Esperienze in Sicilia
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FOLKLORE AD AGRIGENTO
Quindi, quando mi hanno chiesto di fare la madrina alla festa del folklore di Agrigento – bellissima iniziativa che va avanti da 23 anni e che da due è curata dal Parco archeologico di Agrigento – mi sono buttata con entusiasmo! Quale migliore occasione per andare a scoprire un territorio che ancora non conoscevo. Il festival è una vera e propria kermesse: un’intera settimana di spettacoli di vari gruppi provenienti da tutto il mondo, per esibire quelli che vengono chiamati “Patrimoni immateriali dell’umanità”, protetti e sostenuti dall’UNESCO. In pratica, quest’ultimo ha censito i riti e le tradizioni dei popoli, tutto ciò che ci rende diversi e che esprime la cultura, la storia e la socialità dei vari Paesi del mondo attraverso gesti, ritualità, canti e balli. A volte i gruppi sono folkloristici e si dedicano alla conservazione di un particolare tipo di ballo o di un costume. Altre volte, come nel caso dei catalani, che hanno lasciato tutti senza fiato, è la capacità particolare e folle di costruire insieme una torre umana altissima (erano in 250!), aggrappandosi gli uni agli altri. E alla fine, in cima a questa torre, ormai altissima, salgono dei bambini… che poi hanno capacità e coraggio incredibili, non solo di stare là sopra, ma anche di scendere giù dalla “montagna umana”, come “scimmiette”, agilissime e graziose! Si sono esibiti molti gruppi di varie parti del mondo: c’erano gli indiani con il Bharatanatyam, da cui deriva la volgarizzazione spettacolare dei balli di Bollywood; i cinesi con le loro esibizioni di strani flauti orizzontali, forse un po’ monotone, ma con costumi bellissimi e donne graziosissime; i turchi, con una specie di rito che proponeva la pace e la fraternità e ricordava Atatürk. C’erano soprattutto moltissimi gruppi dell’Est europeo, probabilmente perché i loro balli tradizionali vengono conservati con più metodo e caparbietà: sono sempre esibizioni dove il maschile e il femminile hanno molta forza e molta grazia. Forse per questo alla fine hanno vinto quelli della Giordania, con un’esibizione di forza guerresca maschile mitigata dalla grazia delle donne, che sembrano volteggiare nell’aria. Insomma, presentare questi gruppi e fare la madrina del festival è stata una bellissima esperienza. L’ultima esibizione di tutti i gruppi presenti in particolare è stata spettacolare, la domenica pomeriggio al Parco Archeologico, sotto il tempio della Concordia di Agrigento: un luogo che, appunto, ricorda e ribadisce la concordia fra i popoli. Sì, davvero una bella esperienza, che mi ha anche permesso di trovarmi là e di visitare quel territorio.
Turismo “esperienziale”
Dovendo parlare delle bellezze di Agrigento, dovrei parlare della Scala dei Turchi, un luogo naturale meraviglioso dove la montagna bianca calcarea, praticamente, “si tuffa” nel mare, creando una bellissima spiaggia. Dovrei parlare della Valle dei Templi, fondamentalmente una grande area verde, dove spiccano i templi della Concordia, di Hera Lacinia (o Giunone) e di Ercole. Ultimamente, nel parco archeologico è stato trovato anche un teatro che si sta cercando di riportare alla luce: un teatro grandissimo, in vista del mare, con alle spalle la collina su cui spicca Agrigento-città. Il mio viaggio però è stato caratterizzato da… un altro tipo di turismo! Mi ospitava il B&B Camere a Sud di Elvira, che oltre essere una padrona di casa incredibile, gentilissima e molto premurosa, è la promotrice di una Social Street del centro di Agrigento. Elvira mi ha fatto conoscere diversi personaggi che organizzano dei tour alternativi ai giri turistici classici. Così, una mattina libera, sono andata verso l’interno, in questi paesi dove ancora esiste una realtà rurale interessante, ho conosciuto un pastore circondato da tantissime pecore che ancora produce direttamente ricotta e formaggi. Un’esperienza normale direte voi, ma non lo è, se viene vissuta vedendo davvero tutto il ciclo della produzione e vivendo per un giorno come vivono il pastore e i suoi famigliari e collaboratori. Si svegliano la mattina molto presto, hanno le pecore da accudire e da curare, hanno il latte da mungere e il formaggio da fare…
Il vicinato
Poi sono andata nel forno del paese, dove una coppia gentilissima produce biscotti e pane “come una volta”, in un forno ancora a legna. Era un giorno di pioggia e nebbia, mentre stavo lì a godermi il calduccio di quel posto hanno iniziato ad arrivare i vicini: chi porta l’insalata, chi dei fichi secchi, chi qualsiasi altra cosa prodotta da sé, come dono o come scambio. La vita del vicinato è una vita di scambio, di prodotti, di favori. Quasi non serve andare in negozio, perché quello che ciascuno produce può essere barattato con ciò che produce il vicino. Per questo chi organizza questi tour porta gli stranieri che vengono dall’Australia, da New York o dalle grandi metropoli di tutto il mondo a godersi due chiacchiere, una fetta di pane con olio e pomodoro (il pomodoro del vicino, naturalmente!). Insomma, a fare questa vita per un giorno. Pensare che in fondo non è altro che la vita normale che si conduceva anni fa nei paesi. Invece oggi diventa un esempio di come potrebbe essere la quotidianità se si tornasse alla semplicità di quei tempi. Quando quello che ti serve in fondo ce l’hai a portata di mano, dietro casa, senza bisogno di andare a cercarlo al supermercato. Dove la vita viene scandita dai ritmi naturali e dove i vicini non sono dei nemici, ma veramente vicini. Purtroppo ho dovuto lasciare Agrigento in una bellissima giornata di sole, ho salutato i templi che spiccavano sulla valle e avviarmi verso Catania per andare a prendere l’aereo. Non subito però! Mi mancava una giornata di sole e ne ho approfittato per fermarmi ancora un giorno. Mi sono chiesta dove sarei potuta andare per vedere di nuovo il mare guardando l’Etna, che spesso fuma e spicca con una potenza incredibile proprio dietro alla città. Così ho preso un taxi e con 30 euro sono andata al paese dei Malavoglia.
Il paese dei Malavoglia
Il paese oggi ha subito una urbanizzazione a tratti selvaggia, come tutta la parte del catanese che sta vicino al mare. I palazzoni anni Sessantahanno cambiato l’aspetto di quello che doveva essere un paese molto pittoresco, con il castello che spicca sulle costruzioni che ormai lo circondano e lo soffocano. Più avanti c’è, appunto, Aci Trezza, il paese dei Malavoglia, dove alcune cose si sono conservate così come alcune parti del paese… Se non si usa il grandangolo, cosa che ormai si deve fare fotografando tutta l’Italia, si riesce a ricavare una cartolina ancora caratteristica del posto: la chiesa con le palme davanti e la piazza dove ci sono ancora gli anziani che parlano seduti sulle panchine, il lungomare che per fortuna è pedonale, dove si possono ammirare i faraglioni neri così ben raccontati nel romanzo di Verga, lì dove le donne andavano ad aspettare, nei giorni di tempesta, gli uomini che dovevano tornare con le loro barche da pesca. Anche le barche da pesca ci sono ancora, dei gozzi in legno. C’è anche una rustica costruzione sempre di legno, un’associazione di pescatori che giocano a carte proprio lì, aspettando che qualcosa che abbia che fare con la pesca succeda.
Granita mandorla & caffè
Sul porto di fronte ai faraglioni c’è anche un grande barcone ancorato che una volta era una grande barca da pesca… Ed eccoli, i famosi faraglioni di Aci Trezza! Uno di quelli, il più grande, sembra sia addirittura il primo scoglio nato dal mare della Sicilia, prima che l’intera isola emergesse. Questa è la leggenda che si racconta, o almeno quella che mi ha raccontato un siciliano. Lì, dopo aver mangiato un piatto di spaghetti con la bottarga e i ricci di mare (che non commento perché la cucina siciliana non è commentabile, ma solo da gustare!) mi accorgo che in piazza c’è una scolaresca a cui una professoressa sta raccontando la storia dei Malavoglia. La sta spiegando in modo così preciso che mi ravviva i ricordi scolastici! Mentre la ricorda, proprio lì dove Verga l’ha ambientata, la storia emerge in tutta la sua particolarità: Verga, che andava lì a passare l’estate e che aveva ben presente la gente del posto, conosce la storia di questi pescatori e la racconta nella sua crudezza, nel suo realismo e anche con quell’ironia che è tipicamente siciliana. A un certo punto, la scolaresca di cui ormai faccio parte si sposta verso la “Casa del Nespolo”, l’ipotetica casa della famiglia Malavoglia, dove nel romanzo ci sono le comari che parlano… e che oggi sono proprio lì, nel cortile, e raccontano la storia! Insomma, mi sono ritrovata dentro a una rappresentazione teatrale del libro. Ormai è tardi, aspetto il taxi in Piazza Luchino Visconti, che di questa storia ha fatto un film importantissimo e famosissimo, e torno a Catania. Poi proseguo verso l’aeroporto per tornare a casa, ma mi sembra di avere afferrato qualcosa della Sicilia mentre ancora assaporo nel ricordo la granita misto mandorla e caffè con panna e cornetto al seguito.
Syusy