California del sud, las vegas e i parchi rossi

Venerdì 27 giugno 2003 Dopo 11 ore di volo il 747 Lufthansa arriva in orario a Los Angeles. Espletate le solite lunghe formalità doganali statunitensi e ritirati i bagagli prendiamo lo shuttle per il parcheggio della Hertz. Purtroppo dobbiamo rinunciare alla Mustang prenotata dall’Italia per una "anonima" Pontiac Gran Prix a causa del...
Scritto da: Michele Zecchin
california del sud, las vegas e i parchi rossi
Partenza il: 27/06/2003
Ritorno il: 11/07/2003
Viaggiatori: in coppia
Venerdì 27 giugno 2003 Dopo 11 ore di volo il 747 Lufthansa arriva in orario a Los Angeles. Espletate le solite lunghe formalità doganali statunitensi e ritirati i bagagli prendiamo lo shuttle per il parcheggio della Hertz. Purtroppo dobbiamo rinunciare alla Mustang prenotata dall’Italia per una “anonima” Pontiac Gran Prix a causa del valigione che non entra nel bagagliaio. L’highway 101, in poche miglia, ci porta verso il Whilshire Boulevard e così Manuela ha il primo assaggio di Beverly Hills (io c’ero già stato una decina d’anni fa). L’albergo prenotato tramite internet (come tutti gli altri del resto), Il Crowne Plaza di Beverly Drive, è bello e confortevole e si trova in una zona tranquilla dove è possibile passeggiare a piedi anche di notte. Dopo 35 ore di viaggio crolliamo al tappeto (anzi sulla moquette). Senza cena alle 7 e mezza di sera stiamo già dormendo.

Sabato 28 giugno 2003 Sveglia all’alba (come ovvio a causa del jet lag). Sotto un cielo plumbeo e con un confortante maglioncino addosso, inizia il tour in LA: ore 9:00 Rodeo Drive (senza anima viva), 9:30 Beverly Hills (con mappetta delle case dei divi costata 10 dollari), 10:30 Hollywood Boulevard, Teatro Cinese, Walk of Fame con stelle e impronte dei divi , 11.30 Bel Air a vedere (solo da fuori naturalmente) le ville dei ricconi. Palme, macchinoni e bella gente dappertutto! Si prosegue verso l’oceano percorrendo Sunset Boulevard fino a Malibù. Visita al Pier e alla spiaggia dei surfisti (con tanto di Baywatch) e bagno (solo dei piedi vista la temperatura) nel Pacifico. Dal momento che la “nuotata” ci ha messo fame andiamo a pranzo in un bel locale direttamente sulla spiaggia: Duke’s dedicato a uno dei miti hawaiani del surf. Percorrendo la Highway 1 direzione south passiamo per Santa Monica dove visitiamo spiaggia e il lungo molo pieno di attrazioni (intanto è uscito il sole). Per noi è già notte. Alle 4:00 del pomeriggio si ritorna in hotel per un “riposino” che dura fino alle 20:30. Alle 9:00 p.M. I ristoranti stanno per chiudere nella zona di Beverly Hills. Meno male che non abbiamo molta fame. Allo Starbuck Cafè ci spariamo un frappuccino che è una sorta di frappè con una montagna di panna e con una cannuccia per “aspirarlo”…Saziante! Poi a nanna.

Domenica 29 giugno 2003 Stesso tempo del giorno prima. Prestissimo siamo al parco della Universal. Il parco è divertentissimo. Facciamo: Shrek, il Tour degli Studios, Jurassic Park, Terminator 3D, The Mummy. A mezzogiorno esce il sole (ormai è una regola). Si continua con lo spettacolo dei Blues Brothers, quello degli stuntman di Waterword, gli incendi di Backdraft e le varie ricostruzioni degli Studios. Rientro in Hotel, non dopo aver bevuto una birra al Hard Rock Café degli Universal Studios e aver fatto shopping alla Skechers. Passando per Hollywood cerchiamo di vedere la famosa scritta sulle colline che, vuoi per la stanchezza vuoi per la foschia serale non riusciamo a scorgere. La sera visitiamo un centro commerciale a Century City (Macy’s + altri negozietti molto carini) Lunedì 30 giugno 2003 Check out dall’Hotel con la sorpresa di 70 USD per telefonate non fatte! Dopo trattativa il costo diventa 30 USD (deciso di non telefonare più dalla camera!!). Dopo fatti i bagagli si parte per il Downtown di LA la mattina e Las Vegas il pomeriggio. Percorso tutto Whilshire Boulevard e i vari suoi quartieri (alquanto pittoreschi…) visitiamo i grattacieli del centro, le strade del centro e la vecchia “Mission de Nuestra Senora de Los Angeles” (gran camminata con osservazione della “fauna” locale!!).

Verso mezzogiorno prendiamo la Highway 105 e, dopo aver sbagliato un’uscita (qui abbiamo visto la vera LA quella di Starsky & Hutch per intenderci) ci immettiamo sulla Interstate 15 per Las Vegas. Dopo una sosta a Barstow per benzina e pranzo, il deserto del Mojave ci avvolge con il suo caldo abbraccio. Alle 4.00 p.M. Siamo a Las Vegas. Check in al Treasure Island Hotel (mitica stanza nella torre principale per soli 80 usd). L’hotel ha una grande vasca nella quale , ad orari stabiliti, si può assistere ad una vera battaglia navale, Scendiamo a goderci lo spettacolo del Britannia contro l’Hispaniola dal ponte sulla laguna (per la cronaca la fregata inglese viene affondata dal galeone dei pirati). Prenotati i biglietti per il Cirque du Soleil ci andiamo a preparare. Lo spettacolo del favoloso e indimenticabile Cirque du Soleil, un giro del casinò, una passeggiata al Venetian e una buona cena completano la serata di una bella giornata. Poi si può andare a nanna contenti non prima però di aver ammirato le luci dello strip (dalla finestra del 13° piano del Treasure of course).

Martedì 1 luglio 2003 Passeggiata lungo lo Strip direzione sud alla “confortevole” temperatura di 35° C facendo tappa al Mirage (con il suo vulcano), Caesar Palace (kitcheria tutta americana.. Da abbattere), Bellagio (bello, sobrio ma carissimo). Dopo una pausa in hotel riprendiamo il giro dello Strip in auto visitando il Luxor (a nostro giudizio obrobrioso e tetro) e ci spingiamo a nord fino a Freemont Street. Decidiamo di non assistere allo spettacolo di luci (forse abbiamo fatto male) per andare a prepararci per la cena. Sulla strada del ritorno abbiamo visto “Elvis” che andava a sposarsi a bordo di una long Limo in una wedding chapel color rosa. Aperitivo al bar con vista sulla battaglia tra galeoni. Dopocena …CASINO’… (siamo o non siamo a sin city??). Scendiamo in pista con ben 10USD e la mia personale convinzione di perderli in 10 minuti. Giochiamo per 3 ore e portiamo a casa la bellezza di 100USD!!! Merito della nostra mano fatata e di quella meravigliosa slot con i “pacchettini” premio. Festeggia anche la cameriera del Big Kahuna, un bar dell’hotel, grazie alla mia mancia esagerata (5 dollari) per un drink che ne valeva la metà.

Mercoledì 2 luglio 2003 Si parte per il vero WEST. Lasciamo il Nevada e i 40°C del deserto del Mojave superando il Colorado tramite la diga Hoover che non visitiamo a causa del clima torrido. Ci fermiamo invece in un bel laghetto blu intenso incastonato in mezzo alle pietre scintillanti delle montagne dell’Arizona. Bagno rinfrescante? No grazie! Basta il contatto dei piedi per raffreddare tutto il corpo e l’entusiasmo. Qui facciamo anche il primo incontro con gli indiani. Si prosegue sulla 93 (mai vista una strada più diritta di questa!) fino a Kingman e imboccata la US 40 direzione east facciamo tutta una tirata fino a Williams. Il paesaggio lungo le 150 miglia della strada muta al variare dell’altitudine. Dal deserto con tanto di tornados e cespugli rotolanti alla prateria con allevamenti di cavalli e mucche fino all’atmosfera Rocky Montains dei 7000 feet di Williams. Incrociando la Route 66 facciamo conoscenza con un gruppo di suoi afecionados (bikers). Il Grand Canyon è li a 2 passi! Arrivati a Tusayan, alle porte del parco, l’aria è diversa (siamo in quota). Posiamo le valige all’Holiday Inn, compriamo il Pass per i parchi e…Mamma mia che spettacolo!!!!!! Mather Point al sunset. Non potevamo incominciare in maniera migliore il nostro approccio con il canyon! Rimaniamo li ad osservare in silenzio fino a che non fa buio e sulla strada del ritorno incrociamo un gruppo di cervi mulo. Per fortuna abbiamo immortalato il sapore della bisteccona e l’atmosfera west della Steak House in una foto al tavolo con tanto di birra e tovaglia di mucca. Neppure il gruppone di italiani del tavolo vicino (che ha ordinato spaghetti lamentandosi che non erano al dente) è riuscito a rovinare questa serata che resta uno dei più bei ricordi della vacanza (insieme al primo incontro con il GC naturalmente)! Giovedì 3 luglio 2003 Visita del parco del GC South Rim. Iniziamo dal Bright Angel Lodge dove, oltre allo spettacolo dell’abisso avvistiamo un condor dalla testa rosa. A bordo di comodi pulmini ci fermiamo in vari punti panoramici (Maricopa point, Pima point, Powell point, Mohave point) alternando camminate a piedi (alcune volontariamente lunghe per apprezzare la natura in solitudine) a tratti a bordo dei mezzi fino a Hermit Rest il punto più a ovest del South Rim. Avvistamento di scoiattoli. In fondo al canyon scorgiamo gente che fa rafting con i gommoni. Presso la capanna dell’eremita facciamo shopping comprando il meraviglioso libro del GC. Sulla strada del ritorno ci fermiamo al market dove, oltre a pranzare con un gelato, compriamo una scheda telefonica che, una volta per tutte, risolverà i nostri problemi di comunicazione con l’Italia. Alle 4:00 p.M. Siamo in hotel Ritorniamo al parco per il tramonto che abbiamo deciso di vedere all’ Hopi point. Le foto scattate e i diversi minuti di ripresa con la telecamera riescono abbastanza bene a descrivere la magnificenza dello spettacolo visto. Non possono però trasmettere le sensazioni provate, che tuttavia rimarranno come il ricordo più indelebile. La serata non si conclude come era iniziata perché, a cotanta bellezza per gli occhi, avremmo voluto far seguire ugual sapore per il palato. L’ hamburger e l’atmosfera del MacDonald scelto (senza alternative data l’ora tarda) per la cena trasmettevano tutt’ altre emozioni.

Venerdì 4 luglio 2003 Oggi è il 4 luglio, la Festa dell’ indipendenza USA. Shopping di prima mattina al Native Market di Tusayan. Manu, oltre a comprare dei bei monili in argento, incantata dagli indiani e ingannata dall’aria frizzante dei 2000 m di GC, si becca una scottatura sulla schiena le cui conseguenze si faranno sentire per tre giorni. Ci mettiamo in strada verso le 9:30 a.M. Salutiamo il GC non prima di esserci fermati in un paio di punti panoramici della parte est. La strada ora scende e torniamo al livello del plateau dell’ Arizona, alla prateria e al deserto. Imbocchiamo la 89 a Cameron in territorio Navajo. Fino a Page e al confine con l’ Utah il paesaggio è un susseguirsi di scene da far-west con al posto dei tee-pee miseri villaggi indiani fatti di baracche, container e sporcizia. A Page sosta per benzina e shopping al Market della città per reintegrare i viveri di prima necessità (acqua, biscotti, frutta…). Attraversiamo il Colorado sulla diga Glen che sbarrando il fiume crea il gigantesco Lake Powell con la sua Ricreation Area. E’ tempo per un bagno nel lago che però decidiamo di non fare, nonostante la temperatura esterna sia abbondantemente sopra i 40°C, a causa della non proprio invitante spiaggia melmosa. Pazienza, più avanti ci aspetta lo Zion Park e parecchia strada ancora da percorre. Zion era solo un’opzione nel nostro programma iniziale dal momento che, da Page, bisogna fare una deviazione per passarci volendo pernottare vicino al Bryce Canyon. Tralasciarlo sarebbe stato un delitto! A Mount Junction nonostante siano già le 4:00 p.M. Decidiamo di osare la visita a costo di arrivare tardi a Panguitch cittadina vicino al Bryce dove avevamo prenotato l’hotel. Un canyon visto da dentro! questo è Zion. Avrebbe meritato una visita di 3 giorni. Noi in 3 ore ci siamo potuti fermare in alcune zone esterne al canyon vero e proprio e, lasciata la macchina, siamo saliti allo Zion Lodge, Court of Patriarchs e con un incantevole sentierino abbiamo raggiunto la Lower Emerald Pool. La vista di un cervo mulo che si abbeverava nel creek di Zion (quante meravigliose foto abbiamo fatto) era solo un preludio agli incontri successivi. Bisonti in una fattoria vicino Junction e, una volta ritornati sulla 89 direzione Nord, calate le tenebre, ancora cervi che si paravano contro la macchina. Il paesaggio continuava ad essere spettacolare al punto che nonostante il buio, il freddo (eravamo saliti a 3000 metri), la fame (come al solito avevamo saltato il pranzo) e questi animali, la sensazione di essere in un posto unico per bellezza e tranquillità era comune ad entrambi. Il cambio di fuso tra Arizona e Utah ci fa anche perdere un’ ora e quando lasciamo le valige al Best Western di Panguitch pensiamo che anche per stasera la cena va a farsi benedire (erano già le 9:00 p.M.). Siccome la fortuna aiuta gli audaci e noi quel giorno avevamo osato molto, eccoci ricompensati con due meravigliose bisteccone accompagnate dalla musica country di una brava cantante. Attacco il mio biglietto da visita alla parete vicino la finestra dello Smokehouse Cafè (insieme ad altri centinaia lasciati dai precedenti avventori) a perenne ricordo del nostro passaggio. Buon 4 Luglio !!!! Sabato 5 luglio 2003 Sveglia all’alba. La colazione non è gran che, ma l’atmosfera in questa piccola cittadina è molto “american”. Case con giardini senza steccato (con le onnipresenti “stars & stripes” al vento) rasenti la due strade del paese che si incrociano in quello che dovrebbe essere il centro. Procediamo in direzione est e, dopo poche miglia, arriviamo al Bryce Canyon fermandoci, poco prima, a scattare qualche foto all’ “infuocato” Red Canyon. Puntatina al Visitor Center per documentarci e informarci sulle alternative di visita. Scendiamo nel meraviglioso anfiteatro, percorrendo il sentiero formato dal Navajo Loop trail e dal Queen’s Garden trail. 3 ore di spettacolari pinnacoli (hoodoos) di tutte le sfumature del rosso a circa 2500 m slm. Saltando il resto (chissà quante altre meraviglie abbiamo perso!) a causa del poco tempo a disposizione, continuiamo sulla Scenic Byway n° 12 direzione est. La strada verso Moab è lunga (dopo Bryce ci sono ancora 250 miglia da fare). La nostra road map prevedeva soste alla Kodachrome Basin State Reservation e all’Escalante State Park. Dobbiamo saltarle per poterci fermare all’ Anasazi Indian Village (niente a che vedere con Mesa Verde, un piccolo museo con ricostruzione delle abitazione degli antenati dei Dineh) e al Capitol Reef Park per ammirare il Capitol stesso e lo scritture petroglife. Due le grandi emozioni in questa tappa: la Dixie National Forest, una montagna come non te la saresti mai aspettata in mezzo a cotanto deserto (ma dopotutto il passo era oltre i 3000 metri!) e il panorama che si ammira percorrendo la Interstate 70 tra Hankswille e Green River. Un vero deserto di sassi e collinette tanto grigie e brulle da far invidia al paesaggio lunare. Molto affascinante. Arriviamo stanchissimi al nuovissimo Holiday Inn di Moab (da consigliare). Doccia ristoratrice della lunga giornata e poi cena in un bel ristorante vicino all’hotel. Io prendo carne, Manu assaggia la famosa trota del Colorado (che abbiamo incrociato per l’ennesima volta proprio all’ingresso della cittadina di Moab). Provati dal lungo viaggio e dall’ennesima giornata “on the road” non riusciamo a goderci la cena. Il riposo si che ce lo godiamo, dormendo come sassi dalle 10 di sera fino a mattina inoltrata.

Domenica 6 luglio 2003 Siamo (fin da Zion Park) in ritardo di mezza giornata rispetto alla nostra tabella di marcia. Oggi dobbiamo recuperare, in quanto domani ci aspetta il “tappone” di trasferimento dal far west (Moab è il punto più a nord-est raggiunto) alla costa californiana di San Diego. Dobbiamo perciò sacrificare Mesa Verde e i 4 Corners. Peccato perché, se 4 Corners (l’unico punto dove 4 stati USA si incrociamo) non sembra molto interessante, a Mesa Verde c’è un villaggio Anasazi incastonato nella roccia (pazienza, torneremo.. Chissà quando?). Cominciamo con visitare Arches e i suoi splendidi archi lungo la strada panoramica interna del parco. Ci fermiamo per ammirare la Balanced Rock; facciamo una camminata nella Windows Section (Turret arch, Double arch); da lontano inquadriamo nei binocoli e nello zoom della telecamera il bellissimo Delicate Arch l’icona del parco. Dopo averla iniziata, interrompiamo la passeggiata lungo il Devils Garden Trail a causa del solito tempo tiranno e di un sole implacabile che, alle 11:30 a.M. Aveva fatto salire la temperatura a 100° F! 200 miglia per la Monument Valley! Un’inezia rispetto a quanto fatto nei giorni scorsi! Prendendocela comoda alle 17:00 p.M. Arriviamo all’ entrata del parco tribale (siamo in zona Navajo) non prima di esserci fermati ad ammirare e toccare ancora una volta il fiume Colorado e il famoso Mexican Hat. Foto di rito anche al superbo landscape lungo la interstate .. Direzione sud. Nonostante il parco si possa visitare con la propria auto, decidiamo di fare un tour della durata di 2 ore e mezzo (sunset included, of course!) accompagnati da una guida indiana. Scelta risultata azzeccata, dal momento che abbiamo avuto modo di visitare angoli della valle non percorribili autonomamente. Così, insieme a una ridente coppia di quaccheri americani e ad un taciturno biker inglese a bordo di uno scassato pick-up, abbiamo visitato sia i classici scenari dei 1.000 film western visti in tv (John Ford Point, John Wayne Sign, i vari Butte, 3 Sisters,…Etc..) che le zone più “sacre” del parco (Eye of Sun, le dune rosse che degradano su un ruscello, i pertoglifi, …) inaccessibili senza accompagnatore. Ho letto parecchie recensioni di persone che hanno fatto questa visita autonomamente. Il mio consiglio è invece di fare il giro con le guide indiane. Come già detto, oltre a visitare aree riservate del parco, si ha la possibilità di ascoltare dalla voce di chi vive li da sempre, le storie di quella terra, dai racconti delle loro tradizioni alle informazioni sulla flora e la fauna locali con piccole esperienze molto toccanti (se trovate la guida giusta vi porterà anche a conoscere il capo tribù!). Con il sole ormai all’orizzonte, ricoperti di sabbia rossa della valle, con il sapore della terra persino in bocca arriviamo a uno dei due motel di Kayenta (meno male che l’avevamo prenotato dall’Italia). Doccia per ripulirsi e, non avendo tempo e voglia di ritornare indietro all’entrata della Monument Valley per andare a cena al mitico ristorante Gondling (il posto dove J. Wayne pernottava durante le riprese dei film), ripieghiamo nel ristorante dell’ Holiday Inn. Errore fatale! Cameriere (indiane) scorbutiche, bistecche riscaldate e conto astronomico a causa delle tasse locali, regionali, tribali… Che ne hanno fatto lievitare il prezzo rispetto il menù. Non rimane che andare a dormire dal momento che domani ci aspetta la “500 miglia di Indianapolis”, pardon la “600 miglia di San Diego”. Il tappone di ritorno alla civiltà, dopo cotanta natura selvaggia.

Lunedì 7 luglio 2003 Siamo “on the road” già alle 8 del mattino dopo aver fatto colazione nell’hotel. Prua questa volta ad ovest, direzione Cameron (ci siamo già passati per andare dal Grand Canyon al Bryce), e successivamente verso Flagstaff. Ci arriviamo verso le ore 10:00 a.M. Flagstaff è una cittadina, più grande di Williams, ma piuttosto simile per clima (2000 metri slm, in mezzo ad una foresta di abeti) e atmosfera (western). Giro in auto del centro, qualche foto alla stazione (mitico il treno con 200 vagoni e la vecchia locomotiva fine ‘800) e al saloon sulla 66 (vedi foto con lancio del cappello). Alle 11:00 p.M. Ripartiamo direzione sud verso il caldo asciutto di Phoenix, in pieno deserto dell’Arizona. Facciamo sosta per benzina e pranzo in un centro commerciale nel quartiere periferico di Phoenix chiamato Goodyear (non ho capito se è il luogo di origine della famosa fabbrica di gomme). Mettendo in moto per ripartire, il computer della Pontiac mi segnala “change oil soon”!!! Ach.., # porc..Zzz.. all’Hertz!!!. Interpretando tale segnalazione come un consiglio (e non un avvertimento vero e proprio), proseguiamo in direzione Tucson ora in un ambiente decisamente mexicano. La frontiera è a sole poche miglia (che tentazione attraversarla…Per mettere la nostra personale “bandierina” anche in questo paese!) e il paesaggio è caratterizzato da grandi pietraie desertiche (ma abbiamo visto anche le dune di sabbia!!!) punteggiate dai famosi saguari. Il gran caldo della zona ci fa benedire l’aria condizionata della macchina e la preoccupazione delle conseguenze di uno stop dell’auto (magari a causa dell’olio non cambiato) ci fa sperare di arrivare quanto prima a destinazione. Superata anche la catena delle montagne che separa la costa dall’interno e che fa si che i climi tra le due aree siano così diversi, all’imbrunire siamo sulla highway in entrata a S. Diego. Non dopo aver sbagliato l’uscita (solito caos serale delle grandi città USA) arriviamo all’ hotel (il più scarso del tour) nel quartiere di Mission vicino all’acquario. Tempo solo di scaricare i bagagli, siamo immediatamente in auto alla ricerca di un bel ristorantino per la cena. Questa attività è stata, come già detto, il più grande problema del viaggio. Con un po’ di difficoltà, facendoci consigliare da una cameriera dell’Hard Rock Cafè di La Jolla che stava chiudendo (alle 9:00 p.M.!!!), caschiamo bene cenando allo The Spot. Il locale velistico/culinario, con posteroni e gadgets della Coppa America disputata per tanti anni a S. Diego (c’è anche una foto con dedica del mitico Dennis Corner) ci delizia con dei buonissimi hamburgheroni e uno spot di “bella gente”. Mangiata la “pappa” è ora di “nanna” dopo la lunga giornata “on the road” Martedì 8 luglio 2003 Il clima in città e nella costa è molto simile a quello incontrato nei primi giorni a LA. Mattinata grigio/nebbiosa abbastanza fresca, primo pomeriggio con sole e caldo, sera fresca con nuvoloni (mi domando se è proprio vero che “..It’s never rain in South California”?). Mattinata dedicata alla visita al “Sea Word” regno della orca Shamu e di tanti suoi simili. Di nota lo spettacolo delle orche, la vasca tattile dei delfini, possibilità di nuotare con loro (che invidia vedere quelle “foche” di turisti che goffamente cercavano l’approccio con gli animali. Per poterlo fare bisogna prenotarsi con mesi di anticipo), la vasca dei manato (arrapati come non mai!) e la ricostruzione della base polare con tanto di orsi e beluga. Per quanto riguarda la didattica del mondo subacqueo meglio l’Acquario di Genova. Nel pomeriggio facciamo un giro lungo la zona del porto e del centro città. Lungo la banchina c’è un interessante museo marittimo galleggiante che però non visitiamo. Decidiamo di rientrare in albergo per prepararci per la cena che stasera vogliamo fare in un bel ristorante di pesce. Nonostante sulla carta (vedi opuscoletti della città) non ci fosse che l’imbarazzo della scelta per decidere il posto per cenare, alla fine decidiamo di andare al Harbor Bay Village, una zona di negozi e ristoranti sul mare appena fuori in centro vero e proprio. Posto piacevole ricco di alberi e giardini molto curati con una bella serie di negozi ben tenuti (ci torneremo domani per lo shopping) . Se in un primo momento siamo imbarazzati per la scelta del ristorante, poi, a causa del solito orario di apertura serale dei locali molto limitato, ceniamo all’ Oyster Bar. Il locale, posto al 1° piano di una caratteristica costruzione direttamente sulla baia di fronte all’isola del Coroneo, è piuttosto carino con cibi discreti però non in linea con l’idea che ci eravamo fatti della serata (no crab?, no party!!).

Mercoledì 9 luglio 2003 Siamo agli sgoccioli della vacanza ed è tempo di pensare ai regali. Magliette per tutti, rigorosamente “surfing”, comprate in un negozietto sulla spiaggia di Mission Beach. Poi si va a vedere l'”Old Town” (carini i figuranti in costume fine 800, il museo delle carrozza western e il “Bazar del Mundo” con i suoi bei negozi coloratissimi). Per l’ultimo saluto alla città ci trasferiamo in centro, all’Harbor Village che ci è piaciuto tanto. Pranziamo, facciamo gli ultimi acquisti al Crazy Shirt (belle magliette hawaiane) e poi si parte per l’ultima tappa: il ritorno a LA. In queste ultime 150 miglia abbiamo modo di imbatterci una delle caratteristiche più famose della California: un colossale serpentone di auto in colonna da S. Diego fino a LA. Fino ad ora, l’avevamo sempre scampato ma, dulcis in fundo… Il TRAFFIC JAM !!! Ritorniamo a dormire al Crowne Plaza di Beverly Hill passando per Downtown e Hollywood dal momento che non saremmo certo potuti ripartire per l’Italia senza aver visto la mitica insegna. Dopo numerosi sforzi e inversioni di marcia eccola in cima la collina! Anche stasera usciamo con tutte le più serie intenzioni di offrirci un bella cena, ma, come al solito, è troppo tardi! Promettendoci di andare l’indomani in un bel Ristorante Giapponese (Mako) visto in Beverly Boulevard, ci facciamo una pizza in una catena americana. Io prendo la specialità della casa (una vera americanata), Manu una più tradizionale. Non sono certo come quelle di Napoli ma nel complesso risultano discrete anche perché annaffiate dalla mitica birra Sierra Nevada che ritroviamo anche qui dopo averla assaggiata a S. Diego.

Giovedì 10 luglio 2003 Non ci rimane che Disneyland !!! Avevamo deciso di dedicargli l’intera ultima giornata anche a costo di sacrificare altre mitiche zone di LA (come Venice) e in questo abbiamo avuto ragione. Non solo per il costo (45 USD!!) ma per tutto quello che nel Magic Kingdom si può fare. Il “regno” è cresciuto e cambiato rispetto alla mia precedente visita nel 1994. E’ stato aperto il California Adventure e uno Shopping Center gigantesco che non prendiamo neppure in considerazione viste le dimensioni della sola zona Disneyland. Dall’entrata all’uscita è un continuo “che bel” per le attrazioni proposte, le ambientazioni, le ricostruzioni di paesaggi che ne fanno parte. Iniziamo da “Adventurland” dove saliamo sull’albero di Tarzan, percorriamo in battello un fiume che si snoda all’interno del (libro della) giungla, salviamo Indiana Jones da una mega palla rotolante a bordo di pazze jeep, ci troviamo nel bel mezzo di un assalto di pirati ad un piccolo porto dei Caraibi. A New Orleans Square prendiamo il Disneyland Express, uno sferragliante treno a vapore dopo aver visitato la casa degli orrori. Successivamente andiamo a Critterland evitando però di lanciarci giù dalle Splash Mountain. Nella casa di Winny the Pooh riviviamo la favola e compriamo un regalino per Veronica. A Frontierland è la volta del tiro a segno con le carabine. Velocemente ci spostiamo verso il mondo delle favole e dei cartoni il cui ingresso è presso il castello di Cenerentola dove facciamo delle foto con Walt e minnie. A questo punto Manu non si vuol perdere una favola. E così nell’ordine ci spariamo: Pinocchio, Biancaneve, Alice, etc…Poi è la volta di Toontown e delle sue stranezze: la casa di Pippo (tutta sghemba) quella di Roger Rabbit, l’auto di Paperino, il tram di Paperopoli, la casa di Topolino con relativo incontro con il proprietario immortalato da una bellissima foto. Alle 5:00 p.M. È il momento della Parade dei personaggi (oltre ai “soliti noti” già citati, anche la Sirenetta, Re Leone, …). Dulcis in fundo, giro nella giostra di Re Artù a cavallo di un bel destriero bianco.

La visita ad una ricostruzione di una base artica, un giro in auto su di una pista gioco e il tour minimundus su di uno sferragliante trenino del circo a Futereland concludono la giornata giusto in tempo per permetterci di assistere allo spettacolo Showbitz di chiusura del parco comodamente seduti al ristorante stile cajun di piazza New Orleans. Luci mirabolanti, musiche suggestive, fuochi artificiali grandiosi, personaggi Disney vecchi e nuovi, navi pirata e battelli del Mississipi, cantanti, piattaforme mobili, schermi d’acqua, proiettori laser, scenografie, ballerini, … Il tutto condensato in 45 minuti di spettacolo che per intensità, sfarzosità, effetti speciali e grandiosità non avevamo mai visto prima. Ma d’altra parte questa è l’America e questo e quello che ci si aspetta da Disneyland, il paese dove …DREAMS COME TRUE !!!!! Venerdì 11 luglio 2003 Ci svegliamo con calma mogi mogi consapevoli che ormai la vacanza è finita. La sera precedente siamo rientrati molto tardi da Disneyland e dobbiamo ancora fare le valige. L’aereo parte nel primo pomeriggio e non ci rimane altro tempo per altre visite anche se ci sarebbe piaciuto andare a Venice. Sarà per la prossima volta. Facciamo colazione (abbondante) e successivamente ci avviamo verso l’aeroporto dove dobbiamo prima riconsegnare l’auto e poi fare il check-in.

Questa volta al check-in Lufthansa siamo fortunati. Si erano appena liberati 2 posti vicini tra finestrino e corridoio, in una zona centrale dell’aereo. Hurrà…! Il ritorno non sarà come l’andata! Ultimi acquisti per finire i dollari cash, scriviamo le cartoline (come al solito all’ultimo momento) e fortunosamente riusciamo a spedirle grazie ad una gentile signora del banco informazioni (non ci sono buche delle lettere al LAX). Alle 15:35, in ritardo di un’ora, si parte. Addio LA.

La notte e la mattinata successiva passano abbastanza velocemente nonostante l’assenza di confort quali cinema e radio (impianto rotto…Anche i tedeschi perdono colpi oramai). La cena è mangiabile e il servizio decisamente diverso da quello dell’andata. I posti comodi ci fanno anche dormire per qualche oretta.

Sabato 11 luglio 2003 In perfetto orario alle 10:30 arriviamo a Francoforte. Abbiamo voglia di lavarci almeno la faccia, ma l’aeroporto è abbastanza vuoto e scarso di servizi decenti. Vago per mezz’ora alla ricerca della Lounge Lufthansa ma non riesco a trovarla nell’area in cui ci troviamo. Per fortuna l’aereo per Venezia è in orario e ci imbarchiamo quasi subito Successivamente arriviamo a Trieste dopo un viaggio allucinante in treno da Venezia. Caldo record, stanchezza a 1000, carro bestiame (standard FS). Meno male tale supplizio dura solo 2 ore!!!! SIAMO A CASA…CHE TRISTEZZA !!!



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