La Roma che non ti aspetti 2

Breve soggiorno a Roma, nel quale, come nostro solito, ci siamo allontanati dai più battuti percorsi turistici per andare alla scoperta di una capitale, non molto conosciuta ma comunque bellissima e affascinante.
Scritto da: babag
la roma che non ti aspetti 2
Partenza il: 12/07/2013
Ritorno il: 14/07/2013
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €
Proprio come un anno fa siamo ritornati a Roma, e proprio come un anno fa è stato un tour alternativo: nessuno dei luoghi più famosi e conosciuti, ma un viaggio (sempre con la guida di Lodoli in tasca) nelle isole più nascoste e a volte preziose della nostra bella capitale, una caccia al tesoro degli angoli di bellezza che sono fuori dai classici circuiti turistici, e ancora una volta è stata: la Roma che non ti aspetti.

Appena terminato il pranzo ci dirigiamo verso Palazzo Spada per ammirare la prospettiva del Borromini. Non siamo i primi, una famiglia ci ha preceduto e aspetta l’apertura davanti al gabbiotto dei biglietti. Il bambino, avrà sette, otto anni si lamenta con papà e mamma: poverino lo immagino trascinato su e giù per la capitale, passare dal Colosseo ai Fori senza un attimo di tregua. Ora davanti all’idea di un altro tour, per lui massacrante, stile musei vaticani, giustamente punta i piedi. Noi, come probabilmente i suoi genitori, e le altre persone che ora si sono aggiunte alla fila, abbiamo letto le guide e sappiamo già cosa ci aspetta. Noi aspettiamo di goderci lo spettacolo, lui invece è allo scuro di tutto. Pagato il biglietto, una guida ci accompagna all’ingresso di un colonnato che a occhio diresti di circa trenta, quaranta metri. Noi siamo di fronte, lei gli dà le spalle: al termine della corsia si vede una statua che immagini di proporzioni notevoli. Ma basta che la gentile hostess improvvisamente faccia sei, sette passi a ritroso per svelare il trucco: il corridoio è in realtà lungo solo una decina di metri, la scultura al suo termine, zoccolo compreso è alta meno di un uomo. L’effetto è ottenuto mediante un sofisticato studio di digradazione dell’altezza delle colonne e il loro progressivo ravvicinamento. Il lungo porticato ammirato qualche minuto prima quindi non esiste in realtà, è solo negl’occhi di chi guarda. Questa che subito ci sembra un qualcosa a metà tra opera architettonica e gioco di prestigio, deve però farci riflettere sulle profonde conoscenze scientifiche che appartenevano al Barocco romano, alle raffinate capacità di calcolo che hanno distinto gli artisti di quel periodo; talento certo, ma anche studio e ricerca quindi. Tra un itinerario della Roma imperiale e quella cristiana una tappa per vedere questa ingegnosa opera del rinascimento italiano ci sta proprio bene, noi ve la consigliamo vivamente. Non perdetela anche se vi costa una scarpinata rispetto l’itinerario che avevate prefissato, o addirittura se vi obbliga a un giorno in più d’albergo, ne sarà valso davvero la spesa. L’espressione basita del bambino di fianco a noi, quella non ha prezzo.

Oggi visita al museo Etrusco per lasciarci solo per un istante alle spalle la Roma capitale del grande impero, centro della cristianità e del cattolicesimo per tuffarci nell’antica Grecia. Qui troviamo un vaso a figure rosse e nere che a dire il vero sarebbe più giusto definire quadro o affresco. Si tratta di quella che probabilmente è la più famosa rappresentazione al mondo di Achille. Quando parliamo del più grande dei principi Achei inevitabilmente lo associamo al suo eterno rivale e alter ego troiano. Diversamente se il primo pensiero non cade su Ettore e quindi non su una scena di battaglia, allora lo immaginiamo chiuso nella sua tenda a consumarsi per la rabbia nei confronti di Agamennone, oppure struggersi di passione abbracciato alla sua Briseide. In questo cratere invece lo troviamo in tutt’altre faccende affaccendato. Qui, il piè veloce è impegnato in una partita a petteia, una sorta di antica dama. Insomma sta giocando. Nessuna impresa epica quindi, nessun duello all’ultimo sangue, nessuna grande travolgente passione sembra tormentarlo al momento. Semplicemente si passa il tempo con un compagno d’avventure, Aiace, altro eroe destinato a distinguersi per lealtà e coraggio sotto le mura di Ilio. Detta così sembra lo scatto di un momento felice, sereno e invece a ben vedere la scena trasmette una infinita inquietudine . I protagonisti hanno la mano destra sulla scacchiera sì, ma con la sinistra impugnano saldamente le lance: l’idea di trovarsi al centro di un folle, infinito conflitto è presente ugualmente ed è più forte che mai tanto che nessuno dei due può abbandonare le proprie armi nemmeno un istante. La prossima battaglia è già alle porte e di lì a breve Achille tornerà a indossare quell’elmo che adesso tiene solo appoggiato sulla testa. Anche la guerra inesorabile gioca la propria partita. Nessuno dei due lascerà la piana di Troia.

La visita alla chiesa di Santa Maria degli Angeli, in piazza della Repubblica, era una di quelle che maggiormente ci incuriosiva. Appena entrati scopriamo un interno imponente, ricco, finemente decorato e tra i più luminosi in assoluto di tutta Roma. Ma credo che a questo punto voi attendiate già il colpo di scena. Non vi deluderemo! Se una volta dentro l’edificio distoglierete lo sguardo dalle policromie dei marmi e dai dipinti, e lo rivolgerete sulle altre persone che come voi affollano la basilica, noterete in un ala, con sorpresa, gruppi di turisti aggirarsi stranamente a capo chino. Di solito le grandi chiese romane vengono visitate naso all’insù per ammirare volte e cupole. Allora cosa stanno facendo questi pseudo cercatori di funghi? Il mistero ve lo sveliamo noi! Stanno cercando di dare un senso a una piccola macchia di sole spiaccicata sul pavimento. Santa Maria degli Angeli ospita infatti una gigantesca meridiana. Difficile tentare di descriverla, potremmo sintetizzare dicendo che si tratta di una vera opera d’arte. Ma il bello deve ancora venire. Se vi avvicinerete e tenderete l’orecchio potrete sentirne di ogni: tentativi buttati là, senza alcun pudore, in tutti i dialetti d’Italia, e anche in lingue straniere, da chi proprio non ci sta ad ammettere che è indecifrabile. Nel giro di pochi passi si va dalle nove e un quarto del mattino precise a mezzogiorno meno venti circa. L’apocalittico sistema di calcolo che sta alla base di questo enorme orologio, ha il merito di ridimensionare drasticamente il nostro ego e metterci impietosamente davanti al fatto che anche noi siamo figli del tempo in cui viviamo: siamo dei maghi con le nuove tecnologie, facciamo miracoli con i nostri smart phone e tablet, ma di fronte a un sistema di misurazione del tempo basato su un raggio di sole che scorre su un pavimento di travertino, concepito e realizzato più di tre secoli fa, ci incartiamo e dobbiamo alzare bandiera bianca. Così da un lato ammiriamo l’arte di quest’opera, dall’atro la tecnica. Una volta usciti riaccendo il telefonino che ho educatamente spento, trovandomi in un luogo di culto, per guardare se durante la visita qualcuno mi ha cercato; con questa scusa lancio un’occhiata al display, così finalmente capirò che cavolo di ore sono!

Se provaste a chiedere a un abitante della capitale, o anche a un turista ben informato dove si trova la chiesa di San Paolo, probabilmente vi indicherà la basilica intitolata al santo che si trova fuori le mura. Noi invece, sempre a caccia del meno conosciuto, siamo andati a scoprire una piccola gemma, apparentemente anonima, fuori dai principali circuiti turistici: la chiesa anglicana di San Paolo dentro le mura. Da fuori non sembra essere niente di particolare, ma come spesso accade a Roma, fermarsi alla prima impressione può essere un grave errore. Una volta entrati siamo subito assaliti dalla sensazione che il capitano Kirk abbia sbagliato a premere un pulsante e che ci abbia erroneamente teletrasportati in una chiesetta scozzese o del Galles. Lo stile è inconfondibilmente anglosassone: basta abbandonarsi un po’ alla fantasia ed ecco scoprire che il pretino che parla inglese di fianco a noi altri non è che padre Brown, il sacerdote investigatore dei romanzi di Chesterton. Dopo che vi siete goduti ben bene l’atmosfera concentriamoci sulla ragione principale della visita: gli splendidi mosaici che decorano le volte dietro l’altare. Queste opere devono essere ammirate sia per la loro bellezza che per la loro audacia: qui infatti l’artista si è spinto là dove nessuno aveva mai osato in precedenza (e adire la verità in pochi in seguito). Il Dio che regge il mondo e tutto governa per la prima volta è rappresentato non come maschio: è una donna. Questa apertura mentale, tipica del nord Europa, può trovare ragione nel fatto che l’autore è appunto Sir Edward Burne Jones, uno dei maggiori esponenti tra preraffaelliti. La scuola preraffaellita nata in Inghilterra verso la metà del XIX secolo, ripropose la pittura antica come forma di protesta verso il materialismo della rivoluzione industriale; in seguito finì poi per subire l’influenze del rinascimento Italiano. Ma come un movimento culturale d’oltremanica influenzato da uno de Bel Paese? Eh sì perché quest’opera serve anche a ricordarci che c’è stato un periodo nel quale, dal punto di vista culturale e artistico, noi siamo stati il punto di riferimento per il vecchio continente e non solo. Siamo di fronte al moderno tema della fuga dei cervelli, una volta tanto al contrario però: una punta d’orgoglio ci sale nel petto e non guasta in tempi nei quali i nostri talenti sono costretti ad andare all’estero per esprimersi. All’epoca se si voleva accrescere il proprio patrimonio di esperienze e apprendere dai grandi maestri, bisognava fare su armi e bagagli e venire in Italia: a Firenze, a Siena, a Pisa, a Venezia, come ha fatto il buon Edward, che poi all’ombra del cupolone ha lasciato il suo lavoro più rappresentativo. Un inglese a Roma, verrebbe da dire tanto per storpiare il titolo del film di un immortale della comicità capitolina. Usciamo in Via Nazionale e ad attenderci c’è una spessa coltre di nubi plumbee: sarà un caso ma mentre andiamo verso la nostra nuova meta, un cielo molto british ci accompagna.

Un tour davvero alternativo? Animali a Roma. Come studenti un po’ svogliati cominciamo con una pausa per un caffè in piazza Sant’Eustachio. Una volta fatto diamo un’occhiata alla facciata della chiesa antistante: è sormontata da una enorme testa di cervo e tra le grandi corna, incastonata vi è una croce. La scultura ricorda l’episodio che portò alla conversione il comandante delle truppe di Traiano che appunto durante una battuta di caccia ebbe questa visione. Una volta di notte in una piccola strada tra le mie montagne mi si è parato davanti ai fari un grande esemplare, del tutto simile a quello qui rappresentato; non riesco proprio a capire chi possa trovare gusto e divertimento a sparare a un simile spettacolo della natura. Lo ricordo così bello che, pur non essendo religioso, capisco invece come Eustachio, possa aver trovato in quell’esperienza lo spunto per la propria fede. L’imperatore ordinò che il santo fosse fatto sbranare ma le belve non lo toccarono nemmeno. Così visto che non era riuscito con animali veri, Traiano lo fece giustiziare, scaraventandolo in un contenitore di metallo fuso a forma di toro: ricorse cioè a un animale finto, perché la natura è sì selvaggia, si uccide senza pietà per sopravvivere, ma non si compiono crimini, quelli li commettiamo noi, gl’uni con gl’altri e spesso nei confronti loro, povere bestie che non hanno nessuna colpa se non quella di essersi trovati sulla nostra strada.

Di fronte alla chiesa di Santa Maria sopra Minerva abbiamo trovato una bellissima statua dedicata a un esemplare tipico della fauna capitolina. Un animale così romano che più romano non si può: un elefante. Sì avete letto bene un elefante. Dalle guerre puniche in poi infatti Roma ha fortemente intrecciato la sua storia all’altra sponda del mediterraneo e questo legame ce lo portiamo dietro anche oggi. Anche se non citata apertamente noi l’Africa ce la abbiamo addirittura nel nostro inno nazionale: ”Dell’elmo di Scipio s’è cinta la testa”. Scipione l’Africano appunto. Viene da sorridere a pensarci: gli antichi romani hanno persino avuto un imperatore magrebino nero, mentre noi oggi non facciamo altro che parlare di globalizzazione poi li chiamiamo extracomunitari.

Ultima tappa del nostro mini tour: Palazzo Grazioli. Andate all’angolo tra piazza del Collegio e via del Plebiscito e alzate lo sguardo: nessun angelo, santo o martire, ma una gatta. Si tratta di una statuetta, unica sopravvissuta alla distruzione del tempio di Iside e Serapide, divinità egizie. È una piccola icona che ci ricorda però un tempo nel quale la tolleranza era la quotidianità a Roma; un promemoria di marmo che faremmo bene a non dimenticare. Nessuno sa come sia finita lì in cima, è un mistero; verrebbe da pensare che dopo secoli passati tra le follie umane abbia deciso di andarci lei stessa. Oggi viene considerata la protettrice di tutti i gatti senza casa della capitale; passano le giornate tirando la cinghia ma cercano anche di godersi la vita per quanto possibile, incuranti dei giochi di potere dei palazzi romani,e in questo ci assomigliano tremendamente. Così restiamo ancora un minuto qui ad ammirare la micia sperando che lanci il suo sguardo benevolo anche su di noi, oltre che su Romeo e tutti gli altri gatti del Colosseo.

C’è un itinerario che abbiamo fatto, che vi proponiamo e che si può fare solo a Roma. Coinvolge quelle che in altre città sono elementi di contorno, di abbellimento di piazze o palazzi e che qui, solo qui nella nostra capitale si ergono e vere protagoniste architettoniche: sono le fontane. Ce n’è per ogni gusto: si va dal dimenticato nasone di ghisa che sgocciola malinconico all’angolo di una strada, alla cinematografica, strafamosa, super fotografata fontana di Trevi. Mostrano il legame indissolubile tra la città eterna e l’acqua, come tra Londra e la nebbia ci verrebbe da dire. Potete studiarvi un percorso o magari divertivi a imbattervi in queste vere e proprie opere d’arte mentre state passando da un museo all’altro, da una chiesa all’altra. Tra le tante vi consigliamo la grottesca fontana del facchino, che qualcuno addirittura attribuì a Michelangelo in via Lata. Vi invitiamo a fare due passi in Via delle quattro fontane e il perché è ovvio. Ma qualsiasi tour scegliate concludetelo in Piazza San Salvatore in Lauro. Qui collocata nel muro della chiesa, a circa trenta centimetri da terra abbiamo trovato un piccolo leone di marmo che zampilla acqua dalla bocca; sembra incredibile da dire ma è una fontana per cani, con ogni probabilità l’unica al mondo. Ci ha toccato il cuore che una città come Roma abbia dedicato un po’ del suo preziosissimo spazio per frenare la sete di quei simpatici randagioni che scorrazzano su e giù per le sue strade sempre a caccia di una polpetta o di una carezza. In un mondo strangolato dall’egoismo qualcuno ha pensato ai nostri amici senza cuccia e senza ciotola. Alla luce di questo pensiero anche questa modesta opera vi sembrerà di una bellezza disarmante. Un angolo della città eterna dove si concentra un pozzo di poesia. Certo non vogliamo fare paragoni improponibili, lo sappiamo anche noi che se la mitica Anita fosse venuta qui a sciacquarsi i piedi gridando: ”Marcello, Marcello” l’effetto non sarebbe stato lo stesso, ma questo piccolo zampillo, credeteci, alimenta un mare di civiltà.

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La meridiana di S.Maria degli angeli

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Il cervo di Sant'Eustacchio

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S.Paolo entro le mura

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La fontana per cani

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i due TPC a Roma

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L'elefante di Santa Maria sopra Minerva

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La gatta di Palazzo Grazioli



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