Gorgona, l’ultima isola

I campi, i vigneti e le aree di produzione enogastronomica di Gorgona, piccola perla dell'Arcipelago Toscano
Patrizio Roversi, 17 Gen 2018
gorgona, l’ultima isola
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Cominciate con il classico esercizio: ricordare i nomi dei sette nani. Proviamo: Brontolo, Dotto, Pisolo, Mammolo, Eolo, Cucciolo… sono sei. Il settimo non lo ricorda mai nessuno: Gongolo. E adesso sempre più difficile: provate a elencare le sette isole dell’Arcipelago Toscano: Capraia, Pianosa, Elba, Giglio, Giannutri, Montecristo… sono sei. La settima, l’ultima isola, non è facile da ricordare: Gorgona. Eppure è una delle più interessanti, anche se da molti punti di vista è la più difficile. È l’ultima isola-carcere, dopo che Pianosa di fatto non lo è più. Da anni è complicato, se non impossibile, raggiungerla. Solo da poco tempo è stata – parzialmente – riaperta al turismo. L’accesso è limitato a 75 turisti adulti (oltre i 12 anni) per un massimo di quattro giornate la settimana, oltre le quali potranno accedere solo gite scolastiche per le quali non è richiesto il pagamento del biglietto d’ingresso di 6 euro al parco nazionale (a esclusione di bambini sotto i 12 anni, portatori di handicap, guide, scolaresche, docenti e residenti). Bisogna portare il pranzo (al sacco e con ritiro in barca dei rifiuti) e ci sono escursioni su percorsi aperti con guide esperte, messe a disposizione dal parco. Ultimamente pare si possa anche fare il bagno. Io sinceramente ci sono arrivato per fare un servizio televisivo, e ho approfittato della motovedetta della guardia carceraria.

Due chilometri quadrati

Arrivando a Gorgona, dopo aver navigato da Livorno per 37 chilometri di mare, ti chiedono i documenti, come se arrivassi in una terra, se non straniera, almeno strana, dove si dovrebbe in realtà consegnare anche il cellulare alla guardia carceraria che ti accoglie, e che poi si limita a chiederti di non usarlo. Se a Pianosa il carcere riguarda una storia recente, a Gorgona è ancora il presente. In realtà si sbarca in un piccolo paese arrampicato lungo la montagna, che però ormai è quasi del tutto disabitato. Gli abitanti teorici ora sono una sessantina, ma pare che si rechino ogni tanto sull’isola solo sei o sette persone e ci vive stabilmente solo una signora. Tutto il resto è carcere: guardie e detenuti. In cima al paese c’è una specie di spaccio e di mensa. Non si vede, ma in realtà il territorio dell’isola (in tutto poco più di 200 ettari, due chilometri quadrati) è diviso in aree: in certi posti alcuni detenuti in semilibertà possono andare, in altri no. All’inizio è naturale squadrare le persone chiedendosi se sono detenuti, guardie, turisti, operatori sociali. Poi non ci pensi più. Dopo mezz’ora l’isola ti accoglie, ti affascina e tu ti rilassi. Girando per Gorgona la prima cosa che ti balza all’occhio è che sembra un’unica, grande, bellissima, ricchissima azienda agricola. Una isola-fattoria. Qui c’è un orto. Là un vigneto. Più giù una stalla con delle bellissime vacche. Poi un allevamento di maiali. Quindi un allevamento di tacchini e di galline. Poi dei cavalli… Sembra un paradiso agronomico.

Il vino di Gorgona

In realtà questo paradiso è l’altra faccia di quello che in passato poteva essere un inferno, cioè un carcere. Che però nel tempo è diventato una colonia penale agricola, dove solo una parte dei detenuti è del tutto privata della libertà. Il resto coltiva la terra, alleva il bestiame, produce il vino. Il vino, da cinque anni a questa parte, è il protagonista di un progetto che sta sviluppando una grossa novità a Gorgona. Qui una vecchia vigna semiabbandonata c’è sempre stata. Poi un detenuto ha chiesto di poterla rimettere in sesto. L’idea è piaciuta al direttore del carcere, che ha chiesto la collaborazione di alcune aziende agricole della terraferma per avere consigli e strumenti. Ha risposto Lamberto Frescobaldi, il marchese titolare di una delle cantine più antiche e prestigiose della Toscana, il quale ha trasferito sull’isola una piccola parte delle sue vigne. All’inizio era un ettaro. E l’obiettivo era quello di offrire un’esperienza concreta di lavoro agricolo qualificato a detenuti che stanno finendo di scontare la pena. Poi l’idea è diventata quella di qualificarli come operai specializzati nell’attività in vigna e in cantina, in modo da dare loro una possibilità futura di lavoro. In seguito i detenuti destinati a questa mansione sono stati assunti da Frescobaldi. L’ettaro si è ampliato, ora sono diventati due. E le bottiglie prodotte, all’inizio 2.700, ora sono più di 4.000. Quella che all’inizio sembrava un’operazione umanitaria e solidale, è diventata un’impresa che tende a qualificare un prodotto: il vino di Gorgona.

Un messaggio in bottiglia

Frescobaldi ha ripristinato qui a Gorgona uve vermentino, ansonica e sangiovese. E il vino prodotto è una assoluta eccellenza: oggi va a ruba nelle migliori enoteche di tutto il mondo. Ovviamente non è una operazione economica o speculativa, i “conti” si fanno in un altro modo. Per Lamberto Frescobaldi si tratta di un “messaggio in bottiglia”, nel senso che tramite un prodotto eccellente, con una storia e tanti contenuti oltre al suo sapore, si manda in giro per il mondo un segnale con tanti significati: le vicende del carcere, le storie dei vitigni, i muretti a secco rimessi in piedi, la storia di un’isola, un sapore mediterraneo, un clima. Già… il clima di Gorgona. Non è un caso che il terreno produca di tutto e con straordinaria qualità: qui non ci sono forti escursioni termiche diurne e stagionali. Sono rari gli intensi episodi di freddo invernale e di caldo estivo; le precipitazioni, molto scarse in estate, si concentrano prevalentemente in autunno, con punte massime a inizio primavera. Perfetto per tutto, soprattutto A stretto contatto con gli animali del parco. per vite e ulivo, ma anche per gli or-taggi. Assaggiando il vino suo e dei carcerati, Frescobaldi dice di sentire “retrogusto di speranza, sapore di libertà e profumo di aria, aria di Gorgona!” Ha mandato sull’isola i suoi agronomi a insegnare ai detenuti. Nella piccola cantina, ben attrezzata con tini in metallo e botti di legno, alcune persone trovano davvero un collegamento con il mondo esterno, in attesa di uscire dal carcere. Sarà magari anche una operazione di marketing, ma che si porta dietro molte buone conseguenze e ha un buon sapore…

Da agricoltori a pescatori

Che Gorgona fosse un posto ottimo per abitarci lo avevano capito fin dal Neolitico. Poi naturalmente sono passati gli Etruschi, per i quali l’Arcipelago Toscano era il mare di casa. Non potevano poi mancare i Romani. Dopo la caduta dell’Impero, Gorgona è stata abitata da eremiti e monaci, fino all’arrivo dei Pisani, poi dei Fiorentini, ma soprattutto dei… pirati. Come per Pianosa, i pirati sono stati un disastro per i pochi monaci e poi per i coloni che hanno provato ad abitarla dopo il 1000 e fino al 1500. Dopo i Pisani, ci ha provato anche il Granduca di Toscana a mandare sull’isola dei coloni. E anche lui, come i Pisani, ha provato a costruire una torre di avvistamento e difesa. Non a caso le Torri di Gorgona sono due: Torre Vecchia pisana e Torre Nuova fiorentina. Ma le incursioni piratesche sono continuate per secoli. E, almeno a quei tempi, fallirono anche i tentativi di colonizzare la terra di Gorgona. Forse perché tagliati fuori dalla possibilità di vendere i propri prodotti, fatto sta che gli abitanti si son ben presto trasformati da agricoltori in pescatori, diventando specializzati nella pesca e conservazione delle acciughe. Dal 1869 poi, Gorgona è diventata carcere, all’inizio come succursale di Pianosa.

Il giro dell’isola

Da vedere c’è anche la Chiesa di San Gorgonio e più in alto c’è Villa Margherita, costruita sui resti di una villa romana. C’è una strada sterrata che fa il giro della costa. Io l’ho fatta in parte in auto, con la scusa delle riprese, prendendo un passaggio dalle gentilissime guardie del penitenziario. Ma si può fare anche agevolmente a piedi. Il giro in realtà è interessantissimo, e ti svela una natura che non ti immagini tanto bella e incontaminata. Da sopra si vedono delle magnifiche insenature e baie come la Cala Scirocco dove c’è la Grotta del Bove Marino, che una volta era rifugio di foche monache. Verso Ovest la costa è a picco sul mare, tutta tormentata dal maestrale che qui è il vento più forte e dominante. A Est la costa è più dolce e va giù leggera, formando Cala Maestra, Cala Marcona, e Cala Scirocco. Fa venire i brividi ricordare che il 17 dicembre 2011, una nave cargo ha perso al largo della Gorgona, causa maltempo, due semi-rimorchi che trasportavano fusti contenenti materiale tossico. Per fortuna questo incidente, che avrebbe potuto essere un disastro grandissimo, ha sollevato il tema dei rifiuti nel Mar Mediterraneo. Tema non risolto, ma almeno che se ne parli…

Mi raccomando…

È difficile pensare a Gorgona come a una frazione del comune di Livorno. E anche pensarla parte del suddetto Arcipelago Toscano, perché rispetto all’Elba o al Giglio o a Caparia l’atmosfera che si respira è ben diversa. Naturalmente è colpa-merito dell’isolamento. Per un’isola l’isolamento dovrebbe essere la norma, ma è chiaro che mi riferisco al tasso di antropizzazione, al numero di frequentatori, agli alberghi, al turismo. In questo senso Gorgona è sorella di Pianosa e di Montecristo: sono ancora lembi di Mediterraneo incontaminato, naturale. È la grande ricchezza del parco nazionale che ha avuto una funzione essenziale al fine di conservare questo ecosistema di terra e mare che – a mio parere, di turista che in realtà ha visto qualche fetta del nostro pianeta, isole della Polinesia comprese – è il più bello e armonioso del mondo. Nell’insieme delle isole, il parco e i suoi amministratori non sembrano avere vita facile: è tutta una protesta e tutto un brontolare. Il parco è accusato in genere di emanare ordinanze troppo restrittive o di poco buon senso. Sarà il carattere dei toscani? Non lo so. A me, che non conosco le dinamiche locali, a me che faccio appunto il turista, vien solo da dire: “Ragazzi, fate i bravi! Cercate di andare d’accordo, avete la responsabilità di mantenere in buono stato il cuore del Tirreno, che a sua volta è il cuore del Mediterraneo, che a sua volta è il cuore della civiltà. E non mi sembra di esagerare!”