Quella volta col rinoceronte…

Le avventure di Patrizio nei parchi del Sudafrica
Patrizio Roversi, 07 Ott 2011
quella volta col rinoceronte...
Non mi sono mai divertito tanto come durante l’avventura nei Parchi del Sudafrica. È stata un’esperienza che ha riconciliato il mio spirito-bambino con valutazioni più “profonde” sulla natura e la sua conservazione. Ho provato eccitazione, divertimento, curiosità e persino un po’ di sana paura. Vedere gli animali in Africa è come visitare New York: ti sembra di avere già visto tutto in tv, nei documentari o nei telefilm, solo che finalmente è vero! Persino gli odori sembra d’averli già sentiti: quando ho sentito l’odore dei leoni o degli elefanti mi è venuto in mente… l’odore del circo! Ma non tutto è come te l’aspetti: spesso è meglio. Per me quello in Sudafrica è stato un viaggio fortunato: mi hanno coinvolto le contraddizioni del Paese e la sua storia politica e sociale, e poi la parte dedicata alla natura mi ha portato a vedere parchi e alcune delle riserve più belle, accompagnato da Milco (una guida entusiasta ed entusiasmante), assieme a un gruppo di amici, tra cui Irene Grandi (una meravigliosa compagna di viaggio). L’obiettivo di tutti i turisti-naturalisti-safaristi è quello di collezionare i Big Five, cioè di vedere da vicino elefanti, leoni, leopardi, bufali e rinoceronti. In realtà il primo animale che ho visto è stato un facocero, anzi, una facocera che è scappata con la coda dritta, seguita dai piccoli. La coda dritta sta al facocero come l’ombrellino sta alla guida turistica: serve a farsi seguire. A questo proposito è interessante studiare il deretano dell’impala, che non a caso è bianco a strisce nere, con un bell’effetto optical, che serve per essere visto dai piccoli che lo devono seguire ipnoticamente nella fuga. Ma torniamo al facocero: in quel caso ho corso un bel rischio. E non per colpa dell’animaletto buffo e assolutamente inoffensivo: il fatto è che appena l’ho visto ho esclamato «Pumba!», ricordandomi del Re Leone, e a quel punto Milco-il-Ranger ha quasi imbracciato il fucile per fulminarmi: «Per favore! In mia presenza chiamalo facocero!». Il leopardo non l’ho visto, ma ho visto di meglio: una gheparda con cinque cuccioli, una cosa mai vista! Milco-il-Ranger a momenti si mette a piangere dall’emozione. Anche i bufali li ho intravisti. Era notte, e li abbiamo “sentiti” vicino alla jeep: e a quel punto Milco-il-Ranger ha dato gas, perché pare che il bufalo sia l’animale più aggressivo e pericoloso che ci sia… Molto più pericoloso dei leoni, che ho visto a tu per tu, di notte, nella Riserva di Pinda. Zachele (il nostro scout) prima li ha illuminati con un faro a infrarossi, per non disturbarli troppo, poi per aiutarci a riprenderli meglio li ha illuminati anche con un faro bianco. Dormicchiavano nell’erba alta. Erano tanti, maschi e femmine. È lì che abbiamo avuto un po’ paura. Eravamo su una delle jeep fatte apposta per vedere gli animali, scoperta e con i sedili a platea, a scalare, per permettere a tutti di fotografare: e se qualche leone ci avesse attaccato, magari da dietro? Invece pare che i leoni siano dei bonaccioni, soprattutto in questi Parchi dove il cibo non gli manca. Nella Riserva di Pinda, appunto, ero alloggiato in un bungalow in mezzo al bush, tutto trasparente: le pareti erano di vetro (persino quella del bagno) in modo da vedere fuori eventuali animali, dalla poltrona come… dal water: uno spettacolo. Per raggiungere la reception del Lodge bisognava telefonare, e uno scout ti veniva a prendere. Ma, col mio pessimo inglese, non mi sono spiegato bene. Morale: sono andato in giro da solo. Sentivo una gran puzza di leone, e infatti mi hanno poi detto che ci sono passato in mezzo, senza accorgermene. Ma non ho corso un gran rischio. Molto più rischioso è fotografare un rinoceronte o un ippopotamo. Tempo prima un turista giapponese (senza guida!) era sceso dall’auto per prendere l’immagine dell’animale con lo sfondo dei suoi amici, che stavano appunto in macchina. Solo che non si è accorto di essersi messo fra il fiume e la bestia che, sentendosi braccata, lo ha caricato e ucciso. I rinoceronti, comunque, sono come i tartufi: quello bianco è più grosso e più raro e vale di più di quello nero… La cosa più emozionante forse è stata avvistare un branco di elefanti, anzi, di elefantesse. Quella degli elefanti è una società matriarcale, e il nostro branco era composto da molte femmine. Poi è arrivato il maschio, purtroppo. Infatti era un elefante ben noto a Milco-il-ranger, un elefante-mattocome-un-cavallo, famoso per il suo brutto carattere, chiamato appunto Gangster: era teso e nervoso, si metteva in bocca l’erba ma non masticava (Milco ha spiegato che è un brutto segno) e in pratica ci ha tenuti bloccati per mezz’ora. Alla fine Milco ci ha offerto un pic nic a base di carne secca e gin-tonic: lui si è bevuto una razione da ranger, io da facocero. E mi ha raccontato cose interessanti, riguardo al significato e alla gestione dei Parchi turistici, e al problema degli spazi naturali da lasciare intatti, a disposizione esclusiva della natura. Certo, non posso dire d’aver vissuto un vero safari: le Verdi Colline d’Africa di Hemingway sono un’altra cosa, Milco forse non era all’altezza di Philip Percival che fece da guida allo scrittore e alla moglie Paolina nel 1933, ma è stata una esperienza bellissima, in cui mi è spiaciuto non essere con Zoe, mia figlia. Un consiglio finale, che vale per una visita ai Parchi sudafricani e non solo: andateci come volete, ci sono formule diverse più o meno care e più o meno organizzate, ma non andateci da soli, prendete una guida! Magari costa, lo so, ma al di là dei rischi, senza guida correte il rischio di vedere e capire ben poco!