fuerteventura y lanzarote

Un saluto a tutti i turisti per caso ed un ringraziamento particolare alla sorte, a mio avviso, mai guidata dal caso, che mi ha condotto su queste due splendide isole dell’Atlantico nelle quali ho potuto sperimentare nuove ed entusiasmanti avventure. Ennesimo viaggio solitario intriso di difficoltà e colpi di scena, tutto all’insegna del...
Scritto da: Max_74
fuerteventura y lanzarote
Partenza il: 04/09/2009
Ritorno il: 11/09/2009
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
Un saluto a tutti i turisti per caso ed un ringraziamento particolare alla sorte, a mio avviso, mai guidata dal caso, che mi ha condotto su queste due splendide isole dell’Atlantico nelle quali ho potuto sperimentare nuove ed entusiasmanti avventure. Ennesimo viaggio solitario intriso di difficoltà e colpi di scena, tutto all’insegna del mare, del vento e della natura…Ma vediamo com’è andata.

venerdì 4 settembre (Puerto del Rosario – Puerto del Rosario) Arrivo all’aeroporto di Fuerteventura poco dopo le 12, recupero bagagli e noleggio auto presso l’efficientissimo sportello CICAR: mi attende una poco pratica Opel Astra metallizzata che mi accompagnerà su tutte le strade (o presunte tali) del mio viaggio. Il tempo di familiarizzare e sono già in marcia, direzione sud. Supero velocemente i primi insediamenti turistici: solo una breve sosta a Castillo dove una rapida visita alla spiaggia di Caleta de Fuste mi convince che il posto non fa per me. Riparto e dopo pochi chilometri il paesaggio si fa incontaminato. Lascio la superstrada in corrispondenza delle saline del Carmen (Las Salinas) e dopo un paio di casette bianche imbocco uno sterrato che mi conduce nel nulla più assoluto: chilometri di curve in uno scenario vulcanico, polveroso e lunare (il cosiddetto “malpais”) ed ogni tanto qualche scorcio di mare che si abbatte violento su spiagge ciottolose. Arrivo in mezz’ora alla rada di Pozo Negro battutissima dal vento. Raggiungo il piccolo borgo marinaro e mi getto sulla vicina spiaggia di ciottoli e sabbia nera dove faccio conoscenza con il freddo e movimentato mare dell’isola. Riparto dopo un po’ raggiungendo nuovamente la superstrada (stavolta utilizzando l’asfalto). Dopo aver sperimentato un paio di sterrate, mi rendo conto che non è il caso di distruggere l’auto all’inizio del mio viaggio, così mi dirigo verso Gran Tarajal (che non visito) e, superando il grazioso borgo di Las Playitas, raggiungo il caratteristico faro della Entellada: qui vento fortissimo ed un panorama surreale, arido e roccioso. Di nuovo in viaggio, pochi chilometri e raggiungo la tranquilla e graziosa baia di Giniginimar dove mi concedo un bel bagno sulla quasi deserta spiaggia di ciottoli neri, sostando fin quando il sole mi riscalda. Riparto che è ora di trovare un posto per la notte, ignaro dell’ardua impresa che mi attende: dopo aver vagato lungo la costa decido di ritornare sui miei passi e solo a Puerto del Rosario (circa 80 chilometri a ritroso) trovo una sistemazione conveniente, nell’unico hotel cittadino (omonimo) sul bel lungomare. Affamato esco alla ricerca di un posto dove cenare, fermandomi (dopo lungo vagare) alla “Terraza del Muelle”: qui faccio conoscenza con il “mojo” (salsa speziata tipica), con i formaggi tipici (ottimo quello di capra) e con le “patas arrugadas” (piccole patate cotte con la buccia). Piuttosto stanco vado a nanna un po’ contrariato per il mio dispendioso girovagare.

sabato 5 settembre (Puerto del Rosario – Morro Jable) Primo risveglio canarino, con molta calma faccio una ricca colazione ed a sole già alto mi metto nuovamente in viaggio, in direzione sud. In tre quarti d’ora raggiungo Tarajalejo (già esplorata la sera precedente) dove mi concedo un rigenerante bagno mattutino sulla bella e lunga spiaggia di sabbia scura e ciottoli, praticamente deserta. Riparto appena asciutto, supero La Lajita ed il suo puzzolente giardino zoologico ed in pochi minuti raggiungo Costa Calma, l’enorme agglomerato di resort e residence che presidia lo splendido promontorio del Jable: l’istmo montuoso che collega Fuerteventura alla penisola di Jandìa, interamente ricoperto di sabbia bianca. Mi districo tra i sontuosi “ecomostri” e raggiungo l’enorme ed incontaminata spiaggia di Sotavento (all’altezza di Playa Barca). Cammino per quasi un’ora contro un vento fortissimo concendendomi un bel bagno nelle acque di un mare turchese. Riparto, con la sabbia ormai da per tutto, che l’alta marea ha ridotto la spiaggia ad una sottile duna e raggiungo la terra ferma guadando la laguna, che prima non c’era, in uno scenario davvero suggestivo. Riprendo la superstrada e, dopo una breve sosta alle splendide spiagge del Risco del Paso (laddove la duna di Sotavento si ricongiunge alla terra ferma) e del Mal Nombre, raggiungo Butihondo dove visito le spiagge dell’Esquinzo e di Piedras Caidas: qui mi fermo per l’ultimo bagno della giornata sdraiato su uno dei caratteristici pendii di sabbia dorata tipici di questo tratto di costa. Riparto alla volta di Morro Jable che è tardo pomeriggio, intenzionato a trovar lì un alloggio per la notte. Costeggio la grande e bella spiaggia del Matorral lasciandomi alla destra l’ennesima fila di resort e case vacanze e raggiungo Morro in pochi minuti: il paese mi piace e mi entrerà nel cuore. Dopo aver esplorato per un po’ le sue stradine trovo una gradevole ed economica sistemazione presso l’“Altavista Apartaments” del signor Rodriguez dove deposito i miei bagagli. Ho ancora qualche ora di luce così penso di raggiungere il faro di Jandìa, l’estremità ovest dell’isola di Fuerteventura: superato il porto di Morro Jable imbocco lo sterrato di circa 12 chilometri che mi porterà a destinazione. Quasi un’ora di curve, pietre e polvere in uno scenario selvaggio e lunare, completamente disabitato, tra il mare e le montagne più alte dell’isola. Raggiungo il faro ed il caratteristico borgo marinaro di El Puertito (unica traccia di civiltà nel nulla più assoluto) che è quasi il tramonto. Appena il tempo per una breve deviazione verso punta Pesebre (attraverso uno stradello inspiegabilmente asfaltato) da dove si apre una splendida veduta sulle coste settentrionali della penisola di Jandìa, a strapiombo sul mare. Di ritorno, una breve sosta alla spiaggia de Ojos, incantevolmente illuminata dal tramonto, e poi a Morro che è già buio. Rapida doccia e giù verso l’allegro e frequentatissimo lungomare dove ceno da “Saavedra”: pesce spada, “tortilla de patas” (frittata di patate) e l’immancabile insalatona mista con formaggi locali; un buon bicchiere di vino e per concludere un imbarazzante budino al “gofio” (tipica farina di mais tostato) che smaltisco solo dopo una lunga e piacevole passeggiata.

domenica 6 settembre (Morro Jable – Morro Jable) Sveglia presto, breve sosta al minimarket del signor Rodriguez e poi in marcia, alla conquista della costa occidentale dell’isola. Riprendo la sterrata per il faro di Jandia e, dopo una breve sosta a cala Juan Gomez (rocciosa e poco appetibile come tutte le calette di questo lato della penisola), prendo la deviazione per Coféte. La strada si inerpica polverosamente tra le montagne brulle: in cima, accolto da un vento impressionante, si presenta una veduta mozzafiato su tutta la costa. Breve sosta contemplativa e poi di nuovo in marcia. Prima di raggiungere Coféte, mi concedo una deviazione per Roque del Moro, una bellissima spiaggia incastonata tra le rocce, battuta da un mare violentissimo: la sterrata per raggiungerla è molto impegnativa ma ne vale davvero la pena. Mi rimetto in marcia e dopo pochi minuti raggiungo il borgo di Coféte: poche semplici case sparse in uno scenario da far west. Ne approfitto per far colazione nell’unico punto di ristoro presente, ovviamente, a conduzione familiare. Da lì, meno di un chilometro di sterrato e sono sull’omonima spiaggia: una lunghissima e larghissima battigia di sabbia dorata costantemente battuta dalle onde e dal vento. La percorro, solitario, per un bel po’, deciso a raggiungere lo scoglio dell’Islote e la spiaggia di Barlovento, che vedo in lontananza, ma le distanze mi sembrano incolmabili, così mi fermo e mi godo un bagno temerario sperimentando la violenza dei frangenti. Riparto dopo un paio d’ore intenzionato a raggiungere l’altra estremità della spiaggia, in maniera alternativa. Ripercorro la sterrata a ritroso ed a Morro Jable riprendo la superstrada in direzione Costa Calma. A Pecenescal prendo la sterrata che, secondo la mappa, dovrebbe condurmi a Barlovento ma riesco solo ad arenarmi in un apparentemente innocuo banco di sabbia: attimo di panico, raggiungo la superstrada a piedi e riesco a chiedere soccorso. Dopo tre quarti d’ora di attesa la “grua” (il carro attrezzi spagnolo), guidata da un alquanto contrariato energumeno, mi tira fuori dai casini. Ripresomi dallo scampato pericolo, mi rimetto in viaggio come da programma. Raggiungo La Pared poco dopo, sulla costa occidentale dell’isola, ma non me la sento di inoltrarmi sulle sterrate del Jable, praticamente immerse nella sabbia. Visito rapidamente la modesta spiaggia del paese, ma intanto si è fatto nuvolo ed il posto non mi invita a trattenermi oltre. Riprendo la superstrada in direzione Pàjara dopo una breve deviazione, ancora una volta su sterrato, per playa Ugàn e playas Negras: le calette, di sabbia e ciottoli neri, sono intime e poco frequentate ma non suscitano il mio entusiasmo. Mezz’ora di curve nella zona più montuosa dell’isola, rigorosamente disabitata, e raggiungo Pàjara: il capoluogo è ordinato e ben tenuto ma non offre elementi di particolare interesse. Riparto in direzione di Ajuy che raggiungo, dopo una breve sosta per il controllo alcolico (frequente sull’isola), in pochi minuti. Trovo il posto molto gradevole con la sua bella spiaggia scura e la piccola baia protetta dal vento. Mi trattengo un po’ e, dopo un timido tentativo di pernottamento nel grazioso borgo marinaro, stanco e scarico per l’avventurosa giornata, decido di ritornare a Morro Jable. Qui rintraccio telefonicamente il signor Rodriguez e mi sistemo nuovamente all’”Altavista”. Ancora cena da “Saavedra”, dove sperimento, accanto alla consueta insalata mista, una insolita ma saporita scaloppina alla frutta. Saluto tutti e vado a nanna a ricaricare l’umore e l’energia.

lunedì 7 settembre (Morro Jable – El Cotillo) Saluto il signor Rodriguez di buon mattino, immancabile sosta al minimarket ed addio a Morro Jable in direzione Pàjara. Sulla strada per Costa Calma improvviso una deviazione per El Salmo e da qui raggiungo la spiaggia di Los Canarios. C’è tempo per una sosta, tolgo le scarpe e mi incammino sulla lunga distesa di sabbia dorata. Raggiungo la duna di Risco del Paso e ne approfitto per un bel bagno mattutino rilassandomi al tepore del sole. Riparto che il sole è ormai alto e, poco prima di Pàjara (sulla strada già percorsa la sera prima), prendo la sterrata per Garcey intenzionato a vedere il celeberrimo relitto dell’American Star. Dopo un quarto d’ora di curve polverose raggiungo la bella spiaggia bruna della Solapa, grande e battuta da un mare, tanto per cambiare, violento. Imbocco una delle sterrate che portano sulla falesia ma del relitto neanche l’ombra: vedo qualcosa in lontananza che potrebbe somigliargli ma non mi addentro (con l’aiuto di google earth, al rientro, scoprirò che avrei dovuto!). Riparto ed a Pàjara prendo la strada per Betancuria: dopo qualche vertiginoso e panoramico tornante tra i monti raggiungo il capoluogo che risulterà il più grazioso ed interessante dell’isola. Di nuovo in viaggio alla volta di Antigua, deludente, e poi ancora verso la costa per Valle de Santa Inés fino ad Aguas Verdes (che però non visito). Prima di raggiungere Tefìa faccio una deviazione fino alla caletta de Los Molinos, graziosa con la piccola spiaggia ed il borgo marinaro. Riparto dopo poco: la giornata si è fatta coperta e non mi va di fare il bagno. A Tefìa, con i suoi caratteristici mulini per la produzione del gofio, provo a raggiungere (vanamente) la spiaggia della Mujer, ma le sterrate sono impervie e, quindi, rinuncio. Mi riporto sulla superstrada ed a Tindaya, modesto borgo sotto la caratteristica omonima montagna, provo nuovamente a raggiungere il mare: la strada è un rettilineo in asfalto dissestato che termina su una scogliera di lava battuta dal vento, suggestiva ma estremamente impervia. Riparto per La Oliva che raggiungo in una decina di minuti. Il paese è davvero modesto: un rapido sguardo alla casa de Los Coroneles (caratteristica ma non entusiasmante) e nuovamente in viaggio. Raggiungo El Cotillo poco dopo e subito imbocco la terribile sterrata che conduce alle spiagge: rinuncio a percorrerla appena in tempo per una rapida veduta sulla meravigliosa spiaggia dell’Aljibe del la Cueva (che però non visito) e decido di fermarmi su quella del Castillo. La spiaggia è grande, di sabbia gialla, e riesco a godermi qualche spiraglio di sole facendo il bagno nelle sue agitatissime (nonché pericolose) acque. Riparto ed imbocco la strada che da El Cotillo raggiunge il faro del Tostòn tra cale e calette di rocce e sabbia bianca. Sulla via del ritorno ne approfitto per trovare alloggio in uno dei tanti piccoli residence che circondano il paese (“Los Lagos”) e mi godo l’ultimo bagno della giornata nella caletta del Rio, poco oltre il faro.

Una bella doccia e via per le strade di El Cotillo per la cena. Il borgo è piuttosto grande, anche se un po’ deserto, caratteristiche le viuzze ed il porticciolo, ricavato a ridosso di una scogliera naturale: mi fermo da “Roque de los Pescadores” dove mangio un ottimo filetto di tonno, solita insalatona e crocchette di pesce. La serata e fresca, il posto tranquillo, così mi godo il buio panorama sulla costa punteggiato solo dai fari di qualche audace fuoristrada di ritorno dal mare e poi nanna.

martedì 8 settembre (El Cotillo – Arrecife) Sveglia di buon ora, colazione nell’unico bar aperto di El Cotillo, e partenza in direzione La Oliva. Da qui, deviando per Caldereta, raggiungo nuovamente la costa orientale dell’isola. Dopo qualche sosta in poco entusiasmanti calette rocciose raggiungo le pendici della montagna Roja (davvero caratteristica quando illuminata dal sole), superata la quale accedo alla meravigliosa distesa di sabbia bianco-rosa del Corralejol: centinaia di metri quadrati di dune desertiche che dalle colline raggiungono il mare. Mi fermo alla spiaggia dell’Alzada, in prossimità della superstrada, dove rimango per un po’ a raccoglier le conchiglie che danno il tipico colore alla sabbia. Riparto e mi lancio all’avventura dove la strada scompare tra le dune. Più di mezz’ora di saliscendi nella sabbia finissima prima di raggiungere il mare tra le spiagge di Los Matos e del Bajo Negro. La giornata è un po’ incerta ed il vento, forte: non faccio il bagno ma mi diverto a girovagare tra le simpatiche costruzioni circolari di pietra per proteggersi dalla sabbia, in una delle quali mi fermo per un po’ a riposare. Riparto per Corralejo ma intanto il sole fa capolino così ne approfitto per una visita alla spiaggia del Médano, bianca ed un po’ affollata: qui resto a passeggiare per un po’ godendomi un bel bagno. Una rapida sosta a Corralejo per rifocillarmi e poi di filato ad El Cotillo da dove intendo percorrere la strada costiera che dal faro raggiunge nuovamente Corralejo. Imbocco la sterrata avendo cura di evitare pericolosi banchi di sabbia ed in un’oretta raggiungo la meta: le calette che incontro sul percorso sono belle ma non all’altezza delle aspettative, quindi, scelgo di non fermarmi. Arrivo a Corralejo che il sole è ancora alto e decido che c’è ancora tempo per un ultimo bagno: scelgo la spiaggia di punta Prieta dove mi stendo per un’oretta nel mio “nuraghe” con vista sull’Isla de Lobos. Riparto che è tardo pomeriggio ed è giunto il momento di lasciare Fuerteventura: un breve giro in centro (che avrei voluto visitare meglio, magari di notte) e per le 20 sono, con tanto di auto, sulla nave veloce “Armas”, destinazione Lanzarote. In un’oretta sbarco a Playa Blanca che è, ormai, buio pesto. Provo a cercare una sistemazione per la notte in zona, ma mi perdo nel mare di residence e resort di cui è pieno questo lato dell’isola. Per evitare brutte sorprese decido di raggiungere il capoluogo: in tre quarti d’ora di superstrada veloce raggiungo Arrecife dove trovo, abbastanza agevolmente, un alloggio conveniente all’hotel “Lancelot”. Ormai è tardi e, su consiglio del simpatico portiere, ceno al vicino ristorante italiano ”Macaroni”: ritrovare la buona cucina nazionale è quel che ci vuole, così mi ristoro con una bella lasagna ai quattro formaggi, un’insalatona e l’immancabile birra “Dorada”. Quattro passi sul bel lungomare e poi a letto.

mercoledì 9 settembre (Arrecife – Arrecife) Primo risveglio sulla nuova isola in tutta tranquillità, ricca colazione e poi partenza per l’ennesima avventura. Rapido passaggio per Arrecife (della quale la darsena e i “castelli” di San Gabriel e San José forse meriterebbero maggiore attenzione) e poi in direzione Teguise, passando per San Bartolomé. Il paesaggio è diverso da quello di Fuerteventura, meno selvaggio e più antropizzato. I paesi più curati e le case rigorosamente bianche. A Teguise raggiungo il grazioso castello di Santa Barbara dal quale si gode un bel panorama sul cuore dell’isola. Proseguo per Teseguite verso la costa orientale tra interminabili distese di fichi d’india: a Guatiza c’è persino un giardino di soli cactus che però non visito. Raggiungo in pochi chilometri il paesino di Arrieta la cui spiaggia di sabbia bruna è davvero invitante: medito di fermarmi per un breve bagno, ma la giornata è nuvolosa così scelgo di andare oltre. In pochi minuti sono al pubblicizzatissimo “Jameos del Agua”, lo spazio attrezzato, con tanto di bar, piscina, auditorium e museo, creato da Cesar Manrique (una sorta di eroe nazionale per l’isola) in una grotta di origine vulcanica: il posto è affollato di turisti e, sebbene non mi entusiasmi, mi colpisce per la sua originalità. Non dedico alla visita più di mezz’ora e rapidamente mi rimetto in marcia. Poco prima di Orzola mi concedo il mio primo bagno in una delle rare calette di sabbia bianca che la costa offre e poi, imboccando lo sterrato prima dell’ingresso nel paese, raggiungo la splendida spiaggia bruna della Canteria con i caratteristici faraglioni sullo sfondo: non oso fare il bagno ma resto a contemplare la violenza del mare che si infrange sulla battigia. Riparto e raggiungo in pochi minuti il soprastante “Mirador del Rio”, punto panoramico progettato dal solito Manrique: la vista che si gode dalle due terrazze scavate nella montagna a picco sul mare, è letteralmente mozzafiato. Il tempo di esplorare tutte le possibili vedute e sono di nuovo in marcia lungo la stretta strada (anch’essa panoramica) che dal belvedere porta a Ye, in cerca del sentiero che mi conduca alla spiaggia del Risco, che ho visto dall’alto: lo trovo facilmente ed in circa un’ora colmo il dislivello di oltre 300 metri che mi separa dal mare. La spiaggia è meravigliosa ed il mare calmissimo, praticamente deserta, sicchè ci rimango a lungo prima di partire per la terribile risalita: impiego quasi due ore per raggiungere l’auto, fermandomi spesso a rifiatare e consolandomi con il panorama sull’isola della Graciosa e sulle saline del Rio. Mi rifocillo poco dopo nel vicino paese di Harìa, davvero gradevole e riposante con le sue case bianche circondate da palme. Sono stanco ma c’è ancora tempo per visitare la non lontana spiaggia di Famara che raggiungo in mezz’ora passando nuovamente per Teguise. Il posto è davvero affascinante, nonostante le nuvole abbiano ormai avvolto la scenografica rupe: prendo lo sterrato per la grande spiaggia di sabbia bruna e mi concedo l’ultimo bagno della giornata sfidando la violenza del mare. Riparto soddisfatto e raggiungo la vicina Caleta de Famara dove cerco, vanamente, una sistemazione per la notte: mi spingo fino a La Santa prima di realizzare che è meglio tornare al “Lancelot” di Arrecife. Ceno nuovamente da “Macaroni” all’italiana e crollo in un sonno biblico.

giovedì 10 settembre (Arrecife – Puerto del Carmen) Sveglia e solita abbondante colazione, saluto Arrecife in direzione Tinajo. Una breve sosta alla graziosa chiesetta dedicata alla Vergine dei dolori (protettrice dell’isola) e raggiungo rapidamente l’accesso al parco naturale del vulcano Timanfaya. Pago il pedaggio e dopo qualche tornante raggiungo il piazzale di raccolta dei turisti: riempiamo un paio di torpedoni e cominciamo la visita guidata, rigorosamente seduti e senza alcuna possibilità di sosta. Trovo il circuito molto interessante (ma non esaltante), tra crateri, lapilli, colate di lava multistrato e paesaggi lunari, tutti recentissimi: dopo un’oretta sono già nella mia auto in cerca di nuove emozioni. Dal Timanfaya a Yaiza è tutto un letto di sabbia vulcanica occupato dalle caratteristiche vigne della Geria: i muretti in pietra, circolari e rettangolari, costruiti a protezione delle viti disegnano un paesaggio davvero suggestivo. Dopo una breve sosta in una delle caratteristiche botteghe enogastronomiche del posto, raggiungo la costa occidentale dell’isola. Breve sosta alle saline di Janubio, davvero imponenti, e rapido sguardo all’adiacente spiaggione di sabbia nera che, però, non mi attrae. Riparto e dopo pochi minuti raggiungo la scogliera lavica di “Los Hervideros”, trasformata da Manrique in un simpatico percorso per visitatori: lo trovo divertente ma un po’ troppo affollato. Qualche minuto di contemplazione alla scenografica montagna Bermeja (di un bel rosso variegato) e mi rimetto in viaggio alla volta del Charco de los Clicos, il famoso stagno verde variamente ritratto in tutte le anteprima dell’isola. Trovo il posto molto interessante, nonostante la gran quantità di visitatori: i resti del cratere in riva al mare e l’enorme distesa di sabbia nera rendono il paesaggio quasi surreale. Quanto allo stagno, è più piccolo di quanto immaginassi ma di un colore davvero particolare. Una breve puntatina al vicino borgo di El Golfo e poi riparto per la costa orientale, destinazione Playa Quemada. Raggiungo il piccolo borgo marinaro, lontano dai circuiti turistici, in una ventina di minuti e, dopo un breve e poco impegnativo sentiero, mi ritrovo su una bellissima e tranquillissima spiaggia di sassi e sabbia scura: qui trascorro un paio d’ore nella quiete e relax più assoluti. Riparto che il sole è ormai un ricordo e mi dirigo verso Puerto del Carmen dove approfitto del largo anticipo per cercare una sistemazione per la notte: la trovo rapidamente nell’omonimo “apartahotel” che incontro all’ingresso del paese. Una rapida doccia e mi lancio nell’esplorazione del posto. Puerto del Carmen è un autentico centro di villeggiatura, con tanto di residence, case vacanze ed ogni possibile divertimento. Il suo lungomare è interminabile, affollato di turisti, ristoranti, centri commerciali, negozi di souvenir, discoteche e night club. Lo percorro per parecchi chilometri godendomi un ambiente insolito e colorato che mi mette decisamente allegria. Finisco a mangiare ancora una volta nell’immancabile ristorante italiano (“la casa del parmesano”!) terrorizzato dall’omologata offerta turistica del lungomare. Stanco, ma soddisfatto chiudo anche questa giornata con una solenne dormita.

venerdì 11 settembre (Puerto del Carmen – Puerto del Rosario) Ultimo giorno di viaggio, sveglia in tutta calma e partenza alla volta del sud dell’isola. Raggiungo Tiàs e poi Femès, panoramica sulla costa meridionale e caratteristica per le sue bianche chiesette. Breve sosta colazione e poi in marcia verso Playa Blanca. Prima di raggiungere gli insediamenti turistici prendo lo sterrato per la riserva naturale del Papagayo. Pochi chilometri e poi il pedaggio che dà libera possibilità di movimento all’interno dell’area. Scelgo di raggiungere la spiaggia del Congrio (la grande cala oltre il campeggio) dove resto un bel po’ a godermi il sole che si fa sempre più caldo: la sabbia è dorata ed il mare calmo, mi diverto a passeggiare dalla spiaggia verso la scogliera. Riparto in tarda mattinata per la vicina spiaggia del Papagayo: meraviglioso lo scenario che si offre dall’alto del parcheggio. Scelgo una delle cale meno frequentate (verso la spiaggia del Pozo) e ci rimango a lungo a rilassarmi prima della partenza. Una breve puntatina alla spiaggia grande del Pozo ed è già tempo di lasciare Lanzarote. Arrivo a Playa Blanca poco dopo e mi imbarco (sempre con l’”Armas”) per Corralejo, alle 17. Raggiungo Fuerteventura in un’oretta ed altrettanto impiego per Puerto del Rosario. Giusto il tempo di una bella lavata all’auto (impolverata oltre l’immaginabile) e di un gustoso panino da Mc Donald’s che s’è fatta ora di raggiungere l’aeroporto, perfettamente in orario per il viaggio di ritorno.

Termina qui il racconto del mio breve ma intenso viaggio in un posto che mi ha letteralmente riconciliato con la natura e con me stesso. Avventurosa ed a tratti surreale Fuerteventura (soprattutto il sud e la penisola di Jandìa), più turistica e curata Lanzarote (anche grazie all’opera di Manrique, le cui creazioni si visitano quasi tutte a pagamento): la prima da girare con una buona mappa stradale ed un robusto fuoristrada, la seconda comodamente in utilitaria. Trovare una sistemazione per la notte può diventare un problema fuori stagione, soprattutto lontano dalla costa e dai centri principali: resort e residence intercettano quasi tutto il flusso turistico con prezzi esorbitanti. Unica alternativa i pochissimi hotel (concentrati nei capoluoghi) ed alcuni appartamenti (spesso da contattare mediante telefono). La cucina non è eccezionale e dopo aver saggiato i sapori tipici meglio evitare menù turistici e continentali: buono il pesce, i vini e la frutta. Assai conveniente comprare bibite e stuzzicherei varie negli innumerevoli mini market. Economici i rifornimenti di carburante e l’autonoleggio (comodamente senza carta di credito). Brevi le distanze da percorrere ed ottima la viabilità principale. Il mare è il vero spettacolo: sempre freddo, spesso violento a Fuerteventura, più accessibile a Lanzarote. Le spiagge meravigliose: gran varietà e minor frequentazione a Fuerte, più affollamento altrove. Quasi sempre possibile fare naturismo, invogliati dagli ampi spazi e dal paesaggio incontaminato. Il vento, onnipresente, rende sopportabile il sole cocente dal quale, tuttavia, conviene sempre proteggersi con creme appropriate…Anche a costo di finire impanati nella sabbia.

Quanto ai canarini (rari quelli doc) sono persone davvero semplici, sempre disponibili, ironiche e di buon umore: isolani stranamente aperti a tutto.

Ringraziandovi per lo spazio concessomi auguro a tutti voi una felice prosecuzione d’anno!

MAX



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