della Sicilia, riconosco spesso anche quando sono a casa, nel calore della gente, nella straordinaria eredità architettonica, linguistica, culturale che il popolo arabo ha lasciato anche tra le strade di Palermo e della mia regione. E’ gente perbene che non vuole fare del male a nessuno, vuole vivere e condividere la propria vitalità con il turista. E’ gente che nel momento supremo del pericolo, ha lasciato il proprio bazar e guidati i turisti spaventati verso la spiaggia o altri luoghi ritenuti sicuri. Non meritano di essere lasciati allo sbaraglio a causa di pochi fanatici, a loro volta sventurati burattini manovrati da mani che vogliono solo destabilizzare per oscuri fini politici ed economici e non per mera follia o una religione che non esiste, termini di cui spesso si abusa. L’Islam è stata ed è una religione di tolleranza e se di crimini di è macchiata apparentemente è stato solo perché qualcuno l’ha maleinterpretata, distorcendola così come – la storia ci insegna – è già avvenuto anche per il cristianesimo e l’ebraismo. Ripeto, gli anni di Islam in Sicilia sono stati tra i più belli nella storia secolare della mia terra, così come non difficile dimenticare le storie delle Mille ed una notte che raccontano dei favolosi imperi islamici che un tempo si estendevano da Baghdad fino all’oceano atlantico. Chi distorce le religioni, esce automaticamente da quegli stessi ambiti religiosi, sia se è u musulmano , sia se è un cristiano. Oggi il Mar Rosso rappresenta la vita, quella forza vitale che è possibile scorgere indossando maschera e pinne e dando un’occhiata alla variegata barriera corallina attorno alla quale scorazzano tranquilli pesci dai colori più disparati. E’ la vita del deserto, che malgrado il nome, ospita una ricchezza straordinaria di specie animali e vegetali E’ la vita dei bazar, dei suk, della gente originaria del posto oppure arrivata dal Cairo o da Alessandria d’Egitto e che anima costantemente le strade di Naama Bay, Old Sharm, Dahab.

Il terrorismo è invece la negazione della vita, è la morte. Non lasciamo che, vinta una battaglia, peraltro piccolissima considerando la vitalità espressa da questi luoghi, vinca la guerra. E’ possibile dire no e continuare a vivere a dispetto di chi in qualche luogo remoto non ha il coraggio di uscire dai propri nascondigli ed esporsi direttamente per provare – credo in modo assolutamente inutile – a fermare la vita dirompente tra il mare ed il deserto.