Gardaland: fun&fun
Le avventure di Patrizio nei parchi divertimento
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A Gardaland ci sono stato, ovviamente già grande, con la scusa di girare uno spot. E… mi son divertito. Mi sono stancato, strizzato, bagnato e divertito. Certo, bisogna lasciarsi andare. E, da adulti, bisogna avere una scusa. La migliore è accompagnare un bambino, ma la più onesta è la curiosità, e la voglia di giocare. A Disneyland io e Syusy ci siamo andati per curiosità. E a Eurodisney, a Parigi, per portare Zoe. Disneyland, Eurodisney, Gardaland, rappresentano un filone unico, pur con mille differenze. Filone che continua nell’estetica delle varie Città della Moda o nei Megadiscount. Uno stile che ho visto nei grandi alberghi e nei grandi centri commerciali di Dubai, negli Emirati Arabi. Qualche traccia di questo Movimento culturalcommercial-architettonico si trova negli autogrill o negli aeroporti, o negli ipermercati. Li hanno definiti i non-luoghi, cioè luoghi finti, sospesi nel tempo e nello spazio. E, infatti, sono pura rappresentazione, pura scenografia. È una cosa americana, che si è diffusa sull’onda di una globalizzazione che da una parte tende a omologare tutto, e dall’altra pretende di ricostruire qualunque cosa.
A Tokyo, ricordo un quartiere fatto come Venezia, con tanto di canale e gondola. Secondo il mio modesto avviso quando tutto ciò è gioco, giostra, postluna park, non c’è nulla di male. E appunto Gardaland è questo: un parco divertimenti. Quando invece, come nei discount o nei megavillaggi turistici, questo mondo di cartapesta ambisce a diventare il contesto in cui qualcuno pretende di farci vivere da consumatori-felici, allora mi sembra folle. Perché rischiamo di crederci davvero, di dimenticare com’è la realtà, e di vivere in un mondo incantato ma un po’ demente, alla Truman Show.