New York in un week end

La domanda che tutti, prima o poi, almeno una volta nella vita si fanno è questa: si può andare a New York in un week end? La risposta è si. Almeno, io ci sono andato. Bisogna però avere una visuale un po’ più ampia, ma non di molto, del concetto week end. E’ sufficiente aggiungere il venerdì ed il lunedì e si può andare. Se si vuole...
Scritto da: dbarald
new york in un week end
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 500 €
La domanda che tutti, prima o poi, almeno una volta nella vita si fanno è questa: si può andare a New York in un week end? La risposta è si. Almeno, io ci sono andato. Bisogna però avere una visuale un po’ più ampia, ma non di molto, del concetto week end. E’ sufficiente aggiungere il venerdì ed il lunedì e si può andare. Se si vuole esagerare come ho fatto io si può aggiungere anche il martedì, così si fanno 3 notti in hotel e la 4^ notte nel viaggio di ritorno. Sono passati 8 anni da quando ho fatto questa spedizione: era il mio terzo viaggio a New York. Dopo quella volta non ci sono più tornato. Non avevo in programma di andare ma avevo visto una pubblicità della Continental che reclamizzava biglietti A/R a 580.000 lire (eravamo ancora ai tempi della lira). Con una cifra del genere uno non deve neppure chiedersi se andare o no: si prenota e basta. Eravamo in 3 e siamo andati nel mese di Marzo del 1999. Ho lasciato a casa la moglie e la figlia di pochi mesi e sono andato a spassarmela. La partenza era da Milano Malpensa con volo diretto per Newark. La base della Continental è a Newark, che si trova nel New Jersey ma è veramente a 2 passi da NY. Ci fanno salire a bordo di un vecchissimo DC-10: è incredibile che ce ne siano ancora in circolazione. Andare da Milano a New York in DC-10 equivale ad andare da Milano a Rimini con una 127 prima serie. Non ho trovato un paragone migliore. Appena poggiamo il *CENSURA* sui minuscoli sedili della classe economica una delle hostess ha annunciato che saremmo partiti con circa 2 ore di ritardo causa intenso traffico sopra la Svizzera e che quindi avremmo dovuto attendere. Ma dico, ma c’ è ancora qualcuno che si beve la *CENSURA* del traffico intenso? Se siete su un aereo e vi dicono che la partenza tarderà a causa traffico, in realtà vogliono dirvi questo: “L’ aereo ha un guasto. Partiremo non appena sarà stato riparato.” *CENSURA*, l’ apprezzerei di più! Tanto bastava guardare dal finestrino per scoprirlo: diversi meccanici erano alle prese col motore destro. Un paio scuotevano la testa sconsolati ed un altro si è anche fatto il segno della croce. Almeno la previsione del ritardo si è rivelata precisa: partiamo esattamente 2 ore dopo apparentemente senza alcun problema.

Viaggiare per 8 ore in classe economica è un grandissimo dirompente testicolare (una rottura di *CENSURA*), specie quando lo *CENSURA* che hai seduto davanti butta giù il suo sedile. Tu sei li che cerchi di mangiare cibo di plastica con i gomiti bene aderenti ai fianchi perché hai anche 2 *CENSURA* ai lati, e il farabutto davanti a te abbassa il sedile. E intanto state certi che l’ aereo attraverserà una zona di aria turbolenta e quindi dovrete anche fare i miracoli per non rovesciarvi addosso il bicchiere di coca, e intanto attorno ci saranno dei bambini che piangeranno, e certamente lo *CENSURA* di fianco a voi vorrà andare al *CENSURA* e quindi dovrete anche alzarvi. Poi avrete le narici secche e sarete nervosi come bestie per via dei 10 caffè che vi siete bevuti da quando vi siete alzati la mattina alle 4. Avrete anche una voglia bestiale di *CENSURA* ma dovrete trattenervi e avrete i piedi gonfi. Io dico: è un miracolo se non viete commesso qualche omicidio ad ogni volo intercontinentale… In un punto imprecisato tra Shannon e Gander ecco che arriva il famoso modulo (quello del genocidio). Chi ha già letto il racconto “Orlando e la teoria della relatività” o è già stato negli USA sa a cosa mi riferisco. La cosa incomprensibile, ancora più incomprensibile delle domande del *CENSURA* a cui bisogna rispondere è questa dicitura alla fine del modulo: “Se avete risposto affermativamente ad una o più di queste domande contattate l’ ambasciata degli Stati Uniti prima di iniziare il vostro viaggio”. Mi state prendendo per il *CENSURA* … Non è una domanda… *CENSURA*, siamo qui nel bel mezzo del nulla, in pieno Atlantico e mi dite che se in passato ho sottratto un minore alla custodia di un cittadino americano, avrei dovuto dirvelo prima di partire??? Come *CENSURA* facevo se il modulo me l’ avete dato adesso??? Atterriamo a Newark regolarmente ma il cielo è coperto, c’è vento e fa freddo. Non ritiriamo il bagaglio perché abbiamo solo quello a mano: sempre. Mai perdere tempo con le valigie. All’ immigrazione trovo una poliziotta che prima di timbrarmi il passaporto ha proprio voluto fare la *CENSURA*. Era la classica americana WASP con dotazione standard: bionda-occhi azzurri-*CENSURA* grosse. Aveva la camicia piena di patacche e distintivi, una gigantesca bandiera americana sulla manica e i bottoni che stavano per esplodere. Era annoiata ed era evidentemente *CENSURA* (lo sentivo dall’ odore…) Ma si può chiedere a uno come si chiama quando si ha in mano il suo passaporto? Ha voluto il mio biglietto aereo e mi ha chiesto quanto a lungo sarei rimasto (sul biglietto c’era scritto…). Ha voluto persino sapere cosa *CENSURA* ero andato a fare in America. Io me la stavo immaginando senza vestiti e stavo cercando di capire se aveva una 4^ o una 5^ e quindi mi è uscito un: ”To make sex…” La *CENSURA* non ha detto nulla ma ha slacciato la fondina e messo la mano sull’ impugnatura della sua calibro 9. Mi sono subito corretto: “Tourism!” “Have a nice stay…” Dato che avevo già alloggiato a Manhattan ed avevo speso una piccola fortuna, ho pensato bene di trovare una sistemazione più economica. Ho trovato un albergo a Jersey City, che come suggerisce il nome si trova nel New Jersey, ma proprio sulla sponda del fiume Hudson. Per non complicarci troppo la vita raggiungiamo l’ hotel in taxi, dato che era abbastanza vicino. Quando si prende il taxi in un aeroporto newyorkese bisogna fare la fila. Appena arrivi alla fermata dei taxi vieni preso in consegna da alcuni addetti che ti chiedono: “ugoin?” Se fai lo sbaglio di non capire quelli: “UGGOOOIIINNN????” e ti guardano incazzatissimi come per dire: “Ma brutto *CENSURA*, non lo vedi che sono qua a lavorare, c’ho 5 figli da mantenere e tu mi stai facendo perdere tempo. Dimmi dove *CENSURA* devi andare!” Chiaramente “ugoin” voleva dire “where are you going?”, perché in base alla destinazione ti fanno salire sul taxi giusto. Non solo: in base alla destinazione ti dicono subito la tariffa, in modo che se il taxista *CENSURA* vuole passare da Boston per portarti a Manhattan sono *CENSURA* suoi. Poi bisogna dare la mancia. Certo, a Heathrow gli addetti ai taxi sarebbero un po’ più gentili e magari vi direbbero: “Welcome in England: do you like a *CENSURA*?”. Ma qui no.

L’ albergo era il classico motel americano, un po’ vecchiotto ma in posizione perfetta e soprattutto economico. Dall’ hotel si facevano 500 metri a piedi, si attraversava un centro commerciale e si arrivava alla stazione del PATH, che altro non è che un trenino che collega il NJ a NY. In pochi minuti arriviamo alla fermata “World Trade Center”. E’ già tardo pomeriggio, quindi per noi è circa mezzanotte e stiamo lentamente collassando perché siamo svegli da 20 ore. Diamo un’ occhiata veloce alle torri gemelle, dove ero già stato nel mio precedente viaggio. Essere lì e guardare in alto faceva uno strano effetto: erano incredibili e sembrava non finissero mai da tanto erano alte. Non saliamo perché era tardi, eravamo stanchi, c’eravamo già andati e perché abbiamo detto: “ci torneremo la prossima volta che verremo a New York”. Bella pensata del *CENSURA* … Da lì raggiungiamo il Battery Park per un’ occhiata veloce alla baia di New York. Vediamo in lontananza la statua della libertà e il ponte Da Verrazzano. Adesso dobbiamo cercare un posto dove cenare. A meno di non andare in fast food può risultare difficile cenare in piena Manhattan: bisogna quasi sempre aspettare in piedi un bel po’ prima di mangiare. Entriamo in paio di steak house ma erano strapiene, così ci infiliamo in posto che era una via di mezzo tra un bar ed un ristorante. Si mangiava male e si spendeva tanto, ma è una cosa abbastanza normale da queste parti. La mancia è una regola, odiosa, ma pur sempre una regola. E bisogna anche calcolarla esattamente. Dopo quasi 24 ore che non dormivo è risultato abbastanza problematico calcolare il 15% e la cameriera si è pure incazzata. Che *CENSURA* sono le mance… Torniamo in albergo e ce ne andiamo a letto. In genere la prima notte negli USA io riesco a dormire solo un paio d’ ore, ma non di più, perché verso l’ una di notte mi sveglio dato che sono ancora tarato sul fuso italiano. La conseguenza è che il giorno successivo sono uno zombie. La mattina presto (inutile rimanere a letto se non si dorme) torniamo a Manhattan. Poco prima di partire avevo visto un film incredibile, “Fuori orario” di Martin Scorsese, che è stato girato nel quartiere di Soho, e volevo andare a vedere il posto dove si svolgeva una parte della storia: una casa al numero 28 di Howard St. Si, la casa era quella del film, però la scena si svolgeva di sera, non c’ era nessuno e non c’ erano macchine. Qui era un vero casino: macchine dappertutto ed un’ infinità di gente. Il resto del quartiere di Soho non è un gran che. Mi scappa una bella *CENSURA* così mi allontano un attimo e mi infilo in un giardinetto. Sono consapevole che in America tutto è più grande: le case, le macchine, le strade… Anche le *CENSURA* di cane sono più grandi: appena attacco a *CENSURA* scopro con orrore di avere il piede sinistro infilato nella più grande *CENSURA* di cane che la storia ricordi. Ma *CENSURA*! Si, sempre meglio che pestare una mina, ma *CENSURA*! Mentre mi sto abbottonando i pantaloni sento alle mie spalle: “gmoni!”. Mi giro e mi vedo davanti un ragazzino con un coltello in mano che stava facendo di tutto per sembrare un duro ed ha ripetuto: “gmonissol!” Credo intendesse:”give me the money, *CENSURA*!” Dietro di lui un altro ragazzino si guardava attorno nervosamente. Il figlio di *CENSURA* n° 2 non aveva niente in mano. Il figlio di *CENSURA* n° 1 impugnava il coltello nel modo sbagliato, e quello mi ha fatto capire che probabilmente era alle sue prime esperienze criminali. Mi guardo rapidamente attorno e non c’ era nessuno. *CENSURA*! Prima la *CENSURA* di cane e adesso questi due *CENSURA*: ma si può? Non so cosa avrei dato per una .357 magnum; *CENSURA*, anche una 7.65 sarebbe andata bene: li avrei fatti fuori senza esitare. Il rischio era che il figlio di *CENSURA* n° 2 avesse una pistola da qualche parte, perché in America chiunque può avere un’ arma da fuoco, anche se giovanissimo come questi due. Immediatamente però ho escluso che potesse averla: che senso ha minacciare con un coltello se si ha una pistola? Io non parlavo e non mi muovevo e cercavo di mantenere un’ espressione neutra, perché speravo in una mossa sbagliata da parte del figlio di *CENSURA* n° 1 (quello col coltello). Mi si è avvicinato brandendo il coltello a braccio teso e continuando a chiedermi i soldi. Non ho più avuto dubbi sul fatto che il coltello fosse un’ arma a lui sconosciuta. Ho provato un po’ pena per loro: dovevano essere cresciuti in chissà quali condizioni per ridursi così. Ero ancora immobile attendendo il momento migliore per agire. Ho cacciato un grido da animale: AAAAAAAAAHHHHH!!!!! Il grido serve per distrarre il figlio di *CENSURA*. Per una frazione di secondo il suo cervello (alquanto ridotto, credo) cerca di capire cosa *CENSURA* sta succedendo, e in quell’ istante bisogna agire. Con un movimento fulmineo ho preso con la mia mano destra il polso destro del figlio di troia n° 1 tenendomi al suo esterno. L’ ho strattonato ed immediatamente col braccio sinistro gli ho sferrato una violentissima gomitata in faccia. Non so dove l’ ho colpito ma non ha importanza. Ancora teneva stretto il coltello, incredibile! L’ avevo momentaneamente stordito, ma dovevo badare al figlio di *CENSURA* n° 2 che è scattato in avanti. Avevo una sola possibilità è non l’ ho sprecata. Adesso tenevo stretto con 2 mani il polso del figlio di *CENSURA* n° 1 ed ho tirato un calcio di rigore dritto nei *CENSURA* del figlio di *CENSURA* n° 2 che era arrivato a tiro. Si è accasciato senza neppure riuscire ad emettere un lamento: aveva una faccia come di uno che si è preso un calcio nei *CENSURA* … Appena a casa devo lavare la macchina, ho pensato. Ma si può? Dovevo disarmare il figlio di *CENSURA* n° 1 che si stava lentamente riprendendo dalla gomitata in faccia. Ho iniziato la torsione del suo braccio verso l’ interno fino a portargli il dorso della mano verso il basso. A questo punto, sempre tenendo stretto il suo polso con la sinistra, ho premuto il palmo della mia mano destra (con più forza di quella necessaria, ma *CENSURA*!) sul dorso della sua mettendogli il polso in leva. Come previsto ha mollato il coltello. Ho aumentato ulteriormente la pressione sul polso e col mio gomito sinistro ho esercitato una forte pressione verso il basso sul suo gomito destro e ho continuato a tirarlo fino a quando non è arrivato con la faccia sul prato. A quel punto volevo essere certo che per un po’ non facesse più lo *CENSURA*, quindi tenendogli il braccio in estensione gli sono andato sulla schiena, e poi gli ho spinto il braccio teso in avanti. Quando la spalla gli è uscita di posto ha emesso un ululato come quello di un gatto in calore che brama una *CENSURA*. Era tempo di tornare dal figlio di *CENSURA* n° 2 che si stava ancora tenendo le *CENSURA* con le mani. Per non correre rischi inutili gli ho tirato un calcione in faccia e credo di avergli rotto la mandibola o qualche dente. Il figlio di *CENSURA* n° 1 si stava rialzando così gli ho mollato un calcione nelle costole. Dal rumore che ho sentito dovevo aver fatto un buon lavoro. Non avevo ancora detto un parola. Ho raccolto il coltello e l’ ho fatto vedere ai 2 figli di *CENSURA*. Ho fatto la mia migliore espressione da serial killer e gli ho detto: “…And now…I will cut your *CENSURA* …” Avevano entrambi un’ espressione terrorizzata. No, non gli ho tagliato l’ *CENSURA*, ho gettato il coltello in un vicino cestino dei rifiuti. Volevo andarmene, ma poi mi sono ricordato che avevo la scarpa sinistra imbrattata di *CENSURA* di cane. Ho strofinato la scarpa sporca di *CENSURA* di cane sulle loro facce, un po’ per uno, avendo cura che un po’ di *CENSURA* di cane gli entrasse in bocca. Forse ho un po’ esagerato, ma *CENSURA*, non me la sono cercata io. Poi gli ho detto, in italiano ma chi se ne frega: “siete due facce di *CENSURA*!” Incredibilmente mi sono anche messo a ridere.Adesso però bisognava darsi una calmata. Le 10 del mattino è un orario insolito per bere ma date le circostanze ci voleva. Sono entrato in un vicino bar, di quelli sporchi, con le insegne al neon che si vedono nei film. Il barista era in canottiera, aveva la barba, i capelli lunghi e una pancia da bevitore di birra. Appeso sul bancone aveva un fucile a pompa e sono sicuro che fosse carico. Mi ha guardato di traverso e mi ha fatto un cenno come per dire:”che *CENSURA* vuoi?” “Jack Daniels” gli ho fatto. Si è un po’ rilassato e mi ha fatto un cenno soddisfatto: se gli avessi chiesto una coca mi avrebbe probabilmente buttato fuori a calci. Ho fatto il bis e stavolta il sudicio barista era visibilmente soddisfatto: ha perfino sorriso e mi ha offerto una Luky Strike (cos’ altro poteva fumare un tipo così?). Al momento di pagare (18 $!!!) ho fatto lo sborone. Gli ho mollato un 20 e gli ho detto: “keep the change…” Raggiungo infine i miei compagni di viaggio che si sono affrettati a dire: “sento odore di *CENSURA* di cane…” E’ una bella giornata di sole e torniamo al Battery Park, così vediamo anche il Clinton Castle e vediamo se si può prendere il traghetto per la statua della libertà. Assolutamente impossibile. C’ è una fila di turisti pecoroni inimmaginabile. Se si vuole andare bisogna perdere mezza giornata. Risaliamo l’ East river e ci fermiamo al Pier 17, che è stato convertito in centro commerciale ed è uno posti più turistici della città. Da qui si raggiunge facilmente a piedi Wall Street, dove c’è la borsa. Nelle vicinanze stavano girando un film. Camminare per le strade di New York da l’ impressione di trovarsi in un film: sono cresciuto vedendo film americani ed essere qui a camminare per le strade guardando per aria fa uno strano effetto, anche se non è la prima volta che ci vengo. In metropolitana andiamo all’ Empire State Building, dove saliamo per vedere il panorama. Si fa un po’ di fila prima di prendere l’ ascensore, ma ne vale la pena. Il panorama, se si ha culo di trovare una giornata limpida, è fenomenale. Da lì si vede benissimo anche il mio grattacielo preferito: il Chrysler Building, che però è chiuso al pubblico. Facciamo la bestialità di scendere facendo le scale: è una cosa interminabile.

Poco lontano c’ è anche il Rockfeller Center, con la sua pista di pattinaggio davanti. Questo posto si vede in quasi tutti i film girati a New York. Da che siamo sulla 5^ ci vediamo anche la cattedrale di S. Patrizio, il Disney Store e la Warner Bros, che all’ ultimo piano aveva anche un cinema gratuito con uno show 4D su Martin the Martian. Tutti le cose che compriamo alla Disney e alla Warner sono fatte in Cina.

Ci spostiamo nel vicino Central Park a vedere il sentiero attorno al lago dove correva Dustin Hoffmann nel film “Il Maratoneta”. Il parco è bellissimo ed è proprio come si vede nei film. Ci sono musicisti, venditoti di hot dog con i loro carretti, gente che corre (penosamente), e gente con i cani. Spero solo che i padroni dei cani pestino 2 *CENSURA*, non una… Ci vediamo anche la statua di Alice nel paese delle meraviglie e lo stranissimo edificio del museo Guggheneim. Dato che sta facendo buio ci portiamo a Times Square che è l’ incrocio tra la 7^ e Broadway. Lo spettacolo di Times Square illuminata da solo vale il viaggio: la vera America, quella che per anni abbiamo visto nei film, è qui! Via metro (che qui si chiama subway) e Path, ce ne torniamo al nostro hotel ormai disintegrati. Il giorno seguente abbiamo programmato una visita al Greenwich Village, che ha un nome mitico, ma che in realtà non offre proprio nulla di interessante, se non le case a schiera con le scalette che abbiamo visto in 1000 film. Ci vediamo anche il Washington Square Park, con il suo arco di trionfo ed i suoi venditori di infiorescenze di canapa essiccate. Ci sono, e lo capisci subito cosa vendono, ma sono discreti e non tentano di venderti la maria se non la vuoi. Io uno spino me lo sarei anche fatto, ma col *CENSURA* che ho sarebbero subito passati dei poliziotti con i cani che avrebbero fiutato anche la più microscopica particella di maria, e mi avrebbero aggredito, e dopo avermi strappato le *CENSURA* con i loro denti appuntiti mi avrebbero arrestato (i cani non gli agenti). E’ opportuno non farsi arrestare negli USA. Il pezzo forte della nostra visita a New York è ovviamente la portaerei Intrepid della 2^ guerra mondiale. Oggi è stata adibita a museo ed è ormeggiata sull’ Hudson. La raggiungiamo in metropolitana. Due parole sulla metropolitana di New York: se avete visto film come “I guerrieri della notte” o “Il giustiziere della notte” sarete probabilmente diffidenti. Dimenticativi i film: erano gli anni 70 e adesso non è più così. La metropolitana di New York, quanto a sicurezza, non è male. E’ chiaro che non bisogna mai abbassare la guardia, ma è abbastanza difficile essere derubati, poi violentati e poi uccisi in metropolitana a New York. Personalmente è la fase centrale quella che mi preoccupa di più… L’ Intrepid è abbastanza piccola se paragonata alle portaerei moderne, ma è comunque impressionante. Adesso ospita il museo Sea Air and Space e contiene aerei, navicelle spaziali, armi, pezzi del Titanic, un pezzo del muro di Berlino. Non mancano il bar-ristorante ed il negozio di gadget. Ormeggiati di fianco ci sono anche un cacciatorpediniere ed un sommergibile lanciamissili, anch’ essi adibiti a museo: molto interessanti, almeno per me. Ho avuto modo di rivedere, a distanza di molti anni, il Garand, che è stato il mio primo fucile e la Browning 12,7. Che ricordi… Dopo l’ Intrepid andiamo a Brooklin a fare 2 passi lungo l’ East River e a fotografarci con il famoso ponte come sfondo. Ci facciamo anche tutto il ponte a piedi, anche se è una giornata di merda e piove. L’ unica cosa che un povero provinciale ignorante e *CENSURA* come me riesce a pensare quando attraversa il ponte di Brooklin a piedi è:”… *CENSURA* che città…” Subito dopo il ponte, sulla sinistra, c’è il Pier 17, dove eravamo già stati, ma ci ritorniamo per un bicchierone di caffè. Il caffè in America è rivoltante, ma almeno ci riposiamo un po’. Per la cena l’ idea era l’ Hard rock cafè, ma c’ era la fila persino sulla strada, così facciamo un tentativo al Planet Hollywood. La fila era solo dentro così pazientemente aspettiamo il nostro turno. Ogni volta che vado a New York mangio al Planet, anzi, se vado in una città dove ce n’ è uno, ci vado. E’ un’ imitazione dell’ HRC, ma a me piace. Tutto basato sul cinema invece che sulla musica e prezzi alti. Un’ altra giornata è finita e torniamo a Jersey City. Il nostro terzo risveglio a NY è un po’ triste perché dobbiamo prendere la nostra roba e andarcene. Guardando dalla finestra troviamo anche una sorpresa: ha nevicato! Riprendiamo il Path e torniamo a Manhattan. La prima tappa è il Flatiron Building, il più vecchio grattacielo della città. A New York appena tiri fuori una cartina (geografica, non una cartina per farsi le sigarette al tabacco impoverito), c’è subito qualcuno che si ferma e ti chiede se ti può essere d’ aiuto. La cosa francamente è anche un po’ fastidiosa; tu magari sei li che stai guardando un giornalino porno mimetizzato nella carta di Manhattan, e ti si avvicina una professoressa di matematica in pensione per offrirti il suo aiuto. Comunque il Flatiron l’ avevo già visto, ma mi sono sentito in dovere di riguardarlo. Andiamo a vederci, da fuori, il Radio City Music Hall, il teatro più grande del mondo. A New York c’ è sempre qualcosa che è più grande delle altre nel mondo. Poi andiamo a riguardarci Times Square, ma di giorno non vuol dire proprio nulla. Da che sono lì voglio dare un’ occhiata veloce alla 42^: io mi aspettavo di trovarci De Niro col suo taxi, Jodie Foster che batteva e Harvey Keithel che diceva: “o la *CENSURA* o la fuga…”, ma niente di tutto questo. La 42^ non è più il regno newyorkese del porno com’ era nei mitici 70 s’. E’ rimasto qualche localino, ma poca roba. Il mercato del porno è cambiato e le *CENSURA* adesso lavorano quasi tutte in casa come da noi. Basta leggere gli annunci sui quotidiani per rendersene conto. Non ho idea però di come siano le *CENSURA* a New York: americane? asiatiche? africane? Non ne ho proprio idea, ma credo che ce ne sia per tutti i gusti. Si è fatta ora di pranzo e mi infilo in un fast food: la *CENSURA* dei fast food è uguale in tutto il mondo. Se c’ è una cosa che ho capito in questo viaggio è come comunicare con gli americani. E molto utile dire un “*CENSURA*” ogni 3 parole per conquistarsi il loro rispetto. Anche gesticolare come un rapper aiuta molto. Inoltre bisogna dire spesso “you know” e “no way” (in questo caso scuotere la testa) anche se non si sa esattamente cosa dire. Importante è dire spesso anche “*CENSURA*”. Se abbordate una ragazza non chiamatela subito “*CENSURA*”, aspettate almeno che ve l’ abbia data. Ultima passeggiata veloce il Park Avenue, col suo fighissimo Pan Am building. Si, lo so che adesso è Met Life, ma per me sarà sempre il Pan Am. E’ tempo di tornare a Newark… Dobbiamo prendere la metropolitana, il Path e poi anche un autobus. L’ aeroporto di Newark è grandissimo e quando si aspetta il proprio volo l’ unica cosa che si può fare è mangiare. L’ offerta di cibo è impressionante. Io sono andato in un bar ed ho fatto una della mie figure di *CENSURA*. Ho preso una Bud e la tipa dietro il banco, che non vedeva l’ ora di tornarsene a casa nella sua Geo Metro, non mi ha neppure aperto la bottiglia. “Me la apri?” …Brutta *CENSURA* … Mi ha fatto il gesto di svitare il tappo. Sono rimasto sorpreso: da noi non era ancora arrivato questo tipo di bottiglia, o almeno io non l’ avevo ancora visto. Il week end lungo nella grande mela era finito e mi giravano le *CENSURA*, e mi giravano ancora di più al pensiero del volone in classe economica. Dopo il decollo si poteva vedere New York dai finestrini sul lato desto: era tutta illuminata e a me, inutile dirlo, giravano le *CENSURA*. Non sono più tornato a New York e forse non ci tornerò più: preferisco ricordarmela com’ era. (Il racconto non censurato ed il video del viaggio sono disponibili su: www.Diegobaraldi.Com)



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