Valencia e Madrid, tra tradizione e modernità

Alla scoperta di Valencia, sospesa tra un passato millenario e il futuro high-tech della Ciudad, e Madrid, con il favoloso triangolo d'oro dei musei
Scritto da: AlixA
valencia e madrid, tra tradizione e modernità
Partenza il: 01/04/2016
Ritorno il: 05/04/2016
Viaggiatori: 1
Spesa: 500 €
Valencia, la terza città della Spagna dopo Madrid e Barcellona, ha tutte le carte in regola per conquistare il visitatore: la vivace movida, i musei prestigiosi, una storia antica alle spalle ed un futuro radioso già attuale, con le architetture avveniristiche costruite nell’ultimo ventennio, come la Ciudad de las Artes y las Cyencias dell’architetto Santiago Calatrava e il Palacio de Congresos, progettato da sir Norman Foster. Ammetto che sono partita con qualche malumore personale, e ciò ha influito sulla percezione del viaggio, funestato tra l’altro anche dal tempo piovoso dei primi giorni: poi le cose sono andate meglio.

La città vecchia

Volo con la mia fedele Ryanair che in 2 ore, per il costo di circa 50,00 euro, mi porta da Bologna all’Aeropuerto de Manises di Valencia. Con metrovalencia (al pianoterra del terminale dei voli interni, linea 5 Aeroporto/Neptú o linea 3 Aeroporto/ Refelbunyol) raggiungo il centro città in una ventina di minuti al costo di circa 3,90 euro. Ho scelto di pernottare all’Hostal Antigua Morellana, in centro a due passi dalla cattedrale (50,00 euro a notte). Di qui le maggiori attrazioni del centro storico si possono raggiungere comodamente a piedi. Io inizio le mie esplorazioni dal cuore città vecchia, un luogo pittoresco e pieno d’atmosfera, percorso com’è da un labirinto di tortuose stradine e calli medievali dai pavimenti acciottolati. La personalità di Valencia si afferma subito con un’architettura vivace, perché mescola gli stili in un tripudio di forme diverse, dal gotico flamboyant valenziano e dal rinascimentale fino al barocco e al liberty.

Plaza de la Virgen si erge sopra l’antico foro, cuore pulsante della fiorente Valencia romana; furono infatti i legionari in congedo a fondare la città nel 138 a.C., come luogo di svago e riposo sulle carezzevoli sponde del rio Turia. La piazza è effervescente di vita, con il suo continuo passeggio, i vivaci caffè ed alcuni edifici pubblici sontuosi; al suo centro si trova una gorgogliante fontana con la raffigurazione del Rio Turia. L’architettura più notevole che si affaccia sulla piazza è la Catedral, che mescola gotico, romanico e barocco spagnolo. E’ stata costruita tra il 1262 e il 1426 e le sue tre favolose porte d’ingresso riflettono i cambiamenti di stile: l’antica Puerta del Palau in stile romanico nel lato orientale, la gotica Puerta de los Apostoles affacciata sulla Piazza de la Virgen, la barocca Puerta de los Hierros, vicina alla torre campanaria. All’interno sembra si trovi un oggetto che ha fatto versare fiumi di inchiostro e ispirato km di pellicole cinematografiche: il Santo Graal, conservato con tutti i crismi nella Capilla del Santo Caliz. Si tratta di una tazza d’agata, alta circa 9 cm, che risale probabilmente al I sec a.C.. La parte più spettacolare è la base d’oro, tempestata di rubini e altre pietre preziose. Personalmente non credo che questa si veramente la coppa da cui bevve Gesù durante l’Ultima Cena, un oggetto che appartiene più alla sfera del mito che a quella della realtà, ma il manufatto, esposto in questa maestosa cappella gotica, fa una certa impressione. Nella cappella successiva trovo qualcosa a me più congeniale, un paio di opere religiose di Goya. La torre campanaria della cattedrale porta il buffo nome di Miguelete e fora il cielo spagnolo fino a 50 mt, coi suoi 207 gradini distribuiti su di un’impervia scala a chiocciola.

Uscita nuovamente nella piazza volgo lo sguardo verso l’immagine rosata ed elegante della basilica di Nuestra Señora de los Desamparados (1667), intitolata alla Vergine degli Abbandonati, patrona della città. La sacra immagine della Madonna è conservata all’interno della chiesa ed uno dei più grandi miracoli per cui fu osannata è stato il cessare della terribile pestilenza che causò 18.000 morti a metà del 600’. Mi dirigo ad est della Cattedrale, per sbirciare attraverso i pavimenti vetrati i resti archeologici romani, visigoti ed islamici nell’Almoina. Si può anche entrare e visitare i sotterranei, dov’è organizzato un moderno museo che racconta 2000 anni di storia, ma io, per questioni di tempo, ci rinuncio a malincuore.

La storia di Valencia l’ha vista assoggettata a molti popoli differenti: dopo i legionari romani subentrarono i visigoti, fino a che non furono scacciati dalle invasioni berbere ed arabe. Inseguito al fertile periodo musulmano, in cui Valencia sviluppò una fiorente produzione di ceramica, carta e seta, la città tornò in mano ai cristiani e nel 400’ visse il suo secolo d’oro. Mi dirigo quindi verso la Plaza del Mercado a cercare tracce di questo periodo fecondo, durante il quale la città si affermò come uno dei centri più potenti e ricchi del Mediterraneo.

La Lonja, splendida loggia mercantile, è il manifesto evidente di quegli anni prosperi: nel XV secolo era sede della borsa della seta. Riconosciuta patrimonio dell’umanità dall’Unesco nel 1996, è un gioiello in stile gotico valenziano, una perla più unica che rara tra le architetture civili dell’epoca. All’interno magnifica Sala de la Bolsa è uno spazio vasto e suggestivo, scandito da eleganti colonne tortili. Di fronte alla Lonja c’è un edificio liberty molto interessante, che ospita il Mercado Central, uno di più grandi mercati d’Europa dove si vendono pesce, verdura, carne e spezie in un clima di pittoresca animazione.

Concludo la mia giornata con un ottimo gazpacho e tapas all’enoteca Tap.

Museo di Belle Arti

Il Museu de Belles Arts è descritto nelle guide come uno dei migliori di Spagna, non posso quindi mancare alla visita. Per raggiungerlo di buon mattino abbandono il centro storico con una piacevole passeggiata di 10 minuti, imboccando Carrer del Salvador fino al Puente Trinitat; mentre lo attraverso ammiro sotto di me la geniale trovata che ha trasformato un fattore ambientale problematico in una risorsa per la città. Era il 1957 quando si verificò una disastrosa alluvione, inseguito alla quale si decise di deviare il corso del fiume Turia fuori dal centro, nella zona sudorientale; invece di coprire di terra e cemento il suo alveo, si è deciso di crearci un grazioso ed utile polmone verde. I sorprendenti Jardines del Turia sono una lunga striscia verde, costellata di panchine, fontane e piste ciclabili, che si allunga per diversi km. Mentre attraverso il ponte, sotto di me, dove una volta scorrevano impetuose le acque del fiume, ci sono un paio di runners e di ciclisti che si tengono in forma. Raggiunta l’altra riva del Turia, giro a destra percorrendo il largo viale San Pio V, costellato di palme ed altre belle piante mediterranee, ed ecco il finalmente il Museo di Belle Arti San Pio V. Fondato nel 1837, il nucleo delle sue collezioni risale però al secolo precedente ed è legato alle donazioni di maestri e allievi dell’Accademia di San Carlo, poi arricchito dalle spoliazioni napoleoniche degli ordini religiosi. Appena arrivo a destinazione mi colpisce la bellezza dell’edificio, che ha tutto il fascino dell’antico; quello che ho davanti infatti è un imponente seminario in stile barocco, costruito nel 1683 e intitolato a San Pio V, situato su quella che era la riva sinistra del fiume Turia. Spicca la cupola della chiesa, eretta sul lato ovest, il cui impianto settecentesco è stato ricostruito nel 1925: il profondo blu delle sue piastrelle brilla di riflessi argentei sotto ai raggi del sole.Vicino al museo si trovano inoltre gli eleganti Jardines del Real.

Il museo conserva circa 3000 manufatti legati alla storia di Spagna, che, data la provenienza in gran parte religiosa, si concentrano soprattutto su tematiche sacre; le opere vanno dal periodo medievale agli esordi del XX secolo. Inizio la mia passeggiata nelle vaste sale del seminario, avvolta da atmosfere alte e misteriose, tra l’oro gotico delle madonne e apparizioni di santi, in vortici di bagliori e cieli tempestosi. Già dal chiostro, un bellissimo spazio verde orlato di sculture, rimango affascinata dal sentore solenne del luogo, addolcito dall’esotismo delle palme.

All’interno noto che molte opere della collezione, seppur interessanti, sono di pittori secondari e la distanza dai musei di Madrid o Barcellona è tanta. Se guardiamo al lato positivo, il San Pio V è un occasione per fare un excursus nell’arte spagnola meno conosciuta all’estero.

Tuttavia, all’interno ci sono alcuni capolavori che valgono da soli la visita. Tra questi si trova l’unico autoritratto universalmente attribuito con certezza a Diego Velazquez (1650), se eccettuiamo quello di Las Meninas di Madrid. Poi c’è un maestoso San Sebastiano curato da Irene (1630-35) dipinto da José de Ribera e il visionario San Giovanni Battista (1599) di El Greco. Un’intera sala è dedicata a Joaquín Sorolla (1863-1923) il più famoso pittore valenziano, che dipingeva effetti particolari di luce, rifacendosi allo stile impressionista.

Tour della città

Fuori dal museo mi accoglie un tempaccio, e decido dunque di fare un giro sul bus panoramico (16,00 €), dato che c’è una fermata proprio vicino al San Pio V; mi sistemo al coperto, mentre i panorami cittadini si velano di grigio. Fuori dal centro niente più calli intricate, ma al loro posto, ampi viali percorsi dal traffico delle automobili e bordate di alti edifici; le tracce del passato sono sparse anche qui, infatti posso ammirare attraverso i finestrini del bus le Torres de Serranos, in Plaza de los Fueros, costruite nel XIV secolo come porta della città. Oltre a queste, che conducevano verso nord e Barcellona, sono rimaste anche le Torres de Quart, volte verso Madrid. Continuando il percorso posso gustarmi, comodamente seduta, il panorama sulle strutture futuristiche della Città della Arti e delle Scienze, che visiterò domani, ed il Palazzo dei congressi.

Dopo un break in hotel, mi godo una cenetta di tapas al Delicat in Calle Conde Almodovar.

La Città delle Arti e delle Scienze

Il mattino dopo vado all’ufficio turistico in Plaza de la Reina, dove mi raccomandano caldamente la visita all’Oceanogràfic nella Città delle Arti e delle Scienze. Così prendo l’autobus n. 35 da Plaza del Ayuntamento e in pochi minuto giungo a destinazione. In alternativa c’è il bus 95 che parte da Torres de Serranos o da Plaza de America.

Se si chiedesse all’uomo medio degli ultimi 30-40 anni come s’immagina le città del futuro, probabilmente la sua risposta descriverebbe un ambiente simile alla Ciutad di Valencia. I profili della grandiose architetture che più bianche non si può, con sontuosi tocchi d’azzurro e blu oltremare, si stagliano contro il cielo e paiono quasi delle immense astronavi appena atterrate; i riflessi delle acque delle fontane, poi, simili ad infinite piscine, enfatizzano la luce e lo spazio. Il complesso abbagliante ed avveniristico della Ciudad de las Artes y las Cyencias oggi può dare il suo meglio, grazie al sole che finalmente si riverbera sulla città, e riesce proprio a colpirmi: è una visione grandiosa, sia per i candidi materiali high-tech, che per le forme maestose e monumentali, esaltate dallo vibrante sfolgorio di luce e acqua.

La Ciudad è stata realizzata nella zona del porto su quello che una volta era il letto del fiume Turia; il progetto complessivo è merito del famoso architetto valenziano Santiago Calatrava, che iniziò i lavori nella seconda metà degli anni 90’. Su di una zona di circa 350.000 mq sono dislocati una serie di edifici futuristici dedicati alla scienza e alla cultura: il Palau de les Arts Reina Sofia (centro espositivo), il Museo de las Ciencias Principe Felipe (Museo della Scienza), l’Umbracule (serra con giardini), l’Oceanogràfic (parco oceanografico), l’Hemisferic (cinema IMAX e planetario) e l’Agorà (spazio polifunzionale).Ognuna di queste attrazioni può essere visitata singolarmente, in alternativa c’è il biglietto cumulativo che costa 36,90; è consigliabile il ticket online per evitare file.

L’Oceanogràfic (ingresso adulto 28,50 euro), l’acquario più grande d’Europa realizzato dall’architetto Felix Candela, è il pezzo forte della Ciutad, ed ospita ricostruzioni dei principali ecosistemi marini e lagunari del pianeta, con il pregevole intento, mi hanno assicurato all’ufficio turistico, di far conoscere il mondo del mare e la sua fauna. Oltre a ciò, il parco si occupa anche dell’accoglienza e della riabilitazione delle specie minacciate, come tartarughe e delfini, distinguendosi quindi da altri parchi grazie a questa nobile impresa.

Entro nella struttura mossa e luminosa del Oceanogràfic ed inizio a percorrere il tunnel di vetro lungo 70 mt, circondata dall’acqua di un ambiente sottomarino. E’ un’esperienza emozionante, nonostante le orde rumorose ed accaldate di famiglie con bambini. Passeggio in mezzo a sciami argentei di pesci che volano sopra mia la testa nel blu profondo; per certi versi questo mondo evocativo e misterioso mette un po’ di brividi, forse perché mi ricorda le scene del film Lo squalo 3, un cui un tunnel subacqueo simile a questo viene attaccato da un enorme pescecane inferocito. Ma forse, pensandoci bene, ad avere timore sono i pesci: rinchiusi qui, certo sono al sicuro dalla pesca indiscriminata, ma di quali vastità marine vengono privati in questo habitat artificiale? Gli animali che si possono ammirare dal vivo sono moltissimi, come beluga dagli occhi dolci, foche o squali; ci sono anche i pesci tropicali che saettano veloci nell’azzurro, fiammanti di colori, più vivaci di un dipinto di Kandinsky.

Scopro che del complesso fa parte anche un tradizionale delfinario, nonostante lo sbandierato impegno animalista del parco: una grossa incoerenza dell’Oceanogràfic. I poveri delfini ammaestrati roteano e saltano ai ritmi martellanti della musica, tenuta ad un volume assurdo, mentre le famiglie con figli al seguito, assistono all’istruttivo spettacolo, divorando hamburger e patatine. A completare il quadro trovo dei tizi che si aggirano con dei grossi volatili legati al braccio, anche questi al servizio del turismo irresponsabile e superficiale che ancora impera.. ne ho abbastanza ed esco dal parco, pentendomi amaramente del prezzo salato che ho pagato per entrarci.

Con una scelta d’impeto, decido di partire per Madrid, città che ho già visitato in passato e che mi è rimasta nel cuore, per le opere d’arte eccezionali conservate nei suoi musei e l’architettura sontuosa dei suoi palazzi. Infondo ci sono solo un paio d’ore di viaggio a separarmi dalle sue bellezze. Così rientro in Plaza del Ayuntamiento imbocco calle de Ribera verso la Estacion del Norte, con la sua splendida biglietteria modernista inaugurata nel 1917, ed acquisto un biglietto a/r per Madrid (120,00 euro, con l’acquisto a/r c’è uno sconto, altrimenti solo andata sono circa 80,00 euro): domani sarà il mio ultimo giorno a Valencia.

Museo de la Ciutad e Museo Fallero: storia e tradizione a Valencia

A due passi dalla cattedrale in Plaza de l’Arquebisbe c’è l’interessante Museo de la Ciutad (ingresso gratuito), ospitato all’interno del palazzo del Marchese de Campo o Berbedel. L’edificio residenziale è stato costruito nel XVII secolo ed è un tipico esempio dell’architettura tradizionale valenziana, infatti la facciata si compone di due torri ai lati, elemento ricorrente in molte strutture abitative e non. E’ nel 1840 che il palazzo è acquistato dal Marchese Jose Campo (1814-1889), facoltoso uomo d’affari e sindaco di Valencia, che lo ristrutturerà. All’interno rivela una grande eleganza, con la sfarzosa scala cinta di statue e coperta da un tappeto rosso. Le stanze accolgono oggetti inerenti alla storia cittadina; dai costumi tradizionali, ad antichi strumenti musicali o pesi e misure utilizzati dai mercanti di un tempo. Nel pomeriggio, dopo un panino veloce con tortillas, gironzolo per le vie del centro concedendomi una horchata alla pittoresca Horchateria Santa Catalina.

Più tardi faccio un salto al Museo Fallero (2,00 euro) che ospita le colorate sculture di cartapesta e polistirolo create per la celebrazione delle Fallas. In realtà questi che vedo sono i superstiti ninots, statuette poste alla base di ogni grande statua (falla), a cui si da fuoco durante la scatenata festa primaverile delle Fallas de San José. Questa tradizione mi fa pensare alla romagnola Segavecchia: anche nei nostri paesi una grande icona (raffigurante in questo caso un’arcigna vecchia) viene bruciata, secondo un’antica tradizione ricollegabile a celebrazioni del ciclo della vita e della morte.

Nelle mie intenzioni c’era un giro alle assolate spiagge di Malvarrosa, raggiungibili dal centro con il tram ad alta velocità, ma il cielo si rannuvola ed inizia di nuovo la pioggia, per cui, dopo una cena economica e golosa a base di gelato, me ne vado a letto presto: domani si parte per Madrid.

Regale, moderna, colta: vi presento Madrid

L’Ave parte dalla modernissima stazione centrale di Valencia alle 8.00 in punto; sono seduta sul confortevole treno ad alta velocità spagnolo, pulito e dotato di tutti i comfort, ed il viaggio verso ovest passa veloce, mentre ammiro dai finestrini le colline brulle e la vegetazione mediterranea della regione di Castiglia la Mancha. Alle 9.50 mi ritrovo alla stazione Atocha di Madrid. Un taxi mi lascia per una manciata di euro al Museo Reina Sofia. Qui, nelle atmosfere misteriose di un ex ospedale del XVIII secolo, sono raccolte opera d’arte spagnola ed internazionale, che partono dalla fine dell’Ottocento per arrivare al XX secolo. Il capolavoro che attira frotte di ammiratori è la vasta e celebre tela di Picasso, Guernica, dipinta in occasione del bombardamento della cittadina basca nel 1937. Sorvegliata a vista da guardie inferocite, guai a voi se vi volete avvicinare un po’ di più: per quanto mi riguarda, ci è mancato poco che mi sparassero, cosa che mi era successa anche anni fa al museo del Prado, sarà una tradizione spagnola. Da non perdere anche le ambigue opere surrealiste e le sculture di Alexander Calder. Questo è solo uno della triade di famosi musei della capitale, oltre ai noti del Prado e ThyssenBornemisza, che trattano dell’arte dei secoli precedenti. Saziata la mia sete di cultura, salgo sulla metro linea 1 e cambio a Sol, linea 2; una sola fermata e mi fermo ad Opera, dove si trova la Plaza Major. Per me rimane una delle più belle piazze del mondo, raffinata e allo stesso tempo accesa di vivacità. Nata come modesto luogo mercato nel XV secolo, allora chiamata Plaza de Arrabal, dopo l’elevazione di Madrid a capitale da parte di Filippo II nel 1562, inizia uno sfarzoso restyling ad opera di Juan de Herrera, poi proseguito il secolo successivo con Juan Gomez de Mora . Fiabesca è l’immagine della Casa de la Panaderia, ultimata nel 1590. Il colpo d’occhio sulla piazza è magnifico, nell’elettrizzante via vai di turisti e madrileni doc. Si sente un energia nuova qui, ed io mi godo queste atmosfere sospese tra tradizione e modernità, seduta in uno dei costosi caffè della piazza, sotto il sole. Fortunatamente, essendo vegetariana, mi sfamo con il fresco ed economico gazpacho, mentre chi ama la carne si deve preparare a conti salati.

La sera faccio ritorno molto tardi, giusto in tempo per fare la valigia e mettermi a letto: il mattino dopo sono sull’aereo della Ryan diretto in Italia.

A conclusione, che dire, se non che la Spagna riserva panorami meravigliosi e variegati, oltre ad alcuni dei tesori culturali più notevoli d’Europa, mantenendo però prezzi ancora ragionevoli; Madrid poi, rimane in vetta alla mia classifica, con i musei del suo triangolo d’oro e la vivacità delle sue strade.

Seguite le altre mie avventure sul blog www.carnetdevoyage.it memorie di una viaggiatrice solitaria!

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Casa della Panaderia, Madrid

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Agorà, Città delle Arti e delle Scienze, Valencia

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Palazzo delle Arti Regina Sofia, Valencia

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Città delle Arti e delle Scienze, Valencia



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