Route 66: viaggio on the road nel cuore degli Stati Uniti

Da Chicago a Los Angeles, 5028 chilometri nel cuore degli Stati Uniti, inseguendo il sogno americano della mitica Route 66
Scritto da: cinzia 35
route 66: viaggio on the road nel cuore degli stati uniti
Partenza il: 16/07/2013
Ritorno il: 02/08/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
La Mitica “Route 66” (di Cinzia Allasia)

Ho deciso di scrivere il racconto di questo meraviglioso viaggio nel cuore degli States intanto per raccontare il sogno di una vita, la Mitica Route 66, ma anche per fornire informazioni utili a quanti decideranno di intraprendere un viaggio che attraversa l’immaginario americano.

Desidero intanto ringraziare Gianluca, mio marito e compagno di viaggio, per aver accettato quella che all’inizio sembrava un’impresa impossibile da compiere in due, visti i Km che c’erano da percorrere in meno di un mese, e poi coloro che hanno reso possibile tutto questo, ovvero altri turisti per caso che con i loro racconti di viaggio sono stati una fonte preziosa di aiuto.

Prima di addentrarci nel racconto vero e proprio desidero fornire alcuni dati tecnici e spero altrettanto utili.

Volo: tanto prima si prenotano i voli e più si risparmia; noi purtroppo per motivi lavorativi abbiamo acquistato i biglietti aereia fine Aprile spendendo 862.43€ a testa con all’andata un volo Torino-Francoforte e poi Francoforte-Chicago e al ritorno Los Angeles-Monaco di Baviera e poi Monaco di Baviera-Torino.

Pernottamento: a parte una fugacesettimana a New York due anni fa, questa era la nostra prima esperienzaemotivamente forte vissuta in Americae dato che avremmo dovuto permanervi più a lungo abbiamo deciso di acquistare nella nostra agenzia viaggi di fiducia (lì acquistiamo i viaggi non realizzabili fai da te) un pacchetto di pernottamenti proprio dedicato alla “Route 66”, in modo da avere quotidianamente delle tappe ben bilanciate come km, la certezza del posto in cui dormire e la sicurezza di aver prenotato anche in luoghi non pericolosi. Siamo riusciti anche a personalizzare il pernottamento aggiungendo una notte a Chicago e cambiando Hotel a Las Vegas scegliendo di dormire due notti al bellissimo New York New York. Ovviamente tutto questo si paga: a noi è costato ben 1180€ a testa per 17 notti. In tale cifra doveva essere compreso solo il pernottamento ma in realtà alla consegna dei voucher abbiamo scoperto che in metà di questi era compresa ancheuna piccola colazione, più che sufficiente per noi europei abituati a una colazione leggera.

Vitto: 18 giorni negli Stati Uniti mi preoccupavano molto per quanto riguarda il cibo, considerato quello che mangiano gli americani, con poca frutta e verdura, così abbiamo deciso che le colazioni non comprese le avremmo consumate in camera acquistando il necessario il giorno prima, mentreper i pranzi nelle grosse città siamo andati a mangiare da Pret a manger, una catena di cibo biologico e sano con tante insalate. Durante il viaggio però ho realizzato ancheun altro sogno: tanti picnic nelle attrezzate “rest area” che si trovano lungo le autostrade, delle piccole oasi verdi con tanto di panchine all’ombra e sapone e carta igienica nei bagni, sempre puliti e in ordine. Il cibo per ipranzi, per lo più costituito da mega insalate pronte solo più da condire e confezioni di frutta già tagliata e pronta da mangiare, lo acquistavamo al mattino al Walmart (grande catena di supermercati tipo centro commerciale) e lo conservavamo al fresco insieme alle bottiglie d’acqua nel nostro frigo di polistirolo, inseparabile compagno di viaggio. Alla sera invece siamo sempre andati a mangiare nei ristoranti: per lo più per la scelta ci siamo affidati ai consigli della inseparabile guida Lonely Planet (abbiamo usato sia On the road, che Stati Uniti occidentali e qualche capitolo di Stati Uniti orientali).

Auto: l’auto l’abbiamo noleggiata in Italia con la compagnia National con la quale ci siamo trovati benissimo l’anno prima in Irlanda, in quanto dopo un’accurata ricerca tra le compagnie di noleggio era quella con il drop off (la tassa per chi noleggia la macchina in uno stato e la restituisce in un altro) più basso: solo 250$, più le tasse da pagare ovviamente in loco.

Il noleggio auto con Km illimitato, l’assicurazione, le varie tasse, un pieno di carburante, 3 conducenti addizionali, e il navigatore satellitare ci sono costati 1290 €. In compenso la benzina in America costa pochissimo, circa 1.5 $ al gallone, e per compiere 5028 km abbiamo speso 250 €.

Assicurazione: abbiamo stipulato un’assicurazione sanitaria con 150€ a testa, indispensabile in un viaggio in America.

Una cosa da pianificare bene se si vuole fare la Route 66 è il percorso da seguire, perché in realtà la Route 66 non esiste più, è stata quasi totalmente sostituita da varie interstate, la cui principale è la I-40. Così i due mesi precedenti la partenza Gianluca ha dovuto sobbarcarsi un lavoro enorme per stampare unitinerario dettagliato giorno per giorno, con tutti i turn by turn segnati, alternando momenti di interstate a momenti in cui avremmo percorso l’originale Route 66, facendo molta attenzione, però, in quanto mentre alcuni Stati, tra cui l’Illinois, hanno fatto un eccellente lavoro con la cartellonistica stradale marrone (quella storica della Route 66), altri invece hanno curato molto meno questo aspetto, quindi era molto facile perdersi. Gianluca ed io siamo dell’idea che il navigatore sia importante, ma su quel tipo di dispositivinon puoi impostare l’itinerario della Route 66 in quanto non esiste più, perciò dovevamo essere ben consapevoli del percorso che volevamo seguireperchécon tappe di c.a 440 km al giorno non potevamo certo perderci ogni 5 minuti! Da qui la necessità di dettagliare il più possibile il percorso.

Le informazioni riguardo le cose interessanti da vedere lungo il percorso le abbiamo in parte recuperate dalle guide della Lonely Planet, in parte da altri racconti di altri turisti per caso e in parte dai depliant che i vari uffici del turismo americani ci hanno inviato gratis via posta facendone domanda direttamente sui loro siti internet (altra dimostrazione della gentilezza degli americani).

Ora eravamo pronti ad attraversare gli Stati Uniti, a scoprire il cuore dell’America attraverso un viaggioche oltreai 3900 km del percorso originale, ci ha portato a percorrere con tutti i “detours” ben 5028 km….una follia….

1 GIORNO: 16 luglio – Torino-Chicago

Finalmente dopo tanti sogni e tante ricerche partiamo pieni di desiderio, ma anche con un po’ di timore, alla volta del più bel viaggio che abbiamo mai fatto: la mitica Route 66.

Partiamo alle 6.20 del mattino da Torino alla volta di Francoforte e poi con un secondo volo atterriamo all’aeroporto Ohare di Chicago in perfetto orario alle 12.30 ore locali, dopo 9 ore di volo.

Dopo aver ritirato i bagagli, che ci hanno seguito senza perdersi volo facendo, ci siamo diretti alla sede della National (Terminal 5) per il ritiro dell’auto noleggiata, una Chevrolet cruise 5 porte benzina con all’attivo solo 400 miglia, praticamente nuovissima (meno male dato il lungo viaggio).

Il primo impatto con il clima caldo e con un tasso di umidità del 70%, unito allo sleng americano e alla stanchezza del viaggio, è stato notevole e ci ha un po’ sconfortati, ma senza perderci d’animo abbiamo acceso il navigatore e siamo partiti alla volta di Chicago, destinazione Hotel EssexInn in Michigan Avenue.

Il viaggio è andato benissimo e senza intoppi e dopo aver lasciato la macchina nel parcheggio situato ad un isolato dall’albergo, molto più economico di quello di quest’ultimo (ben 18$ al giorno contro i 24$), abbiamo sbrigato il check-in e posato le valigie in camera, e alle 16 finalmente siamo pronti per scoprire Chicago.

Con la linea 3 dell’autobus (2$ il biglietto fatto direttamente a bordo), la cui fermata è proprio di fronte al nostro hotel sull’altro lato della strada, siamo andati in “centro” a Chicago, il cosiddetto MagnificentMile che è la via commerciale di Chicago situata nel Near North.

All’inizio del MagnificentMile, sul lato orientale di Michigan avenue, si estende il Tribune tower, sede del Tribune, il quotidiano di Chicago, mentre dall’altro lato della strada si estende il WrigleyBuildind, un palazzo bianco sede di una ditta di chewinggum. Pochi passi più a nord si trova la Billy Goattavern, rifugio per decenni dei giornalisti del Tribune, e continuando a passeggiare scopriamo i bellissimi negozidisseminati lungo la via: Cartier, Tiffany, Victoria Secret, l’Apple store, dove la sottoscritta in meno di mezz’ora è riuscita ad acquistare un telefono nuovo.

La nostra passeggiata continua fino ad arrivare al John Hancock Center, il terzo edificio più alto della città e su consiglio della guida evitiamo di spendere i soldi per salire all’osservatorio al 94º piano (ben 15$) ma saliamo direttamente al 96º piano al lounge bar dove al prezzo di una coca cola godiamo di un bellissimo tramonto su Chicago.

Stremati e senza forze decidiamo di cenare da Pizzano’srestaurant, le recensioni sembrano ottime, ma a causa della stanchezza non riusciamo ad apprezzare in pieno il cibo, un minestrone per me e ChickenParmdinner per Gianluca (26.52$ totali con le tasse) ma di una cosa ci accorgiamo immediatamente, cioè le dosi abbondanti che bastano a sfamare 3 persone.

Alle 22 riprendiamo l’autobus per tornare in albergo e dopo quasi 24 ore in piedi crolliamo addormentati nella nostra prima notte americana.

2 GIORNO: 17 luglio – Chicago 0 km

Sveglia alle 8 del mattino, ben riposati, e decidiamo di fare un’ abbondante colazione con menu Continental breakfast (12$ a testa, un po’caro) nella brasserie annessa all’albergo, e dopo aver pagato il parcheggio per la nostra macchina per altre 24 ore partiamo alla volta di un nuovo tour di Chicago.

La giornata è bellissima, senza una nuvola, ma fa già caldo di mattino presto e l’umidità è veramente fastidiosa, ma non importa: siamo troppo emozionati nel vedere la famosa ferrovia sopraelevata che circonda ad anello le vie del centro cittadino, di cui prende il nome “the loop” e la mente vola a tutti quegli anni passati a vedere in televisione “E.R medici in prima linea”.

Dopo aver fatto innumerevoli foto, continuiamo in questo itinerario a piedi lungo il loop e all’angolo con Jackson blvd vediamo il bellissimo edificio del Chicago Board of Trade, la borsa di Chicago, e qualche metro più avanti entriamo nel bellissimo atrio del palazzo Rookerydisegnato da Frank Lloyd Wright, chiedendo alla guardia se possiamo fare un giro e scattare qualche foto.

Continuando la nostra passeggiata arriviamo davanti all’Art Institute of Chicago, il secondo museo degli Stati Uniti in ordine di grandezza. Mancano pochi minuti all’apertura del museo, e data la poca coda di persone in attesa, decidiamo di attraversare la strada e di andare a fare la foto al cartello di inizio della Route 66: dà lì iniziava la Motherroad….inizia la nostra avventura! Davanti al cartello facciamo conoscenza di una coppia americana di Los Angeles che con un volo aereo sono arrivati a Chicago e faranno ritorno a casa con un’auto a noleggio percorrendo proprio la Route 66 e ancora una volta ci rendiamo conto della gentilezza americana, in quanto pur non conoscendoci non la smettevano di darci consigli e raccomandazioni da seguire.

La coda al museo improvvisamente scompare, segnale che è ora di entrare (23$ a testa), e lì senza che ce ne rendiamo conto la mattina vola e per il pranzo optiamo di nuovo per Pret a manger, situato proprio dall’altro lato della strada rispetto al museo. Nel pomeriggio facciamo una passeggiata nel Millenium park e non smettiamo di fare foto ad uno dei simboli di Chicago, il fagiolino in acciaio. Fa talmente caldo che sono numerosissime le persone che si fermano sotto i getti d’acqua che fuoriescono dalle due torri alte 15 metri della Crown mountain situata lì vicino. Usciti da Millenium park continuiamo la nostra passeggiata sulla Washington st e nella DaleyPlaza notiamo varie sculture di Picasso, quella denominata “Senza titolo” e “Monumento con animale in piedi” e “Il sole, la luna e la stella” di Mirò.

Stanchi, decidiamo di non salire sulla Willis Tower dove si trova il famoso Sky deck ma decidiamo di tornare in albergo per una doccia prima di cena. Dopo aver cenato al ristorante irlandese “The Gage” ( un fish& chips, un hamburger, una guinnes e una coca cola 45.32$) a poca distanza dal nostro albergo, decidiamo di fare una passeggiata a Grant park per vedere la bellissima Buckingamfountain, una fontana tra le più grandi al mondo, i cui getti d’acqua allo scoccare dell’ora sono accompagnati da spettacoli di luci e musica.

Veniamo attirati da centinaia di persone che hanno fatto cena pic-nic sul prato in attesa dei bellissimi fuochi d’artificio che hanno concluso in modo esemplare la nostra ultima serata a Chicago.

3 GIORNO: 18 luglio -Chicago-Springfield (Illinois) 355 km

Finalmente oggi inizia il nostro viaggio on the road, partendo alla volta di Springfield nell’Illinois ma nonsenza prima aver fatto colazione da LouMitchell’s in Jackson bld, un classico locale della Route 66. Dopo aver parcheggiato l’auto e pagato il parchimetro con la carta di credito (succede solo in America) entriamo a fare colazione e sembra di fare un salto indietro nel tempo. Mentre aspettiamo si libera il tavolo e la cameriera di turno ci offre i doughnutholes, buonissimi.

Belli rifocillati, ripartiamo e attraversiamo la città per cercare di prendere l’interstate, decidendo di percorrere il primo tratto in autostrada per toglierci dal caos cittadino il più in fretta possibile. Dopo un’oretta di viaggio su mia insistenza abbandoniamo l’interstate per percorrere la parallela Route 66, e dopo un po’ siamo in mezzo alla campagna, dove la strada scorre tranquilla incrociando pochissime auto. Avevo letto che lo stato dell’Illinois aveva fatto un lavoro eccellente con la cartellonistica stradale della Route66, ma è veramente così, il navigatore e le cartine praticamente non servono, sono tabellonate tutte le svolte.

A metà mattina arriviamo alla nostra prima tappa, il paesino di Dwight (se si percorre ancora l’interstate I-55 è all’uscita 220), in quanto cercando su internet avevo visto delle immagini di una bellissima pompa di benzina d’epoca della Texaco, e a pochi metri dall’interstate la troviamo lì ad aspettarci. Dopo aver fatto le foto di rito, decido di entrare nel drugstore lì vicino per comprare dell’acqua ed è lì che trovo il frigo di polistirolo. Ne avevo sentito parlare in altri racconti di viaggio e mi ero detta che era assolutamente utile e mi ero documentata su internet per capire dove acquistarlo, ma non pensavo che l’avrei trovato subito.

Così dopo poco sono uscita con il frigo di polistirolo, due sacchetti di ghiaccio e una confezione di 24 bottigliette da mezzo litro d’acqua che avremmo messo al fresco una decina per volta strada facendo.

Molto soddisfatta per il mio acquisto ripartiamo per la seconda tappa del giorno: Pontiac,il regno dei murales e sede del primo museo della Route 66. Giunti a destinazione, per prima cosa visitiamo il museo della Route 66, ed è veramente notevole la quantità di cimeli d’epoca che sono riusciti a raccogliere, alternati a fotografie dei lavori stradali che hanno portato a generare la Mother road. Molto belle sono anche le stanze dedicate alle guerre mondiali, con le divise dell’esercito statunitense in ottimo stato di conservazione. Dopo aver salutato i proprietari e lasciato una piccola offerta – il museo è gratis ed è gestito da volontari anziani che fanno parte dell’associazione della Route 66 – usciamo per fare un mini tour dei bellissimi murales sparsi per le vie di Pontiac a partire da quello bellissimo proprio dedicato alla Route 66 situato sul retro del museo.

Si è fatta ora di pranzo e lungo l’interstate troviamo il primoWalmart dove acquistiamo il pranzo che verrà consumato all’ombra di una pianta nel parcheggio del supermercato (un po’ triste, ma per i prossimi pranzi ci organizzeremo meglio).Mamma mia che caldo! Il termometro della macchina segna 106ºF ovvero 41ºC e il tasso d’umidità sarà almeno dell’80%.

Ripartiamo lungo l’interstate, per fare più in fretta e poco dopo usciamo all’uscita 154 a Shirley in direzione Funk’sgrove, altro posto storico della Route 66, una fattoria del XIX secolo immersa nella natura dove viene prodotto sciroppo d’acero. Purtroppo la fabbrica non si può visitare in quanto aperta solo nella stagione di produzione dello sciroppo, ma i proprietari gentili ci raccontano lo stesso come avviene la produzione e noi per ricambiare acquistiamo del buonissimo sciroppo d’acero.

Ci fermiamo ad Atlanta al Palms Grill Café, altro posto storico della Route 66, e sembra di fare un salto indietro nel tempo, all’epoca di Happy days, di Grease, i banconi sono d’epoca e le cameriere servono il caffè, peraltro buonissimo, vestite come negli anni 50.

Usciti facciamo un po’ di foto, soprattutto allo stemma della Route 66 sull’asfalto e a Tall Paul, un’alta statua che raffigura il mitico taglialegna Paul Bunyan con in mano un hot dog e ripartiamo alla volta di Spriengfield.

Dopo un’orettaarriviamo finalmente a Springfield, patria del grande Presidente Abramo Lincoln, e decidiamo di andare subito a visitare la sua tomba all’Oak Ridge Cemetery in quanto gli altri posti storici legati al Presidente e che intendiamo visitare sono già chiusi anche se sono solo le 16 del pomeriggio.

Il cimitero ci accoglie con un viale enorme di querce, e dopo una passeggiata di 5 minuti sotto il sole cocente, (ci saranno 38ºC) arriviamo al mausoleo sede della tomba di Lincoln dove decidiamo di entrare ma nonsenza prima aver sfregato il naso della statua Presidente posta all’ingresso (sembra porti bene, infatti mentre tutto il resto della statua è ben ossidato, il naso è bello lucido e splendente). Dentro ci avvolge un silenzio incredibile, nonostante i numerosi turisti, oltre che un gelo polare: questi americani hanno proprio il vizio di tenere l’aria condizionata a 16ºC, nonostante fuori ci siano quasi 40ºC.

Dopo una ventina di minuti usciamo e decidiamo di visitare un altro cimitero molto più suggestivo situato al 1441 di Monumentave: Camp Butler, un cimitero di reduci del Vietnam con tutte le lapidi bianche disposte in file ordinate e a disegnare dei motivi geometrici molto particolari sulle diverse collinette.

Il pomeriggio volge al termine, ma prima di andare in albergo facciamo ancora un salto al Cozy Dog Drive inn, il locale dove è nato il Cozy dog, l’hot dog avvolto in una croccante pastella fritta, tipico dell’Illinois….sembra buono ma nonostante l’aspetto invitante decidiamo di non provarlo.

La giornata si conclude nel ristorante dell’hotel vicino al nostro, l’HolidayInn Express, troppo stanchi per cenare in centro a Springfield.

4 GIORNO: 19 luglio-Springfield – St. Louis 160 km

Oggi la tappa in macchina alla volta di St.Louis è breve, quindi la mattinata è dedicata alla visita di Springfield.

Springfield è una cittadina bellissima piena di ricordi del presidente Lincoln, a partire dalla Lincoln Home National HistoricDistrict, ovvero l’unica casa di proprietà di Lincoln e nella quale abitò fino al trasferimento con la moglie Mary alla Casa Bianca nel 1844. In realtà la casa è inserita in un quartiere che è rimasto come all’epoca di Lincoln, a partire dai marciapiedi in legno, ai lampioni e alle case limitrofe, un intera via del 1800, meravigliosa.

La visita alla dimora è gratis ed è guidata dai ranger, pertanto bisogna procurarsi il biglietto al Visitor Center sul lato opposto della strada.Bisogna ricordarsi che non si possono portare zaini nella casa e al Visitor center perchénon ci sono depositi bagagli, pertanto è stata un’impresa convincere i ranger che le nostre due borse erano zaini fotografici con tanto di obiettivi e non ci fidavamo a lasciarli in macchina, anche se era parcheggiata nel parcheggio adiacente.

Terminata la visita alla dimora, continuiamo la nostra passeggiata per Springfield, passando davanti all’Old State Capitol, fino ad arrivare alla nostra prossima visita, la Lincoln Presidential Library &Museum (12$ a testa), che ospita la più completa collezione esistente al mondo dedicata al Presidente. Dentro il museo è bellissimo con ricostruzione di ambienti d’epoca, dove il visitatore ripercorre tutta la vita del Presidente, dalla sua nascita nel Kentucky alla gioventù nella casa nei boschi dell’Indiana, al suo trasferimento nell’Illinois all’inizio della carriera legale, alla casa a Springfield, al momento dell’elezione a Presidente. Addirittura hanno ricostruito la facciata della Casa Bianca e dentro ci sono i costumi originali del ballo d’insediamento del Presidente. Unico è lo spettacolo tenuto nella biblioteca con tanto di fantasma del Presidente in versione ologramma, anche se il finale è la solita americanata super patriottica, ma dal risultato molto suggestivo.

Terminata la nostra visita usciamo ai 35ºC anche se siamo solo a fine mattinata, a scaldarci le ossa, data di nuovo la temperatura siberiana dell’interno del Museo, e passeggiando ci dirigiamo alla macchina per ripartire alla volta di St. Louis.

Uscendo da Springfield ci dirigiamo alla Shea’s Gas Station dove il proprietario Bill Shea espone la sua famosa collezione di pompe di benzina e cartelli della Route 66, ma proprio come la sera prima è sempre chiuso. Pazienza, è destino che non possiamo visitarlo.

Prima di uscire dall’Illinois alla vota del Missouri, abbandoniamo la I-270 all’uscita 3 per dirigerci verso l’Old Chain of Rocks Bridge, un ponte di 1,5 Km sul fiume Mississippi risalente al 1929 che ad un certo punto presenta una curva di 22ºC. Ovviamente il ponte non è più in uso, ma è possibile percorrerlo a piedi oppure in bicicletta, sarebbe bello attraversarlo, ma ci manca il tempo, quindi dopo un breve tratto percorso a piedi torniamo alla macchina e Gianluca decide di prendere una stradina in discesa accanto al ponte per una intuizione che si rivelerà giusta. La stradina in discesa porta sul bordo del fiume dove riusciamo ad ammirare in tutto il suo splendore l’Old Chain e a fare delle belle foto.

Dopo il nostro solito pic-nic a pranzo, decidiamo di percorrere il resto della strada per St.Louis seguendo il tracciato della Route 66 e così dopo innumerevoli soste per le foto di rito, arriviamo nella calda St.Louis.

Per fortuna siamo a fine pomeriggio e dopo aver parcheggiato in un parcheggio multipiano, ci dirigiamo verso il Gateway Arch, il famoso arco alto quasi 190 metri, simbolo della città. L’arco è veramente immenso visto da sotto, pensavo fosse di cemento, ma visto da vicino mi accorgo che è interamente d’acciaio. Mentre passeggiamo e scattiamo fotografie ci accorgiamo di una cosa molto curiosa, centinaia di persone sono vestite di rosso e si stanno dirigendo verso quello che sembra uno stadio….abbiamo capito, ci deve essere una partita di campionato di baseball dei Cardinals, la squadra di St.Louis.

Continuiamo la nostra passeggiata di ritorno verso l’albergo situato lì vicino (CrowePlaza St Louis 7750), passando davanti all’OldCourthouse&Museum dove a metà Ottocento si tenne un famoso processo intentato da uno schiavo contro il suo padrone.

Decidiamo di cenare nel quartiere italiano da Cunetto’sreaurant, le recensioni sono ottime e il cibo non è da meno (1melanzana alla parmigiana, 1 tortellini in brodo, 1 tortellini alla bolognese, 1 tiramisù e 1 acqua frizzante per 31$) e così ci addormentiamo contenti di come sta procedendo il nostro tour on the road.

5 GIORNO: 20 luglio -St.Louis – Springfield (Missouri) 351 km.

Al mattino partiamo verso le 9 alla volta di Springfield nel Missouri e dopo la consueta spesa per il pranzo al Walmart, procediamo senza sosta fino alla nostra prima tappa le MeramecCavern (19.59$ a testa) le famose caverne rifugio del pistolero Jesse James.

Il tempo non sembra dei migliori, ma per fortuna entriamo e inizia il nostro bellissimo tour dentro le caverne, che meraviglia le stalattiti e le stalagmiti che si sono formate nel corso degli anni. Dopo circa un’ora e mezza usciamo fuori e riusciamo appena a prendere il cibo in macchina per pranzare al coperto di una delle tettoie dell’area pic-nic che inizia a diluviare. Il temporale ci accompagnerà per tutta la durata del pranzo, così come il gioco delle pignatte di un gruppo di ragazzine quattordicenni che festeggiavano il compleanno di una di loro prendendo a bastonate una povera mucca di cartapesta con la pancia ripiena di caramelle.

Finito il temporale ripartiamo attraversando il Mark Twain National Forrest ma strada facendo incontriamo di nuovo un altro mega temporale che addirittura ci costringe a cercare riparo sotto la pensilina di un distributore di benzina, e ne approfittiamo per fare carburante. Tempo 2 minuti e siamo bagnati marci come pulcini. Ma come faranno i motociclisti che hanno trovato riparo insieme a noi a viaggiare sotto il diluvio come se niente fosse?

Arrivati a Springfield dopo aver lasciato i bagagli nel nostro bellissimo motel stile Route 66 (Best Western Route 66 RailHaven), partiamo nell’esplorazione della cittadina di Springfield considerata il luogo di nascita della Route 66, che troviamo molto affollata per un festival della birra.

Con cartina alla mano degli “historic site”cerchiamo tutti i punti di interesse relativi alla Route 66: il RestHaven Court, il primo hotel che a partire dal 1947 ha ospitato i viaggiatori lungo la Route 66 ormai ridotto in uno stato di abbandono, diversi altri hotel tra cui il nostro, il Woodruff Building, il primo grattacielo costruito dal fondatore della Route 66, il GilliozTheatre, l’OldCalaboose, una prigione e il Danny’s Service Center per la sua originale insegna al neon.

Decidiamo di nuovo di cenare italiano da Bruno’s e anche questa volta la scelta si è rivelata azzeccata (1 pasta alla norma, una pizza alle acciughe, una birra e un acqua frizzante per 43.47$). Rientriamo in hotel abbastanza presto e sembra che si stia di nuovo avvicinando un bel temporale e stanchi crolliamo ben presto tra le braccia di morfeo.

6 GIORNO: 21 luglio – Springfield – Oklahoma City 459 km

Oggi la tappa è molto lunga, quindi sveglia presto e dopo un’ottima colazione a base di Pancake e dopo una chiacchierata con un signore ex militare dell’esercito che è stato tanto in Italia alla base Nato in Sicilia, i nostri eroi partono alla volta di Oklahoma city.

Decidiamo di percorrere un primo tratto di I-44 ed uscire alla uscita 57 per dirigerci verso Carthage, una cittadina che risale all’epoca della Guerra di Secessione, per ammirare la bellissima Court house situata nella piazza del centro cittadino. Dopo le foto di rito ripartiamo, passiamo la cittadina di Galena e ci fermiamo a Riverton all’emporio EislerBrothersOld Riverton Store, un bellissimo edificio in mattoni rossi del 1925, tutt’ora in funzione e come tutti gli empori in grado di vendere qualsiasi cosa, dai souvenir alle Campbell’ssoup.

Oltrepassiamo il confine con il Kansas, stato spesso flagellato dai tornado e lo percorriamo per soli 21 km, ma osservando il cielo plumbeo all’orizzonte il nostro pensiero comune è: speriamo che non arrivi un twister……eheh.

Come cambia il paesaggio! E che meraviglia le praterie del Kansas che si fondono con quelle dell’Oklahoma, con fattorie sparse qua e là tutte con il classico rilevatore del vento, proprio come nel Mago di Oz.

Arriviamo ad Oklahoma city abbastanza presto quindi decidiamo di visitare il bellissimo museo National cow-boy and Western Heritage Museum, purtroppo nonostante siano solo le 16.30, non vogliono più lasciarci entrare, in quanto l’ultimo accesso è alle 16.00. Dopo un po’ di insistenza promettendo di fare un rapido giro, la signorina del ticket office ci fa entrare non facendoci pagare il biglietto. Corriamo letteralmente per il museo per cercare di farci un’idea, ma è veramente immenso e pieno di quadri, di costumi di cow-boy, di indiani, di ricostruzioni di ambienti e veramente dispiaciuti alle 17.00 in punto siamo costretti ad uscire. Un vero peccato!

Stanchi e accaldati decidiamo di andare in hotel (Best Wester Plus SaddlebackInn& Conference) e fare una nuotata in piscina prima di dirigerci alla ricerca della cena. Dopo un rapido giro in macchina ad Oklahoma, un po’ delusi dal centro cittadino – solo grattacieli e nessuna anima viva – ci fermiamo a mangiare da Cattlemen’ e lì mangiamo della carne veramente superlativa (1 birra, 1 acqua, un filetto piccolo e una bistecca e un apple pie per 46.45$).

Sazi, riprendiamo la macchina con l’idea di parcheggiarla e fare una passeggiata in centro, ma non c’è veramente nessuno, ed è molto desolante, sconsolati proseguiamo fino ad arrivare a Brick Town, un bellissimo quartiere con cinema multisala, negozi e gelaterie e dopo una breve passeggiata ritorniamo al nostro hotel e così un altra lunga giornata volge al termine.

7 GIORNO: 22 luglio – Oklahoma – Amarillo 417km

Oggi altra lunga tappa che ci porterà in Texas e così sveglia presto.

Stamattinacolazione compresa nel voucher e dopo aver fatto rifornimento di ghiaccio dal distributore fuori dalla stanza (fate molta attenzione in quanto sui distributori il più delle volte c’è scritto di non rifornire gli “icechest”) partiamo alla volta di Clintonnostra prima tappa del giorno.

Fa di nuovo caldo, ma siamo talmente intenti ad osservare le praterie dell’Oklahoma e tutto ciò che ci circonda che alla temperatura non badiamo molto. Le strade americane sono veramente immense, lunghi rettilinei per miglia e miglia e a volte si ha quasi paura di addormentarsi al volante, dato che la velocità di crociera difficilmente supera le 70 miglia orarie (più o meno 100km/h). Apprezziamo la comodità del cambio automatico, e soprattutto del cruise control: imposti la velocità di marcia e se non premi l’acceleratore la macchina va avanti da sola che è una meraviglia.

Strada facendo ci fermiamo a vedere una minuscola stazione di benzina “Lucille station” di cui avevo sentito parlare in un racconto di viaggio, veramente molto carina.

Così arriviamo a Clinton verso le 11.30 dove si trova uno storico museo della Route 66, un edificio moderno tutto a vetri, con la scritta rosso fiammante “Route 66 museum”, e dopo aver pagato l’ingresso (5$ a testa), veniamo catapultati come per magia nei mitici anni 50. Il museo non è molto grande, ma comunque rimaniamo soddisfatti perché non è la solita tipica raccolta di foto, ritagli di giornali e soprammobili, ma racconta 60 anni della route 66 facendo ricorso soprattutto a musica e video.

Ripartiamo fermandoci per pranzare dopo meno di un ora in una delle rest area prima di entrare in Texas.

A Mc Lean ci fermiamo per fotografare un distributore storico “66” della Phillips. Ogni volta che troviamo qualcosa di storico della Route 66 rimaniamo a bocca aperta nel vedere come sono conservate bene le cose, addirittura un furgone rosso d’epoca parcheggiato lì davanti…..necessito di caffè…..

Non capisco se è perché sono le 3 del pomeriggio e fa caldo, ma non c’è un anima viva in giro ne tantomeno un caffè ad eccezionedi un piccolo chioschetto dove dopo quasi 15 minuti di religiosi preparativi mi viene servito un ottimo caffè americano bollente anche se con i 40ºC ci vorrebbe un gelato.

Facciamo un giro a McLean e anche qui ci sono tanti murales relativi alla Route 66, ma non abbiamo molto tempo per fermarci e ripartiamo alla volta del Texas.

Poco prima di Amarillo ci fermiamo a Conway dove per imitare il Cadillach Ranch, i proprietari di un chiosco di souvenir hanno piantato nel terreno in posizione capovolta 5 maggiolini Volkswagen in quello che viene soprannominato Bug Ranch, liberamente accessibile dal lato sud della strada d’accesso I-40 in direzione est.

Ancora perplessi per questo esempio d’arte moderna, arriviamo al nostro hotel (Hotel Ambassador)in tempo per una nuotata in piscina, quando abbiamo il primo e l’unico imprevisto della vacanza e per il quale avrei “fulminato” Gianluca. Alla receptionfacciamo per presentare il voucher, ma non lo troviamo, è improvvisamente scomparso dalla pagina del portalistini-diario di viaggio. Tempo 1 minuto e Gianluca realizza di averlo tirato fuori la sera prima e probabilmente è rimasto sul letto in hotel a Oklahoma. Come fare?Per fortuna Gianluca ne aveva scannerizzato una copia prima di partire, custodita nel tablets, ma non basta: ci vuole la copia cartacea.

La signorina alla reception ci invita a stamparlo usufruendo della stampante all’internet point gratis nella hall, ma come fare, vistoche manca la connessione wifi tra l’ipad e la loro stampante dell’anteguerra?Decidiamo di collegarci ad internet con il nostrotablets per inviarci via email il pdf dei voucher, per aprire poi l’e-mail dal pc collegato alla stampante. Dopo vari tentativi durati credo 5 minuti,che ci costeranno ben 15€ di collegamento, riusciamo a inviarci l’e-mail e quindi a stampare il voucherdal loro lento pc. Finalmente prendiamo possesso della stanza, altro che nuotata, ormai è tardi ed è ora di cena, così posato i bagagli e dopo una doccia ci dirigiamo verso il Big Texas Steak Ranch& Motel: una vera istituzione del posto. Dall’interstate è chiaramente visibile per l’enorme quantità di luci al neon, un po’ kitsch la mucca gigante parcheggiata vicino all’ingresso ma in compenso la carne è divina e soprattutto l’organizzazione impeccabile, con tanto di cicalino luminoso che viene dato ai commensali che si aggirano per il negozio di souvenirin attesa del tavolo.Il cicalino infatti serve per annunciargli che si è liberato il posto e che è il proprio turno di cenare (due filetti con contorno più la birra 41$). Felici del fattoche anche oggi non siamo morti di fame, torniamo in albergo per il riposo che ci renderà pronti a ripartire il giorno dopo.

8 GIORNO: 23 luglio – Amarillo-Santa Fe 470km

Oggi lungo viaggio per attraversare il Texas e arrivare in New Mexico, quindi sveglia presto. Dopo colazione e la solita tappa al Walmart per acquistare il pranzo ci dirigiamo al Cadillac Ranch per vedere le famose 10 Cadillac conficcate nel terreno deserto dal 1974, cioè dalla mia nascita.

La cosa che colpisce di più è il contrasto di colori creato dalla vernice spray delle bombolette utilizzate per decorare le auto e tutte le colate artistiche dei diversi strati di vernice sovrapposta. Unico neo sono le bombolette vuote abbandonate sul terreno e la terra rossa tipica di questa zona che macchia tutte le scarpe.

Ripartiamo alla volta di Vega dove troviamo il bel restaurato distributore di benzina Magnolia e il Dot’s Mini-Museum, creato dal signor Dot, che ha raccolto negli anni tantissimi cimeli sulla storia della route. Decidiamo di non visitarlo ma ci passiamo lo stesso davanti in quanto c’è un insegna che segnala la fine della Route 66 nel suo percorso prima del 1950.

Finalmente arriviamo ad Adrian, tappa fondamentale del viaggio in quanto siamo a Midpoint, cioè siamo a metà strada tra Chicago e Los Angeles: il cartello infatti riporta “Midpoint 1139 miglia da Chicago e 1139 miglia da Los Angeles”. Dopo un sacco di foto che ci siamo fatti fare da 4 italiani on the road come noi, addirittura seduti sull’asfalto vicino allo stemma della Route 66, entriamo a visitare il locale, ovviamente in stile anni ‘60 e ne approfittiamo per bere un caffè.

Ripartiamo e dopo un po’ di miglia compare il cartello “Welcome to New Mexico landofenchantment” e il cartello di cambio di fuso orario (-8 ore dall’Italia). Il paesaggio di colpo è cambiato, dalle praterie dell’ Oklahoma al quasi deserto e dopo la sosta per il pranzo rigorosamente all’ombra dato il caldo secco (meno male che abbiamo abbandonato quello umido dell’Illinois/Missouri) arriviamo a Tucumcari, piccola cittadina con le classiche insegne al neon e un sacco di motel caratteristici lungo il ciglio della strada tipo il Blue Swallow Motel del 1936.

Dopo qualche foto ripartiamo alla volta di SantaFe e dopo aver fatto il ceck-in in Hotel (Hotel Courtyard), dove rimaniamo per due notti, inizia una delle avventure più simpatiche del viaggio, ovvero il bucato nella lavanderia a gettoni “La princesaLaundromat”, situata a un paio d’isolati dall’hotel. Dopo aver chiesto informazioni ad un messicano molto gentile sul funzionamento della “washing machine”, acquistiamo per 1$ le scatolette di detersivo e le bustine di ammorbidente al distributore automatico. Prepariamo due lavatrici (vestiti scuri e vestiti chiari) e voilà, ci ritroviamo seduti a guardare la tv insieme ad altri come noi mentre il nostro bucato si lava.

Dopo 15 minuti, primo inconveniente, una delle lavatrici si blocca, non c’è verso di farla ripartire, e a sentire il signore messicano capita spesso e quindi siamo costretti a svuotare la lavatrice con gli indumenti zuppi di acqua e a farne ripartire un’altra con tanto di detersivo e ammorbidente. Meno male che il ciclo di lavaggio era solo di 30 minuti (2.50$ a lavaggio), e così dopo un’ora ci ritroviamo a fare due cicli da 5 minuti l’uno nell’asciugatrice (5 minuti per 0.50 $) e a piegare i nostri vestiti sul bancone a piastrelle vicino a una signora messicana molto simpatica.

Soddisfatti, dopo circa un’ora e mezza usciamo e caricati i vestiti nel baule partiamo alla ricerca della cena, ovviamente messicana a base di enchilada (tortilla ripiena arrotolata su se stessa e condita con salsa chili).

Stanchi, ritorniamo a all’hotel con la curiosità di visitare Santa Fe l’indomani.

9 GIORNO: 25 luglio – Santa Fe 0 km

Finalmente dopo dieci giorni on the road, oggi siamo fermi a visitare Santa Fe, e quindi la sveglia magicamente è suonata dopo.

Dopo colazione usciamo e anche se c’è il sole l’aria è frizzantina, dati i 2000 metri di altitudine, e ci dirigiamo percorrendo Cerrillosrd verso il centro della cittadina molto caratteristica, niente palazzoni e luci al neon, ma edifici costruiti in adobe (tipiche costruzioni in terracotta rossa con il tetto arrotondato), dal colore rosso che crea con il paesaggio circostante una strana miscela, tanto che sembra di stare in un set cinematografico.

Dopo il giro dell’Historicplaza, sotto i cui portici decine di bancarelle di indiani della zona allietano i turisti con i loro prodotti artigianali, passiamo davanti al Palace of Governor, in cui visse Lewis Wallace governatore di stato e autore del romanzo Ben Hur.

Decidiamo di visitare il Museum of New Mexico (9$ ciascuno) carino ma nulla in confronto con il Museo di Oklahoma. Dalla Plaza, percorriamo Palace avenue la principale arteria della città, nei cui pressi si trovano i principali luoghi di interesse di Santa Fe, la Saint Francis Cathedral ovvero la cattedrale di Santa Fe con la vicina Loreto Chapel. Dopo un pranzo a base di panini, entriamo a visitare Loretto Chapel (3$ ciascuno), cappella utilizzata solo per i matrimoni e come museo con la miracolosa scala a chiocciola che sembra sospesa nel vuoto. Deve essere un luogo di pellegrinaggio, date le numerose persone anche disabili in coda in preghiera.

Andando a sud verso la Old Santa Fe Trail entriamo in numerosi negozi di artigianato indiano locale con icolori caratteristici della terra, arriviamo in un quartiere molto carino dove si trova la Chapel of San Miguel, un’antica missione e la Oldesthouse, la più antica casa indiana in malta di più di 800 anni e considerata il più antico edificio degli USA.

Percorriamo Canyon road, sempre affollata e piena di negozi d’arte con sculture molto particolari nei giardini degli atelier, che oltre asuscitare curiosità ci spingono a fare un sacco di fotografie.

Lungo al via del ritorno in albergo Gianluca vuole fare una piccola deviazione verso la stazione di Santa Fe, e devo dire che non ha deluso le nostra aspettative, anch’essa il stile e in accordo con il territorio che la circonda.

Dopo una doccia e un po’ di riposo in camera torniamo verso il centro per cenare da “The Shed”, storico locale con cucina messicana e dopo un piatto di chips messicane con salsa abbiamo la bocca in fiamme, figuriamoci dopo le enchilade (una birra, un acqua, un chips con salsa, due enchilade, un apple pie per 42$).

Soddisfatti della cena ci godiamo uno spettacolo di musicisti nella Historicplaza sotto il cielo stellato e cantando “La bamba” torniamo verso l’albergo.

10 GIORNO: 25 luglio – Santa Fe – Albuquerque 102km

Ieri sera abbiamo consideratoche la tappa di oggi era troppo corta in termini di Km, e così anziché dirigerci a sud verso Albuquerque abbiamo optato per una “piccola” deviazione di 100 km verso nord, per scoprire il paesino di Taos.

Percorrendo la “scenic road” attraverso le Sangre de Cristo Mountains, una bellissima strada panoramica che ci ha portato a scoprire le montagne e i meravigliosi paesaggi della zona arriviamo verso le 11.00 a Taos. Dopo una tappa all’ ufficio del turismo per prendere informazioni per visitare “Taos pueblo”, scopriamo che quest’ultimo è aperto solo nel pomeriggio, e così grazie ai consigli della signorina iniziamo a scoprire il paesino di Taos, con la Historicplaza e le numerose gallerie d’arte come a Santa Fe.

Dalla piantina recuperata all’ufficio del turismo scopriamo un’area pic-nic dove pranzare localizzata ad ovest del paesino, e così ne approfittiamo anche per vedere dal George Bridge, il Rio Grande, un piccolo ma suggestivo canyon, che ci dà l’esatta percezione di cosa sia un vero canyon.

Il tempo stringe così con la macchina ci dirigiamo verso Taos pueblo a 2,6 km a nord di Taos.

Taos pueblo, detto anche “luogo dei salici rossi”, è un villaggio degli indiani nativi d’Americapatrimoniodell’Unesco, nonché un sito storico nazionale. Dopo aver pagato il biglietto d’ingresso scopriamo che è vietato fotografare, ma pazienza: il giro ne vale sicuramente la pena. Così girovaghiamo per circa un’ora in questo piccolo villaggio di indiani in cui il tempo si è fermato centinaia di anni fa. Non hanno energia elettrica nétanto meno acqua corrente e il cibo è cucinato negli “horno”, i forni in “adobe” situati di fronte alle case.La popolazione locale è governata da uno sceriffo, ha leggi tutte sue e a parte la scuola che rappresenta l’unico mezzo di comunicazione con il mondo moderno, in quanto i bambini devono andare a scuola a Taos, non esistono quasi scambi con il resto del mondo. La nostra passeggiata viene interrotta dalla curiosità di capire cosa sarebbe successo di lì a poco: tutti i turisti,infatti, si sono diretti nella piazza e seduti per terra. Alle 15.00 in punto una ventina di abitanti del pueblo in costumetipico percorreinprocessionela piazza con canti e balli verso la chiesa in occasione della festa di Santiago e Santa Anna. Dopo una mezz’ora di balli e canti, lasciamo il pueblo, contentissimi dell’esperienza unica e coinvolgente e dopo esserci fermati a fare una foto alla San Francisco de Asischurch in uscita da Taos ci dirigiamo verso Albuquerque.

Arriviamo ad Albuquerque ormai neltardo pomeriggio e così ci dirigiamo subito in Hotel (Best Western plus Rio Grande Inn). Dopo cena al “Trombino’s bistro italiano” (un piatto di ravioli, una zuppa del giorno e una caprese niente male, una birra e un acqua per 38$), facciamo un giro per Albuquerque, scoprendo un paesino molto carino, peccato non averlo visto di giorno, ma Taos è stata un’esperienza unica.

11 GIORNO: 26 luglio -Albuquerque – Holbrook 374 km

Al mattino decidiamo di fare un giro di una mezz’oretta nel centro di Albuquerque per vederla alle luci del giorno, centro che si rivela molto carino ed è un peccato andare via, ma il viaggio oggi comprende una tappa lunga.

Percorriamo per 150 km l’Interstate fino a Gallup dove la Route 66 si separa dalla I-40 per diventare la via principale passando attraverso edifici restaurati, e ci fermiamo per entrare nel famoso El Rancho Hotel, set di numerosi film western e dove le star di Hollywood soggiornavano durante le riprese dei film. Dopo un breve giro del paese, ricco di negozi che richiamano la culture e l’artigianato indiano continuiamo il nostro viaggio per una seconda “piccola deviazione” verso nord verso il Canyon de Chelly.

Il tempo non promette nulla di buono, più ci avviciniamo e più nuvole nere minacciano pioggia all’orizzonte…speriamo in bene.

Arrivati al Canyon, monumento nazionale, entriamo per fare il biglietto e scopriamo che è gratuito, ma il ranger ci spiega che siamo in piena riserva Navajo, quindi proprietà privata e per tanto dobbiamo rispettare il territorio e non allontanarci dalla strada principale per addentrarci nel Canyon.

Il Canyon ospita diversi siti di pueblo ancestrali, di grande valore storico per i Navajo, popolo che lo abita lungo i margini, coltivandone la terra.

Gran parte del fondovalle non è accessibile ai turisti a meno che non siano accompagnati da una guida, ma per fortuna esistono due comode strade che corrono giusto sul bordo superiore del parco e costeggiano il due bracci principali del canyon: il North e il South Rim.

Così iniziamo il nostro tour in auto percorrendo il South Rim fermandoci nei punti panoramici caratteristici segnati sulla mappa; il paesaggio del Canyon è spettacolare, sarebbe stato bello e un tripudio di colori poterlo vedere sotto il sole, ma è già tanto che non piove.

Passiamo il Tunnel overlook, il Tsegioverlook, dove si può ammirare il Canyon nella sua parte finale, e tanti altri bellissimi punti fino ad arrivare allo Spider Rock overlook, dove si trova lo Spider rock, un monolite alto e stretto che s’innalza per 250 metri al centro del Canyon e rappresenta la fotografia più famosa di tutto il parco.

Lungo le diverse soste panoramiche diversi indiani Navajo vendono i loro prodotti caratteristici, dal vasellame ai bracciali fatti con pietre tipiche del canyon (così dicono loro).

Uscendo dal canyon ci accorgiamo che il tempo è decisamente peggiorato, così la sottoscritta guiderà un paio d’ore fino ad Holbrook sotto un diluvio universale.

Arriviamo tardo pomeriggio ad Holbrooke cerchiamo subito l’hotel con la voglia di una doccia calda (Hotel Magnuson Adobe Inn). L’hotel è un po’ fuori dal centro cittadino e visto il cattivo tempo, su consiglio della proprietaria ceniamo nella Steakhouse (ButterfieldSteakhouse) adiacente all’hotel. A cena c’è pochissima gente, ci viene il dubbio che si mangi male, anche se poi la cena si rivelerà ottima (verdure miste a buffet, un hamburger, un filetto con contorno, birra e acqua per 38.43$).

Usciti dal locale, che nel mentre si è riempito, rientriamo nella hall per chiedere informazioni alla proprietaria circa il meteo del luogo, tanto per capire se anche la tappa di domani sarà sotto la pioggia e scopriamo che siamo entrati senza saperlo nel fuso orario del Nevada (-9 dall’Italia): ecco perché a cena non c’era nessuno, era troppo presto, ma per una volta andiamo a dormire presto.

12 GIORNO: 27 luglio -Holbrook – Williams 380 km

Sveglia presto e meno male il tempo sembra sereno, solo qualche nuvola, speriamo che tenga.

Dopo colazione e dopo aver fatto le foto al Wingwam hotel, un motel caratteristico a pochi passi dal nostro, dove le stanze sono delle tende indiane con bellissime cadillac anni 50 parcheggiate davanti, partiamo alla volta del “PietrifiedForestNational Park” (10$ a veicolo).

La caratteristica principale del parco è che ovunque visono disseminati deglialberi fossilizzati, cioè tronchi vecchi 225 milioni di anni frammentati e fossilizzati, quindi legno che si è trasformato in pietra.

Molti di questi sono giganteschi e a vederli da vicino il loro interno è un tripudio di colori, tutte le sfumature del marrone, sembrano fatti d’onice alabastrino.

Peccato che un temporale ci rovina l’ultimo tratto della visita e così sconsolati ripartiamo alla volta di Winslow.

Appena arrivati,entriamo nel paese ascoltando”Hotel California” degli Eagles in tema con il “famoso angolo”in cui si trova la statua del cantante a ricordo della cittadina di Winslow che viene menzionata nella famosa canzone “Standin on the Corner”(“Are you from Standin’-On-A-Corner-In-Winslow, Arizona?”). Di fronte all’angolo si trova un negozio di souvenir che trasmette ovviamente, la canzone…e si respira un’atmosfera molto emozionante e sull’asfalto un enorme stemma della route 66….un sogno.

Complice il caldo, un bel caldo umido, e le prime ore del pomeriggio, Winslow ci appare come una cittadina abbastanza deserta e così dopo un caffè ripartiamo alla volta di Flagstaff.

Il paesaggio cambia improvvisamente e più ci addentriamo in Arizona e più diventa montano. Che siamo vicino alle montagne ne abbiamo la consapevolezza quando arriviamo a Flagstaff,cittadina carina, dove gli abitanti girano vestiti con il pile. Dopo una passeggiata ripartiamo alla volta di Williams, e mano a manoche ci avviciniamo il tempo peggiorasempre di più, così arriviamo a Williams sotto un diluvio universale ed è un vero peccato perché la cittadina sembra molto carina. Parcheggiamo la macchina e con la felpa addosso e il kway (la temperatura è decisamente cambiata), facciamo una passeggiata entrando ed uscendo dai numerosi negozi di souvenir, alcuni legati alla route 66, altri di artigianato locale.

Per fortuna sta’ spiovendo ma è tardi e dobbiamo cercare il nostro hotel (Mountain Ranch Resort) che si trova a un paio di km prima di Williams, in una location molto suggestiva; si tratta infatti di un lodge in stile montano ai piedi della montagna. La cena decidiamo di consumarla nel ristorante dell’hotel, grazie anche allo sconto del 50% sul secondo menu (due menu fissi composti da zuppa come starter più un filetto di salmone e un pollo piccante con un dolce brownie, una bottiglia d’acqua e una birra per 49,42$), al calduccio di un bel caminetto acceso a mangiare zuppa, a bere birra e a cantare musica country con il duetto che ci allieterà una bellissima serata. Stanchi, andiamo a dormire sognando il Gran Canyon dell’indomani.

13 GIORNO: 28 luglio -Williams – Las Vegas 380 km

Sveglia alle 6.30 in quanto il Gran Canyon dista un’ora di viaggio e vogliamo farlo al mattino, visto che sembra sereno, certi che poi condenserà nel pomeriggio e si metterà a piovere.

Dopo colazione in camera (per fortuna che in tutti gli hotel americani ci sono i bollitori per the e caffè in camera), alle 7.30 partiamo puntuali e dopo un’ora di viaggio in direzione nord circondati da un paesaggio montano, arriviamo all’ingresso del Gran Canyon (10$ a veicolo).

Dopo una codadi soli 5 minuti entriamo con la macchina, e visto che è mattina presto e l’affluenza è ancora minima, decidiamo di saltare il Visitor center (grande errore perché a fine mattinata sarà invaso di gente) e di percorrere subito la DesertView Drive lungo il South Rim, fermandoci nei diversi punti panoramici, da Grandviewpoint, a Moranpoint fino a Navajo point. Il Gran Canyon è veramente spettacolare, una meraviglia della natura, peccato che sia mattina presto e che il sole non sia ancora così caldo per illuminarlo esaltandone gli splendidi colori. Molte persone lo percorrono in bicicletta, altre facendo trekking, noi ci accontentiamo delle brevi passeggiate sui vari plateau dei punti panoramici (occorre aver quanto meno delle scarpe da ginnastica e non infradito come le turiste giapponesi). A metà mattina torniamo verso il Visitor center dove nel frattempo sono arrivati migliaia di turisti a riempire il parcheggio e da lì prendiamo la prima navetta per dirigerci verso Hopi point, uno dei punti panoramici più suggestivi. Dopo 20 minuti di viaggio arriviamo alla fermata per la coincidenza con la seconda navetta, ma ci accorgiamo di minacciose nuvole nere che si stanno avvicinando troppo in fretta. A malincuore rimaniamo sulla navetta e torniamo indietro, anche perché il temporale nel Canyon è molto pericoloso, in quanto le scogliere attirano i fulmini e i cartelli disseminati nel parco invitano a trovare riparo in luoghi sicuri. Riusciamo a scendere dalla navetta e a trovare rifugio sotto la pensilina della fermata che inizia a grandinare a più non posso, tutto di stravento, colpendoci come una lama sferzante sul corpo. Che esperienza incredibile, ci siamo riparati il corpo facendoci scudo a vicenda e con gli ombrelli aperti sulle gambe per proteggerci dai chicchi di grandine, tremando per il freddo in quanto la temperatura è improvvisamente crollata a 12 gradi.

Dopo circa 20 minuti di grandinata, la strada è un manto bianco di chicchi di ghiaccio, sembra spiovere e così decidiamo di fare una corsa alla macchina nel parcheggio vicino. La strada è molto pericolosa e soprattutto un fiume in piena e quando saliamo in macchina per la prima volta nella mia vita tolgo le scarpe e come nei film le capovolgo svuotandole d’acqua che nel frattempo è entrata. Gelati accendiamo il riscaldamento e poi con manovre molto strane arriviamo ad aprire il trolley nel baule per prendere le crocs di gomma, e una maglietta asciutta.

Ripartiamo dopo circa dieci minuti per tornare a Williams e man mano che usciamo dal parco smette di piovere, permettendoci la sosta vicino al cartello d’ingresso non solo per farci scattare una foto da altri italiani in viaggio come noi, ma anche per prendere un cambio d’abiti decente dalle valigie.

Dopo un’ora arriviamo a Williams e sono le 13.30 e così optiamo per una pizza calda in un bistro’ italiano (i picnic ormai lungo la route sono un ricordo). Dopo pranzo rimaniamo a Williams fino verso le 15.30, per fare una passeggiata e per scattare qualche foto, visto che ormai è spuntato il sole e rispetto alla sera precedente i colori sono decisamente migliori. Entriamo a visitare la minuscola stazione ferroviaria da dove parte anche il treno a vapore che porta i turisti al Gran Canyon. Me ne aveva parlato una collega, qui il tempo sembra essersi fermato ai primi anni del ‘900, con la biglietteria tutta di legno e i bigliettai con i vestiti d’epoca.

Rimarremo tutto il giorno a Williams, ma ci aspetta un lungo viaggio (c.a 3 ore) verso Las Vegas.

Visto che ci siamo fermati a Williams e non era previsto, optiamo di percorrere tutto il viaggio in Interstate saltando la parte storica della Route 66 che collega le due città. Dopo circa un’ora di viaggio, l’interstate è completamente bloccata e non capiamo per quale motivo, fa di nuovo caldo, il paesaggio sta’ cambiando per lasciare posto al deserto e noi siamo pericolosamente senza benzina e il condizionatore contribuisce ad aumentarne i consumi.

Finalmente dopo 20 minuti di percorrenzaarriviamo ad una uscita con area di servizio in cui riusciamo a rifornirci di carburante e ad approfittare del bagno, mentre tutti gli americani in sosta come noi e approfittano per mangiare (mangiano in continuazione).

Ripartiamo non certi di quanto ci avremmo messo per arrivare a Las Vegas, ma per fortuna dopo altri 20 minuti, l’ingorgo sembra risolversi a causa di lavori stradali e il nostro viaggio procede.

Ad un certo punto arriviamo nei pressi della diga di Hoover, ci sarebbe piaciuto visitarla ma sono le 18.00, un’ora in ritardo sulla tabella di marcia, e decidiamo di procedere verso LasVegase così oltrepassata la diga, dopo una curva ecco apparire in mezzo al deserto (ormai il paesaggio è solo deserto) “Sin city” in tutto il suo splendore. Per fortuna il navigatore ci guida senza intoppi al nostro bellissimo hotel, il “New york New york” (anche perché stà di nuovo guidando la sottoscritta).

Avevo letto su qualche diario di viaggio la raccomandazionedi arrivare davanti all’hotel organizzati con i bagagli in modo da non avere 1000 pezzettini sparsi in macchina, visto che appena arrivati davanti all’ingresso ti “sequestrano” l’ auto alla velocità della luce per condurla al garage sotterraneo senza piùpossibilità di vederla fino alla partenza.

Ci viene consegnato un biglietto con tanto di numero da chiamare giusto al momento del ritiro dell’auto; la cosa mi lascia un po’perplessa, ma anche in questo gli americani mi stupiranno, in quanto dopo la telefonata il giorno della partenza, ci consegneranno la nostra Chevrolet in 5 minuti netti….neanche fossi stata una vip con la sua limousine.

Che caldo che fa, un caldo molto secco rispetto all’Illinois e decisamente diverso rispetto ai 10ºC post grandine di questamattina.

Eccoci qui ad entrare nella hall del nostro hotel per fare il check-in con valigie al seguito, sporchi e stanchi, mentre centinaia di persone in abito elegante si aggirano alle slot machine situate in posizione strategica proprio al centro della hall.

Fatto il check-in con piantina alla mano ci dirigiamo agli ascensori e finalmente arriviamo in camera distrutti.

Dopo una doccia decidiamo di cenare subito visto che sono ormai le 19.30, e il ristorante italiano “Il fornaio” vicino al check-in fa giusto al caso nostro (quando siamo stanchi digeriamo solo cibo “nostrano”), e dopo 5 minuti di attesa ci viene assegnato un tavolo. Avevo letto su internet che è uno dei migliori ristoranti italiani di Las Vegas, in effetti il servizio è eccellente anche se noi mangiamo solo un antipasto della casa in due e due minestroni, più acque e due caffè (47,28$) ma la giornata ci ha stravolti e di più non riusciamo.

Non sufficientemente stanchi alle 21.00 usciamo per passare 4 ore (follia pura se ci ripenso) a camminare lungo la via principale detta la “Strip”. Veniamo catapultati in un altro mondo, fatto di luci sfavillanti, sbalorditivi effetti sonori e visivi, come il fascio di luce proiettato verso il cielo che sembra vedersi dallo spazio dell’hotel Luxor, la cui hall è una gigantesca piramide, oppure le torri merlate dell’Excalibur.

Camminiamo passando davanti ancheall’MGM, al MandarianOriental, al Planet Hollywood, arrivando al Bellagio, giusto in tempo per vedere l’ultimo spettacolo delle fontane danzati e i giochi d’acqua sul lago artificiale sul lago antistante l’hotel, che fino alle 24.00 tutte le sere ogni 15 minuti fa la gioia di migliaia di turisti.

Attraversiamo la strada per fotografare da vicino il Paris e la replica in scala della Torre Eiffel e torniamo indietro sempre più distrutti, passando vicino ai tanti “homeless” che nel frattempo stanno popolando le strade per la notte… l’altro amaro rovescio della medaglia della città che non dorme mai.

15 GIORNO: 30 luglio -Las Vegas 0 km

Che strano svegliarsi e sapere di trovarsi a Las Vegas, non capita tutti i giorni e dopo colazione fatta nella pasticceria del nostro hotel con tanto di caffè Starbucks, usciamo al caldo tremendo per ripercorrere la Strip. Dopo aver fotografato gli hotel vicino al nostro, cioè il Luxor, l’MGM e l’Excalibur, decidiamo di prendere il comodo pullman della linea urbana RTC (8€ per 24 ore di corse illimitate) la cui fermata è proprio davanti al nostro hotel per raggiungere la fine della Striperipercorrerla al ritorno in modo da non distruggerci i piedi nel fare avanti e indietro.

Dopo dieci minuti ci ritroviamo al fondo della Strip in corrispondenza, guarda caso, di un mega store con numerosi brand americani e quindi quale modo migliore di inaugurare la giornata a Las Vegas con un po’di sano shopping.

Dopo un’ora di shopping “contenuto”, in quanto tornare a piedi con tante borse è decisamente scomodo, riprendiamo la nostra passeggiata fotografando il Tresaure Island con il galeone dei pirati e il Mirage il cui tema sono la Polinesia e la sua arte, ed entrando in quest’ultimo per ritirare i biglietti dello spettacolo “Love” del Cirquedu Soleil che ho acquistato dall’Italia telefonando una sera a Las Vegas (114.40 $ in due)

Vi chiederete come sia stato possibile con l’era di internet dover telefonare per acquistare i biglietti, ma il motivo era che sul sito, ogni qualvolta abbiamo tentato l’acquisto, al momento di pagare con la carta di credito il sistema andava in errore e non c’era modo di riuscire.

La telefonata quindi è stata quasi obbligatoria per potervedere lo spettacolo (ho scoperto in seguito che non ho pagato neanche un euro di telefonata intercontinentale, in quanto quest’ultime sono comprese nel mio piano tariffario), ma non è stato facile capire la telefonata, dato lo sleng americano che al telefono è decisamente peggiore, e per di più con un audio che risentiva della distanza.

La prova che avevo capito qualcosa e fornitoi dati giusti è stata la mail che abbiamo ricevuto con i ticket cartacei e poi i biglietti che abbiamo trovato a nostro nome al desk del Mirage.

Usciti dall’ hotel pienamente soddisfatti abbiamo continuato la nostra passeggiata davanti al bellissimo Venetian con tanto di canali veneziani e gondolieri, al Cesar Palace con il suo sfavillante centro commerciale e a tanti altri.

Siamo entrati e usciti da quasi tutti gli hotel, che spesso sono collegati tra loro da passaggi interni che permettono addirittura di percorrerli senza uscirne fuori.

Unica nota dolente di questo entrare e uscire continuamente è l’enorme sbalzo termico: dentro 15ºC fuori i 40ºC del deserto, occorre coprirsi e svestirsi in continuazione per non prendersi un accidenti. Dato il caldo abbiamo optato per pranzo per un gelato fresco che abbiamo dovuto ingoiare alla velocità della luce, data la velocità in cui si scioglieva.

A Las Vegas va molto di moda la formula “all can youeat”, cioè per una certa cifra valida 24 ore si può mangiare quanto si vuole e a tutte le ore nei migliori buffet della città. Fossimo rimasti due o tre giorni, l’avremmo utilizzata, ma dato un solo giorno intero a disposizione, visto il ritardo di ieri, non avevamo molto tempo da spendere nei vari buffet.

Troppo accaldati facciamo ritorno in hotel a metà pomeriggio con la voglia di provare la piscina dell’hotel, unita alla necessità di far asciugare al sole le nostre povere nike reduci della grandinata di ieri nel Gran Canyon.

Dopo un paio d’ore di relax e una doccia, indosso il mio vestito rossoe i sandali con il tacco portati dall’Italia pronta per la cena e per lo spettacolo al Mirage.

Per la cena optiamo di nuovo per il ristorante italiano del nostro hotel, così ceniamo con calma alle 19.30, senza dover perdere tempo dato che lo spettacolo inizia alle 21.30 con l’obbligo di arrivare mezz’ora prima.

Dopo una cena decisamente squisita, riprendiamo il pullman del mattino e in dieci minuti arriviamo davanti al Mirage, giusto alle 21.00, quindi in orario. Dopo una coda di dieci minuti entriamo nel teatro e ci accomodiamo quasi nelle prime file; ho scelto decisamente degli ottimi posti (Section 205, row N, seat 12-13) e dopo 15 minuti iniziano due ore indimenticabili di musiche dei Beatles con coreografie e acrobazie che lasciano senza fiato. Al termine dello spettacolo siamo senza parole, contenti di aver acquistato i biglietti nonostante il prezzo, certi che una esperienza del genere non la dimenticheremo in fretta. Dopo qualche foto in notturna degli hotel di questa zona (ieri sera non siamo arrivati fin qui per la stanchezza), riprendiamo il pullman che ci riporta in albergo per la nostra ultima notte a Las Vegas con la voglia di ritornare per dedicarci un po’ al “peccato” del gioco d’azzardo che tanto la contraddistingue.

15 GIORNO: 30luglio –Las VegasLos Angeles 453km, “The end”

Eccoci qui all’ultimo giorno on the road, ma per fortuna non ancora l’ultimo della vacanza.

Sveglia presto e dopo colazione recuperiamo la nostra auto, che come avevo già accennato prima, ci viene consegnata in soli 5 minuti.

Partiamo e ci fermiamo quasi subito per fare la foto di rito vicino al famoso cartello d’ingresso in Las Vegas che riporta la scritta “Welcome to fabulous Las Vegas”, mentre sul retro, e quindi in uscita, “Drive carefully, come back soon”. Una volta il cartello era situato in centro strada, rendendo molto pericoloso la sosta per i turisti cocciuti, che pur di non perdere la possibilità di una foto, rischiavano la vita. Ma ovviamente, gli americani hanno trovato il modo di costruire un’isola pedonale tuttaintorno, con tanto di parcheggio e di figuranti alla Elvis che scattano fotografie ai, e con i turisti.

Ultima tappa prima di riprendere il viaggio è la prima e minuscola “WeddingChapel” costruita a Las Vegas, meglio nota come “Gracelandchapel” in onore di Elvis, e la fortuna ha volutoche arrivando lì davanti trovassimouna coppia che stava per entrare a sposarsi accolta dall’officiante vestito da Elvis Presley; un po’ kitsch, ma sempre simpatico da vedere.

Lasciamo finalmente, la città di Las Vegas e percorriamo il desertico Nevada senza passare dalla Valle della Morte, fino ad entrare in California per fermarci a ” Calicoghosttown”, una delle città western fantasma, ormai abbandonate, ma diventate una meta di turisti.

Anche se si paga per entrare, decidiamo lo stesso di fare una visita e dopo una passeggiata di circa un’oretta, non ne possiamo più del caldo e ripartiamo alla volta dell’outlet Bastrow dove ci fermeremo un paio d’ore per fare acquisti di noti brand americani a prezzo decisamente più vantaggioso che da noi.

Sempre più stanchi entriamo a metà pomeriggio nella trafficata Los Angeles. Che impressione, l’autostrada d’ingresso a 4 corsie per senso di marcia! Ha una densità di traffico incredibile. Decidiamo di recarci subito al nostro hotel (Hotel Best Western Plus gateway Hotel) per posare i bagagli e per fare una doccia.

Verso le 17.30 usciamo per dirigerci versoVenice beach, la spiaggia di Santa Monica dove ci verranno le lacrime agli occhi nel vedere il cartello “Route 66- end of trail”…….ce l’abbiamo fatta, abbiamo attraversato l’America senza imprevisti, sani e salvi e ora siamopronti con in mano un foglio improvvisato a cartello con su scritto “5028 km – the end”, per farci fare la tanto desiderata foto.

Guardiamo il tramonto facendo una passeggiata insieme ad altre centinaia di persone e godendoci il meraviglioso clima della California: non potevamo che chiudere in bellezza il nostro meraviglioso viaggio on the road.

16 GIORNO: 31 luglio – Los Angeles 0 km

Ieri sera di ritorno dalla cena nel ristorante italiano “La vecchia cucina” (un antipasto in due, un linguine alla zingara, un penne al salmone, con una birra e un caffè a 57,254), troviamo una brochure nella hall del nostro hotel di un tour organizzato della Amazin L.A per scoprire in un giorno intero i luoghi più caratteristici di Los Angeles.

Anche se il costo è stato di 85$ a testa, abbiamo deciso di approfittarne e nonostante fossero le 22 di sera, i proprietari dell’hotel non hanno esitato a riservarci due posti. Così oggi ce la siamo presa con calma, con sveglia alle 8.15 per partire alle 9 con un pullman direttamente dal nostro hotel e senza la fatica di guidare nel traffico dalla volta di Los Angeles.

Il tragitto è stato molto interessante e la nostra guida molto simpatica ci ha allietato sia con notizie storiche della città sia sui vari gossip degli attori di Hollywood.

La prima tappa con sosta di un’ora è stato il famoso Rodeo Drive in Beverly hills, che meraviglia i negozi e che emozione vedere il famoso hotel “Regent Beverly Wilshire” con le tende da sole gialle e location del film Pretty woman. La nostra seconda tappa di un’ora e mezza che ci ha consentito anche la sosta per il pranzo è stato il Grauman’sChinese Theater, l’antico teatro con l’ingresso a forma di pagoda cinese, dove fino a qualche anno fa consegnavano a fine febbraio gli oscar del cinema, oggi sostituito dal moderno Dolby theatre poco più avanti. Di fronte ai due teatri si trova la famosa Walk of fame, la via delle stelle che percorre l’isolato per 3 km, disseminata di stelle conquistate dai personaggi famosi del cinema, della musica e della televisione americana. Ovviamente ci sono migliaia di persone, soprattutto davanti al Grauman’s, in quanto per terra sono impresse le orme delle mani e dei piedi dei personaggi famosi e riuscire a fare una foto senza i turisti sopra è veramente un’impresa. Poco dopo il Dolby theatre si trova un bel centro commerciale, famoso soprattutto perché dalla scala mobile che porta al secondo piano si ha la possibilità di vedere la collina con la famosa scritta Hollywood.

La nostra gita volge al termine con la sosta in Mullholland Drive, cioè il piazzale che permette di fotografare da vicino la collina con la scritta Hollywood e ammirare le fantastiche case dei divi di Hollywood situate alla base di essa con vista sulla baia di Los Angeles.

La navetta ci riporta alle 15.00 nel nostro hotel, ma ripresa l’auto ci dirigiamo a Beverly Hills per fare un giro con tanto di cartina alla mano e scoprire le case dei divi. Non perdete tempo, tanto le case sono tutte inaccessibili, sfruttano posizioni strategiche sulle colline per essere giustamente il più possibile nascoste e spesso con tanto di telecamere nei vialetti d’accesso a proteggere la privacy.

Il tour fai da te anche se non ha fruttato un granché è stato comunque interessante per quello che siamo riusciti a vedere e dopo un giro anche a Bel Air facciamo sosta in un centro commerciale per gli ultimi acquisti.

Per cena optiamo di nuovo per il ristorante di ieri sera a santa Monica, molto comodo in quanto lontano dal caos di Los Angeles e dai suoi folli prezzi e vicino al nostro hotel.

Dopo un’ottima cena concludiamo la nostra ultima serata in America al chiaro di luna di Venice beach.

17 GIORNO: 1 agosto – Los Angeles – Torino XXX Km

Ultimo giorno in America e non potevamo andarcene senza aver visitato uno degli Studios cinematografici. Dopo molte ricerche su internet abbiamo deciso di visitare gli studi della Warner Bros (90$ a testa), in quanto i gettonatissimi Universal, ci sembravano solo un enorme parco giochi ad un prezzo non proprio economico. Siamo rimasti indecisi fino all’ultimo, tant’è che il biglietto non l’abbiamo comprato on-line in Italia, ma una delle ultime sere prima di arrivare a Los Angeles e devo dire che l’ultima mattina si è rivelata una scelta azzeccata in quanto non ci siamo stancati eccessivamente, né abbiamo fatto le corse per visitare le cose all’ultimo minuto. Nonostante ciò, siamo partiti presto al mattino dall’hotel per paura di trovare molto traffico, tipico di Los Angeles lungo l’autostrada per andare agli Studios, con il risultato di essere ampiamente arrivati prima dell’orario prenotato. Varcato il cancello d’ingresso, siamo stati accolti da una signorina molto simpatica che per due ore ci ha portato in giro per gli Studios su di un trenino elettrico, mostrandoci i set cinematografici e svelandoci qualche trucco realizzato in film famosi. Il giro è stato carino, ma alla fine siamo stati un po’ delusi, non abbiamo visto girare nessun show televisivo, né tanto meno film, nessun personaggio famoso (non che ci aspettassimo di incontrare chissà chi), e quindi girare per capannoni alla fine ci ha fatto rendere conto di quanto i bellissimi film che custodiamo nel cuore, pieni di ricordi della nostra vita, sono in realtà una finzione. Molto emozionanteè statovedere la panchina di Forrest Gump o le immagini di Colazione da Tiffany, film cult prodotti dalla Paramount.

In tarda mattinata siamo ancora andati a fare una passeggiata a Santa Monica e devo dire che il clima della California è veramente il miglior clima di tutto il viaggio. Per il pranzo non potevamo non concludere con un pic-nic consumato nella camera dell’albergo, che abbiamo mantenuto fino a tardi nel pomeriggio pagando un late check-out, molto comodo perché permette di fare tutto con calma, doccia e riposo compreso, prima di partire con la macchina per l’ultimo viaggio verso l’aeroporto per prendere alle 21.00 di sera il primo volo aereo che ci riporterà a casa.

Consegnare l’auto mi ha fatto venire le lacrime agli occhi: 9 Stati, 3 fusi orari, 5028 km di strada che ci hanno portato alla scoperta di un paese incredibile fatto di paesaggi immensi, di gente meravigliosa e decisamente “in carne”, di ricordi che porteremo nel cuore per tutta la vita, felici di poter dire anche noi “gety our kicks on route 66”.



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