USA-New York e West Coast

New York, Cascate del Niagara, San Francisco, Las Vegas, Los Angeles
Scritto da: paola&lele
usa-new york e west coast
Partenza il: 19/07/2008
Ritorno il: 02/08/2008
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
Quest’anno abbiamo deciso di lanciarci in un viaggio davvero impegnativo ed avventuroso: destinazione Stati Uniti d’America. Ho curato personalmente programmazione e prenotazioni: dopo aver passato un paio di agenzie viaggi, infatti, mi sono resa conto che, oltre ai prezzi proibitivi, gli itinerari proposti erano predefiniti, della serie “prendere o lasciare”, e la cosa proprio non faceva per noi. Volevamo sfruttare l’occasione di questo viaggio per avere un panorama più vasto possibile del continente americano: il nostro desiderio era quello di vedere il più possibile nel poco (pochissimo) tempo a disposizione, 16 giorni. Per questo abbiamo preso spunto dai cataloghi ma abbiamo poi arrangiato l’itinerario secondo le nostre esigenze ed i nostri interessi. Alcune precisazioni: partecipanti al viaggio 2; prenotazione voli, auto, hotel tramite internet; spesa complessiva (volo, vitto e alloggio, nolo auto, souvenirs, attrazioni) per 16 giorni in due persone € 5.000 circa. 1° giorno: Milano – New York Siamo partiti da Linate per Newark via Londra alle 17. All’arrivo in aeroporto abbiamo presentato i nostri e-tickets al chek-in ed abbiamo ricevuto in cambio la carta d’imbarco; i bagagli sono stati automaticamente inoltrati alla destinazione definitiva nonostante lo scalo. A Londra ci hanno sottoposto a controlli e perquisizioni antiterrorismo ma nulla di così tremendo come avevo letto in precedenti esperienze di viaggio: gli addetti sono tutti molto cordiali e discreti e si vola tutti più sereni. Per un incredibile colpo di fortuna ci assegnano proprio i posti in corrispondenza con le uscite di sicurezza così abbiamo un enorme spazio libero davanti a noi dove poterci sgranchire le gambe durante la lunga traversata. Atterriamo a Newark che è ormai mezzanotte, ora locale. Proprio in considerazione dell’ora tarda che sconsigliava mezzi pubblici e taxi, avevo prenotato dall’Italia uno shuttle bus (GrayLine o Supershuttle sono entrambe affidabili), cioè un pulmino condiviso con altri viaggiatori che per 33€ in due ci accompagna fino al nostro hotel di Manhattan. Sono ormai le due del mattino quando giungiamo al Morningside Inn (111€ a notte in camera doppia superior) sulla 107° strada west: da fuori la struttura non pare male ma la camera, purtroppo, pur essendo una superior (definita tale solo perché dotata di bagno privato), è davvero squallida. Sapevamo che gli alberghi a NY si fanno pagare ma offrono servizi e strutture scadenti quindi non rimaniamo troppo delusi e, dopo una doccia rigenerante, ci infiliamo a letto stravolti. 2° giorno: New York Sveglia precoce a causa del fuso. Alle 8 ci incamminiamo verso il centro: ci rendiamo ben presto conto che a piedi impiegheremmo l’intera mattina per raggiungere Times Square quindi optiamo per l’autobus: 2$ a testa rigorosamente in moneta! Giunti nel cuore pulsante della metropoli, anche se di domenica tutto appare più pacato di quanto non ci aspettassimo, troviamo la sede della Grayline: avendo infatti solo due giorni da dedicare alla Grande Mela, mi ero premunita dall’Italia prenotando un pacchetto molto vantaggioso che comprendeva il tour hop-on hop-off (con la possibilità, cioè, di scendere a qualsiasi fermata per poi risalire sul bus successivo) con autobus scoperto di Downtown, Uptown, Brooklin, tour notturno oltre ai biglietti per la Statua della libertà e per l’Empire State Building (totale 108€ in due), il tutto valido per 24 ore. Ottenuti i nostri biglietti facciamo una pausa colazione da Starbuks: cornetti gommosi e cappuccino da litro, cominciamo proprio bene! Poi prendiamo il nostro Dubble Decker Bus ed iniziamo il tour di Downtown: Times Square, Fashon District, Madison Square Garden, i grandi magazzini Macy’s, l’Empire, il Financial District. Scendiamo per visitare Ground Zero: al posto delle torri gemelle troviamo un immenso cantiere; a ricordo della tragedia dell’11 settembre resta solo la piccola cappella di S. Patrik che, posta proprio ai piedi delle torri, è miracolosamente scampata al crollo ed è stata la sede dei soccorritori che qui mangiavano e dormivano prima di tornare al lavoro in quei frenetici giorni; all’interno si trovano altari improvvisati ricoperti di foto, stemmi, cappellini per commemorare l’impegno e il sacrificio di pompieri, poliziotti e volontari intervenuti in soccorso delle vittime. Dopo questa commovente tappa decidiamo di incamminarci a piedi verso Battery Park da dove salpano i traghetti per la Statua della Libertà. Attraversiamo una zona residenziale davvero bella con fontane e giardini che mai ti aspetteresti in una frenetica metropoli americana. Impieghiamo almeno due ore in un clima caldo umido insostenibile prima di raggiungere l’imbarcadero. Qui, ahinoi, dobbiamo metterci in coda per prendere il battello (e per fortuna abbiamo già i biglietti!): due ore fermi sotto il sole cocente delle una ci fanno davvero passare la voglia di raggiungere Liberty Island (dal punto di vista dell’accoglienza e dell’organizzazione del turismo gli americani fanno proprio pena!). Sbarcati ai piedi della Statua facciamo alcune foto ed ammiriamo lo skyline di Manhattan che da qui, effettivamente, rende molto. Al termine della visita ancora un’ora di coda per reimbarcarci: visti i tempi d’attesa decidiamo di non scendere ad Ellis Island e di proseguire per rientrare a Battery Park. Da lì poi ripigliamo il Bus che ci accompagna attraverso ChinaTown e Little Italy, costeggiamo il Palazzo di vetro dell’ONU, il Plaza e Central Park. Scendiamo ai piedi dell’Empire State Building e, dopo una cena veloce in un locale dall’apparenza carina ma dall’igiene scarsissima, nuovamente ci mettiamo in coda per salire all’Osservatorio dell’86° piano: sono ormai le nove di sera, la città comincia ad illuminarsi e lo spettacolo è davvero sconvolgente! Ammiriamo il panorama stupefacente della metropoli che si stende ai nostri piedi, scattiamo moltissime foto e poi ridiscendiamo per rientrare con l’autobus di linea all’hotel letteralmente distrutti. 3° giorno: New York Quest’oggi si comincia con l’Uptown Loop: il nostro hotel si trova ai margini di Harem, zona tranquilla dove si dorme divinamente, e così a piedi raggiungiamo la chiesa di S. John Divine che visitiamo prima di intraprendere il tour attraverso Harem con la Colunbia University, il Moma e il Gugenheim. Scendiamo a Central Park per una breve tappa all’Apple Store dove, mentre mio marito si perde alla scoperta delle ultime tecnologie, io approfitto delle postazioni di libero accesso ad internet per inviare mail a casa e rassicurare parenti e amici. Pranziamo con un saporitissimo hot dog sdraiati sull’erba di Central Park e nel pomeriggio proseguiamo con il Brooklin Loop. Prima, però, approfittiamo di una strepitosa offerta ed acquistiamo un navigatore satellitare con mappe americane ed europee: ci sarà preziosissimo per il proseguo del viaggio con tutti i km che ci aspettano sulla west coast! Brooklin è un quartiere residenziale molto curato e vivibile dove si trovano quelle casette a schiera in mattoni rossi con il portone preceduto da una rampa di scale che mi ricordano tanto la serie TV “I Robinson”. Da qui apprezziamo la vista dell’imponente e famoso ponte di Brooklin e del Manhattan Bridge oltre che di Downtown Manhattan. Rientriamo a Times Square giusto in tempo per una pizza da Sbarro (non male) e poi via di nuovo per il Night Tour che ci porta attraverso downtown fino a Brooklin per ammirare lo spettacolo di luci della città. Finiamo davvero tardi ed ancora più tardi rientriamo in hotel ma ne è valsa la pena. Con la formula del bus hop-on hop-off abbiamo avuto modo di farci un’idea complessiva della città scendendo nei punti di maggiore interesse, è una soluzione che consigliamo assolutamente a chi, come noi, non ha molti giorni da dedicare alla visita della Grande Mela. 4° giorno: New York – Buffalo – Cascate del Niagara Sveglia all’alba, alle 6.30 lo Shuttle Bus (questa volta prenotato il giorno precedente dall’Apple Store – 25€) passa a prenderci per condurci fino all’aeroporto La Guardia dove ci imbarchiamo alla volta di Buffalo, tappa intermedia per visitare le famose cascate del Niagara. A Buffalo troviamo l’auto a noleggio prenotata dall’Italia con Alamo e con essa ci rechiamo subito in hotel (anche prenotato: Red Roof Inn 48€ a notte in camera businnes – struttura nuova e ben curata, una delle migliori trovate nel nostro viaggio) per poi proseguire dopo pranzo alla volta delle cascate. Giungiamo nella cittadina di Niagara Falls, un vero caos dove non si trova parcheggio se non a pagamento (e che prezzi!) e dove in ogni angolo trovi un’insegna per Tourist Information ma in realtà si tratta di vere e proprie agenzie turistiche che ti offrono pacchetti preconfezionati per la visita della cascate. Sono ormai le 16 quindi decidiamo di avvalerci anche noi di questi pacchetti: per 77€ ci portano con un pulmino in vari punti panoramici, al Cave Of the Wind e sul Maid of the Mist e ci offrono il parcheggio per l’intero pomeriggio. Appena ci affacciamo sul primo punto panoramico veniamo colti da una profonda delusione: premesso che il Niagara River forma due distinte cascate, l’una sul lato americano l’altra su quello canadese (e questa è quella che normalmente viene immortalata con la sua caratteristica forma a ferro di cavallo) lo scroscio ed il fragore dell’acqua è tale da sollevare un impenetrabile pulviscolo di umidità che investe tutta la cascata “canadese” impedendone di fatto la vista. Ci portano poi al Cave of the Wind: si tratta di un percorso di scale e strutture di legno che risale a fianco alle cascate americane; ci danno in dotazione delle ciabattine ridicole ed un impermeabile e poi … attenti a non scivolare! Le cascate, infatti, sono talmente vicine che l’acqua sospinta da raffiche di vento inonda il percorso ed i malcapitati turisti. Essendo ormai fradici la nostra guida decide di condurci anche sul Maid of the Mist, il battello che si inoltra all’interno del semicerchio formato dalle cascate canadesi e ci illudiamo che almeno da lì sia possibile ammirarle ma invece nulla: solo una gita di venti minuti piuttosto movimentata in un banco di impenetrabile umidità che nemmeno consente di tenere aperti gli occhi. In conclusione saliamo sull’osservatorio panoramico, un’alta torre con una terrazza a sbalzo sul Niagara River: è questo l’unico punto dove si riesce a cogliere almeno la sagoma delle famose cascate. Col senno di poi dobbiamo riconoscere che non valeva proprio la pena di sconvolgere il nostro itinerario di viaggio appositamente per venire a vedere queste cascate: lo spettacolo naturale che ci attendevamo in realtà non si vede e l’organizzazione turistica fiorita tutt’attorno ha reso questo posto un parco divertimenti più che un parco naturale. Rientriamo in hotel a Buffalo che è già tardi quindi una cena veloce e poi a dormire. 5° giorno: Buffalo – San Francisco Basta avere i minuti contati che la sveglia decide di piantarci in asso: la luce che trapela dalle tende ci sveglia alle 6.00 ed è tardissimo! Chiudiamo le valige al volo, ci vestiamo e nel giro di 5 minuti siamo fuori dall’hotel, poi corriamo all’aeroporto, riconsegniamo l’auto e ci presentiamo al chek-in alle 6.25: che corse! Il nostro trasferimento prevede uno scalo a Chicago, che ammiriamo solo dall’aereo, e poi finalmente San Francisco. In aeroporto ci attende purtroppo una brutta sorpresa: la mia valigia si presenta sul nastro trasportatore del tutto esplosa in un angolo dal quale perfino fuoriescono magliette e costumi! Perdiamo un ora al Baggage Claim per formalizzare il reclamo poi decidiamo di rimandare al nostro rientro in Italia la richiesta di risarcimento e proseguiamo. Anche qui, infatti, ci attende un’auto a noleggio prenotata con Thrifty. Con il prezioso navigatore satellitare acquistato a New York raggiungiamo il nostro hotel senza troppi intoppi nonostante il traffico caotico di questa grande città. L’Edwardian Hotel (55€ a notte a camera) non è solo in stile vittoriano ma probabilmente risale all’epoca vittoriana: è arredato in modo lezioso con pesanti drappi damascati alle finestre, sui letti, sulle poltrone e poi ha un’ascensore d’antiquariato con la griglia di ferro, gli stucchi dorati e i quadretti appesi alle pareti. Insomma, un posto che potremmo definire “folkloristico”, dall’aspetto polveroso ma tutto sommato grazioso. L’hotel è su Market Street e secondo le recensioni di altri viaggiatori doveva essere “a due passi” da Union Square: in realtà ci vogliono due ore a piedi per raggiungere il centro! Ci limitiamo quindi a fare un giro per China Town, la più grande comunità cinese d’occidente, una città dentro la città con una vera e propria porta d’accesso presidiata da dragoni e poi tante piccole stradine disseminate di ristoranti asiatici e negozi di souvenirs, con palazzi, case, insegne, lampioni in stile rigorosamente orientale, tutti gestiti da orientali che a stento sanno qualche parola di inglese. Uscendo da China Town costeggiamo il quartiere finanziario e poi coraggiosamente decidiamo di salire su un Cable Car per riavvicinarci al nostro hotel: i cable car sono dei tram su rotaia storici e caratteristici di San Francisco che grazie ad un delicato meccanismo salgono e scendono dalle colline su cui si distende la città; hanno la precedenza su ogni altro veicolo e spesso si fermano per far salire e scendere le persone proprio in mezzo agli incroci; quando vi si sale bisogna scegliere se sedersi all’interno della cabina oppure stare all’aperto in piedi su un predellino esterno appesi ai pali, davvero folkloristico! Giunti ormai nei paraggi dell’hotel troviamo da cenare in un pub tipico e molto carino dove si mangia pure bene (da Tommy Join’t – € 12 in due per un’enorme piatto di carne e verdure)) E dopo cena una saporita dormita per rigenerarsi da tante fatiche. 6° giorno: San Francisco – Three Rivers, Sequoia Park (km 440) Questa mattina, dopo le corse dei giorni scorsi, decidiamo di prendercela con calma. Attraversiamo la città e raggiungiamo la zona dei moli da dove partono i battelli per Alcatraz, la famosa isola-prigione. Purtroppo, però, tutto è sold out addirittura per giorni, avremmo dovuto prenotare i biglietti dall’Italia! Peccato, così dopo colazione, optiamo per un giro della baia (25€ in due persone con Gray Line): il battello gira attorno ad Alcatraz, poi prosegue fino al Golden Gate, l’impressionante ponte sospeso di color rosso che attraversa tutta la baia. Rientrati ci perdiamo nel Fisherman Worth, il Pier 39, un vecchio molo completamente restaurato ed oggi adibito ad attrazione turistica con ristorantini di pesce e negozi di souvenirs di ogni genere. Salutiamo i rumorosi ma simpatici leoni marini che del molo 39 hanno fatto la loro insolita colonia, e dopo un pranzo a base di calamari fritti e chips, intraprendiamo il nostro lungo viaggio che ci porterà attraverso California, Nevada, Utah ed Arizona per circa 4000 km. Scendiamo verso sud fino a raggiungere in tarda serata Three Rivers, paesino alle porte del Sequoia National Park. Questa è il primo pernottamento non prenotato: è stata una scelta voluta per consentirci maggiore flessibilità d’itinerario che per alcuni versi si è rivelata utile (poiché proseguendo nel viaggio abbiamo aggiustato il tiro rinunciando ad alcune mete ed optando per altre più vicine) per altri sconveniente (poiché in questa stagione le zone dei parchi sono affollate ed abbiamo trovato posto solo piuttosto lontano da essi). Troviamo da dormire al Three Rivers Hotel (70€ 1 notte in camera doppia), una struttura un po’ country molto graziosa e con la piscina che subito proviamo prima di andare a cena in un bel locale lungo il fiume dove ci servono un cheesburger sorprendentemente delizioso. 7° giorno: Sequoia National Park – Caliente, Ranking Ranch (km 250) Partenza di buon mattino. All’entrata del parco acquistiamo l’abbonamento annuale ai parchi nazionali (50€ a veicolo) che è molto conveniente se si ha in programma di visitarne almeno 4. Dopo un’ora di tortuosa strada di montagna all’interno del Sequoia National Park (durante la quale avvistiamo anche un orso!) raggiungiamo lo Sherman Trail, un percorso a piedi attraverso il quale si giunge fino all’imponente “Generale Sherman” ossia la gigantesca sequoia che pare essere l’albero più vecchio al mondo. Su alcuni racconti di viaggio avevo letto dell’”albero più grande del mondo” ma così non è: si tratta certamente di un albero altissimo di cui si fatica a vedere la cima ma non ha un fusto enorme (certo non come i baobab visti in africa); la particolarità sta nell’altissima densità di questo legno che consente di datare queste piante tra i più antichi esseri viventi al mondo. In ogni caso il Generale Sherman non è l’unico esemplare, si trova infatti immerso in un bosco di sequoie talmente alte da impedirti di vedere il cielo; davvero spettacolare! Dopo questa tappa, proseguiamo il viaggio con meta Caliente, nel sud della California, dove abbiamo prenotato una notte al Ranking Ranch (264€ 1 notte in camera doppia con pensione completa e 2 escursioni a cavallo), un Guest Ranch dove ci si immerge nell’atmosfera del vecchio west con escursioni a cavallo da veri cowboy! Arriviamo giusti per l’ora del pranzo annunciato da una campana. Poi abbiamo giusto il tempo di sistemarci nel nostro cottage ed è già ora della nostra prima escursione a cavallo nei dintorni. Per come sono strutturate, queste esperienze sono adatte anche a principianti (come la sottoscritta) senza particolare filling con i cavalli: i wranglers ti danno alcune essenziali istruzioni su come stare a cavallo, come tenere le redini, ecc, dopo di che ci si mette tutti in fila uno dopo l’altro con una guida in testa ed una in fondo al gruppo e si procede tra sentieri di montagna, precipizi, guadi dei fiumi .. Bellissimo!!! Dopo due ore si rientra al ranch letteralmente massacrati ma entusiasti. Dopo una doccia rigenerante decidiamo di fare un tuffo in piscina e rilassarci un po’ a bordo vasca. Meditando sul proseguo del viaggio ci rendiamo conto che è indispensabile prenotare l’hotel per la prossima notte nella Death Valley visto l’esiguo numero di strutture disponibili. Chiediamo cortesemente alla reception se ci lasciano accedere ad internet e velocemente risolviamo il nostro problema. Per cena gli ospiti si radunano nel patio per un aperitivo in compagnia e poi ci si accomoda in giardino dove viene servita una ricca grigliata di carne con verdure cucinata al memento su un enorme barbecue. Dopo cena è consuetudine che i bambini portino gli avanzi della cena agli animali della fattoria e noi, seppur grandicelli, ci aggreghiamo per vedere agnellini, caprette e mailaini; la serata prosegue con un torneo di biliardo ma dopo poco crolliamo dalla stanchezza e preferiamo ritirarci nel nostro cottage per ammirare le stelle nel buoi assoluto della natura. Durante la notte veniamo svegliati da un violento e lunghissimo terremoto che fa tremare perfino i vetri delle finestre … ma per queste zone è ordinaria amministrazione! 8° giorno: Caliente – Shoshone, Death Valley (km 300) L’indomani mattina nuova escursione a cavallo. Dopo colazione raduniamo le nostre cose in auto e lasciamo libero il cottage, poi partiamo a cavallo salendo lungo le pendici del Water Bassin che circonda il Ranch, costeggiamo alcuni dirupi, avvistiamo un piccolo d’orso poco lontano da noi, ed infine raggiungiamo un bosco ombroso lungo un torrente dove ci fermiamo per il nostro pranzo al sacco con panino farcito con carne alla griglia e verdure. Giusto il tempo di mangiare e riposare un po’ e poi di nuovo in sella: senza accorgercene ci siamo allontanati molto dal ranch quindi non sarà breve rientrare. Al termine di questa avventurosa cavalcata salutiamo wranglers e cavalli, ci togliamo di dosso la polvere con un bel bagno in piscina ed infine partiamo alla volta della nostra prossima meta. Durante lo spostamento in occasione di una sosta carburante acquistiamo il “frigo”, cioè una scatola di polistirolo con un sacco di ghiaccio dove riporre acqua e frutta da tenere in auto per ogni evenienza. Verso le 18 entriamo nella cittadina di Shoshone: 23 anime in tutto, 1 motel, 1 pub, 1 market, 1 museo, qualche casa molto modesta, null’altro. Un posto di frontiera abbandonato da Dio che scopriamo essere di proprietà di un’unica persona della quale ogni abitante è inquilino e dipendente, pazzesco! Al Shoshone Hotel (48€ 1 notte in camera doppia), un classico motel da film con le camere disposte a piano terra a ferro di cavallo attorno al parcheggio – piuttosto squallido, ci accolgono due donne che dopo le formalità di check in ci chiedono se l’indomani avremmo visitato la Death Valley; alla nostra risposta affermativa ci danno questo laconico consiglio: “Leave early, bring water” (Partite presto, portate acqua). Così attraversiamo la strada e ceniamo con cheesburger al bancone dell’unico pub e poi ce ne andiamo diretti a dormire, anche perché il posto non offre altre attrazioni. 9° giorno: Shoshone, Death Valley – Las Vegas (km 250) Sveglia alle 5, partenza immediata, alle 6 varchiamo le soglie del Parco Nazionale della Death Valley, dove a differenza di altri parchi non troverete nemmeno il ranger a controllare il pass ma solo distributori automatici di biglietti d’entrata … e di acqua per il radiatore dell’auto! Entrando da sud percorriamo una lunga strada asfaltata nel deserto e giungiamo a Bad Water: occorre percorrere un breve tratto a piedi per poi trovarsi su un punto panoramico che si affaccia su quel che era un lago salato ora asciutto e che è il punto più basso del continente americano. Proseguendo incontriamo il paese di Fornace Creek, l’unico centro abitato all’interno della Valle della Morte, dove facciamo colazione e controlliamo il termometro: ore 9 del mattino, 42 gradi! La giornata promette bene! Lungo il tragitto facciamo un’altra sosta a Zibrinski Point un punto panoramico spettacolare dal quale si può ammirare una zona rocciosa dove lo stratificarsi della roccia negli anni ha creato striature di vari colori dal giallo all’arancio al rosa davvero di grande effetto.. mpedendone la vista are un impenetrabile pulviscolo di umidità che di fatto investe tutta la cascata impedendoferro di cavallo Infine, è quasi mezzogiorno quando giungiamo a Sand Dunes, dove si possono vedere vere e proprie dune di sabbia. Purtroppo il caldo è insostenibile, scendiamo dall’auto giusto il tempo di fare due foto e poi vi risaliamo al volo per riprendersi ai 25 gradi dell’aria condizionata. Ai margini della Death Valley incontriamo la città fantasma di Bolder City, non proprio come altre città fantasma descritte in altri itinerari di viaggio ma comunque suggestiva. Ed infine raggiungiamo nel primo pomeriggio la mitica Las Vegas, un tripudio di luci, colori e pacchianeria! Senza troppa difficoltà individuiamo il nostro albergo, l’Excalibur, un enorme castello bianco con pinnacoli celesti e finestrelle rosse tutto in tema mediovale, splendidamente posizionato direttamente sulla Strip, il grande viale di Las Vegas. Alla reception con tono quasi amareggiato ci dicono che le camere standard, come quella da noi prenotata dall’Italia, sono purtroppo esaurite e quindi, se per noi non è troppo disagio, ci sistemerebbero per lo stesso prezzo (36€ 1 notte in camera doppia) … in una suite: oh, quanto ci dispiace! Saliamo quindi all’ultimo piano di una delle torri del castello e prendiamo possesso della nostra splendida suite con cucina, salotto, camera da letto, due bagni, vasca idromassaggio e doccia formato famiglia, vista panoramica sulla Strip: un sogno! Dopo tanta polvere e tante sistemazioni spartane ci gustiamo a fondo tanto lusso. Approfittiamo della piscina per rinfrescarci dall’insostenibile calura e poi ci facciamo belli per tuffarci nel turbinio della vita notturna cittadina. Visitare Las Vegas significa sostanzialmente visitare i suoi alberghi eccentrici ed a tema: poiché in ognuno c’è un casinò, l’accesso è libero e si può tranquillamente gironzolare al loro interno senza impegno. Risalendo a piedi la Strip troviamo il New York New York con i suoi grattaceli, la Statua della libertà e le montagne russe che vi passano in mezzo; poi l’MGM; il Paris Paris con la Torre Effeil; il Bellagio con lo spettacolo delle fontane; il Cesar Palace. Dopo una pausa per cena in un pub carino con musica dal vivo, raggiungiamo il Venetian, un complesso gigantesco che riproduce Venezia con tanto di campanile di S.Marco, Ponte di Rialto, Palazzo Ducale e poi all’interno campi, calle e canali con le gondole: pazzesco! Di fronte sta Tresure Island ma è ormai molto tardi e noi siamo sfiniti quindi preferiamo rientrare in albergo. 10° giorno: Las Vegas – Zion National Park – Kanab (km 200) Al mattino ci regaliamo ancora un breve momento di relax in piscina e poi ripartiamo per il nostro viaggio. L’itinerario originale prevedeva di raggiungere il Bryce Canyon ma lungo il percorso ci siamo resi conto di quanto infinite siano le distanze (e ridicoli i limiti di velocità!) così abbiamo aggiustato il tiro e preferito il più vicino Zion che raggiungiamo nel primo pomeriggio. Il parco è molto ben organizzato: c’è un bus navetta gratuito che percorre tutto il canyon con la possibilità di fermarsi in vari punti panoramici. Noi ci fermiamo all’ultima stazione, proseguiamo a piedi fino al torrente che ha scavato questo canyon di roccia rossa. Dicono che questo canyon abbia ispirato l’ambientazione del cartoon Will il Coyote ed effettivamente si riscontrano davvero delle somiglianze. Il paesaggio è davvero bello, il canyon è stretto e profondo e col calar del sole la roccia rossa assume delle sfumature splendide. Quando ne usciamo ci rendiamo conto che, passando nello Utha abbiamo perso un’ora di fuso e dunque è meglio cenare prima che chiuda tutto. Troviamo un bellissimo ristorante con panorama sul canyon ed optiamo per una pizza (l’unica cosa abbordabile sul menu). Poi ci rimettiamo in auto e raggiungiamo Kanab dove da Las Vegas tramite internet abbiamo prenotato una stanza al Victorian Charm (60€ 1 notte in camera doppia con abbondante colazione): anche questa volta siamo fortunati e troviamo una splendida stanza con vasca idromassaggio che ovviamente proviamo prima di stramazzare a letto. 11° giorno: Kanab – Page, Antilope Canyon – Monument Valley – Bluff (km 245) A colazione conosciamo una coppia di americani in viaggio di nozze molto gentili che ci prestano computer e telefono per prenotare l’hotel per la prossima notte. Purtroppo è tutto pieno nei dintorni della Monument Valley e troviamo posto solo a Bluff, un paese ben oltre il parco, pazienza! Ci mettiamo in viaggio per Page dove ammiriamo l’impressionante diga e cerchiamo indicazione per l’Antelope Canyon: in città offrono visite organizzate ma si può proseguire con la propria auto e raggiungere la spianata da dove partono le guide indiane e pagare così solo la visita. L’Antelope, infatti, è un parco in territorio Navajo, gestito da indiani con guide indiane e per il quale non vale l’abbonamento ai parchi (40€). Nell’attesa del nostro turno pranziamo al volo e poi veniamo imbarcati su dei mostruosi pick-up che si inoltrano a velocità pazzesca nel deserto sballottandoci in qua e in là in una nube di polvere rossa! Così giungiamo all’ingresso dell’Antelope Canyon, uno slot canyon formato nella roccia dalle improvvise piene d’acqua che si incanala in questo solchi a gran velocità e gli scava, gli incide, gli leviga fino a creare questo splendido canyon. L’interno è indescrivibile! Lo percorriamo tutto in un senso e nell’altro e scattiamo una mole di foto. Dopo circa due ore, i polverosi e pazzi pick-up navajo ci riportano alla nostra auto e riprendiamo il nostro viaggio. Proseguiamo fino a Kajenta e svoltiamo verso la Manument Valley: si apre davanti a noi il classico paesaggio western, una landa desolata di terra rossa riarsa dal sole dalla quale si ergono questi enormi macigni solitari o in coppia, sparsi qua e là, alcuni piccoli altri più grandi. Proseguiamo estasiati lungo la strada perfettamente diritta che porta a Bluff fino a che i monoliti si diradano e poi scompaiono; qualcosa non ci torna: la guida riferisce che l’entrata del parco della Monument è a pagamento e noi non abbiamo ancora pagato nulla, ci viene il dubbio di esserci persi qualche bivio e così decidiamo di tornare indietro. Effettivamente non ci eravamo accorti di una stradina sterrata segnalata da un microscopico cartello intagliato nel legno che indicava l’entrata al parco. La raggiungiamo che sono ormai le sette. Entriamo ugualmente e scendiamo il sentiero tortuoso e sterrato e poi l’intero percorso attorno ai monoliti più belli e più significativi della Manument Valley: che spettacolo! Affascinati dal panorama, dal sole che cala, dal silenzio che regna sovrano, non ci rendiamo conto del tempo che passa e quando usciamo sono già le nove! Dobbiamo ancora percorrere un centinaio di km prima di raggiungere il nostro hotel a Bluff e chissà se troveremo da cenare! Ed infatti, giunti finalmente a destinazione (43,34 € 1 notte in camera doppia), è ormai già tutto chiuso e per cena dobbiamo accontentarci di una confezione di patatine, sic, ma siamo talmente stravolti che il sonno ha la meglio sulla fame. Approfittando dell’ora tarda insistiamo con l’addetto alla reception perchè ci conceda computer e accesso ad internet per prenotare l’hotel per la prossima notte nei dintorni del Grand Canyon. 12° giorno: Bluff – Kajenta – Grand Canyon – Williams (km 250) Al mattino veloce colazione in auto con un bel muffin, pieno di carburante e via! Ripercorriamo al contrario la strada fatta il giorno prima riavvicinandoci alla Monument Valley. Aprofittiamo della luce del giorno per scattare una moltitudine di foto alle rocce rosse che si ergono dalla terra ai lati del lungo stradone sul quale viaggiamo: facciamo anche una foto sdraiati nel bel mezzo della strada, aiuto! Lambiamo il parco della Manument senza rientrarvi: sarebbe bello ma non abbiamo proprio tempo, oggi dobbiamo percorrere un lungo tratto di strada. Proprio in vista dei lunghi km da percorrere Emanuele pesta sull’acceleratore a dispetto dei ridicoli limiti di velocità … e viene colto in flagranza! Incrociamo infatti una pattuglia della polizia stradale e, seppure rallentiamo, ugualmente ci individua, fa inversione ad U e ci segue, poi accende sirene e lampeggianti e, ahinoi, dobbiamo accostare. Si tratta di quel classico sceriffo “panzone” e spocchioso dei film americani che con un inglese pessimo ci spiega che con il suo radar ha verificato che correvamo troppo rispetto ai limiti, ci chiede i documenti nostri e dell’auto, ci dice che non siamo i primi italiani che ferma e che noi italiani corriamo sempre troppo in auto, ecc, Insomma alla fine ce la caviamo con un po’ di strizza ed un semplice warning, cioè un ammonimento a rispettare i limiti altrimenti la prossima volta saremmo multati! Proseguiamo dunque con prudenza facendo tappa in uno store di manufatti e souvenirs molto belli ed originali dove facciamo un po’ di shopping. Nel pomeriggio raggiungiamo finalmente la nostra meta: dalla strada che scorre attraverso un rosso e piatto altopiano scorgiamo improvvisamente uno squarcio, una frattura che mano a mano si apre e diventa sempre più profonda. Che spettacolo: è il Grand canyon!!! Giungendo da ovest sul south rim ci fermiamo in corrispondenza di alcuni punti panoramici davvero entusiasmanti dove si riesce proprio ad apprezzare la progressiva frattura creata dal maestoso fiume Colorado che scorre quasi impercettibile laggiù, quasi 2000 m. Più a valle. Lo si nota appena perché lontanissimo e poi perché, scorrendo lungo il canyon di roccia rossa, ne assume lo stesso colore. Risaliamo verso est fino a raggiungere l’entrata del parco e l’information point dove purtroppo scopriamo che la parte più ad est del canyon è chiusa al pubblico a causa di lavori di rifacimento della strada che lo costeggia: all’interno del parco, infatti, ci si può muovere solo con le navette gratuite che si sviluppano su due percorsi: uno di servizio a ristoranti ed hotel, l’altro più panoramico che si addentra nel canyon ed accompagna ai vari punti panoramici. Purtroppo proprio quest’ultimo è sospeso, accidenti! Non ci resta che accontentarci dei pochi punti panoramici lungo la linea di servizio: da qui si può apprezzare l’immensità di questa meravigliosa opera della natura però ci resterà sempre il dubbio su come sarebbe stato proseguire … Ecco, una cosa che ci ha colpiti è l’assoluta mancanza di qualsiasi barriera o protezione nei punti panoramici: cioè il turista che si affaccia al Grand Canyon … rischia di cascarci dentro! Non una staccionata, una ringhiera, una rete, solo qua e là qualche cartello che avverte di prestare attenzione a non scivolare. La gente quindi è libera di andare ovunque scendendo lungo pericolosi sentieri a piedi per giungere fino alle rocce più a strapiombo sul canyon: il mio intrepido marito, ovviamente, non può resistere ad una tale tentazione e si inerpica ovunque pur di scattare qualche foto sensazionale. Attendiamo il calare della sera per cogliere il Canyon nella sua dimensione più spettacolare e poi decidiamo di risalire in auto alla volta di Williams, dove abbiamo prenotato al Grand Canyon Hotel (50,49€ in camera doppia), un grazioso alberghetto reduce dai ruggenti anni 60 della mitica Route 66. Williams è una di quelle cittadine nostalgiche che ancora vivono nell’atmosfera di quegli anni rivivendoli e ricordandoli in ogni dettaglio. Il nostro hotel, è appunto in tono con la cittadina: polveroso, lezioso negli arredi e … audace con i calendari delle pin-up appesi alle pareti delle camere. Ceniamo in un ristorante messicano con musica dal vivo e poi rientriamo in albergo. 13° giorno: Williams – Tsayan – Needles (km 430) Quest’oggi, dopo colazione e souvenirs, ripercorriamo al contrario la strada già fatta (purtroppo, infatti, non avendo prenotato con largo anticipo gli alberghi abbiamo dovuto ripiegare su sistemazioni logisticamente un po’ “scomode”) fino a Tusayan dove c’è l’Imax Theatre (15,13€ entrata in due), un cinema tridimensionale che proietta un video sul Grand Canyon davvero impressionante: ripercorre la storia del Canyon e della sua scoperta e consente di viverlo anche dal fondo lungo il fiume Colorado, davvero bello! Tanto che decidiamo di acquistare anche il DVD da rivedere a casa con parenti ed amici. Ora ci tocca un’altra lunga tratta di strada: destinazione Los Angeles, complessivamente quasi 800 km! Maciniamo molti km, alternandoci alla guida. La strada così incredibilmente diritta che attraversa il nulla rischia di divenire noiosa. Oltre tutto la nostra auto non è munita di cruise controle, sistema davvero utile su queste distanze perché mantiene la velocità impostata senza dover calcare costantemente sull’acceleratore. Facciamo una tappa al Plane of Fames Museum, museo delle glorie dell’aviazione americana, dove ci sgranchiamo un po’ le gambe e controlliamo la carta geografica (della quale non si può fare senza nemmeno se si ha il navigatore): scopriamo così che oltrepassata la cittadina di Needles non troveremo più nulla fino a LA! Perciò, anche potendo guidare ancora per qualche ora siamo costretti a fermarci e trovare una sistemazione a Needles, appunto. Per nostra fortuna l’hotel Travelers Inn (41,85€ in camera doppia) oltre ad essere bello, moderno, pulito ha pure la piscina e dunque trascorriamo un’oretta a bagno togliendoci di dosso la polvere della lunga strada. Ceniamo in un classico fast food poco lontano e poi a letto presto. 14° giorno: Needles – Los Angeles – Santa Monica (km 370) Ripartiamo alla volta della destinazione finale del nostro viaggio: in poco più di tre ore siamo a Los Angeles, in anticipo sulla tabella di marcia. Man mano che ci si avvicina alla grande metropoli le strade, prima deserte, si affollano d’auto, le strade si intrecciano e moltiplicano, ti ritrovi improvvisamente su una carreggiata a 5/6 corsie che è una vera bolgia, aiuto!!! Il nostro programma prevedeva per oggi pomeriggio al mare e domani visita della città ma preferiamo invertire le cose e recarci subito agli Universal Studios (83,84€ entrata in due): si tratta di un enorme parco a tema sul cinema con giochi ed attrazioni; al suo interno si trova anche un percorso con trenino tra i set dei film e serie tv più famose della storia del cinema. Si passa dal motel di Psyco a Westerial Lane di Casalinghe Disperate, dal paesello messicano al vecchio west, con tutti gli effetti speciali del caso. Non si può dire di aver visitato LA senza aver visto gli Studios! Usciamo nel primo pomeriggio e ci rechiamo in centro, sull’Holliwood Boulevard, fino al Kodak Theatre dove si svolge la cerimonia degli Oscar. Da qui possiamo perfino godere di un ottimo panorama sulla mitica scritta “Holliwood”. Più in là si trova anche il Chineese Theatre, all’entrata del quale stanno le famose impronte di mani e piedi delle star americane. Percorriamo poi la Walk of Fame calpestando le stelle di Tom Cruise, Michel Jackson, Britney Spears, ecc. E poi decidiamo di risalire in auto: ci facciamo un giro tra le splendide ville di Beverly Hills! Dopo tanto sfarzo e tanta gloria decidiamo di lasciare il centro per sistemarci nel nostro hotel prenotato a Santa Monica, il Pavillons Motel (59,04€ in camera doppia). Lo raggiungiamo in serata e … che squallore!!! Mamma mia, mai avevamo trovato un hotel così misero, sciatto, e sporco! Non osiamo nemmeno aprire la valige, ci facciamo una doccia veloce e poi fuori per cena. In realtà, prima di mangiare dobbiamo sbrigare un’altra faccenda: da quando siamo stati all’Apple Store di New York Emanuele non fa che pensare e ripensare al nuovo MacPro, computer portatile che qui costa molto meno che in Italia. Andiamo dunque alla disperata ricerca dell’Apple Store sulla Promenade di Santa Monica dove giungiamo alle ore 21.58 (chiude alla 22!): carta di credito alla mano in due minuti acquistiamo computer mouse e i-pod, mai speso così tanti soldi in così poco tempo! Usciti “alleggeriti” dall’Apple Store ci gustiamo, finalmente una romantica cenetta sulla Promenade dove si esibiscono vari artisti di strada davvero bravi. Quando rientriamo nella nostra bettola è tardissimo e siamo stravolti. Ma domani, finalmente si riposa. 15° giorno: Los Angeles – Milano via Londra Dopo tanto viaggiare oggi ci spetta il meritato riposo! Sistemiamo le nostre cose in auto e ci “spaparanziamo” sulla bellissima spiaggia di Santa Monica: davanti a noi il Pacifico con i surfisti che approfittano di ogni onda, alle spalle le alte palme che costeggiano il viale lungo mare, e qua e là le torrette dei guardia-spiaggia alla Baywatch; sembra di stare in un film! Sdraiati sotto il sole ripercorriamo mentalmente le tappe del nostro viaggio, i posti che abbiamo visto, la gente che abbiamo incontrato, i km che abbiamo percorso! Ci sembra di essere qui da mesi e invece sono solo 15 giorni: è stata una tirata, ma ne è proprio valsa la pena. Essendo ormai alla fine del nostro viaggio abbiamo terminato i contanti ma tanto negli States si può acquistare qualsiasi cosa con carta di credito … e invece no: sul lungo mare di Santa Monica solo cash, pazzesco! Per pranzare dobbiamo rientrare verso l’interno dove troviamo un bar con spuntini di pesce: alla luce della lunga esperienza di queste settimane ordino degli spiedini senza “souce”, quella salsa repellente che gli americani mettono in ogni cosa dagli hamburger al cappuccino; devo quasi litigare con la cameriera per ottenere il mio buon pesce pulito pulito! Rimaniamo in spiaggia anche il pomeriggio fino alle 4, poi in auto raggiungiamo la sede della Thryfty nei pressi dell’aeroporto dove dobbiamo riconsegnare l’auto a nolo. Sbrigate le formalità un bus navetta ci porta in aeroporto, imbarchiamo i bagagli, passiamo il check in, e ci imbarchiamo. Avendo esaurito la fortuna col volo d’andata, al ritorno ci tocca proprio una pessima sistemazione: due posti nella fila centrale senza sbocchi sul corridoio! Come resistere le 8 ore del volo!?! Atteriamo a Londra un po’ “atrofizzati” ma il peggio è passato, con altre due ore siamo a Milano e poi finalmente a casa. Sono le due di notte quando arriviamo ma non resistiamo alla tentazione: dopo hamburger hot dog e patatine unte, la stanchezza non ci impedisce di prepararci un buon piatto di spaghetti al pomodoro, evviva!!! In conclusione possiamo ben dire che questo viaggio negli States è stato entusiasmante: certamente intenso per come lo abbiamo strutturato ma l’organizzazione fai-da-te ci ha consentito di vedere molti e svariati posti senza dover scegliere tra parchi e metropoli, assaporando tutti i gusti di questo poliedrico continente nord-americano. Sicuramente un viaggio da ripetere, magari con qualche settimana in più a disposizione.


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