Un’immersione a Siracusa e dintorni

Diario minimo di uno smarrimento a Siracusa
un'immersione a siracusa e dintorni
Partenza il: 20/06/2021
Ritorno il: 24/06/2021
Viaggiatori: 1
Spesa: Fino a €250 €

Non cercate a Siracusa la bellezza ordinata e perfetta, perché non la trovereste. È un mistero fatto di contrasti e di storia stratificata e profonda. Non basta vederla, ha un’anima ritrosa, lascia indizi ovunque ma è poco incline a mostrarsi.

Indice dei contenuti

Ho avuto la piccola fortuna di iniziare il viaggio una domenica particolare, mentre la nazionale italiana giocava una partita degli europei, ed è stato un momento perfetto, così facile da incrinare come poi ho potuto verificare. La periferia sapeva di abbandono improvviso, precipitoso, palazzi corrosi dalle tende stracciate e sventolanti si alternavano a condomini compìti e senza vita. Vecchie botteghe con le insegne originali, sfumature di rosa improvvise, e la struttura svettante e sconvolgente del santuario della Madonna delle Lacrime, un cono implacabile di cemento armato visibile da ogni luogo.

Ortigia

Se arrivate in treno o in autobus percorrerete il corso Umberto che vi porta arioso al ponte verso Ortigia, l’isola delle quaglie e centro storico della città. Se arrivate in auto parcheggerete nei pressi, e non solo perché è zona a traffico limitato, ma perché necessario. Il Tempio di Apollo accoglie, inaspettato, con la noncuranza e l’impassibilità dei suoi 2600 anni. Ovvero l’eternità. Chissà cosa pensano, cosa sognano gli abitanti del casamento che vi si affaccia.

La rete dei vicoli dai nomi che sono mondi porta echi lontanissimi e attira come una ragnatela: è facile impigliarsi e restare avviluppati, tutto ti viene incontro, basta poco per orientarsi, o meglio, non ce n’è bisogno. Ortigia è fatta per perdersi, per decidere all’improvviso se destra o sinistra, il centro si trova sempre, è un labirinto anomalo.

Anche nei vicoli più stretti i palazzi hanno i balconi, come probabilmente in tante città del sud, occorre camminare guardando in alto e sorprendersi, sentire sulla pelle il refolo di aria fresca di mura spesse che spira dai portoni aperti. Balconi disabitati, forse per il caldo afoso che opprime, a volte abbelliti da piante, a volte riccamente decorati, più spesso disadorni. Un fantoccio pende birbante da uno di essi, sembra uno spaventapasseri ma se si osserva meglio è vestito come un damerino del 700, sorride sornione. Da un altro sbucano due sedie di plastica, ma nessuna persona. Se all’improvviso ogni abitante di Ortigia si affacciasse al proprio terrazzo la città brulicherebbe, allungando le voci verso il cielo, vibrando al vento come una foresta piena di uccelli.

Sul lungomare c’è un’aria post-bellica, risacca della pandemia. Ci sono cantieri un po’ ovunque, ponteggi e rumori di fondo, tracce recenti lasciate da generazioni disabituate alla bellezza, come in tante parti d’Italia. La luce e il mare stendono però un manto morbido, c’è un vento di scirocco che appanna e ripiega ogni cosa su se stessa.

Siracusa non si lascia contemplare: non ci sono molte panchine panoramiche, tante sono esposte al sole, quelle all’ombra sono vicino alla fonte Aretusa, sotto a degli alberi imponenti come creature fantastiche di tronchi intrecciati, ma inagibili perché ricoperte da escrementi di uccelli, altre sono lungo il foro Vittorio Emanuele, dove se ti siedi ti assalgono orde di mosche assassine. Ma è giusto così: anche gli accessi al mare sono poco ospitali, di scoglio, rocciosi quelli più belli, malinconici quelli più accessibili, mentre quelli attrezzati sembrano fuori luogo.

La bellezza è ovunque, ma è scontrosa, sfuggente, a parte i luoghi dove è istituzionalizzata come Piazza del Duomo o il Castello Maniace. Si apre all’improvviso nelle facciate delle chiese o dei palazzi nobiliari, in angoli perfetti come l’archivio notarile, o nel cortile del convento di San Francesco, colto di sorpresa e abitato solo da sculture che ne esaltano la geometria.

Il mercato giornaliero alterna le solite merci prodotte nel profondo est a colori e odori strabordanti. Spezie, capperi, mandorle, pomodori secchi di sole, cioccolato di Modica: c’è qualcosa di sensuale e terribile nell’opulenza delle ciliegie, delle pesche, dei fichi grassi e delle melanzane, nel sangue del pesce appena pescato sventrato sui banchi di marmo, tra le voci dei negozianti che irretiscono i turisti con la bontà oscena della loro mercanzia.

Il Parco Archeologico è un precipizio, le sfumature delle rocce scavate dal lavoro inumano di schiavi e prigionieri danno la misura del dolore che segna perenne la storia dell’umanità. Durante la visita la sensazione è quella di essere accompagnati da una folla di anime dolenti, erranti, che aspetta solo di palesarsi nella perfezione del teatro greco. L’orecchio di Dionisio non è un orecchio: è un grembo femminile, misterioso, dalle forme sinuose.

Dintorni di Siracusa

Nei dintorni di Siracusa ci sono alcuni siti irrinunciabili che troverete facilmente in ogni guida turistica. Lungo la statale 115 che porta verso sud vedrete lampeggiare bouganville sfarzose e campi di fieno arrotondato nei covoni di oro riarso, masserie diroccate accanto a supermercati o catene di bricolage, come in ogni periferia italiana ma più estranee. Spegnete il navigatore: seguite l’istinto sotto le indicazioni stradali, decidete da ultimo dove dirigervi, perdetevi, tornate indietro, girate a vuoto. Non accontentatevi della bellezza apparecchiata per voi nelle spiagge splendide.

Ad un tratto avrete una visione: è Noto. A quel punto fermatevi, o almeno rallentate: bisogna percepirla da lontano, specialmente se l’afa slabbra i contorni e rende il rosa del suo barocco evanescente, irreale, tanto da essere sicuri di essere nei pressi di una città invisibile di Calvino. Sarebbe perfetto arrivarci a cavallo, procedere per gradi e rarefare il suo incantesimo. Dentro l’evanescenza scompare e strania, il rosa diventa definito, concreto, sovrastante.

Se passate da Scicli fermatevi al suo cimitero monumentale, lo vedrete dirimpetto al paese, da lontano ne sembra una miniatura. All’interno la ricchezza delle tombe e delle cappelle, accanto a un campo di semplici croci di ferro racconta molto ma il sacro intimorisce, fermarsi ad ascoltare equivale a una profanazione, il tempo da concedersi è breve come una rapina.

Al Plemmirio un vero deserto, sentieri rocciosi che portano a strapiombi e grotte sullo splendore del mare (riservato solo ai più coraggiosi) nel silenzio incrinato dal solo fruscio delle lucertole fra le specie di piante pioniere. Il Capo Murro di Porco toglie il fiato, come tutti i luoghi al limite, sporti verso l’infinito, parabola della condizione umana. Il faro appare e si delinea bianco e perfetto tra il resto delle basse costruzioni abbandonate, erose dal tempo e dal sale.

Lascio questa terra con una sensazione di incompiutezza necessaria: la sua sostanza è impossibile da afferrare. È una formula alchemica, un’equazione irrisolta, specchio riflesso e infranto.

E nostalgia, come di tutto ciò che ci sfugge.

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  • BlowUp BlowUp
    sarei andato avanti a perdermi nel tuo racconto ancora a lungo. L'emozione di una visione autentica. Complimenti"
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