Sudafrica: meravigliosa terra fra due oceani

On the road attraverso il Sudafrica: dal Western Cape ai confini con la Namibia, poi sfiorando il Lesotho fino all'Oceano Indiano e da lì, attraverso lo Swaziland, fino al mitico Kruger National Park.
Scritto da: LucaGiramondo
sudafrica: meravigliosa terra fra due oceani
Partenza il: 09/08/2019
Ritorno il: 27/08/2019
Viaggiatori: 5
Spesa: 3000 €
Sudafrica: meravigliosa terra fra due oceani

(by Luca, Sabrina, Federico, Leonardo e Valentina)

Venerdì 9 Agosto:

“Di Venere e di Marte non si sposa e non si parte”… certo che si parte! Anzi, alcuni dei nostri viaggi più belli li abbiamo intrapresi proprio in questo giorno della settimana!

In un caldissimo pomeriggio di piena estate prendiamo così il via, nella ormai collaudata formazione a cinque, come dodici mesi fa, verso una nuova intrigante meta. Questa volta andremo in Sudafrica, venticinquesimo stato più grande del mondo, detto anche Nazione Arcobaleno e istituito, come dice il nome, agli antipodi del continente africano, che esploreremo lungo un ambizioso itinerario. Partiremo infatti da Città del Capo, per poi toccare la costa dell’Oceano Indiano, quindi l’Atlantico, poi il confine con la Namibia e quello con il Lesotho, quindi, dopo esserci affacciati nuovamente sull’Oceano Indiano, attraverseremo lo Swaziland e sfiorando il Mozambico arriveremo a Johannesburg per l’epilogo della vacanza.

Lasciamo casa alle 15:50 e un quarto d’ora più tardi siamo a Faenza, dove passiamo accanto ad un grosso incendio, menzionato anche sui telegiornali delle reti nazionali, poi entriamo in autostrada A14 verso nord e dopo meno di un’ora, nonostante il traffico intenso, giungiamo a Calderara di Reno, nei pressi di Bologna, ai Parcheggi Low Cost, dove lasceremo in deposito l’auto per l’intera durata del viaggio. Subito dopo, con la navetta gratuita, raggiungiamo l’Aeroporto Marconi, quando sono passate da poco le 17:00. Imbarchiamo le valigie direttamente per Città del Capo (speriamo bene) e oltrepassati i controlli di sicurezza ci mettiamo in attesa del volo TK 1320 per Istanbul alla porta numero 19. Quasi in perfetto orario saliamo poi sull’Airbus A320 della compagnia Turkish Airlines, che alle 19:23 si stacca dalla pista felsinea virando immediatamente verso sud. Scavalchiamo i Balcani e poi planiamo in direzione della capitale turca, dove atterriamo alle 22:25 locali, un’ora in più rispetto all’Italia, ma lasciamo le lancette dell’orologio nella loro posizione, perché il Sudafrica, in questo periodo dell’anno, grazie all’ora legale, ha lo stesso fuso del Bel Paese e quindi dovremmo rispostarle.

Appena messo piede nell’aeroporto turco cerchiamo poi il volo successivo sui tabelloni elettronici, ma quando lo troviamo abbiamo una sgradita sorpresa, perché è prevista un’ora e quaranta minuti di ritardo, così ci sistemiamo mestamente su alcune poltrone e nell’attesa arriva pian piano la mezzanotte, quindi …

Sabato 10 Agosto:

Le ore notturne sono maledettamente lunghe e dobbiamo pazientare ancor più di quattro ore prima di prendere quota, alle 4:08, sull’Airbus A330 della Turkish Airlines che, identificato come volo TK 044, prende il via virando subito sempre più a sud. In questo modo attraversiamo tutto il continente africano, dalla foce del Nilo a Cape Town (ma quanto è lungo!) e dopo una stretta virata sull’Oceano Atlantico atterriamo, finalmente, nell’International Airport della grande città sudafricana che sono le 13:17, come in Italia del resto. Oltrepassiamo i controlli doganali, nei quali è risultato indispensabile il certificato di nascita multilingue di Leonardo, poi, poco dopo, accogliamo con entusiasmo le nostre cinque valigie e usciamo all’aria aperta dell’inverno australe… frizzante ma piacevole, in una bella giornata di sole. Una breve camminata ci porta così alla Avis per ritirare l’auto a noleggio prenotata fin da casa e lì, purtroppo, abbiamo un altro contrattempo, perché non è ancora pronta e dobbiamo pazientare oltre un’ora prima che ci venga consegnata. Sommando, in questo modo, il ritardo a quello dell’aereo non possiamo far altro che constatare, in pratica, la prematura fine di questa giornata.

Finalmente, un po’ prima delle 16:00, ci affidano le chiavi di un Mercedes Vito bianco (targato HS 60 GF GP) e con quello partiamo subito per la nuova avventura “On the road”. Guidando sulla sinistra della carreggiata andiamo verso il centro di Cape Town, che dista una ventina di chilometri, e passando anche accanto ad una miserabile e angosciante township, grazie al navigatore e allo scarso traffico del fine settimana, giungiamo abbastanza in fretta alla House on the Hill, semplice struttura tipo bed & breakfast, situata nei pressi del Waterfront e del grande stadio dove si svolsero i mondiali di calcio del 2010, che ci ospiterà per le prossime tre notti. Portiamo i bagagli in camera e ripartiamo subito, cercando di sfruttare al meglio le due ore di luce a nostra disposizione. Nel cuore di Cape Town andiamo così a vedere (solo esternamente perché ha già chiuso i battenti) l’antico Castle of Good Hope, massiccia struttura eretta dagli olandesi fra il 1666 ed il 1679, mentre arriva a guastare la festa anche qualche nuvola. Subito dopo ci fermiamo a scattare una foto alla House of Parliament e poi saliamo al punto panoramico di Signal Hill, dal quale un tempo si avvistavano le navi in arrivo. Da lì ci godiamo un bel tramonto, nonostante le nubi avvolgano le vette più alte della Table Mountain, quindi facciamo ritorno col buio ormai completo alla House on the Hill. A piedi ci rechiamo poi a far spesa in un vicino food-market e poco più tardi andiamo a cena da Mario’s Italian Restaurant, situato a due passi dalla nostra struttura, infine, stanchi dopo il lungo viaggio, ci ritiriamo in camera per il meritato riposo.

Domenica 11 Agosto:

Eccoci così pronti e pimpanti per affrontare, tappa dopo tappa, “tutta” l‘esplorazione del Sudafrica … È però piovuto abbondantemente durante la notte e quando ci svegliamo è freddo e tutto grigio, non certo il massimo in prospettiva degli eventi. Facciamo colazione e poi prendiamo il via sotto la pioggia battente, mentre all’incrocio più vicino una persona di colore, probabilmente senza dimora, trema come una foglia per il freddo e viene assistita da un’altra, di buon cuore, che gli dà qualche indumento. Il nostro obiettivo questa mattina sarebbe stato quello di salire sulla Table Mountain, una scenografica asperità, inserita all’interno dell’omonimo parco nazionale, che supera di poco i mille metri di quota e domina tutta Cape Town, ma neanche s’intravvede per quanto è avvolta dalle nubi. Allora ci muoviamo in direzione della periferia sud della città e verso il Kirstenbosch National Botanical Garden, dove saremmo dovuti andare nel pomeriggio. Questo giardino botanico, che si estende ad oriente e ai piedi della Table Mountain, nel suo genere è uno dei più importanti al mondo (fondato nel 1913) e addirittura, per le sue qualità è stato inserito nel Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, fin dal 2004. Quando arriviamo nel parcheggio del giardino, poco dopo le 9:00, siamo fra i primi visitatori e, in pratica, è appena smesso di piovere, seppur il cielo sia ancora completamente grigio. Entriamo senza troppo entusiasmo nel parco seguendo un viale di piante secolari e poi ci inoltriamo fra la fitta vegetazione, percorrendo anche la Tree Canopy Walkway, un’ardita passerella fra gli alberi, mentre qualche timido raggio di sole comincia a filtrare fra le nuvole, e poi via via sempre di più, fin quando il cielo si apre e si accendono tutti i colori della natura, così possiamo goderci la parte finale della visita. Osserviamo belle piante e alcuni fiori sorprendenti, senza mai dimenticare che qua siamo, tutt’ora, in pieno inverno, ma anche qualche rappresentante della locale fauna ittica, fra i quali due bellissimi gufi … insomma, un’ottima esperienza, considerati i presupposti. Dopo andiamo in direzione della Table Mountain, con la speranza di potervi salire sopra. La funivia però (lo sapevamo) è chiusa per manutenzione fino al 18 di agosto, per cui l’unica maniera è quella di andare a piedi, attraverso la Platteklip Gorge. Percorriamo così tutta la strada, fino all’inizio del sentiero, ma inutilmente perché, nonostante gli ampi sprazzi di sereno, la vetta della montagna risulta ancora nascosta sotto a grossi nuvoloni. Scendiamo allora verso il centro di Cape Town per andare al famoso quartiere di Bo-Kaap, la cui origine risale al XVIII secolo, quando tale Jan De Waal fece costruire alcune casette per ospitare gli schiavi, per lo più di origine malese e indonesiana, quindi musulmani, che col tempo si impegnarono ad insediarvi le prime moschee. Dopo l’emancipazione schiavile del 1834 si prese l’abitudine di dipingere le facciate delle case con colori sgargianti (ciò era considerato come espressione di libertà) e tutt’oggi è questa la principale caratteristica del quartiere. Lasciamo l’auto in un parcheggio custodito e ci avventuriamo lungo le principali vie (Wale, Rose e Chiappini Street), tutte disseminate di splendide casette colorate, che formano quadretti particolarmente fotogenici … un’altra bella visita, dopo il giardino botanico. Intanto le nuvole sulla Table Mountain sono ulteriormente calate, allora ci riproviamo. Saliamo di nuovo fino al parcheggio di fronte all’imbocco del sentiero e lì pranziamo con i nostri panini, poi prendiamo a seguire il tracciato, che s’inerpica subito fra grandi massi e forti pendenze. Dopo un’ora dalla partenza arriviamo all’ingresso della gola, contornati da splendide viste… L’impressione è quella di essere quasi in cima, ma da lì inizia il tratto più duro e serve un’altra ora, lungo un impervio sentiero che si dipana fra le rocce. Così, passate da poco le 15:00, giungiamo, anzi, conquistiamo la vetta della Table Mountain e ci ritroviamo, purtroppo, fra le nuvole… Niente vista panoramica quindi, anche se possiamo ritenerci soddisfatti dell’impresa, ma la parte più difficile dell’escursione deve ancora arrivare, perché a volte può risultare più faticosa la discesa della salita, infatti, incredibile ma vero, impieghiamo più tempo e arriviamo, fisicamente devastati, all’auto una manciata di minuti dopo le 17:00. Riprendiamo strada mentre si scatena un intenso acquazzone… e non oso pensare se ciò si fosse manifestato anche solo trenta minuti fa. Un motivo in più per assaporare il piacere di stare comodamente seduti all’asciutto, nei sedili del nostro Vito. Andiamo verso la House on the Hill, ma prima passiamo dall’enorme centro commerciale di Waterfront, dove facciamo spesa e acquistiamo anche la cena da consumare in camera, così da non dover più uscire vista la stanchezza accumulata … però ne è valsa la pena perché possiamo dire di aver concluso positivamente il primo vero e proprio giorno di visite della vacanza. Più tardi andiamo a dormire mentre continua a piovere con insistenza, ma siamo fiduciosi perché da domani dovrebbe migliorare.

Lunedì 12 Agosto:

Splende un magnifico sole, anche se alcune nuvole si addensano ancora sulle vette più alte e sulla Table Mountain. Poco dopo le 8:00 prendiamo a seguire la strada che va verso sud lungo la costa e in breve giungiamo nella località balneare di Camps Bay e al punto panoramico dal quale si può assaporare la vista sull’omonima baia, oggi battuta da grandi onde e contornata dalla magnifica quinta di rilievi montuosi chiamata Twelve Apostoles (dodici apostoli), che però sono nell’ombra delle prime ore mattutine. Scattiamo alcune foto e poi proseguiamo, fino al paese di Hout Bay, dal cui porticciolo salpano abitualmente le imbarcazioni per Duiker Island: poco più di uno scoglio, popolato da una folta colonia di otarie del Capo. Oggi però il mare è troppo mosso e l’escursione prevede solo un giro nella baia, senza avvicinarsi all’isola, così rinunciamo e ci accontentiamo di vedere solo alcuni simpatici esemplari di otaria, semi-addomesticati, che vivono praticamente nella zona del porto. Da Hout Bay affrontiamo poi l’ardito tratto di strada (a pedaggio) chiamata Chapman’s Peak Drive, che si sviluppa a sud dell’abitato fra spettacolari e vertiginose scogliere, purtroppo senza la presenza di un bel sole, che nel frattempo è andato a nascondersi fra le nuvole. La nostra beneamata stella si riprende poi la scena quando, ancora più a sud, entriamo nella sezione più meridionale del Table Mountain National Park e più precisamente quella che ingloba il leggendario Capo di Buona Speranza (Cape of Good Hope), cruccio dei più noti navigatori di fine Cinquecento.

L’area è anche un’importante riserva naturalistica, che ci apprestiamo a visitare. Seguiamo così la strada che termina nel parcheggio dal quale, con una funicolare, si può raggiungere lo storico faro di Good Hope, risalente al 1860… Il tragitto si potrebbe fare anche a piedi, ma le scorie della scalata alla Table Mountain sono oggi un fardello troppo grande da traghettare. Giunti a destinazione saliamo comunque le rampe di scalini che portano, fra stupende viste sulla costa circostante, ai piedi del faro, poi seguiamo il sentiero che si reca nei pressi del nuovo faro (eretto nel 1919 per sopperire alle mancanze del primo, a volte ingannevole per la sua posizione troppo elevata sulle scogliere del Capo) e lì immortaliamo superbi panorami, impreziositi anche dalla presenza di alcune balene, che avvistiamo in lontananza… semplicemente meraviglioso! Torniamo così entusiasti alla funicolare e pienamente soddisfatti facciamo ritorno all’auto… ma non è certo finita qui. Proprio nel parcheggio, infatti, osserviamo molto da vicino alcuni esemplari dei famosi babbuini endemici del luogo, che risultano simpatici, ma la cui reputazione ci sconsiglia di consumare sul posto il nostro quotidiano pranzo al sacco. Ci muoviamo allora su gomma lungo un tragitto che porta, nella costa sottostante, al vero e proprio Cape of Good Hope, il punto più sud-occidentale del continente africano, ma non quello più meridionale, come spesso si è portati a credere. Lungo il percorso avvistiamo alcune antilopi, oltre ad una nutrita schiera di grandi uccelli bianco-neri (probabilmente esemplari di ibis sacro) e giunti al termine della strada, finalmente, possiamo placare i morsi della fame. Dopo scattiamo una doverosa foto ricordo con il cartello commemorativo del luogo e, una volta esplorate le scogliere circostanti, riprendiamo l’itinerario. Seguendo la strada che conduce all’uscita del parco incontriamo poi un borioso struzzo e successivamente, risalendo la costa orientale del Capo lungo False Bay, giungiamo nella località di Boulders, presso l’omonima spiaggia, dove si trova la più famosa colonia di pinguini africani dell’intera regione. Parcheggiamo l’auto e a piedi ci avviamo per le passerelle che si dipanano nell’area protetta, accanto alle quali possiamo ammirare tante simpatiche bestiole, estremamente buffe nei loro movimenti e in numerosi atteggiamenti, ma non ridicole quanto l’affermazione di una turista italiana che mi è capitato di ascoltare: «Tanto li ho già visti a Genova». Assaporata anche questa eccezionale esperienza ci avviamo poi verso la parte più settentrionale di False Bay e, affrontati alcuni incolonnamenti dovuti all’intenso traffico, arriviamo anche nella cittadina di Muizenberg, importante località balneare durante l’estate australe. Qui, in una spiaggia bianchissima, regno dei surfisti, si trova una originale e intrigante sfilata di cabine vittoriane multicolore, in uno stato di semi-abbandono vista la stagione, che andiamo a fotografare nella calda luce dell’ormai tardo pomeriggio. Da questo luogo ci avviamo quindi spediti verso Cape Town, dove arriviamo quasi al tramonto, con il sole che incendia le (solite) nubi sulla Table Mountain, a chiudere il sipario su di una giornata indimenticabile. Più tardi, per cena, torniamo da Mario’s e lì ascoltiamo l’avvincente storia dell’anziana proprietaria italiana, originaria di Lodi, prima di ritirarci per la terza ed ultima notte nella House on the Hill.

Martedì 13 Agosto:

Prende così il via oggi il nostro tour itinerante attraverso quel grande paese che è il Sudafrica. Partiamo dal bed & breakfast intorno alle 8:00 e poco più tardi ci lasciamo alle spalle Cape Town, aggirando da oriente la Table Mountain (che anche oggi, strano ma vero, è fra le nuvole), e poi andiamo a sud-ovest. Guadagniamo così il mare sul lato di levante della False Bay e seguendo la strada costiera arriviamo anche al cospetto della scenografica Kogel Bay, che però è ancora nell’ombra delle severe montagne che la fiancheggiano. Proseguiamo allora fino al villaggio di Rooi Els, che sembra un pezzetto d’Islanda trapiantato nell’emisfero australe, e doppiando un promontorio arriviamo nella località di Betty’s Bay, dove giriamo in direzione della costa per guadagnare il parcheggio della Stony Point Nature Reserve. Questa piccola area protetta, fondata negli anni ottanta del secolo scorso laddove c’era una stazione di caccia alle balene, ospita un’altra nutrita colonia di pinguini africani, oltre ad altre specie di uccelli marini e alcune affabili procavie del Capo. La riserva, notevolmente più tranquilla di quella di Boulders, vista ieri, è molto bella e ce la possiamo godere con tutta calma, senza dover fare le spinte con altri turisti per scattare una foto. Il panorama sulle limitrofe scogliere poi, in una splendida giornata di sole, fa il resto, anche se soffia da sud un vento piuttosto pungente. Ripresa strada, più tardi, proseguiamo ad est lungo la costa, sempre fra splendidi paesaggi, mentre alcuni babbuini ci attraversano impavidi la via, e prima di mezzogiorno arriviamo nella cittadina di Hermanus, nota per gli avvistamenti, anche da terra, delle balene. Parcheggiamo l’auto in riva all’oceano e subito ci affacciamo dall’alto delle scogliere, assieme a tante altre persone, che sono in paziente attesa, ma purtroppo l’unico spettacolo odierno pare essere il mare agitato, che produce enormi onde ed eccezionali schizzi… e forse proprio per questo motivo le balene stanno alla larga del profilo costiero. Anche il “whale crier”, folcloristico personaggio che è l’avvistatore ufficiale di Hermanus, non suona mai il suo corno per avvisare i turisti della presenza dei grandi cetacei. Ripartiamo e poi ci fermiamo in un altro paio di punti di avvistamento, ma con identico risultato … peccato! … Pranziamo allora con i nostri panini e lo sguardo rivolto al mare (non si sa mai), quindi riprendiamo il viaggio. A questo punto andiamo verso l’interno, perché la strada litoranea è destinata, poco più avanti, ad interrompersi e attraversando bucolici paesaggi, lungo vie a volte sterrate, ma in buone condizioni, alla fine arriviamo, nuovamente sulla costa, nella località di L’Agulhas, l’abitato più meridionale di tutta l’Africa. Attraversiamo la cittadina e andiamo al Cape Agulhas Lighthouse, storico faro risalente al 1848, alla cui visita ci dedichiamo salendo anche i 71 irti scalini che conducono alla sommità, per godere dei panorami sul piatto paesaggio circostante. Subito dopo percorriamo un solo chilometro di pista e arriviamo a Cape Agulhas, che è il punto più a sud del continente nero, dove idealmente si incontrano due oceani: quello Atlantico e quello Indiano. Scattiamo le dovute foto del caso e poi proseguiamo ancora un paio di chilometri lungo la costa, fino ad arrivare al relitto della nave giapponese Meisho Maru, qui arenatasi nel 1982, della quale resta la sola prua. Sono quasi le 17:00 ed è ora di andare spediti verso il termine della tappa, con Federico che sperimenta per la prima volta nella vita la guida a sinistra. Così passiamo dal vicino Struisbaai Harbour, dove ci sarebbe la possibilità di veder nuotare alcune razze, fra le quali quella chiamata Parrie, diventata famosa nel web, ma non oggi, e poi puntiamo decisamente verso la cittadina di Swellendam per la notte, che dista un centinaio di chilometri. Nella magica luce del tardo pomeriggio attraversiamo così meravigliose lande collinari, fino a giungere a destinazione poco prima del tramonto. Prendiamo alloggio alla Cypress Cottage Guest House, una struttura a gestione famigliare davvero carina e da lì usciamo a cena, a piedi, al vicino Republic Restaurant, mangiando ottima carne ad un prezzo molto conveniente, poi andiamo in camera a riposare, in previsione di un’altra intensa giornata.

Mercoledì 14 Agosto:

Alla sveglia nel tranquillo paese di Swellendam il cielo risulta in gran parte nuvoloso. Consumiamo una piacevole colazione alla Cypress Guest House e poi prendiamo il via per questa nuova tappa. Così, pochi chilometri fuori l’abitato verso sud-ovest, deviamo su di uno sterrato che va in direzione della costa, seguendo le indicazioni per la De Hoop Nature Reserve, che per la sua ricca biodiversità è stata inserita nel Patrimonio Mondiale dell’Unesco a partire dal 2004. Lungo il percorso, fra belle colline coltivate e sconfinati pascoli, comincia anche a piovigginare… non proprio il massimo, ma dovrebbe migliorare. Dopo oltre trenta chilometri di carrareccia svoltiamo definitivamente in direzione del parco. Saliamo su di una collina e scendiamo sul lato opposto, mentre come per incanto si apre il cielo ed esce fuori il sole, con, in lontananza, l’evidente macchia bianca delle grandi dune che caratterizzano l’area. Varchiamo il gate e in breve arriviamo nel centro visitatori del parco, mentre quasi subito notiamo qualche esemplare di bontebok, un’antilope endemica della zona, un tempo molto cacciata e giunta quasi a rischio estinzione, molto elegante, di color cioccolato con le regioni inferiori bianche ed una striscia bianca che va dalla fronte alla punta del naso, davvero un bell’animale, che osserviamo affiancato, ogni tanto, da qualche vanitoso struzzo. Facciamo poi un breve loop attorno al centro visitatori, lungo il quale vediamo tante altre antilopi, anche della specie eland (o antilope alcina), quindi andiamo in direzione della costa e dove termina la strada, al parcheggio di Koppie Alleen. Da qui ci avviamo a piedi sulle enormi dune di sabbia bianca, che sono la principale attrattiva della riserva e a giusta ragione, perché sono una vera e propria meraviglia della natura, impreziosite dallo spettacolo che si consuma fra le onde dell’oceano di poco al largo della battigia, con diverse balene che ogni tanto sbuffano, oppure mostrano l’inconfondibile coda: sono le balene franche australi, che vengono abitualmente a riprodursi in questo tratto di costa, rendendo la De Hoop Nature Reserve uno dei migliori siti al mondo per osservarle. Restiamo a lungo a guardarci intorno e a contemplare l’orizzonte e poi passeggiamo lungo la costa verso est, contornati da un’esplosione di fiori dai mille colori e altre balene fra le onde, fin quasi a mezzogiorno, quando riconquistiamo la nostra auto con gli occhi pieni di meraviglia. Lasciamo un po’ a malincuore questo luogo magico e facciamo ritorno al centro visitatori, dove seguiamo un inutile loop sterrato di quasi otto chilometri, lungo il quale avvistiamo zero animali. La speranza era quella di vedere la rara zebra di montagna del Capo, ma non ci è stato concesso l’onore, allora ci fermiamo a pranzare in un’apposita area prima di lasciare definitivamente la De Hoop Nature Reserve, che mai dimenticheremo. Percorriamo a ritroso tutto lo sterrato delle prime ore del mattino, fra belle viste esaltate dalla presenza del sole, e riconquistato l’asfalto puntiamo la prua del Vito decisamente verso nord. Maciniamo così chilometri a buon ritmo e subito dopo la cittadina di Robertson attraversiamo una vasta regione ricca di vigneti e relative cantine, tutta contornata da scenografiche montagne. Montagne che non ci abbandonano mai e ci accompagnano per l’intero tragitto pomeridiano, fino a superare il Michell’s Pass e giungere nel paesone di Ceres (nulla a che fare con la nota birra), poi lo spettacolare Gydo Pass, contornato da grandiose vedute. Più avanti affrontiamo anche, con un pizzico di apprensione, l’ardito Middleberg Pass, che si dipana tutto su sterrato nella parte più meridionale della catena montuosa del Cederberg, e poi planiamo sulla località di Citrusdal, dove prendiamo alloggio, nei paraggi, al Piekenierskloof Mountain Resort. In questo modo ceniamo divinamente e a buon prezzo all’interno della struttura, concludendo un’altra eccezionale giornata.

Giovedì 15 Agosto:

Comincia molto presto per noi il Ferragosto, perché la sveglia suona ancor prima delle 6:00, quando fuori è ancora buio. Facciamo colazione in camera e poi, mentre albeggia, poco dopo le 7:00, prendiamo il via scendendo dalle alture nelle quali si trova la struttura che ci ospita, verso la cittadina di Citrusdal, che si trova più in basso, nella vallata, ed è completamente invasa dalla nebbia. Procediamo verso nord sulla strada numero 7, accompagnati da una rigida temperatura esterna, che oscilla fra i quattro e i cinque gradi, fino a giungere ad una deviazione sulla destra per un percorso sterrato, che riporta le indicazioni circa la località di Algeria e sale subito di quota, uscendo dalla nebbia. Oltrepassato un valico, fra grandiosi panorami, arriviamo proprio ad Algeria e dopo una breve sosta alla réception per registrarci entriamo nella Cederberg Wilderness Area, vasta area protetta (Patrimonio Unesco), che abbraccia l’intero ed omonimo massiccio montuoso. Proseguiamo poi per altri venticinque chilometri lungo la strada che s’inoltra nel parco. Il nostro obiettivo, infatti, è quello di giungere alla deviazione che porta al parcheggio del Maltese Cross Trail, un percorso escursionistico di media difficoltà che siamo intenzionati a seguire, mentre, per fortuna, cresce un po’ la temperatura. Le indicazioni non sono però eloquenti e incontriamo qualche difficoltà, così ci rechiamo alla vicina Dwarsriver Farm, dove c’è un’altra réception e dove ci registrano ancora (a dire il vero ad Algeria non lo avevano fatto), quindi ci danno le giuste direttive, e questa volta imbocchiamo la pista giusta, che in realtà avevamo già preso, ma che ci lasciava dei dubbi, vista la presenza di un cancello. Il cancello invece si doveva aprire e poi richiudere, dopodiché una carrareccia di cinque chilometri in discrete condizioni conduce al parcheggio. A quanto pare siamo gli unici visitatori e, lasciata l’auto in sosta con il solo imbarazzo della scelta, ci avviamo subito lungo il sentiero. Percorse poche centinaia di metri c’è da attraversare un ponticello formato da due tronchi, poi si comincia a salire, a tratti anche con forti pendenze (ma non come alla Table Mountain) e, contornati da intriganti paesaggi, dopo 3,5 chilometri e un’ora e quarantacinque minuti di cammino, giungiamo al cospetto della Maltese Cross, uno spettacolare pinnacolo di arenaria, alto circa venti metri, modellato dall’erosione in una forma che ricorda vagamente, appunto, una croce. Una formazione rocciosa molto bella, imponente ed inserita in uno splendido contesto, esaltato fra l’altro dall’eccezionale giornata, meteorologicamente parlando, con cielo terso e temperatura perfetta, malgrado il freddo del primo mattino. L’avventura si completa, dopo la discesa, in circa tre ore e mezzo, così da riguadagnare l’auto giusto, giusto per l’ora di pranzo. Il tempo però vola e subito dopo dobbiamo ripartire con sollecitudine perché si sta facendo tardi. Scendiamo dal Cedergerg e riconquistato l’asfalto della strada numero 7 procediamo verso nord per venticinque chilometri, fino a giungere allo svincolo dal quale, andando a sinistra, in altri sessanta chilometri arriviamo in riva all’Atlantico nella località di Lambert’s Bay, mentre un poco rassicurante messaggio circa il livello dell’olio (troppo alto…?) si accende più volte nel display del computer di bordo. Nelle immediate vicinanze del porto di questa cittadina, uno dei pochi della costa occidentale del Sudafrica, si trova la Lambert’s Bay Island Nature Reserve, che raggiungiamo camminando lungo il molo sul quale si abbattono le grandi onde oceaniche. In questa piccola isola di soli tre ettari dimora una nutrita colonia di sule del Capo, non come quella delle loro parenti più prossime di Île-Bonaventure in Canada (vista l’anno scorso) ma comunque ben popolata. Restiamo per un po’ ad osservare questi splendidi uccelli dagli occhi azzurri nei loro tipici atteggiamenti, tutti ammassati gli uni agli altri, fra assordanti grida, quindi, scattate le dovute foto, ripartiamo nuovamente con un una certa urgenza. In effetti altri 93 chilometri ci dividono dalla prossima meta, e siamo già a pomeriggio inoltrato. Percorriamo così a ritroso tutto il tragitto fino alla strada numero 7, che poi attraversiamo per proseguire sul lato opposto, di nuovo verso le montagne del Cerderberg, e poco prima delle 17:00 arriviamo all’ingresso del Sevilla Rock Art Trail, un semplice sentiero che porta alla scoperta di alcuni siti di arte rupestre dei boscimani (i san), popolazione che abitava anticamente la zona, databili in un’ampia forchetta di tempo, compresa fra gli 800 e gli 8000 anni fa. Subito ci dicono che è troppo tardi per intraprendere la passeggiata, ma al mio insistere ci consentono di esplorare i primi sei di nove punti di interesse, disseminati lungo il corso del Brandewyn River, con la promessa di tornare indietro prima che faccia buio. Osserviamo nei pressi della réception due alberi brulicanti di uccelli tessitori e dei loro incredibili nidi e poi ci avviamo di buona lena lungo il percorso. Così, in poco più di mezzora vediamo i sei siti, ricchi di splendide pitture rupestri dalle calde tonalità, che spiccano sulle chiare rocce autoctone. Dopo, sulla via del ritorno, perdiamo un po’ la bussola, ma, accodandoci ad un gruppo di francesi, alle 18:00, come previsto, siamo nuovamente alla réception. A questo punto comincia la corsa verso la destinazione finale della tappa, cercando di evitare, quanto più possibile, l’oscurità. In questo modo, riconquistata per l’ennesima volta la strada numero 7, intorno alle 19:00 giungiamo in vista della cittadina di Klawier, alla cui periferia ci ferma anche la polizia sudafricana per un controllo, poi, alcuni minuti più tardi, arriviamo all’Oasis Country Lodge, che ci ospiterà per la notte. È una struttura piuttosto datata, ma che assolve a tutto quanto richiesto, compresa la cena e la colazione per domattina, il giusto epilogo di un altro positivo episodio della vacanza.

Venerdì 16 Agosto:

Anche a Klawier, come a Citrusdal, c’è nebbia quando partiamo, dopo una ricca colazione consumata in hotel. Quella odierna sarà una giornata piuttosto impegnativa, con parecchia distanza da percorrere, che andiamo ad iniziare con la prua rivolta a nord lungo la strada numero 7, accompagnati per diverse decine di chilometri, appunto, dalla nebbia, a tratti anche fitta, tanto che a volte ci sembra di vedere l’uscita per Occhiobello … poi si dissolve ed esce fuori il sole. Maciniamo grandi distanze (oltre duecento chilometri, lasciando la regione del Western Cape per entrare in quella del Northern Cape), con l’avvoltoio sulla spalliera di quella spia dell’olio che ogni tanto si accende, fino alla sperduta località di Kameskroon, dove usciamo dalla strada principale per seguire lo sterrato che porta al Namaqua National Park. Questo grande parco nazionale, che si estende fin sulle rive dell’Oceano Atlantico, in un ambiente semidesertico, va famoso soprattutto per quella che viene chiamata “The blooming spectacular Namaqualand wild flowers”, una eccezionale fioritura che si manifesta ogni anno fra la metà di agosto e fine settembre … noi siamo quindi agli albori della stagione, ma vale la pena tentare, sperando in una certa precocità dell’evento. Dopo circa 15 chilometri di pista arriviamo al gate dell’area protetta, mentre qua e là si nota già qualche macchia floreale. Così facendo ci inoltriamo nella sezione di Skilpard, l’unica del parco visitabile senza l’ausilio di un 4×4 (ma per noi può bastare) e strada facendo le lande ai nostri lati si ravvivano sempre di più, di un arancio acceso, fino a giungere al centro visitatori, letteralmente immerso in una esplosione di colore. Per godere appieno dello spettacolo seguiamo prima il loop destinato alle auto e poi una parte del trekking che si addentra nell’incredibile tappeto floreale, lasciando in noi emozioni difficilmente descrivibili. Ci gustiamo il luogo quanto più possibile e poi, seguendo a ritroso tutto lo sterrato fino a Kamieskroon, torniamo a seguire la strada numero 7 verso nord. Intorno a mezzogiorno arriviamo così nella cittadina di Springbok e da lì ci avviamo verso la vicina Goegap Nature Reserve, una piccola riserva sulla quale non avevo tante informazioni. Varchiamo il gate e una volta giunti al centro visitatori pranziamo con i nostri panini, poi visitiamo brevemente la collezione di piante succulenti dell’Hester Malan Wildflowers Garden, con alcuni begli esemplari di alberi faretra, una specie di aloe diffusa fra il Sudafrica e la Namibia, tipici delle zone desertiche. Ci avviamo quindi lungo un loop sterrato, che si inoltra nel selvaggio paesaggio circostante, dove si manifesta solitamente una fioritura simile a quella del Namaqua National Park, ma qui evidentemente la stagione è più indietro, allora dobbiamo accontentarci di qualche intrigante veduta e dell’avvistamento in lontananza di una sola antilope. Alla fine, poco dopo le 14:00, siamo già pronti a riprendere l’itinerario verso il termine della tappa, che è ancora molto distante. Prendiamo così a macinar chilometri verso est lungo la strada numero 14, che avanza fra vastissimi panorami nel deserto sudafricano ai confini con la Namibia (di tanto in tanto assillati da quella maledetta spia). Il percorso si fa a tratti sconcertante per la sua monotonia, ma proprio per questo terribilmente affascinante, con interminabili rettilinei fra due ali di terre giallastre e l’azzurro del cielo … sempre diritto. Deviamo solo per raggiungere il remoto villaggio di Pella, a pochissimi chilometri dalla Namibia, caratterizzato da una chiesa risalente al 1895, poi riprendiamo la strada, che è ancor più rettilinea … fino alla successiva deviazione, in corrispondenza del fiume Orange, per la località di Augrabies e l’Augrabies Falls Lodge, che ci ospiterà per la notte. Lì ceniamo molto bene e ad una cifra irrisoria all’interno della struttura e poi andiamo a riposare, al termine di una bella ma faticosa giornata.

Sabato 17 Agosto:

All’inizio della seconda settimana di viaggio ci svegliamo nel cuore della regione desertica all’estremo nord-ovest del Sudafrica, mentre un presunto meccanico ci tranquillizza sulla temuta spia dell’olio. La meta odierna è il vicino Augrabies Falls National Park, rilevante parco istituito nel 1966 lungo il corso del fiume Orange, uno dei più importanti dell’Africa meridionale, con i suoi 2200 chilometri di lunghezza, che in questo punto forma delle impetuose cascate ed una impressionante gola profonda 240 metri. La riserva si estende però in un area ben più vasta, all’interno della quale si potrebbero incontrare anche diversi animali selvatici, ma non i grandi predatori. Facciamo colazione nel lodge e poco dopo le 8:00 siamo pronti a varcare il gate del parco, situato a soli due chilometri di distanza. Successivamente facciamo tappa alla réception, dove ci registriamo, prima di avviarci lungo la pista che si sviluppa nella zona più occidentale della riserva. Subito affrontiamo alcuni semplici guadi e poi avvistiamo diverse specie di antilopi, a cominciare dal piccolo klipspringer, quindi un bellissimo kudu maggiore, dalle imponenti corna ricurve, e tanti agili springbok, che, timorosi, fuggono fra splendidi alberi faretra, a volte invasi dagli smisurati nidi degli uccelli tessitori sociali. Pian piano arriviamo poi ad una biforcazione, dove il percorso diventa un loop a senso unico, piuttosto lungo (ma con possibili tagli), che richiede un certa dose di pazienza. In questo modo, dopo cinquanta chilometri dall’imbocco e circa due ore di guida, cominciamo a tornare verso il centro visitatori … ma il bello deve ancora venire. All’uscita di una curva si presenta infatti al nostro cospetto una bella giraffa (la nostra prima giraffa!) e poco più avanti ne vediamo altre cinque, inframmezzate da uno splendido gemsbok, un’altra antilope, simile al bontebok, ma dalle corna più irte ed il muso che ne è praticamente il negativo in fatto di colorazione. Completato il loop giriamo a sinistra verso il primo dei punti panoramici sul canyon dell’Augrabies e così facendo, a sorpresa, davanti a noi si parano due magnifiche zebre di Hartmann’s, una rara specie considerata quasi a rischio estinzione… bingo! Con questo abbiamo infatti visto quasi tutti i più rappresentativi animali del parco. Dopo giungiamo all’Overlook di Echo Corner … bello, ma con una visuale non troppo ampia, così, tornati quasi subito al tracciato principale imbocchiamo anche la deviazione per il punto panoramico di Oranjekom. Questo invece è spettacolare, ubicato com’è su di un terrazzamento naturale a picco sul canyon. Lì c’è anche una piccola area attrezzata e ne approfittiamo per pranzare. Alla ripartenza completiamo la serie di overlook con il più noto, quello di Ararat, dal quale si può osservare la prorompente bellezza del canyon in un bel tratto dei suoi ben 18 chilometri di lunghezza. Più avanti un’altra piccola deviazione ci porta al curioso sito di Moon Rock, dove una granitica collina assume le sembianze, appunto, di un ipotetico paesaggio lunare, infine rientriamo alla zona della réception e del centro visitatori, dove parcheggiamo l’auto per andare a vedere le famose cascate che danno il nome al parco. Non è certo la stagione migliore quella attuale per la portata dell’acqua, ma è comunque spettacolare il salto di 56 metri del fiume Orange, che si getta con fragore dall’altopiano all’interno del canyon, in questo punto particolarmente stretto e profondo. Seguiamo così tutte le passerelle attrezzate che portano alla scoperta dei punti più suggestivi, notando qua e là anche qualche esemplare di lucertola di Broadley, una specie endemica i cui maschi presentano una stupefacente e vivace colorazione, che va dal blu scuro della gola, al giallo degli arti anteriori e arancione di quelli posteriori, e in questo modo completiamo la visita. Ora però, nonostante i trenta gradi, siamo intenzionati a fare anche un breve trekking e, dopo esserci segnati alla réception nell’apposito registro, ci avviamo lungo il Gorge Trail, un facile sentiero che in poco più di un chilometro porta allo spettacolare Arrow’s Point, laddove una biforcazione del canyon forma un grande sperone roccioso. Dalla sommità l’impressione è quella di trovarsi sulla prua di una smisurata nave che si appresta ad entrare nella gola, con in più, sulla sinistra, la sublime veduta delle Twin Falls, un bel doppio salto formato da un ramo secondario dell’Orange River… Quest’ultima cascata, inserita in uno straordinario contesto, ci ha forse stupito oltremodo, rispetto alla più nota sorella. Riconquistata l’auto, ormai nel tardo pomeriggio, si è fatta l’ora di lasciare il favoloso Augrabies Falls National Park e anche senza troppi indugi, perché circa 120 chilometri ci dividono ancora dalla sede di tappa, che è la città di Upington, la più importante della regione. Giunti a destinazione prendiamo alloggio alla Tarentaalrand Guest House (molto carina ed accogliente) e per cena ci rechiamo, in un vicino centro commerciale, ad un locale della catena Ocean Basket, sulla quale avevo ottime referenze … confermate. Poi andiamo subito a riposare, in previsione del prossimo, intensissimo, capitolo del viaggio.

Domenica 18 Agosto:

Prende quindi il via oggi la tappa più lunga dell’itinerario, quasi di solo trasferimento, dai confini con la Namibia, attraverso le zone più interne e desolate del Sudafrica, fino a rasentare la frontiera con il Lesotho, piccola e povera enclave monarchica che non attraverseremo … “solo” 860 chilometri di strada presumibilmente scorrevole. Impostato il navigatore mi fido troppo, forse erroneamente, di lui, che mi propone un percorso più corto di 15 chilometri rispetto a quello previsto. Infatti, ad un certo punto, ci fa fare uno sterrato decisamente fuori programma, ma nulla di proibitivo. Dopo quasi quattrocento chilometri arriviamo così al primo punto di un certo interesse della giornata, ovvero il sito di Wildebeest Kuil. Su di una piccola collina, a breve distanza dalla strada, si trovano numerose immagini di arte rupestre boscimane, realizzate con la tecnica del “pecked”, cioè scolpite sulla roccia con una pietra più dura, mettendo in risalto il colore più chiaro sottostante, che risalgono ad un periodo compreso fra qualche centinaio e quasi duemila anni fa. Le numerose e suggestive figure sono visitabili tramite una passerella in legno e meriterebbero forse maggior considerazione, visto l’aspetto piuttosto trasandato del luogo. Ripresa strada da Wildebeest Kuil, che speriamo possa risollevarsi dal suo stato di semiabbandono, ci spostiamo alla vicinissima città di Kimberley, capoluogo del Capo Settentrionale e indiscussa capitale del diamante sudafricano. Qui, infatti, è nata la De Beers (nel 1888) e lo slogan “Un diamante è per sempre”. Tralasciando altri aspetti storici di Kimberley andiamo diritto a parcheggiare nei pressi di Big Hole, la vecchia e originaria miniera De Beers. Paghiamo il biglietto d’ingresso e saliamo sulla struttura metallica che si affaccia sulla grande voragine a cielo aperto, considerato il più ampio scavo al mondo effettuato con la sola forza delle braccia umane: profondo 215 metri e con un diametro di 240… impressionante! In seguito visitiamo anche il villaggio circostante, che è una parziale ricostruzione (anche con il recupero di edifici originali) dell’insediamento di Kimberley nel 1880, a tratti anche molto interessante, poi dopo un essenziale pranzo al sacco riprendiamo strada con sollecitudine, perché non siamo neanche a metà percorso. Andiamo ad est lungo la strada numero 8, lasciando quasi subito la provincia del Capo Settentrionale per entrare in quella del Free State e, oltrepassato il capoluogo Bloemfontein, arriviamo nei pressi della frontiera con il Lesotho, che si intravvede in lontananza. Seguiamo poi la strada chiamata Maloti Drakenberg, che corre parallela al confine fra i due stati per quasi 150 chilometri, con seducenti scenari di alture che ricordano, molto vagamente, gli spettacolari butte della Monument Valley americana e infine giungiamo, quasi al tramonto, nella località di Clarens, al fresco delle alte vette circostanti. Lì prendiamo alloggio alla Golden View Oak on Church, una magnifica intera casa tutta per noi, della quale prendiamo possesso senza neanche incontrare i proprietari, solo con un codice di accesso, poi usciamo a cena nei paraggi al Clementin Restaurant, mangiando bene, come sempre, e a buon prezzo.

Lunedì 19 Agosto:

È frizzante la sveglia ai quasi duemila metri di altezza di Clarens, da dove partiamo, subito dopo colazione, per il vicino Golden Gate Highlands National Park, istituito nel 1963 per proteggere un’ampia e spettacolare area montuosa, che un tempo fu rifugio delle popolazioni boscimani. Varchiamo il gate e, passando ai piedi della Brandwag Bottres, la formazione rocciosa simbolo del parco, arriviamo alla réception, dove ci registrano (e per fortuna siamo gli unici, perché impiegano una vita), poi ci avviamo lungo il Blesbok Loop, un itinerario a senso unico (su asfalto) di circa sette chilometri che si dipana sulle alture circostanti. Il percorso ci permette di assaporare belle viste su di un paesaggio arido, a causa della stagione secca, e fare conoscenza di alcune antilopi, oltre allo gnu nero e la zebra di Burchell, una sottospecie della zebra di pianura. Riconquistata la strada principale seguiamo anche l’Oribi Loop, simile al suo predecessore, ma forse meno spettacolare e con una fauna più ridotta. Nel frattempo, però, il sole è salito alto in cielo e adesso inonda di luce l’intera vallata, così torniamo alla réception e, parcheggiata l’auto, ci apprestiamo a seguire il Brandwag Trail. Il sentiero sale gradualmente, fra stupendi panorami, fin sulla rupe più rappresentativa del parco e, scattate le dovute foto del caso, dopo circa un’ora e trenta di facile trekking facciamo rientro al nostro fedele automezzo. Ripreso l’itinerario attraverso il Golden Gate Highlands National Park, dopo una ventina di chilometri, arriviamo alla deviazione sulla destra che porta al Basotho Cultural Village, l’interessante ricostruzione di un tradizionale villaggio basotho, fiera popolazione del vicino Lesotho. Lungo una breve passeggiata osserviamo così i diversi tipi di abitazione, sempre molto colorati, adottati da questa etnia a partire dal XVI secolo, fino ai giorni nostri, facendoci una sommaria idea della loro evoluzione. Dopo questa piacevole esperienza lasciamo il parco verso est fra altri notevoli scenari, quindi fiancheggiamo il vasto lago originato dalla Sterkfontein Dam, con la vista che spazia in lontananza, nell’odierna foschia, sulla catena montuosa del Drakenberg ed i suoi picchi che superano i tremila metri di altezza per dividere il Sudafrica dal Lesotho. Lasciamo poi la provincia del Free State ed entriamo in quella del Kwazulu-Natal, per giungere, poco prima delle 13:00, all’ingresso della Spioenkop Nature Reserve. Questa modesta riserva, istituita intorno al lago formato dall’omonima diga, si trova proprio sulla nostra rotta e, offrendo la possibilità di osservare un po’ di fauna selvatica, decidiamo dei dedicargli un tantino del nostro tempo. Varchiamo il gate di ingresso al sito e subito ci rechiamo nella rest-area, sulle rive del lago, per pranzare, quindi affrontiamo le poche strade sterrate praticabili alla ricerca di animali e, a parte qualche antilope, all’inizio è una piccola delusione, poi seguendo l’ultimo loop in parte rimediamo, collezionando la vista di tante zebre, ma non le sperate giraffe. Lasciamo la Spioenkop Nature Reserve con sollecitudine poco dopo le 14:00, perché ci attendono ancora tanti chilometri per giungere al termine della tappa. Attraversiamo ora quella vasta regione che un tempo fu il regno della nobile popolazione zulù, scontratasi sul finire dell’Ottocento con l’esercito inglese (la cosiddetta guerra anglo-zulù). Queste ostilità diedero luogo a sanguinose battaglie, ricordate con numerosi siti commemorativi, che spesso ci capita di incontrare lungo il percorso … Ne prendiamo atto, ma non li visitiamo. Notiamo però che la povera popolazione locale vive tutt’ora, spesso, in semplici tukul dal tetto di paglia. Dopo un’altra impegnativa tappa, compreso un passo montano tutto su strada bianca, giungiamo, passate da poco le 18:00 e col buio ormai completo, nei pressi della città di Ulundi (antica capitale zulù) all’Uzumi Ondini Guest House, una sorta di villaggio tutto fatto di moderni tukul, in due dei quali prendiamo alloggio. Lì, più tardi, ceniamo sotto ad un grande albero e ad una magnifica stellata, di fianco ad un focolare acceso … una bella esperienza, allietata anche dall’inebriante distillato di marula, un frutto selvatico tipico della zona, che così impariamo a conoscere.

Martedì 20 Agosto:

Primo giorno del viaggio dedicato alle grandi riserve sudafricane … infatti, per l’emozione, appena suona la sveglia, alle 5:30, in pochissimo tempo il piccolo Leo è già vestito e pronto a partire. Non c’è tempo per consumare la colazione, compresa nel prezzo della stanza, così ci facciamo consegnare i cestini e alle 6:30 siamo già per strada, a macinar chilometri verso il Cengeni Gate, l’ingresso più meridionale dell’Hluhluwe-Imfolozi Park. Nella più antica riserva del continente africano (istituita nel 1895), sono presenti tutti i cosiddetti big five (elefante, leone, leopardo, rinoceronte e bufalo), ma sono difficili da vedere, in compenso all’interno del parco è presente la più grande popolazione di rinoceronte bianco al mondo, con oltre 1600 esemplari. Percorsi una trentina di chilometri, intorno alle 7:00, varchiamo finalmente il gate, dove ci registrano e ci fanno un sacco di domande, compresa quella se abbiamo armi da fuoco, che un po’ ci stupisce, ma che forse non è completamente fuori luogo, visti i numerosi episodi di bracconaggio che si verificano. Subito dopo ci fermiamo a fare una veloce colazione e poi ci avventuriamo lungo le strade sterrate del parco, nella zona a sud, quindi in quella di Imfolozi. Inizialmente non vediamo grandi cose, solo qualche impala (un’antilope molto diffusa), poi ci affacciamo su di un’ansa del fiume Witmofolozi e, tornando sui nostri passi, ci avviamo verso il cuore del parco. In questo modo avvistiamo con immenso stupore, in lontananza, prima un rinoceronte, poi un elefante e un altro ancora. Passiamo da Mpafa Hide, ma la cascata e la relativa pozza sono completamente secche… peccato. Ciò non ci impedisce di vedere, poche centina di metri più avanti, due splendidi rinoceronti bianchi proprio a bordo strada, con tanto di bufaghe, degli uccellini passeriformi che stazionano quasi costantemente, per simbiosi, sul dorso dei grandi mammiferi. Seguendo la pista poco dopo incrociamo uno gnu e due bellissime giraffe, oltre ad alcune zebre… dobbiamo però prendere atto che, causa la siccità, le pozze sono quasi tutte in secca. Successivamente imbocchiamo il Sontuli Loop, inoltrandoci nella zona del parco dove si potrebbero vedere anche i leoni, ma, soprattutto, i rari wild dogs, però non siamo fortunati. Allora ci affacciamo dall’alto sul corso del fiume Black Mfolozi, avvistando poco dopo alcuni facoceri e due bufali fra la sterpaglia. Gli incontri si fanno poi sempre più radi, anche perché l’importante zona umida di Ubhejane Hide è completamente asciutta. In questo modo riguadagniamo la strada asfaltata che si dipana nella parte centro settentrionale del parco per giungere, poco dopo mezzogiorno, nell’area del Centenary Centre, dove ci fermiamo a pranzare, con il barrito di alcuni elefanti in lontananza. A pancia piena riprendiamo poi l’itinerario e passando sotto alla strada R618, che divide praticamente a metà il parco, ci inoltriamo nella sua parte settentrionale, ovvero in quella di Hluhluwe. Prima su asfalto e dopo seguendo una deviazione su sterrato alla nostra sinistra, che porta al Seme Lookout, partiamo alla grande, avvistando un bel gruppo di giraffe proprio di fianco alla carreggiata, poi alcune magnifiche zebre con tanto di cucciolo, un rinoceronte che fa la pennichella e un elefante in lontananza, quindi lungo il Mansiya Nzimane Loop altre zebre che invadono la sede stradale ed un piccolo coccodrillo sulle rive di un torrente quasi in secca. Fra magnifici panorami, in seguito, imbocchiamo la pista che va a nord costeggiando il fiume Hluhluwe, pieni di aspettative, ma qui non facciamo importanti avvistamenti, solo qualche antilope e due belle tartarughe in uno stagno. Riguadagnata così la strada principale, asfaltata, torniamo con sollecitudine verso sud e l’uscita del parco, perché si sta facendo tardi. Ciò non ci impedisce di vedere ancora una bella mamma rinoceronte con piccolo, un folto gruppo di babbuini ed un branco di giraffe, ormai nella calda luce del tardo pomeriggio. Usciamo estremamente soddisfatti dall’Hluhluwe-Imfolozi Park poco dopo le 17:00 e subito ci precipitiamo verso il termine della tappa. In questo modo scendiamo in direzione del mare, mentre il sole corre inesorabile contro la linea dell’orizzonte, e arriviamo nella località di St. Lucia col buio già completo. Prendiamo alloggio a The Bridge Unit 30, una sorta di condominio con appartamenti in affitto, quindi usciamo a cena nelle vicinanze, da Alfredo’s, un bel locale gestito da un romano nato in Sudafrica, col quale scambiamo quatto piacevoli chiacchiere, assaporando fra l’altro buona carne di impala, della quale va fiero. La giornata però non è ancora finita, St. Lucia infatti va famosa per gli ippopotami, che a volte, di notte, si possono vedere mentre vagano nel villaggio, così, quasi per scherzo, dopo cena facciamo un giro nei paraggi e lungo la via principale ne incontriamo uno che sta tranquillamente brucando l’erba! … È sempre più incredibile ed emozionante questo paese, che ogni giorno sa riservarci sorprese grazie alla strabiliante ricchezza della sua natura.

Mercoledì 21 Agosto:

Sveglia presto e già pronti alle 7:00 sul vicino molo, presso il ponte che scavalca il fiume emissario del St. Lucia Lake, per prendere parte alla Hippo & Croc Boat Cruise, prenotata fin da casa. Poco più tardi salpiamo, in compagnia di un’altra decina di persone, a bordo di una sorta di chiatta, alla ricerca soprattutto di ippopotami, per i quali la zona va famosa, ma anche di coccodrilli. Per avvistare i primi non dobbiamo impegnarci troppo, perché già si notavano in lontananza dal pontile e, naturalmente, dalla barca si vedono meglio… molto meglio! Navighiamo così lungo il corso d’acqua per circa novanta minuti, osservando, spesso molto da vicino, tanti irascibili ippopotami, che litigano ripetutamente fra di loro e che, in certe situazioni, risultano fra i più pericolosi animali selvatici anche per l’uomo… Un’esperienza incredibile, che difficilmente dimenticheremo! Lungo il tragitto scorgiamo anche qualche coccodrillo, che poi osserviamo meglio, quasi al termine dell’escursione, in un canale laterale. Sbarcati al punto di partenza, poco dopo le 9:00, torniamo alla Unit 30 a recuperare le valigie e poi partiamo per l’odierna tappa su strada. Andiamo a nord di St. Lucia e percorsi alcuni chilometri entriamo nell’iSimangaliso Wetland Park, la terza più grande area protetta del Sudafrica, alla quale in verità appartiene anche la zona degli ippopotami esplorata in mattinata. Fu istituita, in vari step, a partire dal 1895 e nel 1999 venne dichiarata anche Patrimonio dell’Umanità dell’Unesco, con una manifestazione alla quale prese parte anche Nelson Mandela. ISimangaliso in lingua zulù significa “una meraviglia”… e con questi presupposti varchiamo il Bhangazi Gate per inoltrarci nella Eastern Shore, ovvero la sezione più orientale del parco, che si sviluppa fra il Lake St. Lucia e l’Oceano Indiano. Qui si trovano tutti i più famosi animali africani, ma non i predatori, ad eccezione del raro leopardo. Cominciamo a seguire la strada principale, asfaltata, e da lì imbocchiamo, uno dopo l’altro, tutti i loop laterali, su percorso sterrato. In questo modo ci rendiamo presto conto che il parco è sì molto verde ed ha, in alcuni punti, una fitta vegetazione, ma gli animali di certo non abbondano. Ciò nonostante vediamo qualche antilope e alcune simpatiche scimmiette, prima di affacciarci sull’oceano a Mission Rock, dove, di poco al largo, notiamo sbuffare una inconfondibile balena. Successivamente, affrontando alcune piste secondarie ci imbattiamo in due bei rinoceronti ed un elegante kudu, quindi, dopo aver toccato le rive del St. Lucia Lake a Catalina Bay, ci affacciamo nuovamente sull’oceano nell’immensa spiaggia di Cape Vidal, dove ci fermiamo per goderci una passeggiata sulla soffice e chiara sabbia che la caratterizza. In questo splendido e selvaggio luogo vorremmo far sosta per pranzare, ma la presenza nei paraggi di tante vivaci scimmiette in agguato ci sconsiglia di farlo, così consumiamo i nostri panini poco più tardi lungo il Grassland Loop, che si inoltra, fra immense brughiere, nelle zone più aperte della riserva. Qui, nel primo pomeriggio, avvistiamo delle splendide zebre e alcuni bufali, prima di riguadagnare la strada principale e uscire da questa sezione del parco intorno alle 14:00. Tornati nel centro di St. Lucia ne approfittiamo per fare rifornimento e poco dopo, scavalcato il fiume verso l’interno, superiamo il Dukuduku Gate per entrare (dopo aver pagato nuovamente l’ingresso) nel Western Shore dell’iSimangaliso Wetland Park, che si sviluppa ad occidente del St. Lucia Lake. Anche in questa zona del parco (ancor più che in quella precedente) gli animali non abbondano e comunque, oltre ai soliti erbivori, vediamo un bel branco di giraffe (certo che stiamo diventando esigenti!), poi seguiamo l’Umthoma Aerial Boardwalk, un percorso che culmina con una passerella fra gli alberi, e, passati da un’importante pozza, purtroppo secca, arriviamo nuovamente fin sulle rive del St. Lucia Lake a Charters Creek, prima di uscire definitivamente dal parco attraverso il Nhlozi Gate verso ovest. In questo modo guadagniamo la strada numero 2, pedinando la quale, per circa ottanta chilometri vero nord, giungiamo, intorno alle 18:00 e praticamente al buio, nella località di Mkuze, dove brighiamo un po’, ma alla fine troviamo il Biweda Ngoni B&B che ci ospiterà per la notte. Ceniamo, non tanto bene, nel vicino Country Club e poi, soddisfatti degli eventi, andiamo presto a dormire, in previsione della prima di una bella serie di levatacce nei prossimi giorni.

Giovedì 22 Agosto:

La sveglia suona alle 5:00… Così, dopo una striminzita colazione in camera partiamo dal Biweda B&B verso l’eMshophi Gate dell’uMkhuze Game Reserve, che dista una ventina di chilometri. Questa riserva, nella quale in teoria si potrebbero vedere tutti i big five, è stata creata nel 1912 ed oggi costituisce la sezione nord-occidentale dell’iSimangaliso Wetland Park. Già prima delle 7:00 siamo dentro al parco e subito incontriamo tre belle giraffe, poi uno gnu lungo la strada sterrata che giunge alla pozza di kwaMalibala, che però è completamente secca, quindi deserta. Proseguiamo allora sulla via principale per poi imboccare quella secondaria che conduce ad un’altra pozza, quella di kuMahlala, ma anche questa è senz’acqua. Continuiamo quindi sul nastro d’asfalto che va verso il settore est del parco, lungo il quale notiamo montagne di escrementi, ma non i colpevoli, purtroppo. Arriviamo così al punto di osservazione sul vasto lago Nsumo, formato dall’Mkuze River, ma qui, oltre a qualche uccello, dobbiamo accontentarci solo dei versi di alcuni ippopotami in lontananza. Ripartiamo, non troppo entusiasti, verso la zona meridionale della riserva, in gran parte bruciata dagli incendi controllati, una pratica molto diffusa e ritenuta utile per il buon funzionamento dell’ecosistema in Sudafrica, e qui invece vediamo giraffe, zebre e gnu, oltre ad un superbo rapace, probabilmente un’aquila. Tornando con sollecitudine verso l’uscita del parco ci fermiamo poi, senza troppe aspettative, anche alla pozza di kuMasinga, che ci saremmo aspettati secca, come tutte le altre … niente di più sbagliato, perché invece c’è ancora tanta acqua e le sue rive sono più vive che mai! Ci appostiamo nel punto di osservazione, restando quanto più possibile in silenzio, e ci godiamo letteralmente questo piccolo paradiso terrestre, che da solo vale l’intera mattinata … Uno dopo l’altro arrivano infatti ad abbeverarsi le più svariate specie di animali, dalle antilopi agli gnu, dalle zebre ai facoceri e poi le scimmie, ma anche tanti volatili dai colori sgargianti … una indescrivibile esperienza (a sorpresa) che ci ha riempito di gioia interiore. In questo modo però si fa tardi e dopo ci precipitiamo verso l’uscita del parco. Torniamo a Mkuze, dove facciamo spesa prima di riprendere il nostro itinerario verso nord sulla strada numero 2. Così facendo, dopo meno di un’ora, giungiamo al confine con lo Swaziland e lì ci apprestiamo a superare il border post di Golela. È una dogana africana, per cui serve armarsi di pazienza… e in circa mezzora, dopo un’infinità di timbri, entriamo finalmente nel piccolo e povero regno di eSwatini, come il suo sovrano (Mswati III) ha deciso di chiamarlo da un anno a questa parte. Ad esclusione di qualche riserva privata di caccia non ci sono però in questo stato particolari punti di interesse, quindi, dovendo attraversarlo nel minor tempo possibile, ci lanciamo spediti lungo le sue strade. In questo modo, dopo una manciata di chilometri, restiamo inevitabilmente vittime di un locale laser-autovelox… Novanta chilometri orari laddove il limite è di sessanta … epperò! … Sessanta inesorabili Rand di multa, l’equivalente di ben quattro euro, da pagare immediatamente! Però, vista la cifra, è quasi un piacere, e a costo di far la collezione di multe riparto subito, senza remore! Poco più avanti ci fermiamo a pranzare ai bordi della carreggiata, quindi, causa lavori, affrontiamo anche un lungo tratto di sterrato e riguadagniamo il confine con il Sudafrica alla dogana di Mananga. Questa volta le procedure sono più snelle ed in breve rientriamo nella Nazione Arcobaleno, lungo le strade appartenenti alla provincia del Mpumalanga. Ci fermiamo a far spesa e rifornimento nel paese di Sibayeni e subito ripartiamo perché il tempo è tiranno. In tal modo sfioriamo la frontiera con il Mozambico, nella località di Komatipoort, e da lì ci avviamo verso il gate di Crocodile Bridge del celeberrimo Kruger National Park, primo parco nazionale sudafricano, istituito nel 1926, a partire dall’originaria riserva risalente al 1902, che nel tempo si estese gradualmente. Oggi il parco ha una superficie di quasi ventimila chilometri quadrati, poco meno dell’intera Lombardia, ed è Riserva Internazionale dell’uomo e della biosfera sotto l’egida dell’Unesco. Arriviamo sul posto poco dopo le 16:30, giusto in tempo per espletare le formalità d’ingresso e puntare verso il camp di Lower Sabie, dove alloggeremo questa notte. Appena entrati in questo mitico parco facciamo tantissimi avvistamenti, a partire dagli elefanti, ma anche zebre, gnu, giraffe e i più svariati ungulati, poi con le calde luci del tramonto giungiamo in vista del camp. Prima di varcare il cancello, però, andiamo alla vicina Sunset Dam, un bacino lacustre dove, fra i riflessi dorati delle sue acque, notiamo coccodrilli e ippopotami, anche sovrastati da impavidi trampolieri, e tanti altri uccelli, fra i quali alcune cicogne della specie dal becco giallo… un’altra eccezionale esperienza. Entriamo poi nel camp e prendiamo possesso dei nostri bungalow, quindi andiamo a cena nel ristorante sulla terrazza che sovrasta il fiume Sabie… tutto intorno, nella notte africana, si odono tanti versi, a volte anche inquietanti, mentre troneggia su di noi un magnifico cielo stellato, nel quale si distingue anche la Via Lattea… una sensazione, a dir poco, emozionante! Ed è solo l’inizio, crediamo, del magico Kruger National Park…

Venerdì 23 Agosto:

Oggi è il primo vero e proprio giorno all’interno del Kruger National Park e vogliamo iniziare, dopo una inevitabile levataccia che ci fa lasciare il camp poco dopo le 6:00, esattamente da dove eravamo rimasti ieri sera al tramonto, ovvero dalla Sunset Dam, anche questa mattina brulicante di vita. Ci avviamo poi lungo il percorso studiato preventivamente attraverso il parco, imboccando la pista S28 verso sud, attorniati da qualche mattutino banco di nebbia, che non ci impedisce di fare subito il primo importante incontro: due splendidi leoni, appostati sul ciglio della strada, che si dileguano presto nel brumoso paesaggio circostante. Arriviamo così al punto di osservazione di Nthahdanyathi Hide, affacciato su di un piccolo corso d’acqua, dove vediamo un bell’esemplare di cicogna dal becco a sella, che risalta per i suoi sgargianti colori, e più in lontananza, appollaiata su di un ramo, un’elegante aquila pescatrice. Ripresa strada, subito dopo, facciamo un altro eccezionale avvistamento: a pochi metri di distanza dalla nostra auto scorrazzano, infatti, una mamma leopardo ed il suo cucciolo, che ci fermiamo a contemplare fin quando non si dileguano entrambi fra la vegetazione. Riguadagnato l’asfalto della strada H4-2 ci avviamo poi verso la parte sud-occidentale del parco lungo le piste H5 ed S26, dove incontriamo, in successione, gruppi di giraffe, zebre ed elefanti, anzi, ad un certo punto ci troviamo nel bel mezzo di un branco di pachidermi … poi di nuovo zebre e ancora elefanti… Sono da poco passate le 9:00 e abbiamo già visto una quantità impressionante di animali! In seguito la strada sterrata S114 ci fa giungere all’incrocio con il nastro d’asfalto della H1-1, da dove, andando a sinistra arriviamo prima al bel punto panoramico di Mathekeyane, quindi, dopo altri avvistamenti ormai di routine, alla breve deviazione per la Transport Dam, un piccolo specchio d’acqua dove ci sono ad abbeverarsi una quantità impressionante di gnu ed impala. A breve distanza poi, all’ombra di alcuni cespugli, tre magnifiche leonesse… fantastico! Alla successiva pozza, quella di Nwaswitshaka, c’è invece un curioso ippopotamo sul cui dorso si contano almeno quattordici tartarughe e negli arbusti circostanti centinaia di piccoli uccelli che si spostano a sciami, continuamente ed in modo quasi nevrotico. Subito dopo, lungo il tragitto, ancora diversi elefanti, prima di approdare al punto di osservazione di Lake Panic Bird Hide dove, in un paesaggio incantato, si possono scorgere tanti uccelli e tartarughe, oltre ad un enorme coccodrillo, mentre in una pozza adiacente tre elefanti provvedono a cospargersi di fango. Al termine di quest’ultima esperienza entriamo nel vicino camp di Skukuza, il più grande del parco, e lì andiamo a pranzare in un’apposita area, dove Leonardo si mette a piangere per lo spavento quando una scimmietta gli ruba dalle mani un pezzetto del suo prezioso panino. Alla ripresa delle “ostilità” con il Kruger ripartiamo alla grande, con una impressionante sfilata di elefanti che ci attraversano al strada, poi, scavalcato il fiume Sabie, ci avventuriamo più a nord, in una zona prevalentemente più arida, viste le pozze tutte in secca, con gli animali che progressivamente spariscono alla nostra vista. Passiamo dal memoriale dedicato a Paul Kruger, leader boero a cui il parco fu dedicato come gesto di riconciliazione da parte dell’amministrazione britannica nel 1926, e pochi chilometri più avanti saliamo anche al punto panoramico di Mkumbe, alla sommità di una delle rare colline della zona, per immortalare la vastità della savana dall’alto. Al punto di osservazione della Orpen Dam, uno sbarramento lungo il corso dello Nwaswitsontso River, in uno splendido scenario naturale, torniamo poi a fare qualche avvistamento. Quindi, seguendo il corso del fiume verso nord, incontriamo un folto branco di gnu, ma anche elefanti e tante giraffe, infine seguendo un breve deviazione andiamo a vedere il baobab più a sud del parco, una pianta colossale e affascinante. Intorno alle 17:30 facciamo il nostro ingresso nel Satara Rest Camp, uno dei più noti del Kruger, che ci ospiterà per la notte, ma la giornata non è affatto finita, perché ci attende un safari notturno, che prenderà il via dalla réception alle ore 20:00. Con sollecitudine andiamo a cena nel ristorante del camp e poco prima dell’orario previsto ci presentiamo al via del tour… Saliamo così a bordo di un grosso mezzo fuoristrada scoperto e con quello ci avventuriamo al buio e al freddo della notte sudafricana. Durante le due ore dell’escursione vediamo alcune iene, uno sciacallo, un porcospino, alcune genette (piccoli felini dalla lunga coda), un branco di zebre ed un elefante… bene, ma non benissimo, perché ci aspettavamo qualcosa di più. Alla fine ci ritiriamo in camera, sfiniti dopo una lunghissima ma indimenticabile giornata, consumata nell’affascinante natura del Kruger National Park.

Sabato 24 Agosto:

Dormito bene nel Satara Rest Camp, ma troppo poco, solo dalle 23:00 alle 5:00, ma non abbiamo alternative, del resto non possiamo proprio lasciarci sfuggire le occasioni che ci propone questo magico luogo. Trascorse così due settimane dall’inizio della vacanza ci svegliamo ancora nel Kruger National Park e dopo una veloce colazione partiamo per una nuova giornata di avvistamenti. Andiamo ad est del camp, in direzione del confine con il Mozambico ed in quella che dovrebbe essere la zona migliore del parco per vedere i leoni… In principio però non incontriamo nessun felino, solo qualche struzzo ed una splendida iena. In questo modo arriviamo alla Gudzani Dam, dove c’è acqua, ma nessun animale ad abbeverarsi, quindi imbocchiamo la pista S100, nota per essere la strada dei leoni. Lungo il tracciato notiamo un inquietante avvoltoio dalla testa rossa appollaiato in cima ad un albero, un grosso lucertolone ed un nutrito branco di babbuini, poi… all’ombra di un cespuglio, tre magnifici leoni… bingo! Ci fermiamo e spegniamo il motore dell’auto per osservare la scena. Attendiamo con pazienza e ad un certo punto uno dei tre si alza e ci viene incontro. È un esemplare non più tanto giovane e si nota dall’andatura non proprio fluida, però si fa una bella passeggiata e noi pian piano lo seguiamo, così possiamo scattare alcune foto da pochissimi metri… molto bene! Poco più tardi chiudiamo con successo il cerchio ripassando dal Satara Rest Camp, quindi andiamo ad ovest lungo la strada asfaltata H7 e in breve giungiamo alla pozza di Nsemani Dam. Qui ci sono un sacco di auto ferme e subito capiamo che c’è un importante avvistamento… Un folto branco di leoni (circa una ventina) si è infatti recato ad abbeverarsi e naturalmente tutti gli altri animali hanno lasciato campo libero … peccato solo che ciò avvenga piuttosto in lontananza. Dopo proseguiamo sulla H7 e, notato qualche bufalo, conquistiamo il punto panoramico di Bobbejaan Krans, che spazia dall’alto di una collina sulla savana e sul sottostante corso del Timbavati River, praticamente in secca. Da qui imbocchiamo poi lo sterrato S39, che segue le anse del fiume, facendo, purtroppo, pochi avvistamenti, se si esclude qualche zebra, fino a raggiungere la Timbavati Picnic Area, preceduta da un bel baobab. Ripresa la strada, al termine di una breve sosta, andiamo ancora lungo il fiume e in questo modo incontriamo alcuni kudu, oltre a qualche esemplare di otarda kori, un grosso uccello dalla livrea marrone, con inserti bianconeri, e un bello stormo di cicogne appollaiate su di un grande albero completamente spoglio, prima di riconquistare l’asfalto della H1-4, che prendiamo a seguire verso nord. Così facendo, per mezzo di un lungo ponte, scavalchiamo lo spettacolare corso dell’Olifant River, sulle cui verdissime sponde stazionano tanti animali, e lasciamo la provincia del Mpumalanga per entrare in quella del Limpopo. Passiamo dal punto panoramico di Nwamanzi e successivamente facciamo il nostro ingresso nell’Olifant Rest Camp, così da pranzare e godere del panorama dall’apposita terrazza su di una delle più belle anse del fiume Olifant, mentre intorno a noi volteggiano uccelli dai mille colori e più in basso scorrazzano gli ippopotami. Alla ripresa dell’itinerario, lungo la pista S44, passiamo da un altro paio di punti panoramici sull’Olifant River, quindi prendiamo a seguire il corso di un suo affluente: il Letaba River. Transitiamo accanto al Von Wielligh’s Baobab, sul quale l’omonimo personaggio (un topografo) incise il suo nome nel 1891 e poi, fiancheggiando sempre il fiume, incontriamo un bel branco di elefanti. In questo modo sfioriamo il Letaba Rest Camp e subito dopo imbocchiamo uno sterrato che ci porta fino a Mantambeni Hide, un punto di osservazione sul fiume Letaba, interessante ma non entusiasmante. Sulla via del ritorno da Mantambeni Hide, ad un certo punto, un elefante ci sbarra la strada e perdiamo un po’ di tempo, così, riconquistata la strada asfaltata H1-6 andiamo spediti verso nord, fino alla pozza di Malopenyana. Qui c’è un nutrito gruppo di pachidermi ad abbeverarsi e trastullarsi nell’acqua, allora scattiamo le dovute foto del caso e poi ci rimettiamo, con sollecitudine, in moto, perché si sta facendo davvero tardi. Dobbiamo però fare i conti con un grosso elefante che intralcia completamente la strada e viene diritto verso di noi, obbligandoci a fare retromarcia e ad attendere i suoi comodi. Questo imprevisto ci fa perdere così altro tempo e la possibilità di vedere l’ultima pozza di giornata, ma non è tutto, perché più avanti un terzo elefante ci intralcia momentaneamente la via e in extremis (solo dieci minuti prima della chiusura) riusciamo a varcare il gate del Mopani Camp, che ci ospiterà per la conclusiva notte all’interno del Kruger National Park. Ci consegnano il nostro chalet (un’intera casa tutta per noi) e poi, sotto ad una splendida stellata, andiamo a cena nel ristorante del camp, prima di portare fra le lenzuola i magnifici ricordi di un’altra indimenticabile giornata.

Domenica 25 Agosto:

Con la vacanza che volge ormai al termine ci apprestiamo a consumare l’ultimo dei nostri personalissimi capitoli all’interno del Kruger National Park. Poco dopo le 6:00 lasciamo così il Mopani Camp, accompagnati da un’alba infuocata, e imboccata la pista S142 passiamo da due punti di osservazione sul vicino Tsende River… completamente deserti, se si esclude qualche raro ippopotamo. Seguendo poi un loop che si dipana a nord-ovest del camp vediamo un bel bufalo, molto da vicino, ed una solitaria iena, quindi battiamo un lungo tratto disseminato di enormi termitai, senza fare grossi avvistamenti, e riconquistato l’asfalto della strada H1-6 giungiamo al punto in cui passa il Tropico del Capricorno, evidenziato da un piccolo monumento. Subito dopo ci avviamo per un altro loop su sterrato, che attraversa una zona particolarmente arida, fino a conquistare la Tihongonyeni Waterhole, dove ci sono ad abbeverarsi parecchi animali, fra i quali tante zebre, alcuni elefanti ed uno schivo sciacallo. Proseguendo oltre questa pozza, in una zona più umida popolata da molti pachidermi, chiudiamo infine una sorta di cerchio, tornando in vista del Mopani Camp, e lì imbocchiamo la strada asfaltata H14 che va verso l’uscita del parco. Ci fermiamo ancora lungo il percorso ad una deviazione sul Letaba River, dove incontriamo un branco di zebre, e poi alla pozza di Nandzama, nella quale vediamo un bel gruppo di elefanti, zebre ed impala, che sembrano volerci salutare, poi usciamo dal Phalaborwa Gate e, pensandoci bene, lasciamo il mitico Kruger National Park con tantissime esperienze positive, ma senza aver incontrato nemmeno un rinoceronte… e per fortuna lo abbiamo visto molto bene in altre riserve. Facciamo rifornimento e poi partiamo subito verso la successiva meta, così, poco prima delle 13:00, lasciamo la provincia del Limpopo per tornare nel Mpumalanga e giungere nei pressi della Blyde Poort Dam, una grande diga situata nella parte bassa del Blyde River Canyon, il terzo canyon più grande al mondo, con i suoi 26 chilometri di lunghezza e ottocento metri di profondità. Il paesaggio circostante, formato da picchi in arenaria rossastra, è molto suggestivo e ricorda il west americano, così scattiamo qualche foto dalle rive del lago, all’imbocco della voragine, quindi pranziamo con i nostri panini prima di ripartire per la parte alta del canyon, che dista “solo” un centinaio di chilometri. Tornando anche momentaneamente nel Limpopo affrontiamo lo scenografico Abel Erasmus Pass e poi imbocchiamo la strada R532, che si sviluppa a breve distanza dal bordo del canyon. Così facendo arriviamo al punto panoramico di The Three Rondavels (a pagamento) e, parcheggiata l’auto, possiamo finalmente affacciarci dall’alto sull’impressionante baratro formato dal Blyde River, che serpeggia diverse centinaia di metri più in basso. La vista è meravigliosa, nonostante un po’ di foschia, e lascia senza fiato, con la formazione rocciosa di The Three Rondavels: tre asperità tondeggianti che ricordano vagamente le capanne locali (rondavels), che domina letteralmente la scena. Ci godiamo lo spettacolo dalle varie terrazze e poi ci spostiamo di qualche chilometro al punto panoramico di Lowveld, meno importante del precedente, ma comunque grandioso. Da lì, in una manciata di minuti, giungiamo poi al sito di Bourke’s Luck Potholes, laddove il piccolo affluente Treurriver si getta nel fiume Blyde formando una serie di gole e voragini impressionanti, purtroppo già nell’ombra del pomeriggio avanzato. Ripresa strada, in una regione montana molto verde, andiamo quindi a vedere alcune cascate, anche se la stagione attuale è quella secca e non possiamo aspettarci grosse portate. Parcheggiata l’auto ci affacciamo prima di tutto sulle Berlin Falls, un filo d’acqua che si getta da una bella parete rocciosa alta circa ottanta metri, e poi, a breve distanza, sulle Lisbon Falls, meno spettacolari anche se le più alte della provincia con i suoi 94 metri, ma comunque intriganti. Da quest’ultima cascata ci avviamo infine, con le ombre ormai lunghe della sera, lungo la strada R534, che offre diversi spunti panoramici, ma la semioscurità e la foschia non ci permettono di godere delle opportunità in dote ai vari Wonder View, God’s Window e The Pinnacle. In questo modo approdiamo nella località di Graskop, dove prendiamo alloggio, per l’ultima notte in Sudafrica, in un cottage del Log Cabin & Settlers Village. Sistemiamo le valigie, in vista della partenza verso casa di domani, e poi usciamo a cena nel vicino Canimambo Restaurant, che a suo modo ci accompagna positivamente verso l’epilogo della vacanza.

Lunedì 26 Agosto:

Sveglia “con calma” poco prima delle 7:00 al Log Cabin e dopo aver sistemato definitivamente le valigie da lì prendiamo il via per questa ultima giornata in Sudafrica, che ci condurrà fino all’aeroporto di Johannesburg… ci resta però da fare i turisti ancora per buona parte della mattinata. La zona montuosa compresa fra Graskop, dove ci troviamo, e la vicina cittadina di Sabie, va famosa per diverse cascate e noi le andremo a scovare, anche se, come già detto, siamo nella stagione secca e saranno povere d’acqua. Le prime, che si trovano poco fuori Graskop e si chiamano Panorama Falls sono, oggi, totalmente asciutte, così risparmiamo il biglietto d’ingresso e andiamo spediti verso le seconde. Lungo il percorso ci fermiamo a vedere il modesto Natural Bridge e poi arriviamo all’ingresso delle Mac-Mac Falls, che apriranno i battenti alle 8:00 … Mancano solo dieci minuti, ma grazie alla puntualità africana ne attendiamo almeno il triplo. Alla fine entriamo e, parcheggiando un po’ indispettiti, da lì ci rechiamo al cospetto delle cascate: un bel salto di 65 metri in un accattivante scenario naturale … non male, ma dopo tutto quello che abbiamo visto negli ultimi giorni … Ripreso il via arriviamo a Sabie e subito andiamo a vedere l’omonima cascata, situata proprio sotto al ponte della strada principale … nulla di eccezionale, ma almeno risalta, essendo esposta completamente al sole. Nei dintorni del paese ci sono almeno altri due interessanti salti d’acqua, così, percorrendo anche uno sterrato, ci rechiamo alle Bridal Veil Falls, che, piuttosto aride, ci accontentiamo di osservare in lontananza, quindi ci approssimiamo alle Lone Creek Falls, che invece meritano di essere esplorate più da vicino. Parcheggiata l’auto, con una breve passeggiata, arriviamo così alla loro base e lì terminiamo, in pratica, le straordinarie visite di questo indimenticabile viaggio. Ora rimane solo il tragitto per arrivare a Johannesburg: scendiamo così dalle montagne fino ad incrociare la strada numero 4 che va in quella direzione … appena trecento comodi chilometri attraverso l’ondulato paesaggio di queste regioni centrali del Sudafrica. Abbandoniamo il Mpumalanga per entrare nella provincia del Gauteng, comprendente la capitale della Nazione Arcobaleno, e dopo aver pranzato in un’area di servizio ci approssimiamo alla meta. Ci fermiamo a fare il pieno al fedele Vito, che poco dopo riconsegniamo alla Avis. Con lui in Sudafrica abbiamo percorso la bellezza di 6232 chilometri, in gran parte polverosi, tanto che è arrivato un po’ provato, senza un copricerchio, e decisamente sporco, ma soprattutto integro al traguardo … grazie a lui! Entriamo nel Tambo International Airport, facciamo check-in imbarcando le valigie direttamente per Bologna e poi, dopo aver oltrepassato la dogana ed i controlli di sicurezza, ci mettiamo in attesa del nostro volo (TK 043) alla porta A6. Non ci sono ritardi e quando scendono le prime ombre della sera su Johannesburg, alle 18:18, ci stacchiamo da terra a bordo dell’Airbus A330 della Turkish Airlines virando subito verso nord. Così facendo in breve si fa notte fonda e il nuovo giorno scocca mentre veleggiamo sul cuore del continente africano.

Martedì 27 Agosto:

Ancor prima che albeggi facciamo una prematura colazione, mentre sotto di noi serpeggia il corso del mitico Nilo, e poco più tardi cominciamo la discesa verso Istanbul, dove atterriamo alle 3:19 locali.

L’alba la vediamo quindi dalle sale del grande aeroporto turco, nelle quali pazientiamo tanto prima di salire sull’Airbus A320 della Turkish, che identificato come volo TK 1321, alle 8:59, prende quota verso Bologna.

Lungo la rotta sorvoliamo la penisola balcanica e poi planiamo verso l’Italia per toccare terra nell’Aeroporto Marconi alle 10:05.

Ritiriamo sani e salvi tutti i bagagli, poi con la navetta riconquistiamo l’area di sosta e intorno alle 11:00 siamo già in viaggio verso casa sulla nostra auto.

Alle 11:35 usciamo dall’autostrada a Faenza e un quarto d’ora più tardi, alle 11:50, concludiamo felicemente, davanti al cancello di casa, questo strepitoso viaggio, un viaggio che finisce, a pieno merito, sul podio di tutte le nostre esperienze. Un concentrato di bellezze naturali e primordiali emozioni, attraverso un magico territorio (la Nazione Arcobaleno), compreso fra due oceani, agli antipodi del continente africano.

□ Dal 9 al 27 Agosto 2019

□ Da Cape Town a Johannesburg km. 6232

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