Gli States a ritmo di rock

Lo scorso anno, io e il mitico fidanzato, Al ci eravamo messi a discutere sulla destinazione delle vacanze 2008. Ebbene, ebbi un lampo di genio: perché non realizzare il sogno che mi porto dietro sin da bambina? La West Coast americana, un tour tra cowboys, polvere rossa, hamburger e bisteccone alla griglia. Va bene, va bene, lo ammetto… per...
Scritto da: Dany C.
gli states a ritmo di rock
Partenza il: 24/08/2009
Ritorno il: 11/09/2009
Viaggiatori: in coppia
Lo scorso anno, io e il mitico fidanzato, Al ci eravamo messi a discutere sulla destinazione delle vacanze 2008. Ebbene, ebbi un lampo di genio: perché non realizzare il sogno che mi porto dietro sin da bambina? La West Coast americana, un tour tra cowboys, polvere rossa, hamburger e bisteccone alla griglia. Va bene, va bene, lo ammetto… per convincere Al ho dovuto mentirgli! Non eravamo mai stati tante ore in aereo e quindi quando mi ha chiesto quanto tempo ci sarebbe voluto per arrivare a San Francisco, gli ho risposto candidamente… otto ore!! Superato lo scoglio iniziale (la mia bugia è poi stata ovviamente scoperta ben presto), mi è venuto il panico: rivolgiamoci a un’agenzia, è così lontano da casa, così immenso che ho paura di sbagliare tutto! La vacanza fu emozionante, ma carissima e durò soltanto una decina di giorni, in quanto molte tappe ci furono tagliate perché giudicate “inadatte al turismo”. Ci giurammo allora che saremmo tornati sulla West Coast nel 2009, per almeno 3 settimane, visitando tutti i posti che non eravamo riusciti a vedere e tornando in quelli che ci avevano colpito in modo particolare. E’ proprio questo il viaggio di cui voglio parlarvi, organizzato in totale autonomia. Tutti possono farlo, basta conoscere l’inglese, saper usare internet e i racconti di viaggio di persone che mettono le loro esperienze a servizio di altri viaggiatori, ma soprattutto avere fantasia, voglia di fare e… una bella cartina da stendere sul pavimento mentre si traccia l’itinerario!!! Partiti in ritardo coi preparativi, visto che 3 settimane non sono proprio poche e che non sapevamo se i rispettivi lavori ce l’avrebbero permesso, abbiamo cominciato ad organizzare tutto soltanto verso maggio. Avevamo una bozza di itinerario, ma la priorità era quella di divertirsi, di scoprire la vera America e soprattutto di evitare le tappe massacranti alle quali ci avevano costretto l’anno precedente. Abbiamo controllato tutti i giorni i siti delle compagnie aeree e finalmente la combinazione giusta è saltata fuori: Roma-Los Angeles-Roma a circa 1000€ per due persone, tutto incluso, con la US Airways!! Abbiamo prenotato subito e poi il secondo passo è stato quello di bloccare anche l’auto. La scelta è caduta sulla Dollar, che proponeva un notevole risparmio rispetto alla Hertz, utilizzata in tutti i nostri viaggi. Col senno di poi posso confermare che è economica, certo, ma che bisogna fare attenzione alle auto che vi danno, visto che alcune sono molto vecchie e quindi tenderanno a darvi problemi, scoprirete più avanti il perché! 24 Agosto La mattina della partenza ero a dir poco terrorizzata. Avevo organizzato tutto io, con Al che – con grande invidia delle mie amiche – mi aveva lasciato carta bianca, ed ero entrata in una specie di fase da ansia di prestazione: finché c’è un’agenzia, se qualcosa non va come dovrebbe c’è sempre chi incolpare, o qualcuno a cui rivolgersi. Stavolta sarebbe stata solo colpa mia e tutti mi avevano detto anche cose tremende sulla US Airways, quindi ero stravolta quando siamo arrivati a Fiumicino! Quasi a confermare le mie paure, il volo è arrivato con un’ora di ritardo. Abbiamo rischiato di perdere la coincidenza per Los Angeles a Philadelphia, ma mi ero preoccupata di fare il check-in online, bloccando i posti che, con mia grande delusione, ci vedevano separati per il secondo volo. Consiglio assolutamente di fare lo stesso, 24 ore prima della partenza: una volta a Philadelphia, tutti quelli che non avevano fatto il check-in online né confermato i posti a Roma sono rimasti a terra per via dell’overbooking. Il nostro era l’ultimo volo di quella sera, quindi i poveri malcapitati hanno dovuto dormire in aeroporto e prendere il primo aereo all’alba. L’arrivo a Los Angeles è stato traumatico: avevo assaggiato il pollo piccante che sull’aereo ci avevano servito per pranzo ed avevo un mal di stomaco incredibile. Aggiungete pure il fatto che il bus della Dollar era climatizzato a temperature da Era Glaciale e capirete come mi sentivo! Siamo arrivati negli uffici Dollar alle 23 circa, c’era una fila incredibile e quando è toccato a noi, praticamente gli ultimi, ci hanno detto che era disponibile solo una Kia. Non eravamo entusiasti ma, grave errore, non ci siamo nemmeno premurati di controllare quante miglia avesse percorso l’auto. Eravamo stanchissimi e quindi ci siamo subito fiondati all’hotel Ramada Lax, scelto come appoggio per la prima e l’ultima notte a Los Angeles in quanto è vicinissimo all’aeroporto e anche abbastanza economico. Solo… non aspettatevi il grand’hotel! Le stanze sono spaziose, ma sa tanto di albergo a ore e nonostante la carinissima piscina a disposizione degli ospiti, la mattina dopo siamo praticamente fuggiti via! La pulizia per me è al primo posto nella scala delle cose importanti in un hotel e al Ramada purtroppo non la pensano allo stesso modo, peccato! 25 Agosto Dopo aver caricato i borsoni semi-vuoti (ok lo ammetto, avevamo pianificato una tappa a Las Vegas apposta per andare a svaligiare gli outlet in città!), partiamo alla volta della Death Valley, dove alloggeremo allo Stovepipe Wells Village. Per strada ci fermiamo a comprare le scorte che ci dureranno per quasi tutto il viaggio: patatine di ogni genere (gli americani vendono anche una specie di mix di patatine e salatini nella stessa busta), popcorn dolce e salato, biscottini… tutta roba sana, ovviamente!!! Prendiamo un cappuccino lì vicino, prima di preparare accanto a me tutte le cose che mi hanno accompagnata per ben tre settimane. La Canon reflex digitale con obiettivo 24-70, la compatta e la videocamera. Ci è capitato più volte di voler immortalare qualcosa in punti dove magari non si poteva parcheggiare, per cui (senza causare incidenti ovviamente) avendo tutte le macchine fotografiche a disposizione, mi bastava che Al rallentasse un po’, abbassasse il mio finestrino e zac! Foto fatta. Poco “professionale”, ma molto utile! La strada che porta alla Death Valley da Los Angeles è decisamente degna di nota. Il panorama è veramente spettacolare e in alcuni punti siamo passati con la macchina in mezzo a costoni di roccia dai colori brillantissimi per via del sole. Proprio il caldo e il sole però rendono quasi impossibili le escursioni a piedi. Nelle ore più calde riuscivamo a scendere per pochissimo tempo dalla macchina, sempre con il cappellino, perché l’aria era davvero soffocante. Arrivati finalmente allo Stovepipe Wells Village, uno degli unici due punti abitati della valle (l’altro è Furnace Creek), siamo rimasti un po’ sorpresi dal vedere che tutti gli impiegati, da quelli della stazione di rifornimento a quelli del negozietto di alimentari/ricordini, sono molto anziani. Non abbiamo mai visto un impiegato giovane della Xanterra, il sito che gestisce le prenotazioni in questo e altri parchi… ma dove saranno finiti? La nostra stanza a prima vista è molto carina, spaziosa, con frigo bar, aria condizionata, tv… Il prezzo è anche un po’ elevato, perché avremmo dovuto avere la “sand dune view”, cioè la vista sulle dune di sabbia. Peccato però che delle dune di sabbia non ci sia nemmeno l’ombra (la stanza è orientata in quella direzione ma non si vedono dalla finestra come promesso), che il condizionatore sia assolutamente rumoroso (notte in bianco) e che, nel bel mezzo della notte, quando mi sono alzata per andare in bagno, mi sia trovata davanti uno scarafaggio enorme che zampettava allegramente accanto alla doccia. Orrore!!! In ogni caso, abbiamo girato tutte le zone della Death Valley indicate dalla mia guida Routard (Usa Ovest, i parchi nazionali), ovvero quelle dove non c’era bisogno di un fuoristrada. Abbiamo anche provato ad avventurarci nel Titus Canyon, una strada sterrata a senso unico, lunga ben 26 miglia, ma quando il percorso si è fatto troppo difficoltoso per la nostra Kia, siamo stati costretti a tornare indietro per andare a vedere invece il Golden Canyon. Si tratta di un canyon lungo 3km, completamente giallo, che si attraversa a piedi, avendo quindi modo di osservare da vicino le meravigliose formazioni geologiche. In alcuni punti bisognava quasi arrampicarsi sulla roccia per proseguire, ma nonostante avessimo portato cappellini e acqua fresca, non siamo riusciti a completare il percorso. La macchina ci diceva che la temperatura era superiore ai 45° e l’aria era diventata irrespirabile, tanto era rovente. Un po’ scoraggiati, siamo tornati in auto e proseguendo sulla stessa strada abbiamo trovato il Twenty Mule Team Canyon, una stradina, anche questa a senso unico, che compie un percorso circolare di circa 8km, attraverso rocce colorate, massi enormi dalle forme strane e sabbia. La strada è stretta e sterrata, ma a patto di essere prudenti e moderare la velocità, è fattibile anche con una berlina come la nostra. Tornati sulla strada principale, abbiamo visitato il Devil’s Golf Course, che da lontano sembrava un’immensa distesa d’acqua, tanto da far pensare a un vero e proprio miraggio! La luce riflette infatti su questa enorme distesa di sale, l’unica traccia rimasta di un antico lago prosciugatosi tanto tempo fa. Il vento ha scolpito la zona così che si sono create delle zolle bianche, sollevate dal terreno. Il paesaggio che si vede dal parcheggio è quasi lunare! La tappa successiva è stata Badwater, il punto più basso di tutto l’emisfero settentrionale: 86 metri sotto il livello del mare. Una volta parcheggiata l’auto, guardate la parete di roccia in alto alle vostre spalle, è lì che viene indicato, da una scritta bianca a malapena visibile, il livello del mare, così da far capire quanto sia bassa Badwater. Del grande lago salato che esisteva qui una volta è rimasta solo un po’ d’acqua in quello che le guide indicano come uno stagno e che a noi è sembrata una grossa pozzanghera. Ma in quest’acqua ci sono micro-organismi e insetti, nonostante il sale e il clima così estremo. Il percorso è infatti protetto da un pontile di legno e non si può assolutamente toccare l’acqua o le zolle di sale, per non distruggere questo miracolo della natura. Di ritorno verso lo Stovepipe Wells Village, ci siamo fermati a Dante’s View, un promontorio al quale si accede tramite una strada stretta e in salita… l’ultimo km è molto faticoso per le auto, infatti la pendenza è del 15% quindi bisogna fare attenzione! Una volta lì però si gode di una vista spettacolare sulla maggior parte della Death Valley. Il sole cominciava ad abbassarsi, colorando le distese di sale di un giallo oro molto particolare, avremmo voluto fermarci di più ma ci era stato detto che il tramonto a Zabriskie Point è imperdibile, quindi siamo corsi lì in tempo ma… sono rimasta molto delusa. Il posto è bello, però sarebbe stato da godere in silenzio, invece era pieno zeppo di turisti, soprattutto francesi, che non facevano altro che parlare ad alta voce e ridere sguaiatamente. Se l’avessimo saputo prima saremmo rimasti a Dante’s View! Eppure… mentre tornavamo al nostro motel, all’altezza di Furnace Creek ho visto due sagome avanzare verso la nostra auto. C’era ancora luce e non essendoci nessun altro in giro ho chiesto ad Al di fermare subito la macchina: erano due coyote! Per niente spaventati dalla nostra presenza, non hanno nemmeno rallentato, mentre noi facevamo foto e video, hanno attraversato la strada in tutta calma. Poco più avanti, ne abbiamo visto un altro che faceva lo stesso. Va da sé che questi animali non vanno né toccati né avvicinati, perché possono essere pericolosi, ma a noi sono sembrati carinissimi, in quanto non abbiamo fatto alcun gesto per loro minaccioso e quindi li abbiamo ammirati per qualche minuto, assolutamente sconvolti dall’incontro. Insomma, li avevamo visti soltanto in tv a SuperQuark ed ora passeggiavano con calma proprio davanti a noi!! Ancora emozionati dall’incontro, siamo finalmente andati a cena al ristorante dello Stovepipe Wells Village, che offre prezzi medi per cibo nella norma e un menu alquanto scarno. E’ stato quando abbiamo alzato gli occhi al cielo, in procinto di entrare in camera, che abbiamo trattenuto il fiato. Sopra di noi c’era lo spettacolo più bello che avessimo mai visto: milioni di stelle, piccole e grandi, in un cielo nero come la pece, che addirittura permetteva di vedere la via lattea a occhio nudo. Non riuscivamo a staccare gli occhi da quella meraviglia, tuttora ci vengono i brividi nel ricordare quella notte, ma alla fine ci siamo rassegnati a rientrare. Speravamo di dormire un po’, ma il condizionatore ce lo ha impedito e purtroppo non potevamo farne a meno, visto il caldo! 26 Agosto Dopo la notte insonne, abbiamo provato a riprenderci con un po’ di colazione. Purtroppo il negozietto del Village non offriva altro che cookies in scatola o merendine confezionate, qualche succo di frutta e un caffè fatto da una macchinetta vecchia e poco pulita. Siamo ripartiti con qualche cookie in pancia e tanta voglia di rivedere Las Vegas. Appena entrati in Nevada abbiamo fatto una fotografia al classico cartello “Welcome to Nevada”… era completamente sforacchiato, qualcuno gli aveva sparato!! La nostra macchina intanto aveva cominciato a darci problemi. Innanzitutto c’erano scricchiolii un po’ dappertutto e poi una ruota anteriore aveva iniziato a fare un rumore strano, talmente forte che si sentiva nonostante lo stereo. Arrivati a Las Vegas abbiamo anche bucato, stavolta la ruota posteriore, ma abbiamo subito avuto modo di constatare l’efficienza americana: in un centro di assistenza specializzato con 18$ e pochi minuti ci hanno sistemato la ruota, ma non il rumore, che pareva fosse dovuto a un cuscinetto che si era rotto. Intanto, avendo già perso mezza giornata, abbiamo deciso di andare a posare i bagagli nel nostro hotel, il Luxor. Quanto mi era mancata la Strip! So che è eccessiva, colorata, anche di cattivo gusto, ma a me piace esattamente così com’è, mi mette allegria! Quest’anno però abbiamo trovato tantissimi cantieri aperti e quindi la viabilità è stata un vero caos: traffico ovunque, strade interrotte e uscite della freeway chiuse. A quel punto ci siamo detti: perché non andare al Premium Outlet, uno dei due di Las Vegas, per fare un po’ di shopping? C’eravamo già stati l’anno scorso e ci era piaciuto di più dell’altro Outlet in quanto questo è all’aperto, mentre l’altro è un vero e proprio centro commerciale chiuso e un po’ triste. Parcheggiata l’auto, abbiamo portato i soliti cappelli: proprio perché è all’aperto, si rischiano scottature in quanto il sole a Las Vegas è molto forte e non ce ne ricordiamo soltanto grazie ai vaporizzatori posizionati ovunque, che spruzzano acqua vaporizzata per rinfrescare i clienti. Meglio non rovinarsi il soggiorno con un’insolazione! Il tempo è volato come al solito e, prima che ce ne rendessimo conto, anche tutto il pomeriggio! Siamo tornati al parcheggio verso le 19, carichi di buste contenenti scarpe, jeans, felpe e regali per tutti gli amici e i familiari rimasti a casa. Meno male che il cofano della Kia, già ingombro di bagagli, è veramente grande! Al Luxor scopriamo che all’interno dell’hotel c’è anche un botteghino della Dollar, la compagnia che ci ha noleggiato l’auto, ma è aperto poche ore al giorno e quindi la receptionist ci consiglia di andare direttamente in aeroporto per parlare con un tecnico riguardo all’auto. Anche se il Luxor non è centralissimo, a noi piace molto come hotel. Tutto in stile egizio, accoglie i visitatori con statue e sfingi enormi e offre un servizio di tram che lo collega ad altri hotel sulla Strip, la strada principale di Las Vegas, ovvero il Las Vegas Boulevard. La nostra stanza si trova nell’enorme piramide, è bella grande, pulitissima e affaccia sulle belle piscine dell’hotel. Troppo stanchi per andare in giro, decidiamo di cenare al buffet All Inclusive del Luxor. Qui ogni hotel offre uno di questi buffet, a colazione, pranzo o cena. Si paga un biglietto di ingresso, poi una volta dentro, varie “isole” offrono cibo di tutti i tipi e bibite. Ci si può servire ogni volta che si vuole, appunto per questo si chiama “all you can eat”! Quello del Luxor è ambientato in un antico scavo archeologico, i tavoli non sono moltissimi, ma non abbiamo trovato molta fila all’ingresso, così, dopo aver ordinato le bibite, ci siamo avventurati attraverso le varie stazioni. Proponevano cibo italiano (che noi all’estero evitiamo sempre), messicano, americano, cinese, giapponese, sushi, insalate.. Insomma era veramente impossibile assaggiare tutto! Considerate tra l’altro che ci sono anche decine di dolci tra i quali scegliere, quindi dovevamo lasciare un po’ di spazio nello stomaco anche per quelli! Noi abbiamo mangiato un po’ di tutto quello che ci attirava ma inevitabilmente siamo usciti di lì pieni come uova e con la promessa di fare molta attenzione a questi buffet che attentano alla linea! 27 Agosto Stamattina siamo andati in aeroporto a Las Vegas, ma ci abbiamo impiegato un bel po’ a causa degli ingorghi causati dai lavori. Una volta arrivati nel settore Rented Cars, abbiamo trovato la Dollar e, un po’ preoccupata che volessero addebitarci il danno, ho parlato con un tecnico del nostro problema. Il gentilissimo signore ha semplicemente annuito e ci ha detto che avremmo potuto cambiare auto, senza nemmeno verificare l’effettiva presenza del guasto. Avremmo però dovuto scegliere un’auto targata California, in quanto dobbiamo riconsegnarla a Los Angeles, per cui, anche se Al aveva scelto una macchina più maneggevole, ci viene affibbiata un’enorme Toyota Avalon, berlina sì, ma dalle misure spropositate! Era un’auto di categoria luxury, ma io avrei preferito a quel punto un fuoristrada! Non era possibile però, quindi ci siamo accontentati e siamo ripartiti. Tutta la fila, il traffico e la trafila burocratica ci hanno però rovinato la giornata: avevo previsto una tappa allo Shelby Museum nel primo pomeriggio, perché Al è un appassionato di motori e in questo museo, che si trova accanto alla Speedway di Los Angeles, sono esposte tante auto da corsa, antiche e di quelle ultra-moderne che corrono la Nascar. Anche se siamo arrivati cinque minuti prima della chiusura, la signora alla biglietteria ci ha detto che erano già chiusi. Tornati in hotel, ci siamo consolati con la piscina del Luxor. Il sole però era veramente fortissimo e si poteva tollerare solo restando in acqua tutto il tempo. Dopo circa un paio d’ore Al, preoccupato per me, visto che ho la pelle chiarissima, mi ha proposto di fare una doccia e poi rimetterci in marcia per scovare qualche altra cosa carina in città. Nemmeno un’oretta dopo, ci siamo messi a gironzolare senza meta e siamo approdati in un supermercato Wholesome Foods. Si tratta di una catena che offre alimenti sani e biologici… a noi è sembrato un supermarket da ricchi, ma ci è piaciuto molto! L’interno era ordinatissimo, pulito e profumato; le merci erano un po’ care ma sempre biologiche e di ottima qualità. Abbiamo comprato alcune cose, tra le quali finalmente un bel po’ di spring water! Non sopportavo più l’acqua purificata (purified water), cioè distillata e dal sapore orrendo, che avevamo trovato alla Death Valley e nei negozietti a Las Vegas. Dopo una cena da Denny’s, diner stile anni’50 aperto tutta la notte e con prezzi modici, che ci ha offerto anche la connessione wi-fi gratis, siamo tornati in città. Non paghi ci siamo ri-tuffati nel traffico della Strip per vedere qualche altro spettacolo. Ma i lavori in corso (anche di notte!!!) hanno di nuovo rovinato i nostri piani in quanto ci hanno permesso di guardare solo lo spettacolo del vulcano che erutta al Mirage. Molti degli altri spettacoli gratuiti li avevamo già visti l’anno scorso ma per pochi minuti ci siamo persi lo spettacolo di musica e danza al Caesar’s palace e… un’esposizione di automobili sempre nello stesso hotel… povero Al, tutto contro di lui!! Passata la mezzanotte, anche se avremmo voluto continuare a folleggiare in giro per Las Vegas, ci si chiudevano gli occhi e abbiamo quindi deciso di tornare in camera. 28 Agosto Grazie al fast checkout, siamo riusciti a partire molto presto da Las Vegas. L’aria era già rovente e quindi abbiamo caricato prima l’auto con i bagagli, poi siamo andati ad esplorare un po’ l’hotel. Abbiamo fatto colazione in uno dei due Starbuck’s all’interno della struttura e poi Al ha deciso che non avremmo potuto certo lasciare la capitale del gioco senza giocare alle slot machine! Ed appunto si è trattato solo di 4$, ma ci siamo divertiti veramente tanto. Siamo arrivati al Ruby’s Inn, nello Utah (attenzione, nello Utah la lancetta dell’orologio va spostata in avanti o indietro di un’ora, a seconda dell’ora legale!), quasi per ora di pranzo e abbiamo scoperto che avevano organizzato una specie di festival western proprio lì. Lo confesso, io adoro i cavalli e adoro la monta western, quindi prima ancora di capire bene di cosa si trattasse, avevo già comprato due biglietti ($10 l’uno) per il rodeo che si sarebbe tenuto quella sera nel campo di fronte all’hotel. Non lontano dalla nostra stanza – arredata in stile western, molto pulita e spaziosa – cowboys e cowgirls stavano allegramente cantando al karaoke, bevendo the freddo e limonata. Tutto molto americano! Dopo aver comprato dei sandwich freddi, ci siamo finalmente avventurati nel parco, il Bryce Canyon, vicinissimo al Ruby’s Inn. Proprio all’ingresso, dove c’è la targa col nome del parco nazionale, abbiamo conosciuto una simpatica famigliola di tedeschi che ci hanno chiesto di fare loro una foto e… di poter dare un’occhiata alla mia canon e soprattutto all’obiettivo Sigma che durante tutto il viaggio ha attirato l’attenzione di molti fotografi. Una cosa però ci ha lasciato perplessi: dopo aver fatto la foto, la famigliola ha girato l’auto ed è tornata indietro. La loro visita al parco è stata… fare la foto davanti all’insegna, per non pagare il pedaggio ai ranger! Non aveva molto senso, ma era già tardi e non ci siamo soffermati poi troppo sulla loro decisione. Bryce è un parco che secondo me avrebbe meritato più del tempo che gli abbiamo dedicato. Ci sono tanti alberi e aquile, ovunque vedrete i simpaticissimi tamias, degli scoiattolini piccolissimi e se sarete fortunati come noi, anche i cani della prateria… lo confesso, erano così teneri che mi sarebbe piaciuto poterli accarezzare scoprire se erano morbidi come sembravano! Arrivati al Navajo Loop, percorso che pare sia imperdibile, ho iniziato a fare foto ai famosi hoodos, le colonne rocciose che caratterizzano il parco, stupefatta dai tantissimi colori e sfumature che aumentavano e diminuivano a seconda dell’intensità del sole (purtroppo il tempo era piuttosto variabile), quando ad un tratto Al mi guarda e dice “Eh si però il Grand Canyon era molto più bello…” Siamo scoppiati a ridere e, accanto agli alberi, abbiamo fatto caso ad alcuni rumori sibilanti. Mi ero informata prima di partire sui serpenti a sonagli e (grazie youtube) ho riconosciuto il loro verso, ce n’erano alcuni in mezzo all’erba alta: può essere molto pericoloso uscire dai sentieri segnati! Uno sguardo al sentiero del Navajo Loop ci ha però spaventati. Il percorso è estremamente ripido e non ci sono balaustre o altro per aggrapparsi in caso di scivoloni. Per non parlare del fatto che tutta quella strada in discesa avremmo dovuto ripercorrerla in salita e sotto il sole! Il rodeo avrebbe avuto inizio di lì a poche ore, quindi rischiavamo di perdere anche quello. Abbiamo a malincuore deciso di saltare quel trail, rimettendoci in macchina per vedere il resto del parco senza perdere tempo: ne avevamo fin troppo poco! Ci siamo fermati a tutti i viewpoint indicati sulla mappa gentilmente fornita dal ranger all’ingresso, facendo fin troppe foto e chiedendoci come mai l’anno scorso non ci eravamo accorti della massiccia presenza di corvi, che sembrano anche piuttosto a loro agio, al punto di appollaiarsi accanto a me mentre Al mi stava scattando una foto, per niente impauriti! Il rodeo del Ruby’s Inn non era grande quanto me lo aspettavo, ma il motivo è presto detto. In Utah il rodeo è lo sport più importante e tutti i campioni o quantomeno gli adulti che lavorano in questo campo si riposano in estate in attesa del campionato vero e proprio e dei grossi eventi che fruttano fior fiori di quattrini. Non potrebbero dunque rischiare un infortunio per via di un rodeo piccolo, organizzato per i turisti, perché li costringerebbe a rinunciare alle gare più importanti! Scopriamo inoltre che esistono delle vere e proprie scuole di rodeo, di vari livelli e che in genere nei ranch la gestione è quasi interamente familiare, tutti aiutano con i cavalli e il bestiame e quindi… anche i bambini iniziano prestissimo a competere! Dopo alcune esibizioni di ragazzi e dei due proprietari dei ranch che partecipavano, abbiamo assistito a un vero e proprio “rodeo dei piccoli”. I bambini, dai 5 anni in su, salivano su animali via via più grossi, a cominciare dalle pecore, fino ad arrivare a vitelli e torelli per niente docili. Mentre il resto del pubblico rideva e applaudiva, io e Al siamo rimasti senza fiato: in un paio di occasioni un bambino ha rischiato di rompersi una spalla e un altro la spina dorsale. Non si rialzavano più e nonostante la presenza dei dottori e il fatto che era evidente che il piccolo si era fatto male, la folla continuava a incitare e a chiedere di proseguire. Questo forse mi ha rovinato un po’ l’atmosfera, ma per fortuna dopo l’ultima caduta i giudici di gara hanno preferito passare alla specialità del barrel racing. Avendo fatto equitazione western a livello agonistico fino ai 15 anni (sigh), sapevo già di cosa si trattava, della corsa a tempo attorno a 3 grossi bidoni, fino a formare una specie di “nodo”, senza far cadere il cappello o i bidoni stessi. Ebbene, anche qui hanno corso quasi tutti i figli, nipoti e parenti dei proprietari dei due ranch! Una bimba era talmente piccola – e già con un braccio rotto – che il papà l’ha piazzata su un cavallo altissimo e l’ha guidata lui di corsa attraverso il percorso. Certo, era dolcissima, ma continuiamo a chiedermi se sia un modo di fare giusto oppure no…

Finito il rodeo, ci siamo rilassati al ristorante annesso alla Ruby’s Inn. Con circa 60$ (tasse e mancia incluse) abbiamo mangiato due bistecche alte due dita, con salsine varie a disposizione, contorno e bibite. Ragazzi che delizia!!! Al ha assaggiato anche una grossa patata al forno e conferma che era buonissima, io mi sono concentrata sulla bistecca, la carne era favolosa, la consiglio assolutamente! 29 Agosto Oggi ci sposteremo a Torrey, una piccola città accanto al parco Capitol Reef, sempre in Utah. Per arrivarci percorriamo la UT-12, una byway scenica, poco trafficata e che ci avrebbe permesso di fare un bel po’ di foto e di ammirare il panorama. La strada parte da Panguitch e termina proprio a Torrey, noi l’abbiamo presa all’altezza di Bryce, quindi siamo riusciti a percorrerla quasi tutta. E’ in ottime condizioni e spesso abbiamo trovato dei viewpoint che permettevano di accostare la macchina per fare qualche fotografia e sgranchirsi le gambe. Quando l’abbiamo percorsa non abbiamo trovato altre auto in giro, solo tantissimi motociclisti, peraltro molto simpatici e qualche camperista. Nel tratto da noi percorso si attraversa il Grand Staircase Escalante e la Dixie National Forest, che è veramente bellissima! Aprite i finestrini dell’auto quando la percorrete, il profumo della natura e della foresta è indimenticabile! Lungo la UT12 ci sono inoltre vari percorsi che però non avevamo tempo di esplorare, il Burr Trail Scenic Backway, l’Hole in the Rock Scenic Backway e la Cottonwood Canyon Road. Arrivati a Torrey, abbiamo inseguito una tacchetta di segnale col cellulare, almeno per avvisare casa che era tutto ok… peccato però che l’intera zona sia abbastanza isolata, quindi non siamo riusciti a telefonare! Abbiamo alloggiato al Capitol Reef Inn, estremamente economico (58$ per notte in alta stagione per due letti queen sized!), con soltanto 8 stanze arredate in stile indiano e una piccola piscina in cortile, accanto al quale si trova una kiva, una stanza utilizzata dagli indiani Pueblo e Hopi per cerimonie spirituali. E’ visitabile e loro stessi consigliano di salirci al tramonto, per fare foto migliori. Dopo aver finalmente lasciato tutto il bagaglio in camera, ci siamo spostati verso il Capitol Reef. Si tratta di un parco forse poco conosciuto e che attira meno turisti dei più famosi vicini: Bryce N.P. E l’Escalante, ma che ad Al per esempio è piaciuto molto di più. Probabilmente sarà stato perché essendoci poca gente abbiamo potuto assaporare meglio i momenti passati lì, passeggiando in mezzo al verde ed entrando a contatto con la natura selvaggia, però si, anche se i puristi avranno forse da ridire, l’impatto col Capitol Reef è stato davvero intenso! Abbiamo percorso il Waterpocket Fold, una strada lunga circa 40km che attraversa tutto il parco, conducendo verso sud e cioè verso l’allineamento del Waterpocket Fold, la faglia tettonica lunca 160km all’origine dei monti di Capitol Reef e così chiamata perché contiene numerosi stagni e piccoli laghetti. Lungo la strada abbiamo incontrato le oasi di Fruita. Si tratta di frutteti piantati dai coloni mormoni che si insediarono nella zona alla fine del XIX secolo. Alcuni di essi sono aperti, troverete delle aste per raccogliere la frutta, una bilancia, delle bustine di plastica e una cassettina. Noi siamo entrati e, passeggiando per il frutteto abbiamo raccolto un paio di pere, qualche mela e qualche pesca. All’uscita si pesa il tutto e si lasciano i soldi – il prezzo per libbra è indicato su un cartello – nella cassettina apposita. Attenzione però, spesso i frutti sono nascosti dalle foglie in quanto praticamente ogni turista che passa di lì non può evitare di fermarsi a raccoglierne un po’, quindi non scoraggiatevi se non ne trovate subito, a noi è piaciuto anche solo camminare in mezzo a quegli alberi, ascoltando i suoni della natura! Proseguendo si può vedere dalla strada una piccolissima scuola mormone, che però è aperta solo un’ora al giorno nel pomeriggio e delle incisioni rupestri indiane che risalgono circa a un migliaio di anni fa. Proprio qui abbiamo incontrato un simpaticissimo gruppo di scoiattoli che si rincorrevano sulle rocce, ancora una volta senza curarsi dei turisti. Il tempo purtroppo era abbastanza variabile e quindi, per paura che iniziasse a piovere, ci siamo affrettati ad andare alla Gifford Homestead: volevo assaggiare una delle loro torte! Si tratta di un’antica fattoria mormone, riconvertita in un piccolo museo (soltanto una stanza in realtà) e negozio di dolcetti e artigianato. Sono specializzati in torte di mele o di altri frutti che raccolgono nei frutteti lì vicino. Appena arrivati, la prima sorpresa. Al si blocca e corre a prendere la videocamera, dicendo di non muovermi. Alzo lo sguardo e noto che, praticamente pochi centimetri più in là, davanti alla nostra macchina, c’è un cerbiatto bellissimo, avete presente Bambi? Ecco, lui! Era paffutello e aveva delle lunghe zampe ossute. Quando abbiamo fatto qualche foto e le riprese ha alzato la testa, sgranocchiando un po’ d’erba, ci ha guardati in modo disinteressato e poi ha ricominciato a mangiare. Noi invece eravamo emozionatissimi e siamo rimasti a guardarlo per un po’. Il tempo implacabile però ci ha ricordato che forse non era il caso di attardarci e così siamo entrati nella fattoria, dove abbiamo trovato delle torte di mele che però non si vendevano a fette e per noi erano troppo grandi. Il prezzo era irrisorio, soltanto 5$ per l’intera torta, ma non sapevamo davvero dove metterla, quindi ci siamo accontentati di due tortini di more, decisamente più piccoli, che abbiamo mangiato mentre passeggiavamo in mezzo all’erba. Poco lontano da lì c’era un ruscello e altre persone che avevano organizzato un pic-nic nonostante i minacciosi nuvoloni neri. Fortuna però che avevamo finito i tortini quando abbiamo visto… i genitori di Bambi, altrimenti avrei rischiato di strozzarmi!!! Si, proprio sul prato di fronte a dove il piccolino stava ancora brucando, due cervi più grandi, evidentemente maschio e femmina, stavano passeggiando tranquillamente, osservando di tanto in tanto il piccolo. Erano vicini al campeggio e ai campeggiatori, ma come sempre ci è capitato di vedere, si limitavano a ignorare la presenza dell’uomo. Abbiamo fatto altre foto e poi Al mi ha dovuta letteralmente trascinare via, fosse stato per me sarei rimasta a guardarli per ore! Sulla strada del ritorno ci siamo fermati a Goosenecks, da dove si gode di un bel paesaggio sul Sulphur Creek e poi, nonostante non ci fosse moltissima luce per via delle nuvole, abbiamo fatto una bella passeggiata fino a Sunset Point, per fare qualche altra foto del panorama. Ancora Chimney Rock, non lontana dal Visitor Center e poi siamo tornati al motel. La città di Torrey non offre molto, a parte qualche motel, un distributore di benzina e un Subway, così abbiamo deciso di cenare nel Cafè annesso al nostro motel. Sorpresa! Abbiamo speso poco e mangiato molto bene, ascoltando flauti e tamburi indiani: al cafè è infatti annesso un negozietto che vende cd di musica indiana, magliette e qualche altro souvenir. 30 Agosto Oggi percorriamo la UT 128, un’altra scenic byway, in direzione Moab, dove trascorreremo due giorni. Questa strada panoramica mi è piaciuta veramente moltissimo, più della UT12 percorsa ieri. Segue infatti il fiume Colorado, offrendo panorami spettacolari: ci fermavamo spessissimo a fare foto, ammirando le rocce rosse e il fiume che scorreva sotto di noi. In alcuni punti è possibile parcheggiare e scendere a piedi proprio accanto al fiume, si tratta per lo più di punti in cui chi ha una barca può farla scivolare in acqua, quindi in questi casi bisogna fare attenzione perché si cammina sulla sabbia o su terreno abbastanza viscido e il pericolo di scivolare e cadere in acqua è concreto. Arriviamo a Moab increduli, con quel paesaggio ci è sembrato che il tempo volasse! Qui alloggeremo per due notti al Kokopelli Inn, un piccolo motel proprio di fronte all’ufficio dello sceriffo e alla caserma dei pompieri. A guardarlo di giorno sembra carinissimo, le stanze sono arredate in stile indiano e quasi tutte in legno, la proprietaria ha un grosso e simpatico cagnone ed è fissata col riciclare qualsiasi cosa, ma… mi sento di sconsigliarlo, perché di notte giravano per la stanza degli insettini che mi hanno spaventata e che sembravano pericolosamente pulci: questo motel accoglie anche gli amici a quattro zampe ma non sempre questi sono pulitissimi! Inoltre le lenzuola non erano il massimo della pulizia e il condizionatore era alquanto rumoroso. Ma avevamo già pagato (si paga tutto in anticipo, guarda un po’!) e quindi abbiamo deciso di restare, anche se di notte vivevo nel terrore! Dopo aver saldato (purtroppo) il motel e lasciato i bagagli, ci siamo subito diretti al parco nazionale di Arches, vicinissimo a Moab. Il parco non è molto grande, in confronto agli altri che abbiamo visitato, ma è assolutamente spettacolare. La notevole escursione termica, unitamente ad elementi naturali come pioggia, neve e ghiaccio, hanno modellato per millenni paesaggi incredibili: ci sono archi in pietra ovunque! Purtroppo nel 2008 uno di questi meravigliosi monumenti della natura, il Wall Arch, è caduto, ora è possibile vederne soltanto le macerie. Dopo aver mostrato al ranger all’ingresso la nostra tessera Interagency Annual Pass (il cui prezzo quest’anno è aumentato, costa infatti 80$!) ci vengono date le mappe e il giornale del parco. Attraversiamo Park Avenue, un insieme di rocce che formano delle pareti altissime, simili ai palazzi di New York e poi passiamo accanto alle Three Gossips (le tre comari). Poco più avanti parte un sentiero abbastanza breve che porta alla Balanced Rock, un roccione enorme in equilibrio su un’altra roccia molto alta. E’ visibile anche dal parcheggio ma si riescono a capire bene le proporzioni e a rendersi conto di questa surreale scultura creata dalla natura soltanto dal sentiero, che vi permetterà di girarvi intorno. Se inizialmente il tempo non prometteva nulla di buono, quando siamo arrivati a Windows Section abbiamo dovuto rimettere i fidati cappellini: c’era di nuovo rischio insolazione! Dopo questa sezione del parco abbiamo percorso a piedi il trail che ci ha portato al Sand Dune Arch, sentendoci quasi come se fossimo in un film di Indiana Jones, soltanto che la sabbia nelle scarpe era vera e anche fastidiosissima! In ultimo avevamo lasciato il Delicate Arch. Ci sono vari modi per ammirare questo splendido arco in equilibrio sulla falesia: due viewpoint, uno a circa 100mt dal parcheggio e uno a circa 500mt, permettono di osservarlo da lontano. Qualche settimana prima però, con degli amici di forum si era parlato del percorso a piedi, quello lungo che ti porta proprio accanto all’arco. C’era chi diceva che era fattibilissimo da chiunque e così, nonostante la mia pigrizia, mi ero imposta di finirlo. Ecco, dopo averlo provato, vorrei dare un consiglio a tutti: a meno che non siate ben allenati, non provateci! Non è affatto vero che è fattibile da tutti, anzi, gli stessi ranger avvisano dal loro giornale (che io stupidamente non avevo letto) che è un percorso molto duro ed estremo. Noi avevamo portato cappellini, una bottiglia d’acqua fresca, videocamera, zainetto e la macchina fotografica con l’obiettivo bello pesante. Abbiamo iniziato la salita alle 14… il caldo era davvero insopportabile! Il primo km circa è in terra battuta, alterna salite e discese abbastanza facili. E’ circa dal secondo in poi che le cose si fanno difficili! La terra infatti sparisce in favore di scivolose rocce rosse. Il percorso viene indicato soltanto con cumuli di pietre sistemati apposta dai ranger e non c’è mai un po’ d’ombra, quindi si è esposti al sole diretto per tutto il tempo. L’intero percorso, tra andata e ritorno, è lungo tra i 5 e i 6 km. Confesso che più volte, essendo tutto in salita, mi sono quasi arresa, sembrava non finisse mai! Ogni volta che alzavo la testa vedevo qualche altro temerario molto più su, piccolo piccolo, segno che c’era ancora tanta strada da fare… poi arrivavamo anche noi lassù e scoprivamo che la strada non era finita! Il povero Al mi ha sopportata per tutto il tempo, continuando a dire che, se eravamo arrivati fin lì, tanto valeva continuare. E alla fine ce l’abbiamo fatta, ma col senno di poi, per quanto il panorama fosse bellissimo e la soddisfazione tanta, non credo che avrei il coraggio di riprovarci! Persino la discesa è stata impegnativa, l’acqua era finita e bisognava fare attenzione perché molti punti erano ripidi e sulle rocce, a meno di avere gli scarponcini adatti, si rischiava di scivolare (ovviamente evitate di guardare giù, non ci sono protezioni!). Siamo arrivati al parcheggio cotti dal sole, distrutti e quando abbiamo guardato l’orologio erano “solo” le 17, mentre a noi sembrava fosse passato un secolo! Abbiamo pranzato soltanto a quell’ora, di ritorno a Moab… si, convinti che non ci volesse poi moltissimo, siamo saliti con la pancia vuota e forse è stato meglio così! Dopo abbiamo fatto una passeggiata per la città, che si concentra per lo più sulla strada principale e che a noi è sembrata carinissima. Consiglio di acquistare qui qualche regalino, i prezzi, anche di cappelli in cuoio e cinture, sono molto competitivi! 31 Agosto Questa mattina, per coccolarci un po’ e riprenderci dalla faticaccia di ieri, decidiamo di andare a provare i pancake americani da Pancake Haus a Moab. Ci piace molto l’atmosfera, che sembra quella vista in tanti telefilm, però scopriamo quasi subito che le porzioni sono assolutamente enormi! Tutti gli altri avventori sono locali e stanno mangiando i pancake con uova, pancetta, salsicce e ogni altro ben di dio. Noi però optiamo per una porzione di pancake alle fragole e panna, da dividere in due. Avrei voluto bere un bel cappuccino o un latte, ma servono soltanto acqua, caffè e cioccolato caldo, per cui ho optato per un bicchier d’acqua, mentre Al ha preso una tazza di caffè (tazza… cioè una tazzona di caffè americano!). C’era una cameriera che continuava a riempire i nostri bicchieri man mano che bevevamo, quindi era praticamente impossibile finirli! Nonostante abbiamo diviso i pancake, ho scoperto che non sono poi così leggeri come sembravano, meno male che ne abbiamo ordinato una sola porzione! Decisi a non restare a digiuno come ieri, ci spostiamo poi in un vicino supermarket per acquistare un po’ di panini per il pranzo. Scopriamo che all’interno c’è anche uno Starbucks e la possibilità di acquistare prodotti da forno, ciambelle, torte e muffin proprio al supermercato, spendendo meno. Ci siamo dunque spostati a Canyonlands, un parco molto grande e diviso in tre zone: Island in the Sky, la più vicina a Moab e quella più visitata, The Needles, che dista circa due ore e mezzo da Moab, e The Maze, la sezione più inaccessibile e percorribile soltanto con l’aiuto di un’agenzia o con una buona preparazione e un fuoristrada. La nostra tappa è ovviamente Island in the Sky, delimitata dai fiumi Colorado e Green River, che scorrono 600 metri più in basso. Indiani e cowboy si servivano di questo posto per stipare mandrie di cervi o mucche. Abbiamo visto sia il Green River Overlook che il Grand View Overlook, entrambi spettacolari, ma affollatissimi in quanto c’era un autobus carico di anziani americani in gita. Ci siamo spostati allora verso il Mesa Arch, un grande arco in pietra. Il percorso per fortuna non è per niente paragonabile a quello del Delicate Arch! Ci impieghiamo una ventina di minuti e anche lì troviamo tanti turisti: ci tocca addirittura fare la fila per scattare qualche foto e comunque c’era sempre qualche maleducato che passava davanti all’inquadratura! Che rabbia! Il Mesa Arch è famoso perché su di esso si può fare quella che gli americani chiamano “Sky Walk”. Si sale a piedi sull’arco, percorrendolo in silenzio fino a scendere dall’altro lato. Il piccolo dettaglio è che spesso lassù c’è vento molto forte, che porta con sé sabbia e detriti e… non ci sono balaustre, quindi è molto pericoloso perché non ci sono appigli! Io soffro di vertigini e sono una fifona, quindi mi sono limitata a fare una foto seduta proprio sotto l’arco. Al invece, che è sempre il più temerario, si è avventurato sull’arco, promettendomi però (confesso: gli avevo chiesto di non andare!) di sedersi a metà, farsi fare una foto e scendere. Il vento e la sabbia erano veramente fastidiosi e io avevo il cuore in gola, ma è andato tutto bene, per fortuna! Una signora anziana che ha visto Al lassù si è limitata a scuotere la testa e a mormorare tra sé e sé “Crazy, crazy, crazy”…

Dopo aver mangiato il nostro panino, ci siamo spinti al Dead Horse Point State Park, che si trova sulla strada del ritorno verso Moab. In questo parco è stata girata l’ultima scena del film Thelma & Louise (di Ridley Scott), dove le due eroine si lanciano nel vuoto con l’auto. Siccome è gestito dallo Stato e non dall’ente parchi, bisogna pagare l’ingresso (10$) anche se si dispone già di un pass. I soldi si lasciano in una busta, dalla quale bisogna staccare un talloncino in caso di verifica dell’effettivo pagamento, poi la si mette in una cassettina e si entra. Una volta lì, ci siamo seduti e messi a chiacchierare con dei simpatici motociclisti, che erano arrivati lì insieme ad altri del loro moto club, e poi con altri fotografi che come me usavano la Canon Eos: di nuovo sembravano molto interessati al mio obiettivo! Dopo un po’ il posto si è svuotato, così, nonostante il cielo non fosse proprio limpido, ci siamo seduti sulle rocce e abbiamo aspettato il tramonto. Non è stato memorabile come speravamo a causa del maltempo, però è stato molto bello anche solo essere lì. Finalmente c’era qualche altro turista che, come noi, osservava il panorama in rispettoso silenzio. 1 Settembre Prima di lasciare Moab questa mattina siamo passati al supermercato per fare colazione: caffè e cappuccino da Starbucks e muffin al cioccolato e ai mirtilli da pagare alle casse. Dopo colazione imbocchiamo la 163, dirigendoci verso Muley Point, un overlook che offre bellissime vedute del San Juan river e delle pianure sottostanti, prima di prendere il sentiero per la Valley of the Gods. Si tratta di un circuito sterrato, da percorrere a bassa velocità a meno che non si disponga di un fuoristrada e da evitare se piove o se ha piovuto il giorno prima, che si insinua tra formazioni rocciose molto simili a quelle della Monument Valley. Sembra quasi di stare sulle montagne russe, in alcuni tratti la pista è molto polverosa, in altri sassosa, ma abbiamo incrociato solo un paio di macchine (in senso contrario, fate attenzione perché non è a senso unico!), quindi ce la siamo presa con calma. Il circuito è lungo circa 17 miglia e riporta sulla route 163. Noi ci siamo poi spostati in direzione Goosenecks, per andare a vedere un bellissimo panorama sul San Juan River: ci sono canyon profondi anche 300 metri, strettissimi, nei quali scorre il fiume. Pensate solo che qui il fiume serpeggia per una decina di km, ma avanza di pochissimo! Arrivati a Mexican Hat, non abbiamo difficoltà a trovare il nostro motel, il San Juan Inn… la città è veramente piccolissima e non offre praticamente niente se non la vicinanza alla Monument Valley! Il nostro motel però è molto carino, le stanze sono spaziose, pulite e con vista sul fiume, che andiamo a vedere con calma, prima di ripartire. In pochissimo tempo arriviamo alla Monument Valley. Ero molto emozionata, ma anche preoccupata perché di nuovo il tempo era variabile e la luce (argh, le foto!) era pessima. Arrivata sul posto devo dire che sono rimasta un po’ delusa da com’era organizzato il parco. Abituata ormai ai grandi parchi, non ero preparata alla Monument, che è gestita interamente dai navajo. Dappertutto ci sono bancarelle con indiani, molti dei quali sporchi e che sonnecchiano per terra, il percorso è complicato da fare con la propria auto in quanto è molto accidentato, ripido in alcuni punti, soprattutto all’inizio, e ci sono buche enormi. Il problema è che fare il tour con le jeep dei navajo costa tantissimo! Avrei voluto fare un giro a cavallo, ma ci hanno chiesto circa 200$ a testa per una passeggiata di 1 ora, per me era un vero furto! Anche all’interno del parco, sembra che il messaggio continuo sia: compra, spendi, compra. Bancarelle navajo a tutti i viewpoint, in alcuni casi sono così lunghe che occupano tutto lo spazio… e noi come facciamo a fare le foto? Da un’altra parte abbiamo trovato delle roulotte e una specie di scasso… proprio nel bel mezzo della Monument Valley! I campeggi non offrono alcun servizio e gli indiani sono molto scostanti. Altri turisti ci hanno detto che per farsi fare una foto chiedono 5$ o più, ma noi non abbiamo nemmeno voluto provarci, mi aspettavo un po’ più di rispetto per un parco che è meraviglioso, ma che resta molto trascurato. Purtroppo la luce continuava a calare, il cielo era nuvoloso e quindi, poco prima del tramonto, abbiamo deciso di tornare a Mexican Hat. Per cena ci siamo fermati alla Swinging Steak, annessa al Mexican Hat Lodge. Si tratta di un locale dove un baffuto cowboy cucina bistecche degne dei Flinstones su una specie di altalena, sotto la quale c’è un fuoco acceso. Noi eravamo stanchissimi e le bistecche erano veramente troppo grandi (vanno dai 600gr in su, a seconda della pezzatura), quindi abbiamo ordinato un grosso hamburger (comunque molto abbondante) a testa. Ci sono arrivati con contorno di fagioli, insalata e pane alla griglia ed era tutto buonissimo! Durante la cena abbiamo fatto amicizia coi simpatici cagnoni del proprietario, che di tanto in tanto venivano a chiedere qualche bocconcino agli avventori. 2 Settembre Stamattina abbiamo sfruttato il cambio di orario per recuperare un’ora. Ci siamo infatti spostati in Arizona. Eravamo piuttosto di fretta, in quanto ci saremmo dovuti trasferire da Moab a Page e sul posto prenotare un tour per la visita dell’Upper Antelope Canyon. L’orario in cui la luce è migliore va dalle 11.00 alle 12.00, dopo di che comincia ad affievolirsi, fino a scomparire. Siamo arrivati al Travellodge di Page prima delle 10 e abbiamo scoperto che in loco avremmo potuto prenotare un tour per le 11,30 con la “Antelope Canyon Tours” al prezzo di 32$ a persona. Abbiamo ovviamente bloccato due posti, pagando un acconto di pochi dollari. Ci sarebbero passati a prendere con una jeep direttamente in hotel, così, dopo aver lasciato i bagagli e preparato gli zaini per il tour, abbiamo deciso di fare un giro veloce per Page, città che avremmo potuto esplorare meglio anche il giorno seguente.

All’orario prestabilito uno degli impiegati dell’agenzia di Carolene Ekis, completamente gestita da Navajo, è passato a prenderci in compagnia di suo figlio, un bambino di circa cinque anni che ha subito fatto amicizia con Al, nonostante lui non capisca una parola d’inglese! Ci hanno portati nell’ufficio centrale dell’agenzia. Appena entrati, Al ha pensato “mamma mia questa è una macchina per fare soldi!” In effetti il clima era incredibile, c’erano decine di turisti, qualcuno acquistava souvenir, altri cibo e acqua, altri ancora pagavano la restante somma per il tour: dovunque c’era un velocissimo passaggio di soldi dalle mani dei turisti a quelle degli impiegati, che non avevano nemmeno il tempo di alzare gli occhi dai registratori di cassa! La nostra guida era un Navajo simpaticissimo di nome Sam, affettuosamente chiamato da tutti noi Sammy, nonostante fosse tutt’altro che piccolo. Prima di farci sedere su un grosso camion, completamente aperto, ci ha candidamente confessato di non sentirsi molto bene, il giorno prima infatti era stato morso da un ragno velenoso nel canyon, che lui attraversa sempre a piedi o in ciabatte, quindi era stato trasportato in ospedale e gli erano stati somministrati un sacco di medicinali che doveva continuare a prendere. A quel punto io, aracnofobica, ero già pronta a salutare tutti, quando lui continua, avvertendoci di fare attenzione a dove si mettono le mani e i piedi, perché nel canyon ci sono almeno due o tre specie diverse di ragni velenosi. Si è concluso tutto con una battuta, la sua “non preoccuparti, se ti mordono ti porto subito in ospedale!”… che dire, è riuscito a trascinarmi dentro solo grazie alla sua simpatia! Visto che l’avevamo preso in giro per via delle sue condizioni di salute, il buon Sammy ha pensato bene di attraversare la lunga pista sabbiosa che porta fino all’ingresso del canyon (e che non si può attraversare con nessuna auto, nemmeno coi fuoristrada), a tutto gas. In meno di un minuto eravamo ricoperti di polvere e sabbia, sembrava di essere in una vera e propria tempesta nel deserto! Come al solito però Sammy si è fatto perdonare subito con un sorriso sornione e la promessa di guidare piano al ritorno. L’Antelope è uno slot canyon, largo un paio di metri al massimo e lungo circa 200. Non è possibile entrarvi se piove, in quanto c’è pericolo di flash floods, cioè di inondazioni improvvise. Il terreno non filtra l’acqua che quindi si incanala nel canyon con violenza, raggiungendone presto la sommità. Qui nel 1997 sono morti alcuni turisti per via di un temporale scoppiato a ben 20 miglia di distanza! L’interno del canyon fa pensare alla tela di un pittore. I colori variano dal rosa all’arancione acceso, grazie alla luce che penetra dall’alto e colpisce queste strane e affascinanti onde di roccia. Sammy ci ha guidati per tutto il tempo, chiacchierando, facendo battute e aiutando tutti con le foto, ma quando è arrivato dall’altro lato è stato chiaro che era veramente spossato dal caldo e dai medicinali. Si è riposato un po’ all’ombra, lasciandoci liberi per una ventina di minuti di osservare da soli il canyon e dandoci appuntamento al camion. Tornare dentro è stato meraviglioso, purtroppo era l’ora di punta e c’erano molti gruppi di turisti, ma quelle onde scolpite nella pietra dalla natura mi sono rimaste nel cuore e credo che questo resterà uno dei momenti più belli dell’intera vacanza. Nel pomeriggio siamo andati a vedere l’Horseshoe Bend, nonostante avesse piovuto un po’ prima (meno male che ha piovuto solo dopo la nostra visita all’Antelope!) e il cielo fosse ancora scuro. Parcheggiata l’auto, ci siamo incamminati su per il sentiero, fino ad arrivare al belvedere, ovviamente senza parapetto! Avevo visto alcune foto bellissime di questa “curva” del fiume Colorado, che gira intorno a una enorme roccia. Le acque erano di mille colori e la roccia rossa ma… con quel tempo, anche i colori sembravano grigi e spenti. Per poter fare la foto dell’intero “zoccolo di cavallo”, bisognerebbe sporgersi di molto dalle rocce. Al stava cercando il punto migliore per scattare, quando una ragazza francese accanto a lui, che si era sporta troppo, stava scivolando giù per via dei sandali che aveva ai piedi! Per fortuna c’erano Al e il fidanzato di lei, che l’hanno afferrata subito: non esistono appigli né balaustre, se fosse andata di sotto sarebbe caduta direttamente nel Colorado! A momenti mi veniva un infarto, io soffro di vertigini e stavo male per lei! Però mi sono anche arrabbiata, perché capisco voler fare belle foto, ma non comportandosi da stupidi o mettendo a rischio la propria vita! Insomma, sporgersi tanto, in piedi e soprattutto se non si hanno le scarpe adatte è una vera follia! Dopo questo spavento, ho deciso di dire addio alla mia foto dello zoccolo: non avevo alcuna intenzione di cascare di sotto e non mi sarei più avvicinata al bordo per niente al mondo! Ho fatto qualche fotografia, ma l’atmosfera del posto si era rovinata, così abbiamo deciso di tornare alla macchina, e per fortuna, visto che pochi minuti dopo è cominciata una sottile pioggerella! Abbiamo cenato al Ken’s Old West Steakhouse, a pochissimi minuti dal nostro motel. Il locale è alquanto caratteristico, tutto in legno e in stile western. C’è un palco e pare che quando ci siano le serate di musica country, il cowboy di turno trascini con sé a cantare anche i turisti più vicini! Stasera non c’era musica live, ma l’atmosfera non era meno festosa e allegra. Abbiamo ordinato carne di manzo alla griglia per Al e pollo alla griglia con contorni per me: ordinando quei piatti ci hanno dato la possibilità di servirci gratis al loro fornitissimo salad bar, ma noi abbiamo soltanto spiluccato un po’ di insalata semplice, avevamo già visto quanto grandi fossero le portate! Il cibo era delizioso e ci siamo veramente divertiti molto.

3 Settembre Dopo tanti giorni di corse, abbiamo deciso di dedicare questa giornata alla scoperta di Page e delle spiaggette della Wahweap Marina! Il nostro pass ci permetterà di entrare e uscire dalle varie zone chiuse dalle quali si accede alle spiagge, quindi preparo uno zaino con telo mare, solari, acqua e le immancabili macchine fotografiche e videocamera. La prima tappa è la diga di Glen Canyon, alquanto impressionante nella sua maestosità. Successivamente siamo andati fino a Lone Rock, un grosso scoglio che spunta dall’acqua, isolato. Da lì abbiamo fatto delle fotografie splendide, c’era il sole e il panorama è veramente spettacolare! Tolti i vestiti, abbiamo fatto una lunga passeggiata sul bagnasciuga con il costume, ma c’era cattivo odore, la sabbia era molto sporca, come l’acqua, e ricoperta di piume di corvo. C’erano tra l’altro moltissimi americani in gita con le famiglie, quindi praticamente ovunque si potevano vedere camper, moto d’acqua, cani e persone. Dopo un po’ ci siamo rivestiti e spostati verso le spiagge più centrali, tra Lone Rock e la diga. Anche quelle erano pienissime di gente, ma un po’ più attrezzate, perché qui c’è anche un campeggio e un hotel, oltre che a un ristorante e a un negozio di souvenir. Per strada, una grossa lepre selvatica ci ha attraversato la strada, mi raccomando andate piano, perché pare che sia una cosa frequente! Successivamente ci siamo spostati verso le spiagge più vicine alla diga, seguendo le indicazioni sulla cartina che ci ha dato un ranger. Il sentiero inizia poco prima di attraversare la diga, ma non è ben segnalato. Parcheggiata l’auto, bisogna quasi arrampicarsi sulle rocce per una decina di minuti prima di arrivare a una piccola baia rocciosa semi-nascosta: era veramente bellissima! Non era tardi, quindi abbiamo trovato pochissime altre persone lì, l’acqua era pulita e si vedeva bene anche la diga. Abbiamo deciso di andare via soltanto quando una serie di turisti ha iniziato a invaderla ma è stata la scoperta più bella di questa giornata! A pranzo siamo stati da Slacker’s, che prometteva di farci mangiare“il cheeseburger migliore che si possa assaggiare”. Appena entrati abbiamo notato la grossa lavagna dove erano scritte tutte le pietanze che servivano, la tv in un angolo e i cestini rossi nei quali servivano le patatine… Ci siamo sentiti veramente parte del luogo! Eravamo gli unici turisti, gli altri avventori erano tutti americani in pausa pranzo. Un cheeseburger (o altro panino a scelta), una porzione di patatine e una bibita media costavano solo 9$ (tasse incluse). Ci hanno dato subito i bicchieri, ci si serviva da soli per le bibite e poi avrebbero chiamato il nostro numero per ritirare il resto delle cose. Al ha optato per delle chicken strips… errore! Il cheeseburger è stato veramente fenomenale, l’insalata e i pomodori erano freschissimi, non era imbrattato di salse come capita in molti fast food e anche l’hamburger all’interno era ottimo. E’ proprio vero allora, fanno cheeseburger indimenticabili e Al se l’è perso! Dopo pranzo ci siamo fiondati nel Wal-Mart vicino… un supermercato immenso, che comprende anche un distributore di benzina, un’officina e un gommista! Sembrava di essere nel paese dei balocchi, ogni reparto era infinito e conteneva di tutto. Abbiamo acquistato delle pen-drive e una memory card per la macchina fotografica a prezzi irrisori, io ho preso degli adesivi carinissimi per il mio casco da moto, un po’ di trucchi e delle patatine. Non ci siamo nemmeno accorti di quanto tempo è passato, ma ci siamo divertiti moltissimo, nemmeno fossimo in un parco giochi! 4 Settembre Oggi siamo partiti con tutta calma per Flagstaff. Visto che il check-in all’Holiday Inn Express era da fare nel primo pomeriggio, abbiamo deciso di andare prima al Montezuma Castle, nonostante il tempo non fosse proprio dei migliori. Il navigatore però ci ha portati fuori strada e, anche se il diversivo è stato piacevole, in quanto abbiamo visto dei bellissimi tratti della Coconino Forest e Beaver Creek, nei pressi del quale tante famiglie stavano campeggiando, ci ha però privati degli ultimi momenti di sole della giornata. Mentre cercavamo ancora la strada per il Montezuma Castle è iniziato un bruttissimo temporale e quindi siamo andati a Sedona a rifugiarci in un Burger King, dove ci siamo rifocillati e abbiamo sperato che smettesse di piovere. Invece di tornare a cercare la strada per il Montezuma allora, abbiamo deciso di fare una passeggiata a Sedona, città molto carina: il tempo era ancora grigio, ma meglio della pioggia! Mentre stavamo tornando indietro verso il centro, a momenti non ci viene un colpo… c’è un cartello che dice “Ufo Crash”. Ora, Al ama la fantascienza, tutto quello che riguarda lo spazio e gli alieni, quindi non potevamo non fermarci! La simpatica trovata è quella di un negozietto che vende magliette e cianfrusaglie a tema alieni. Proprio nel cortile antistante hanno ricostruito un finto ufo caduto sulla Terra, con tanto di furgoncino dei Men in Black e camper per il “recupero alieni”. Tutto intorno ovviamente riecheggia la musica di X-files, come poteva essere diversamente! La storia nel negozio però irretisce Al, leggiamo infatti che lì vicino c’è Bell Rock, una grossa formazione rocciosa a forma di campana. La leggenda dice che quando si è arrivati in cima, bisogna stendersi a terra e rilassarsi e in quel momento si avvertirà una sensazione di distacco dal proprio corpo. Viene chiamato “vortex” e secondo i sostenitori di questa teoria, si tratterebbe di energie aliene. Ovviamente, nonostante il cielo scuro, Al è voluto andare subito a Bell Rock. Il percorso era abbastanza lungo, eravamo soli e, a dire il vero, ci siamo divertiti moltissimo, nonostante il vento freddo: continuavamo a prenderci in giro, io di più perché ero convinta che non sarebbe successo niente in cima a Bell Rock. A circa due km dal parcheggio ha iniziato a piovere, solo qualche goccia, però avevamo visto i cartelli che dicevano di non entrare in caso di pioggia e di avvisare i ranger… noi non avevamo avvisato nessuno ed eravamo a malapena arrivati alla base della campana! Guardando all’insù abbiamo visto un paio di altri turisti che camminavano sui bordi di questa enorme campana di roccia, ovviamente non c’era una balaustra e a me sono venuti i brividi, ricordavo ancora la storia a Horseshoe Bend! Siamo quindi tornati indietro, anche se ad Al è rimasto il dubbio… avrebbe avvertito il vortex oppure no? Intanto i due che erano quasi in cima sono riusciti ad arrivare su, li abbiamo visti da lontano, ma soprattutto sentiti, hanno iniziato a lanciare grida inumane, nemmeno fosse un film horror! A me ha fatto gelare il sangue nelle vene ma ci hanno detto che probabilmente erano ubriachi… contenti loro… Sedona è la Mecca della New Age. Ovunque si vendono pendoli, cristalli, si offrono chiropratici e terapie alternative o omeopatiche, ci sono statue carinissime e colorate e negozietti che ricordano il vecchio west. Il tutto è incorniciato da grosse pareti di roccia rossa. Mi sarebbe piaciuto passare un giorno in più qui! Ci siamo invece limitati a una bella passeggiata, mangiando un pezzetto del fudge che preparavano delle gentilissime signore con una ricetta risalente a centinaia di anni fa. Se vi piacciono le cose molto, ma molto zuccherose, è da provare. Finalmente rientrati in hotel a Flagstaff, scopriamo che quella sera ci sarà una specie di notte bianca dell’arte. Tutte le gallerie d’arte e fotografia resteranno aperte tutta la notte, ci saranno musicisti di strada, nei pub ci sarà la musica live.. Insomma decisamente da non perdere! Appena arriviamo in centro, restiamo sorpresi dal clima festoso e dalle mille lucine accese. Al dice che gli è sembrata una città irlandese, più che una americana e in effetti Flagstaff è molto diversa da tutte le altre città che abbiamo visto. Abbiamo parcheggiato e passeggiato per un po’, cercando di scegliere un locale carino dove mangiare un boccone. Al ha quindi adocchiato un locale messicano, il San Felipe’s Cantina, il cui logo è uno squalo con tanto di sombrero. Ho capito il motivo solo dopo essere entrata: c’era musica, un sacco di giovani ma soprattutto… cameriere in minigonna di jeans e magliettine con frasi alquanto irriverenti e reggiseni appesi ovunque! Il cibo non è un granché, ma tanto ho promesso ad Al che non gli farò mai più scegliere un locale, quindi…!!! Per farvi capire di che genere di locale si trattasse vi dirò solo che una delle cameriere, quando ci siamo alzati, ha pulito il tavolo coricandocisi sopra e “pulendolo” strofinandocisi contro. Ho già menzionato il fatto che Al non sceglierà mai più un locale dove andare a cena, vero? Comunque, una volta fuori, ci siamo goduti la musica di strada e l’atmosfera della città, prima di tornare in hotel. 5 Settembre Oggi la giornata è iniziata nel migliore dei modi. Dopo la colazione offerta dall’hotel e condivisa con la squadra di calcio femminile di Berkley, ci siamo rimessi in auto. Stava già piovendo, ma appena accesa la radio, è iniziata una sequenza dei classici del rock che ci ha accompagnati per tutta la giornata. Abbiamo faticato un po’ all’inizio prima di riuscire a prendere la Route66, ma quando l’abbiamo trovata è stato bellissimo. Iniziamo con i Doors, che hanno salutato il nostro ingresso a Williams, città piccola e accogliente, nella quale ci eravamo fermati già l’anno scorso per pranzare al Cruiser’s Cafè (consigliatissimo!). Il macchinista del treno a vapore che porta al Grand Canyon ci ha salutati da lontano, quando ci ha visti intenti a riprendere l’ingresso in stazione e in quei momenti ci siamo sentiti come in un vecchio telefilm. Avete presente La Signora del West? Ecco, uguale! Siamo ripartiti e ci siamo fermati a Seligman, approfittando del fatto che il cielo era scuro, ma la pioggia sembrava essersi fermata. Si tratta di una città piena di stramberie, una divertente tappa sulla Route66. Innanzitutto qua e là sono parcheggiate vecchie automobili con sopra dipinti occhi o dentoni: i riferimenti a Cars, cartoon della Disney, sono in effetti un po’ dappertutto. Ovunque ci sono cartelloni con disegni di Saetta McQueen, malconce Cadillac rosa o gialle, manichini vestiti in stile hippy e circondati da bandiere americane, così come tanti riferimenti a Marilyn Monroe e James Dean. Secondo me vale la pena fermarsi, fare quattro passi e qualche foto, oltre a curiosare nei negozietti sulla strada principale. Alcuni temerari avevano anche sfidato il cattivo tempo, provando a fare un pic-nic, ma quando anche noi ci eravamo rimessi in macchina, stavano correndo via: ricominciava a piovere! Da Seligman abbiamo percorso la Route66 fino a Kingman, incrociando al massimo un paio di auto in senso contrario per tutto il tragitto. Immaginate la scena, eravamo solo io e Al, il tempo fuori era brutto, anche se non proprio da tempesta, viaggiavamo sulla Route66 ascoltando Ac/Dc, Rolling Stones, Doors e Pink Floyd… credo che quei momenti resteranno per sempre nel mio cuore, è difficile spiegarlo, ma è stato veramente bellissimo. Credo che attraversare la Mother Road sia un’esperienza unica e indimenticabile, da fare almeno una volta nella vita: solo chi l’ha provata potrà capire quanto sia speciale! Arrivati finalmente a Kingman, lasciamo i bagagli al Best Western e poi andiamo a mangiare un boccone. Dopo il rientro in hotel ci diamo soltanto il tempo di una doccia, prima di fiondarci di nuovo all’avventura. Un primo raggio di sole ha intanto squarciato il velo di nuvole e quindi pensiamo di andare a vedere Oatman, una piccolissima cittadina un tempo era popolata da minatori, che l’hanno poi abbandonata quando le miniere sono state chiuse. La particolarità di questo posto è che quando i minatori lasciarono la città, abbandonarono qui i loro asinelli, che nel corso degli anni sono aumentati, diventando una comunità abbastanza numerosa e… rumorosa. I restanti abitanti di Oatman (pochissimi, a dire il vero), continuano a dar loro da mangiare e così i simpatici animali gironzolano pacificamente per le stradine, facendo subito amicizia con i turisti. L’Oatman Hotel è lo stesso nel quale Clark Gable e Carol Lombard trascorsero la loro luna di miele nel 1939. L’intera città è stata usata spesso come set per alcuni film western e ancora oggi, fino alle 14, vengono messi in scena finti duelli tra pistoleri sulla strada principale. Abbiamo comprato delle magliette carinissime a prezzi irrisori (5$ l’una) e che hanno riscosso molto successo tra amici e parenti una volta tornati a casa! Fortunatamente non pioveva e le strade si erano asciugate: la strada che porta a Oatman è a rischio flash flood, quindi da evitare in caso di pioggia.

Di ritorno a Kingman avremmo voluto visitare il museo dedicato alla Route66, ma, ancora una volta, abbiamo trovato chiuso! Proprio di fronte al museo è però possibile ammirare un’antica locomotiva a vapore, sulla quale si può salire per fare qualche foto. 6 Settembre L’arrivo a Twentynine Palms, città piccolissima e non lontana dal Joshua Tree National park, è stato un po’ traumatizzante. Dopo aver visto tanto deserto, qualche casetta isolata e tante roulotte sgangherate, ci eravamo preoccupati: un posto dove mangiare qualcosa ci sarà? Mentre ce lo stavamo chiedendo però, come se fosse un miraggio, scorgiamo la mitica M gialla… c’è un McDonald’s, evviva! E’ ancora presto per il check-in nell’hotel Twentynine Palms Inn, così decidiamo di andare a visitare il parco vicino. I Joshua Tree sono piante di yucca alte quanto alberi, circondati spesso da piante grasse, in un panorama quasi lunare. Quando siamo arrivati, già poco dopo il botteghino dal quale una simpatica ranger ci ha augurato di passare una buona giornata, ci è sembrato davvero di essere su un altro pianeta. L’atmosfera all’interno del parco è assolutamente surreale: sabbia, rocce gialle dalle forme strane, grossi cactus e Joshua tree ovunque. Il parco non era affatto affollato, nonostante il caldo e la bella giornata, quindi ne abbiamo approfittato per qualche altra escursione, finalmente in solitudine. La prima cosa che abbiamo visto è stata Skull Rock, formazione rocciosa enorme, con due orbite e una parte tonda che la fa sembrare quasi un teschio. Ci siamo poi spinti verso il Desert Queen Mine, un percorso abbastanza semplice (a parte il caldo), che ci ha dato la possibilità di osservare da vicino cactus, piante grasse e le rovine di una vecchia miniera attiva fino al 1961. Purtroppo però i resti non sono ben visibili, quindi magari valutate bene prima il tempo a disposizione, ci sono trail molto più interessanti! Come ad esempio Hidden Valley, una vallata racchiusa tra le rocce (altro esempio dell’atmosfera surreale di questo parco), che pare venisse usata dai ladri di bestiame che venivano a nascondere qui i capi rubati, oppure il Cholla Cactus garden. Questo sentiero è particolarmente breve, però almeno per noi è stato abbastanza difficile da trovare! Mentre uscivamo dal parco, mi è venuto in mente che mio padre, che è stato negli States per lavoro qualche anno fa, non fa che parlare di Palm Springs. Dista circa un’ora da 29Palms, così iniziamo a pensare che non sarebbe male passarci la serata, visto che nella piccola cittadina dove alloggiamo non c’è praticamente niente da fare. Il problema è sorto quando Al ha visto che proprio lì c’è il Museo dell’aviazione… doveva assolutamente andarci! Ho deciso: se mai diventerò ricca, comprerò una casa a Palm Springs. Ci accoglie un campo pieno di pale eoliche, che a dire il vero è un bel po’ brutto a guardarsi. Però non appena entriamo nella città vera e propria, pulitissima, ordinata, con tante palme, siamo rimasti senza fiato. Villone enormi, auto e moto costosissime, locali alla moda, la città che pareva destinata ad essere una piccola Las Vegas in realtà è diventata molto più di questo: ha lasciato perdere le mille luci e l’esagerazione di Las Vegas per diventare invece la meta preferita dai ricchi californiani. Nel corso degli anni qui sono passati divi come Elvis, Clark Gable, Frank Sinatra e Liz Taylor. Arrivati al museo, a mezz’ora dalla chiusura, la signora alla biglietteria ci dice però che… è già chiuso! Si, perché siccome per visitarlo tutto ci vogliono un paio d’ore, invece di chiudere alle 17, come c’è scritto sulla mia guida, staccano gli ultimi biglietti alle 15. Al ci è rimasto così male che ci siamo ripromessi di tornare domani mattina, passando di qui prima di andare a Los Angeles. Intanto parcheggiamo in centro e prendiamo una bibita, passeggiando per strada e guardando i tanti negozi sulla via principale. Abbiamo solo guardato, perché i prezzi erano veramente altissimi! In serata abbiamo optato per un ristorante messicano, Maracas, dove abbiamo mangiato veramente bene, spendendo poco, nonostante le porzioni fossero abbondanti e servite in piatti colorati e abbelliti con verdurine ed ortaggi. 7 Settembre La colazione al 29Palms Inn di questa mattina aveva un aspetto tremendo (se ne stavano lamentando anche gli altri ospiti), quindi abbiamo deciso di prendere qualcosa allo Starbuck’s di Palm Springs, prima di andare a visitare il Palm Springs Air Museum. Al non stava nella pelle, adora questo genere di cose e già all’esterno si mette subito a fotografare gli esemplari esposti nel parcheggio. Una volta dentro, restiamo stupiti dall’organizzazione: si tratta di due grossi hangar, una libreria e una sala cinematografica dove proiettano un film di circa un’ora, che purtroppo non potremo guardare perché altrimenti arriveremmo troppo tardi a Los Angeles, rischiando di restare imbottigliati nel traffico. All’interno dei due hangar abbiamo trovato tanti aerei, tra cui il B-17G, detto “la fortezza volante”, il più famoso bombardiere degli Stati Uniti, utilizzato durante la Seconda Guerra Mondiale… è veramente immenso! Con nostro grande stupore, la maggior parte di questi aerei, anche se sembrano così vecchiotti (almeno a me, Al dice che sono tenuti benissimo), volano ancora! Durante la visita siamo stati avvicinati dai volontari, tutti ex ufficiali pronti ad accompagnare i visitatori e a raccontare aneddoti di quando hanno servito la propria patria. Uno di loro ci ha confessato di amare l’Italia e di esserci stato più volte: Pompei era sempre nei suoi pensieri perché per lui è stato il luogo più meraviglioso mai visto. Ci accompagna per un po’ a vedere degli enormi modelli in scala delle portaerei che ospitavano alcuni degli aerei esposti, poi ci spostiamo nel secondo hangar. Qui sono esposte anche alcune rolls royce e moto usate nella Seconda guerra mondiale. Ci sono inoltre enormi pannelli sui muri, con monitor incassati: basta prendere posto e premere un bottone per avviare documentari (in inglese ovviamente) sui vari aerei o sulla guerra. Se devo essere onesta, all’inizio non ero molto convinta di questa visita, ma mi sono dovuta ricredere, è stata veramente interessante! Usciti dal museo, ci siamo spostati a Los Angeles e più precisamente a Santa Monica. Qui alloggeremo per qualche giorno al Sea Shore Motel. Quando facciamo il check-in, il receptionist ci informa anche che il mercoledì ci sarebbe stata la celebrazione dei 100 anni dalla costruzione del molo di Santa Monica, con concerti a partire dal pomeriggio e uno spettacolo di fuochi d’artificio sull’oceano. Wow! La bellissima spiaggia è a pochi passi dal motel, quindi decidiamo di fare una bella passeggiata e di mangiare un hot dog sul bagnasciuga. Ci rilassiamo un po’, mentre osserviamo gli americani impegnati a giocare a beach volley sui tanti campi sistemati sulla sabbia. Non avevamo capito quanto immense potessero essere le spiagge qui, sono lunghissime, al contrario delle nostre! Nel pomeriggio ci spostiamo a Pasadena, un’elegante città con ville in stile retrò, giardini incantevoli e le tante lucine che illuminano gli alberi di notte nella Old Pasadena. Abbiamo visto il Colorado Street Bridge, altrimenti conosciuto come il “Ponte dei Suicidi”, apparso in film come Seabiscuit, Yes man o Essere John Malkovich. Dopo una bella passeggiata, ci siamo fermati a cena da Roscoe’s house of chicken and waffles. Avete presente la scena del film “I Blues Brothers”, quando Jake e Elwood vanno nel locale di Aretha Franklin? Ecco, è pressoché uguale! Anche la signora che lo gestisce le somiglia, è un donnone energico, con la testa piena di treccine tenute su da una stoffa coloratissima che, dice, cambia ogni volta a seconda del vestito che indossa. Qui cucinano principalmente pollo e waffles, che gli americani mangiano o con marmellate e sciroppo d’acero, oppure come se fosse del normale pane, cioè insieme al pollo. E qui credo di aver assaggiato il miglior pollo fritto di tutta la mia vita! Nonostante fosse fritto, non è per niente unto, era asciutto, croccantissimo e panato al punto giusto. La simpatica signora che lo gestisce gira per i tavoli a chiacchierare con tutti i presenti, per non far sentire nessuno trascurato e per di più eravamo davvero gli unici turisti! E’ stata decisamente una scoperta piacevole e una serata divertentissima! 8 Settembre Evviva, oggi si va agli Universal Studios! Ho passato le scorse settimane a studiare tutte le attrazioni presenti nel parco e non vedevo l’ora di andarci! All’ingresso ci sono varie opzioni per il parcheggio, mi pare due oppure tre fasce di prezzo. Quello più caro è il parcheggio secondo loro più vicino al parco: noi abbiamo preso il biglietto “normale” per il parcheggio e vi assicuro che non è affatto lontano! Ci sono ascensori ovunque e poi prima di entrare si possono guardare le vetrine delle decine di negozi appena fuori dal parco. Siamo arrivati un po’ prima dell’apertura, ma c’era già una fila lunghissima all’ingresso. Appena entrati abbiamo visto che il parco è organizzato in due zone, collegate tra loro da una serie di scale mobili. Siamo subito andati a comprare due impermeabilini per la giostra Jurassic Park, al prezzo di 1$ l’uno… e meno male! Senza ci si bagna veramente tantissimo, perché in alcune zone bisogna passare sotto a delle cascate, ergo… nessuno viene risparmiato dall’acqua! Successivamente siamo stati al tour degli studios, che è durato circa un’ora e mezza ed è stato veramente bellissimo. All’uscita un miraggio… Avrei sempre voluto un pupazzo di E.T. Ma non ne ho mai trovati nei negozi, quindi avevo perso le speranze. Ma eccolo lì! Un signore simpaticissimo quando l’ho comprato mi ha anche raccomandato di portare E.T. In giro per l’Italia per fargli vedere qualche bel posto prima che la nave madre venga a riprenderselo.. Ci proveremo! La visita degli Universal, con l’orario ridotto (fino al giorno prima chiudevano più tardi, uffa!), è davvero un’impresa. Noi non ci siamo quasi mai fermati e non siamo riusciti a vedere tutti gli show. Sono tanti, ma soprattutto lunghi e ben fatti, ognuno dura almeno mezz’ora, tra effetti speciali, 3D, 4D, bravissimi attori ed esplosioni fantastiche, insomma ci sarebbe voluto un bel po’ di tempo in più! Quando il parco era in procinto di chiudere ci siamo decisi a uscire e mentre ci avviavamo al parcheggio abbiamo fatto un po’ di shopping anche nei negozi esterni. Tornati alla macchina, abbiamo percorso Mulholland drive per tornare a Santa Monica. La strada è in salita e stretta, ma ci sono meravigliose viste sulla San Fernando Valley e su Los Angeles.

9 Settembre Questa mattina abbiamo deciso di fare un giro per Santa Monica e di andare a vedere il Farmer’s Market, un mercatino dove vendono piante, prodotti biologici, nocciole ecc. Dopo ben due giri dell’isolato riusciamo a trovare un parcheggio, ma il mercato non è interessante come pensavamo, così ci siamo fermati a fare shopping in alcuni negozi di vestiti. In uno di questi abbiamo conosciuto una commessa simpatica, che era stata in Italia fino alla settimana prima, grazie a una crociera nel mediterraneo alla quale aveva partecipato. Dopo lo shopping abbiamo fatto una bella passeggiata sulla spiaggia, per vedere il Pier. Era già affollato per via dei preparativi per le celebrazioni che però avrebbero avuto inizio soltanto nel pomeriggio, così abbiamo recuperato la macchina e abbiamo deciso di fare un giro nei luoghi da “vip” che abbiamo sentito tante volte nominare. E così eccoci diretti a Beverly Hills, Bel Hair, Melrose, Miracle Mile e Rodeo drive. Che belli, ma soprattutto… che ricchezza, sbandierata ovviamente ai quattro venti sottoforma di automobili scintillanti, case enormi con super piscine e atelier di stilisti, molti dei quali italiani.

Per pranzo abbiamo deciso di fermarci da Philippe The Original, che dai primi del ‘900 vende sempre gli stessi panini, i French dip, piccole pagnotte che vengono riempite dalla carne prescelta e poi, a seconda dei gusti dell’avventore, inzuppati in un sugo di carne. Non vengono servite patatine fritte ma soltanto poche insalate a scelta e qualche torta dall’aspetto un po’ malandato. Noi abbiamo preso i panini col manzo, però ci è risultato addirittura insipido, abbiamo mangiato su degli sgabelli in una stanzona dove tutti parlavano contemporaneamente e quindi c’era molto rumore… insomma, per noi non è stato un granché, anzi, ad averlo saputo prima avremmo provato qualche altro locale più carino! Nel pomeriggio abbiamo visitato il campus dell’UCLA, una delle università più importanti del Paese e, ragazzi, in alcuni momenti, fuori dalla facoltà di medicina, mi sono chiesta perché non possiamo avere anche noi delle università del genere, sono bellissime, sembrano ben organizzate e lontane anni luce da quelle italiane! Dopo il campus siamo tornati a Santa Monica, che era in festa per celebrare i 100 anni del suo Pier. Sul molo era stato allestito un palco, sul quale si sono alternate varie band musicali, ci sono stati spettacoli e c’erano giocolieri, artisti di strada, bambini e le immancabili signore chic con barboncino in braccio, mi sa che qui Paris Hilton ha fatto molti proseliti! La temperatura intanto durante la serata è scesa e io ho iniziato ad avere freddo, ma era tardi per tornare in hotel, visto che di lì a poco sarebbero incominciati i fuochi d’artificio, così abbiamo preferito trovare un bel posticino dal quale guardarli in santa pace, convinti che iniziassero in orario. E invece no! Un’ora di ritardo, tanto freddo e umidità, ma poi quando sono iniziati, ho capito perché così tanti americani vanno a guardare i fuochi d’artificio organizzati per il 4 luglio… E’ stato lo spettacolo pirotecnico più bello che abbiamo mai visto. Quasi un’ora col naso per aria, incapaci di staccare gli occhi e dimentichi del freddo, del vento e della pancia vuota! Dopo lo spettacolo siamo andati a vedere Sunset Strip: centinaia di locali, tantissime macchine e ragazzi in giro, insomma è la prima città dove siamo stati (a parte Las Vegas ovvio!)che di notte è così movimentata! I locali qui offrono veramente di tutto, noi avremmo voluto andare alla House of Blues, locale aperto da Dan Aykroyd, uno dei due Blues Brothers, dove si fa musica blues dal vivo, ma c’era la selezione all’ingresso, noi non eravamo abbastanza eleganti (richiedevano abiti scuri e il lungo per le donne), così abbiamo dovuto desistere. Siamo finiti in un simpaticissimo fast food: In and Out. Qui cucinano pochi panini ma buoni, tutti con insalata freschissima e un menu composto da panino, patatine e bibita costa soltanto 9$.

10 Settembre Lasciamo oggi il Sea Shore Motel, dove ci siamo trovati benissimo, per spostarci di nuovo al Ramada, che è vicino all’aeroporto. Decidiamo di andare al Griffith Park, una zona bellissima di Los Angeles. Questo parco è 5 volte più grande del Central Park di New York. Già di primo mattino è pieno di americani che fanno jogging, giocano a frisbee col proprio cane o leggono, seduti placidamente sull’erba. Facciamo qualche foto e poi scopriamo che è ancora presto per andare a visitare l’Osservatorio, quindi… ebbene si, siamo stati allo zoo! E’ poco lontano dalla collinetta dell’osservatorio e anche se c’erano dei lavori in corso, abbiamo deciso di fare una bella passeggiata in mezzo a questo parco verde che ospita tantissimi animali. Non ci siamo potuti trattenere quanto avremmo voluto, perché all’osservatorio ci sarebbero stati degli spettacoli al planetario interno ed Al ci teneva moltissimo ad andare, però ci siamo divertiti molto lo stesso. Anche l’Osservatorio Griffith è stata una bella scoperta: tanti giochi interattivi ed esperimenti attraverso i quali conoscere lo spazio intorno a noi, spiegato in modo chiaro ed elementare. Abbiamo pagato soltanto 7$ a testa per entrare e noi che non eravamo mai stati ad un planetario siamo rimasti a bocca aperta. Ci hanno accompagnati in una sala dove c’erano comodissime poltrone già reclinate, così da farti guardare il soffitto. Abbiamo quindi assistito a un viaggio attraverso le ere e le galassie, guardando il cielo e ascoltando un’attrice che girava per la sala, narrando la storia delle stelle e dei primi osservatori del cielo. In alcuni momenti la visione a 360° può dare un po’ fastidio, ma passa presto e soprattutto Al ne è rimasto sconvolto, ancora ora ne parla spesso! Avremmo dovuto andare a fare le fotografie della scritta di Hollywood, ma abbiamo scoperto che si vede benissimo anche dalla collinetta dell’osservatorio e in particolare dal terrazzino del cafè annesso all’edificio principale, così ci siamo spostati, lentamente, verso Venice Beach nel pomeriggio, però non ci è piaciuta molto. Era sporchissima e giravano tipi poco raccomandabili accanto alla nostra auto, nella quale c’erano ancora i bagagli. Ci siamo spostati allora a Malibu, dove abbiamo fatto una lunga passeggiata, avendo occasione finalmente di osservare un colibrì!! E’ stato bellissimo, si è fermato a pochi passi da noi, ha infilato il becco in un fiore e poi è volato via velocissimo! A Surfrider Beach, la spiaggia più amata dai surfisti, c’erano tanti di questi atleti che si allenavano e siamo rimasti un po’ a guardarli prima di tornare in hotel. Brrr, questa volta il Ramada ci ha riservato una stanza orrenda! C’erano formiche in bagno, un foro di proiettile (e non scherzo, purtroppo) nel vetro esterno e quello interno portava vari marchi di baci dati col rossetto. Non transigo sull’igiene, ma Al ha insistito per non farmi andare a litigare con la receptionist: dopotutto avremmo soltanto riposato qualche ora prima di riconsegnare l’auto e andare in aeroporto, che bisogno c’era di farsi cambiare la stanza? E va bene… dopo una lauta cena da Denny’s, durante la quale un cameriere messicano ha voluto qualche lezione di italiano, ci siamo messi a nanna, ma effettivamente la sveglia ha suonato troppo presto.

Siamo andati in aeroporto con il magone, sono passate 3 settimane ma ci dispiace andar via. Qui c’è sempre così tanto da fare che, nonostante non ci siamo mai fermati, si ha sempre l’impressione di aver perso qualcosa! E’ stata però una vacanza bellissima, che ci ha insegnato tanto e ci ha donato immagini, come il cielo stellato della Death Valley, le curve scolpite nella roccia dell’Antelope Canyon o i fuochi d’artificio di Santa Monica, che porteremo sempre nel cuore.

Appena decollati, io e Al ci siamo guardati. E, con mia grande sorpresa, visto che in genere sono sempre io a trascinarlo, mi ha chiesto: “L’anno prossimo che zona degli States visitiamo?”



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