Per il Sudafrica, con tutti i mezzi

Perchè era da tanto tempo che coltivavo l'idea di visitare il Sud Africa? Cerco di ricostruire da quali origini si è formata in me questa curiosità: credo che, nel tempo, mi ero fatta l'idea di un luogo con paesaggi bellissimi, dal clima non eccessivo, una natura africana parzialmente domata dall'intervento occidentale....ma questo non era dato...
Scritto da: Livia Comandini
per il sudafrica, con tutti i mezzi
Partenza il: 31/01/2001
Ritorno il: 19/02/2001
Viaggiatori: in coppia
Perchè era da tanto tempo che coltivavo l’idea di visitare il Sud Africa? Cerco di ricostruire da quali origini si è formata in me questa curiosità: credo che, nel tempo, mi ero fatta l’idea di un luogo con paesaggi bellissimi, dal clima non eccessivo, una natura africana parzialmente domata dall’intervento occidentale…Ma questo non era dato di conoscere, perché mai avrei fatto turismo nell’apartheid, si fosse trattato pure del paradiso.

Ma adesso, che la situazione dal 1994 è cambiata, è giunto il momento di andarci, e di andarci presto, per poter prendere atto di una situazione nel pieno del cambiamento. Mi procuro perciò gli strumenti per capire meglio: oltre alla guida Lonely Planet, completa e politically correct, scopro l’esistenza di un libretto di Manifestolibri, “Verità senza vendetta”, curato da Marcello Flores, riguardante l’esperienza della commissione sudafricana per la verità e la riconciliazione; il Flores colloca le libertà raggiunte dal Sud Africa nel 1994 nel contesto del processo generale iniziato nel 1989, accanto agli inasprimenti nei confronti di Pinochet, e segnala la novità di questa Commissione rispetto ad altre istanze di giudizio analoghe (Norimberga, i processi contro criminali nazisti, ecc.) segnalando la novità della confessione in pubblico che si è avuta in questo caso, la quale, pur non comportando necessariamente il pentimento, provoca una specie di psicoterapia nelle vittime e nei carnefici. La commissione, presieduta dal vescovo Desmond Tutu, si è indirizzata piuttosto verso la ricerca della verità che della giustizia, “la scelta di non cercare vendetta contro i singoli criminali è motivata dalla volontà di rendere pubblici, conosciuti e condannati collettivamente i crimini del sistema nel suo complesso, quelli commessi in suo nome” (pag.57).

Insomma siamo partiti con queste cognizioni da verificare, per quanto possibile, nel corso delle nostre visite sul posto. Durban, gli Zulu, e i rinoceronti Si riesce ad evitare il viaggio preconfezionato ed intruppato: riesco a programmarlo con il sostegno di persone che abitano sul posto (Barbara: mwrnl@mweb.Co.Za) e facendo riferimento ai luoghi suggeriti dalla Lonely Planet. Ho evitato l’immenso Kruger Park,che mi dicono popolato più da turisti che da gazzelle, ed ho scelto il più limitato Hluhluwe nello Zululand, dove fra l’altro è curato il ripopolamento di rinoceronti bianchi; questo parco non dista molto dal lago costiero di Santa Lucia e dalle montagne del Drakensberg, per cui nel corso di una settimana siamo riusciti a visitare tutti questi posti ed altri ancora, facendo capo alla bellissima città di Durban, sulle sponde dell’Oceano Indiano. Durban mi ha ricordato un po’ San Diego nella California, per la cura del verde e per il tipo di piante che si vedono nei giardini e nelle aiuole pubbliche: non è la stagione delle Jacarande, e le Tibuchina la fanno da padrone: grandi alberi viola a palla! Io ne ho un cespuglietto in vaso, nella mia veranda in Friuli… Di grande interesse, anche per contrasto, il mercato indiano e specialmente quello della medicina tradizionale zulu, erboristeria ma anche molti ossi di animali e piccoli cadaveri vagamente puzzolenti di coccodrillini e di altri animali; riesco a fotografare la scena pagando 5 rand agli stregoni in posa. Le visite ai parchi sono di interesse superiore alla previsione! Non avevo immaginato l’emozione di girare per le piste con la macchina a passo d’uomo, scrutando i movimenti delle foglie per decifrare le forme degli animali! Ho dimenticato a casa il teleobiettivo, una delle poche volte che mi sarebbe servito, ma…Le foto riescono lo stesso, e nella foto bisogna di nuovo aguzzare la vista per trovare il soggetto. Alla fine, la refurtiva del safari è ricca, pur senza aver visto leoni: moltissimi rinoceronti, gazzelle impala e nyala, zebre, gnu, facoceri, e qualche ippopotamo e babbuino, alcuni elefanti e giraffe. La sera si cena e si dorme in un bel lodge, con atmosfera e arredamento del tutto “africani”, di nome Bona Manzi, traducibile come “acqua dolce”.

Un giorno viene dedicato prima al villaggio Zulu, e poi al lago di Santa Lucia. All’esterno del villaggio, nel parcheggio, attende noi turisti uno Zulu in “divisa”, vestito proprio da Zulu, cioè come me li immaginavo da bambina,ed è il primo choc, perchè fa pena, ci si vergogna per lui…Ma invece no! Quello è l’abito tradizionale, come da noi in Sardegna i Mamuthones o in Alto Adige il dierndl! E’ una cosa seria, ricostruire le antiche usanze, e la nostra reazione era dovuta all’idea sedimentata ma non razionalizzata che quello sia un travestimento da selvaggio. Insomma, il parcheggiatore zulu è simpaticissimo, e il giro per il villaggio è interessante: molti altri sono là, con lo stesso abbigliamento, a mostrare le usanze e la vita che la comunità conduceva. Ci vengono insegnate poche parole, quelle indispensabili per salutare e per ringraziare. La gente zulu è molto bella, e le donne hanno occhi particolarmente dolci.

Il giro in battello per il lago di Santa Lucia ci porta a vedere la crescita delle mangrovie, che hanno le radici al contrario, il bagno di famiglie numerose di ippopotami, e soprattutto moltissimi uccelli, bellissimi e strani trampolieri, uccelli tessitori, e soprattutto le “Fish Eagles”: le enormi aquile di mare.

Le sere siamo stanchissimi! Le cene, come del resto i pranzi, sono buonissime, e apprezziamo soprattutto la carne di manzo grigliata, squisita e inarrivabile per noi europei afflitti da mucche pazze; e i vini africani non sono da meno! Due giorni in bus, da Durban a Capetown Siamo partiti da Durban per Capetown con il bus, che qua è un mezzo con comodità simili a quelle degli aerei: aria condizionata, toilette, film in TV e spesso fornitura di bibite e snacks. La distanza è tale da richiedere due giorni, ma la scelta del mezzo è motivata dal desiderio di vedere molti luoghi, evitando di guidare personalmente un auto a nolo – oltre alla fatica per così tanti chilometri, c’è anche la preoccupazione per la guida sul lato sinistro. E così sperimentiamo la corriera sudafricana, dalla quale possiamo vedere e fotografare villaggi e mercati della “black people”: capanne con tetto in paglia miste a casette minime. Il villaggio zulu tradizionale è composto dall’aggregazione di più raggruppamenti di tucul familiari, ogni famiglia aveva un piccolo arcipelago a cerchio, un tucul è una stanza, e in mezzo al cerchio c’è il cortile e lo spazio per gli animali; ora alcuni tucul a pianta tonda vengono, appunto, sostituiti da casettine a un piano tutte uguali. Nei villaggi più grandi che incontriamo vediamo che ci sono i servizi: posta banca supermarket meccanico pompa di benzina, scuola ed eventualmente chiesa; campeggiano grandiose reclame del detersivo “OMO” con una massaia nera sul tipo della Mamie di Via Col Vento.

Il nostro viaggio in bus segue per alcuni tratti la “Garden Route”, il celebre itinerario panoramico lungo l’Oceano Indiano fra Port Elizabeth e la baia di Cape Town, prima delle penisole dove i due Oceanisi incontrano drammaticamente; in questo modo ci facciamo un’idea dei luoghi, senza fare il canonico giro di tre giorni previsto dai tour operator. Allontanandomi, mi resta la nostalgia di non aver visitato a piedi Knysna e la sua incantevole laguna, parco nazionale protetto, dove si tenta di evitare l’estinzione di una particolare razza di elefanti.

Lo scambio di case, il fynbosh, Capetown, i babbuini La meta della seconda metà del nostro viaggio è una località situata sulla sponda orientale della False Bay, che è il golfo ad est di Cape Town. Dobbiamo mettere in pratica per la prima volta lo scambio di case: approfittando di internet ho inserito la mia casa del nordest italiano in una lista americana, e, fra i molti che mi hanno scritto, ho accolto per prima la proposta di Marianne, che offriva la sua casa al mare di fine settimana a Pringle Bay. Il posto è veramente splendido, e guarda la baia da una posizione arroccata sulle pendici di un monte – pendici coperte da quella macchia unica al mondo chiamata “fynbosh”, ossia fine bush, bel cespuglio in italiano; davvero bello! La pianta prevalente è la Protea, dal fiore enorme e meraviglioso, il simbolo del Sud Africa. E’ difficile da coltivare altrove, perchè vive in terreno acido, nel forte vento della regione del Capo, in temperature mai fredde.Purtroppo le fioriture avvengono prevalentemente in primavera, cioé in settembre-ottobre. Marianne e il marito Charles, dopo averci accompagnati, ci lasciano in questa casetta superpanoramica con due sole raccomandazioni: attenzione al vento che fa sbattere porte e finestre, e soprattutto attenzione a non fare entrare i babbuini che vivono nel fynbosh.

Ottimi quei giorni di vacanza al mare, in riposo! All’inizio il vento forte e l’aria dell’oceano ci stordiscono, ma veniamo risollevati da una rapida visita di Charles, che di passaggio ha pensato bene di fare una veloce immersione in quel freddo mare per acchiappare per noi un paio di aragoste, e subito dopo cucinarle.

Ci siamo finalmente decisi ad usare l’auto che abbiamo noleggiato, guidando a sinistra, ed abbiamo cominciato le nostre esplorazioni del territorio circostante e di Città del Capo. Seguiamo gli insistenti consigli di Marianne e di Charles, e non imbocchiamo l’itinerario più veloce per la capitale, ossia quello che passa attraverso le townships nere, in quanto sarebbe troppo pericoloso. A dire la verità, in tutto il Sud Africa si vive cercando di proteggersi dalla criminalità montante; già la mia guida Lonely Planet suggeriva una serie incredibile di cautele, e i racconti degli abitanti confermano il problema con episodi raccapriccianti occorsi anche a parenti e conoscenti. Mi viene in mente anche il romanzo di Coetzee “Vergogna”, tradotto per la Einaudi non molto tempo fa, che racconta di queste violenze che seguono il regime dell’apartheid; una volta ai neri era vietato circolare dopo le 22, oggi questo non è più, ma a fronte dell’acquisita libertà la fame è ancora forte per molti, ed anche la disperazione; a ciò si aggiunga il fatto che stanno circolando incontrollate molte armi … Perciò è consigliabile di guardarsi bene attorno, di non frequentare di notte i centri delle città, e di non indossare gioielli vistosi. Ma anche di giorno in alcune parti il centro di Capetown è blindato, i negozianti aspettano i clienti chiusi dietro a robuste saracinesche; e molti negozi si stanno trasferendo nei più sicuri, enormi, lussuosi, shopping center, che pulsano di vita e di allegria. Che bella città è Capetown! Ha il mare da tutte le parti, ha la montagna in mezzo -la Table Mountain, che a volte si adorna con una tovaglia di nuvole. Ci sono case antiche e coloratissime, come ci si immagina di trovarne a New Orleans; ci sono giardini curati e splendenti; e c’è un bel venticello che la tiene pulita.

Ci godiamo Capetown, senza affannarci a raggiungere la punta del capo di Buona Speranza, dato anche che la guida scrive che la costa est della baia, ossia la parte di Pringle Bay, è non meno bella e però più godibile perché meno trafficata. Del resto, il punto più meridionale dell’Africa non è quello, ma Cape Agulhas, parecchio più a est; e così noi di nuovo snobbiamo i “punti limite”, lo stesso abbiamo fatto due anni fa con Capo Nord, in Norvegia, non trovando motivi sufficienti per fare quei chilometri verso un simbolo geografico.

Di ritorno da Capetown, sempre per il percorso più lungo ma più sicuro, ci fiondiamo nell’unico ristorantino come dei veri abitué – e la biondina che serve ai tavoli, ancora prima di accenderci la candela, ci guarda con tanto d’occhi dicendo: Baboons! Baboons! In your house! La fame passa immediatamente, di corsa a casa e troviamo il putiferio! tende ribaltate, lampade e TV(misteriosamente accesa) a terra, vuotata la spazzatura, aperto il frigo (hanno mangiato le uova ma non il prosciutto!) mangiato un chilo di zucchero…E cacca dappertutto, sul tavolo, sui tappeti, sulle porte… “loro” comunque se ne erano già andati, seminando farfalle Barilla anche all’esterno, con una scia che continuava nel fynbosh.

Insomma si passa la mattina dopo a pulire disinfettare lavare. Col chiaro del giorno si vedono moltissiume impronte di mani e di piedi anche sui muri esterni della casa. Per fortuna non ci son stati danni realmente costosi. Ma la vacanza con i babbuini, immaginarlo…! Ohi! e poi sono bestie grosse intelligenti furbe e pericolose. Chissà perché non hanno voluto il prosciutto, forse sarà stato scadente. Durante la nostra settimana a Pringle Bay abbiamo esplorato pigramente i dintorni; le località hanno nomi casuali, la baia vicina è chiamata “Betty’s Bay” dal nome della figlia di uno che ci si era fermato un paio di secoli fa; ci vive una colonia di pinguini, buon pretesto per una visita. Poi siamo stati ad Hermanus, cittadina portuale nota perchè frequentata da numerose balene – purtroppo però non in questa stagione! Ed infine abbiamo visto le zone di coltura intensiva della vite, dove gli Ugonotti francesi avevano iniziato l’arte del vinifacare a partire dal 1688; il capoluogo di questa regione di delizie è Stellenbosch, antica cittadina, sede universitaria, dove si possono ammirare molti edifici in stile Dutch, cioè Olandese del Capo. Gli insediamenti europei in Sud Africa erano iniziati da qua, dalla regione del Capo, quando anche degli Olandesi si misero a coltivare orti e ad allevare bestiame per rifocillare le flotte di passaggio verso le Indie: data la lunga durata del viaggio, molti marinai si ammalavano di scorbuto, ed era necessario rifornirli di cibo fresco. E le campagne sono in effetti splendide ancora oggi, curate e irrigate come giardini.

Pretoria; Lucy, la messa a Soweto L’ultima tappa del viaggio è stata Pretoria, che abbiamo raggiunto con un volo nazionale per non affrontare altre giornate in bus nel grande deserto del Karoo. Pretoria sarebbe la città delle Jacarande, che però, come le balene, si presentano in primavera e non a fine estate. Barbara, la nostra guida di questo ultimo pezzo di viaggio, ci porta a visitare la grotta dove era stato trovato lo scheletro di Lucy (l’anello di congiunzione uomo-scimmia) sostenendo che non sarebbe stato possibile visitare Soweto come previsto perchè ci sarebbero stati dei focolai di rivolta. Ho affrontato la grotta di Lucy fingendo di non soffrire di claustrofobia, tenendo duro fino al passaggio in un cunicolo, dove ho dovuto respirare a fondo; una volta usciti, non ho resistito dallo spiegare che dalle mie parti, a Trieste, ci sono decine di quelle grotte con le stesse stalattitti, che sono dette foibe, e che io mi guardo bene dall’entrarci, anche perchè in alcune alla fine della guerra ci buttavano i prigionieri italiani. Forse questa protesta non molto velata mi ha fatto guadagnare la visita di Soweto la mattina del giorno stesso della partenza per l’Italia. Allo scopo è stata ingaggiata una guida di colore, che ci ha portato in giro con il suo pullmino wolksvagen. Ora posso ben dire che non è concepibile lasciare il Sud Africa senza vedere Soweto, la township di tre milioni e mezzo di abitanti che ha avuto un ruolo cruciale nella lotta contro l’apartheid; i governi dell’apartheid intervenivano con pallottole, gas lacrimogeni, carcerazioni senza processo, torture ed esecuzioni sommarie, come risulta dai processi della Commissione per la verità e la riconciliazione. Soweto ha vissuto praticamente in stato di guerra da quando nel 1976 i primi studenti impegnati in una protesta sono stati uccisi, fino alle elezioni del 1994. Durante quegli anni morirono migliaia di persone.

Soweto è attrezzata con un grande ed efficiente ospedale, con chiese scuole e diverse stazioni ferroviarie. Le abitazioni sono tutte basse, e l’aspetto complessivo richiama un lager, anche se non ci sono mai stati recinti; e le case sono di tre tipi, oltre ai grandi ospizi: quelle dei ricchi (ci sono anche dei veri ricchi!), della classe media, che assomigliano alle baracche per il terremoto del Friuli, e la classe povera, ossia quelli che si ingegnano a mettere insieme cartoni e lamiere per farne un rifugio. L’attuale governo sta facendo ogni sforzo per sollevare queste ultime situazioni, ma sembra che ci siano difficoltà di molti generi per recuperarli, determinate anche dagli stessi interessati. Essendo domenica, la nostra guida riesce a farci accedere ad una cerimonia religiosa in una chiesa, dove le donne, vestite di bianco, cantano inni a squarciagola; è uno spettacolo emoziuonante per noi, specialmente quando poi il pastore recita un sermone con ritmi parossistici, fino a che una donna non cade, urlando e singhiozzando, in una crisi isterica.

A quel punto, noi turisti, per quanto ben accetti, ci ritiriamo e andiamo a bere una birra nella pizzeria dal nome “Palazzo di Stella”. Le pizzerie sembra che abbiano conquistato tutte le culture: l’anno scorso abbiamo mangiato la pizza in una pizzeria Navajo, nello Utah; e adesso qui ce n’è una degli Zulu. E’ un posto da consigliare, più che per la pizza per il fatto che vi si tiene musica dal vivo.

Dopo tre settimane in giro si torna volentieri a casa propria. Mi è sembrato che nel Sud Africa si affrontino direttamente i problemi di rapporto fra occidente e terzo e quarto mondo, quelli che noi in Europa conosciamo dall’informazione. Ora aspettiamo di vedere come sarà il cammino della libertà, se gli attuali governi retti dai neri riusciranno ad estendere la ricchezza e la qualità della vita, oppure se questo paese seguirà il destino di altre ex colonie, in preda a guerre corruzione e malattie. In questi giorni si legge del processo sudafricano contro gli alti prezzi delle grandi case farmaceutiche occidentali: la lotta contro l’AIDS è fra i primi obiettivi da non mancare.



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