MARIPOSA, il dado americano

E' una tappa obbligata per chi va e torna dallo Yosemite Park, in California. Soprattutto per tutti quelli delusi dal mancato avvistamento di orsi nella "Terra degli Orsi" (una guida esperta ne ha visto tre in circa diciassette anni). Mariposa County non è solo una tipica cittadina americana; è un dado multifacce con tutti i prototipi...
Scritto da: ACARUS
mariposa, il dado americano
Viaggiatori: in coppia
E’ una tappa obbligata per chi va e torna dallo Yosemite Park, in California. Soprattutto per tutti quelli delusi dal mancato avvistamento di orsi nella “Terra degli Orsi” (una guida esperta ne ha visto tre in circa diciassette anni).

Mariposa County non è solo una tipica cittadina americana; è un dado multifacce con tutti i prototipi statunitensi in bella vista. Ed è il posto ideale per noi, che amiamo viaggiare i volti delle persone.

Sbarcati dal pullman veniamo ghermiti da un manipolo di fruttivendoli, convincenti come testimoni di Geova, che ci invitano all’assaggio e all’acquisto di mele, prugne e miele californiano. Sembrano famiglie ma sono delle microimprese. Mentre ad un centinaio di metri una ragazza crede che basti battere forte sul tamburo per avere i dollari dei turisti o piuttosto per sembrare una vera hippy. C’è un negozietto di antiquariato dove non resisto all’acquisto di Hotel California degli Eagles, forse perché adoro queste contestualizzazioni musicali. Più avanti è un fiorire di botteghe accoglienti, curiose, ricche di oggetti introvabili e per la maggior parte dei casi inutili. Immaginatevi una vagonata di cartelli per indicare le varie stanze della casa e renderla in qualche modo più kitsch.

Anche se l’apoteosi del kitsch è nel vicino parco comunale, dove l’amministrazione ha previsto una serata di spettacolo. Davanti a noi finalmente una classica immagine americana, di quelle che ci aspettavamo di trovare. C’è un uomo sul palco allestito per l’occasione. Ha una camicia chiara con la bandiera a stelle e strisce cucita sul taschino e l’immancabile cappello-cowboy. Sua moglie, alle sue spalle, cura la parte tecnica, lanciando ogni volta una base diversa. Davanti a loro, sul prato, due anziani che pomiciano e una signora in sedia a rotelle, oltre che, ovviamente, noi due. Questo è cinema alternativo, altro che Hollywood. Per decenza ascoltiamo i primi tre brani, vecchie ballate country che forse nemmeno i repubblicani conoscono più. Poi ci dirigiamo verso l’hotel, il Miners Inn, dove si servono Steak fumanti e birra e dove si fa Karaoke-cowboy. Però abbiamo ancora voglia di volti americani e ci infiliamo nel primo fast-food per concludere degnamente la serata. Lo stretto corridoio è un viavai di ragazzini ciondolanti, troppo alti per le loro canottiere, forse vacanzieri, forse indigeni. Impietosamente, davanti ai nostri stomaci italiani, infieriscono sulle patate fritte con ettolitri di maionese e ketchup e fiumi di gassosa, quella che beveva mia nonna. Finalmente ebbri di una giornata speciale rientriamo in camera per sentire dai muri sottili tutto quello che gli altri, anche per stanotte, hanno ancora da dirsi.



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