Il cioccolato d’agosto nel paese profumato.

Una storia, per bambini e non, sull'atmosfera surreale di un paesino "profumato" da una dolcezza così preziosa che persino l'ingegner Amaruccio si ritrovò a sorridere.
veronica.giannini, 03 Mag 2013
Era un paesino bello, ma così bello che i viandanti e forestieri non potevano che allungar la strada pur di passare da quel luogo. La piazza era grande, panciuta, e così profumata che le finestre delle case venivano lasciate aperte anche in inverno, perché i muri e i mobili, impregnati di quel profumo, erano ancora più belli. Passavano, in quella piazza, i signori a passeggio, e si salutavano sempre. Anche se non ci si conosceva, ci si salutava. Perché non farlo? Quando arrivava qualcuno di nuovo in quel paese, sembravano tutti così gentili e così amichevoli con quegli ospiti, che persino i lavoratori più stanchi e irrequieti sorridevano, e non volevano più andare via. Un giorno, in quel paesino così profumato, arrivò l’ingegner Carlo Amaruccio. Era un lavoratore così impegnato e così preso dai suoi mille obblighi, che aveva un grugno sul volto che nessuno era mai riuscito a far distendere. Con quel cappello, quel naso lungo lungo, e la sua inseparabile ventiquattr’ore sempre in mano (era troppo apprensivo per separarsene, se per caso qualcuno gliel’avesse rubata?!), giunse una sera d’agosto in quel paesino, ma solo per dormire, come breve tappa di uno dei suoi tanti viaggi lavorativi. L’ingegner Amaruccio, così scorbutico e con la bocca all’ingiù, con le lunghe gambe un po’ storte, entrò nella piccola graziosa locanda della piazza che affittava le camere a quei pochi, fortunati, ospiti di passaggio. Era così abituato a tenere il grugno, che nemmeno prestò attenzione a quel profumo così ghiotto e aromatico, nonostante il grande naso per cui, sciaguratamente, i profumi erano soltanto odori come altri. Una signora tanto amabile quanto i lampioni che illuminavano quella piazza panciuta con una costante e deliziosa musica di fisarmonica di sottofondo e i fiori di papavero dappertutto, lo portò alla sua stanza. La stanza aveva la finestra aperta, come sempre, e come sempre da quella finestra entravano quel profumo, le luci dei lampione, e la musica di fisarmonica. L’ingegner Amaruccio entrò sbuffando nella stanza, anch’essa un po’ panciuta come la piazza, e (finalmente sentì di poter appoggiare la sua ventiquattr’ore in sicurezza) andò verso la finestra per chiuderla. Quando si avvicinò, quell’aroma così fragrante non potette che colpire persino lui. La camera era al primo piano, e lì l’aria era ancora più frizzante! L’ingegner Amaruccio si fermò. Voleva chiudere la finestra, lo voleva veramente, perché era quello che faceva: chiudere fuori le cose belle, e restare con la sua ventiquattr’ore piena di fogli. Senza nemmeno accorgersene però, fece una cosa imprevedibile, e se qualcuno avesse visto la scena da una finestra a fianco avrebbe riso a crepapelle, perché avrebbe visto sbucare di profilo un lungo naso, e solo quello, fino a toccare con la punta l’aria della piazza con quel buon profumo, fermandosi poi ammaliato. Scese di corsa a piano terra l’ingegner Amaruccio, senza nemmeno sapere il perché! Chiese all’amabile signora della locanda: “Da dove viene questo buon profumo? Che cos’è?” – “Caro Signore” rispose lei “questo è il profumo del nostro paese! Viene da quella porticina laggiù, proprio dall’altro lato della piazza. Perché non va a vedere? La sera è il momento più bello!”. Quelle gambe magre e storte lo trascinarono fuori dalla locanda, come se fossero loro a volerlo, e non l’ingegner Amaruccio. Attraversarono la piazza in quella bella e calda serata d’agosto, con i tavolini in ferro battuto ai piedi dei lampioni, e gli abitanti di quel paese profumato che sorridevano, chiacchieravano mentre ascoltavano la fisarmonica, e annusavano l’aria, come tutti facevano sempre. C’erano tante porte che separavano il lato della piazza della locanda da quella porticina indicata dall’amabile signora. Le lunghe gambe storte dell’ingegner Amaruccio le passarono tutte, rallentando, e rimase incantato godendosi inaspettatamente quella atmosfera così curiosa, con le sfumature dell’arancio dei lampioni, del blu-violaceo del cielo serale d’agosto, e del rosso dei papaveri che contornavano la piazza tondeggiante. Era una porticina, rossa anch’essa come i papaveri, così piccola che a malapena l’ingegner Amaruccio ci sarebbe passato, con quelle gambe e quel naso così lunghi! Rimase impalato, quasi a confondersi con i lampioni della piazza, per un po’. Non era da lui star fuori la sera, ma in quella piazza di quel paesino sembrava che le grigie e cupe regole di quel suo vivere affannato, non valessero più. Questa porticina aveva una maniglia in ferro battuto come i tavolini e le sedie che si trovavano nella piazza, al di fuori di case, negozietti, caffè e bistrò. Proprio lì di fronte c’era un profumo così inebriante che resistere fu proprio impossibile. L’ingegner Amaruccio entrò, e ad attenderlo vi fu una sensazione così insolita per lui che per la prima volta sgranò gli occhi, e quasi quel broncio si sollevò. Il signore, anziano, con il sorriso più gentile che gli fosse mai stato offerto, con dei grandi occhiali spessi, alto quasi un metro e novanta e con un pancione tondo come quella piazza, senza dire niente, come se lo stesse attendendo da tempo, gli offrì ciò di cui il negozio straripava. Era la stessa delizia che inebriava l’intera piazza di quel profumo così delizioso, così conquistante. Da un vassoio argentato di valore inestimabile, l’ingegner Amaruccio scovò con quegli occhi che per la prima volta scrutavano oltre quel naso lungo lungo, una ricchezza più travolgente di tutto l’oro che avesse mai guadagnato con il suo lavoro. E la mangiò. Da quel dì, ogni agosto l’ingegner Carlo Amaruccio torna al paese profumato, prenota la stanza alla locanda dell’amabile signora, si dirige verso la finestra per intingere il naso di fuori e inspirare quel profumo. Scende poi dalle scale senza la sua ventiquattr’ore, saluta tutti i gentili signori seduti ai tavolini di ferro battuto sotto i lampioni che ascoltano la fisarmonica in mezzo ai fiori di papavero, e va dal negozietto dell’anziano signore, alto, panciuto e con gli occhiali. Ogni anno quel signore lo aspetta per offrirgli su un bel vassoio, il suo cioccolato. Di ogni forma, di ogni tipo, di ogni profumo, da sempre rende quel paesino così bello, ma così bello, che persino le persone più amare come l’ingegner Amaruccio, si addolciscono un po’.