Il mio viaggio a Porto

Nell'itinerario portoghese on the road, la magica Porto
Scritto da: CHINTYA S.
il mio viaggio a porto
Partenza il: 31/05/2017
Ritorno il: 04/06/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 500 €

Il mio viaggio a Porto

Mentre al Marconi attendevo trepidante il volo, già pregustavo l’idea di arrivare a Lisbona, quasi scordandomi che la prima tappa del nostro itinerario portoghese sarebbe stata Porto. E fu sorprendente come tale città riuscì ad invadermi completamente, accarezzando ogni mio senso, facendomi balzare avanti ed indietro nel tempo, dalla mia fanciullezza ed un futuro ancora invissuto. Arrivati nel tardo pomeriggio, abbandonati i bagagli, fu inevitabile farci condurre dal profumo di pesce grigliato che soffice ed umido riempiva l’aria inerpicandosi attraverso le vie e scivolando sino alla riva del Douro, danzando con il borbottare dei tram colmi di turisti agitati e di portoghesi annoiati, rimestandosi in vortici capricciosi col dolce Fado effuso in ogni angolo.

Una volta cenato, a stomaco pieno, attraverso le ripide viuzze, scendemmo sino al famoso quartiere Ribeira. Qui, prima ancora di essere rapiti dalla moltitudine di locali e ristorantini arroccati sulla collina a strapiombo sul fiume ed incoronati da altrettante palazzine incastonate l’una accanto all’altra in guizzanti pennellate pastello, ci incantammo di fronte l’imponente ponte di ferro Dom Luis I, completamente illuminato, che collega Ribeira a Vila Nova de Gaia. Intorno a noi tutto era frizzante: l’aria fresca dell’Oceano, le persone in festa sul lungofiume, un pianista, due bicchieri di Porto, le insegne luminose delle aziende vinicole sulla riva opposta, file di pedoni brulicanti sul ponte…e noi, da tutto questo, ci lasciammo inebriare.

Il secondo giorno lo dedicammo alla città. La mattina, entrammo in un bar a pochi passi dal nostro hotel di via Sao Bento, che, ancora non lo sapevamo, sarebbe diventata la nostra prima tappa di ogni giornata. Le vetrate erano appannate e dall’esterno non prometteva nulla di buono, ma avevamo fame e bisogno di caffeina e l’aroma di dolci appena sfornati ci convinse. Ed in effetti ci accolse una lunga vetrina di fette di torta, pagnotte dolci e salate, pasticcini e croissant. Vicino alla cassa due grossi barattoloni di vetro pieni di caramelle colorate di tutte le qualità. Non caramelle di qualche marca prestigiosa come si vede in qualche bar italiano che tenta uno stile vintage-chic. No. Semplici bonbon di qualsiasi gusto a portata delle nonne che viziano i loro nipoti. Il locale era pieno di portoghesi e tutti si conoscevano e si scambiavano sonnolenti Bon Dia, e – lo capimmo solo in seguito -, gli avventori erano ogni giorno gli stessi, ognuno seduto al solito posto, come una grande famiglia che si ritrova prima di dare inizio alla giornata. L’atmosfera era genuina amichevole e profumata. Nessuno parlava inglese ma tutti si prodigavano ad aiutarci con l’ordinazione che, devo dire, non era cosa semplice: la varietà di prelibatezze era tale da indurci a chiedere gli ingredienti di tutto. Ben presto comunque assaggiammo praticamente tutto – agevolati anche da prezzi a dir poco modesti – e nulla ci deluse.

Ancora una volta rifocillati, per sfruttare la pendenza a nostro vantaggio, con la metro, arrivammo a Trindade, la zona più alta della città per poi discendere a piedi senza fretta e con la sola intenzione di sfamare i nostri occhi. Porto è un dedalo di vie e strade che cascano dalle colline sino al Douro, il fiume che la domina la insegue la rincorre la separa e la unisce, tra svettanti palazzi colorati interrotti improvvisamente da imponenti chiese lucide nel loro manto azzurro blu bianco. Da meticolosi turisti, visitammo il municipio dove svetta la statua equestre, Avenida dos Aliados, Praca da Libertade, la storica stazione di Sao Bento, la Torre dos Clerigos, il negozio di infinite scatolette di sardine, il Palacio da Bolsa, e l’ex carcere Antigua Caldeira da Relacao, ora museo fotografico.

Quasi per caso ci imbattemmo nel Mercado do Bolhao dove ci attendeva la Porto più autentica. Un bazar di traballanti bancarelle che proponevano miriadi di calamite di ceramica colorata, braccialetti e borsette di sughero, bottiglie di Porto, piccoli azulejos, preziose miniature delle scene decoranti le immense pareti di chiese e stazioni. E poi frutta e verdura, pesce, carne e formaggi, pane e dolci, disordinati ammassati malamente esposti su tavolini o cassettine di legno grezzo, palpeggiati dai mercanti portoghesi nello riempire le borse della spesa parlottando vivacemente con i clienti. Zigzagando tra una bancherella e l’altra, attratti dalla dolce fragranza di pesce arrostito, arrivammo in fondo al mercato all’entrata di un locale decisamente spartano: un lungo bancone con clienti solitari che mangiavano la loro pietanza, subito dietro, la cucina a vista, fumante ed in fermento, posta proprio di fronte a due sporchi lavandini per le mani in prossimità dell’entrata dei bagni. Fuori, una decina di tavolini disordinati incastrati in qualche modo uno accanto all’altro, ove pranzano animatamente portoghesi in pausa-pranzo dal lavoro. C’erano gli operai in tute sgualcite accanto a banchieri in giacca e cravatta. Pochi turisti. Noi.

Per l’ennesima volta sembrava tutto invitante. Il cameriere nella sua frettolosa gentilezza, ci propose di assaggiare il loro tipico risotto al pomodoro. In effetti lo trovammo troppo “acquoso” e lui lo riportò in cucina. Certamente non lo buttò. Poco male. Optammo per sardine grigliate servite su un’insalata fresca che si scioglievano in bocca.

Il pomeriggio non ci restò che prendere lo storico tram 1, “l’Eletrico” che ci mostrò Porto serpeggiando lungo la riva del Douro sino all’Atlantico. Attraverso i finestrini borbottanti scorrevano palazzine colorate stagliate sulle colline a picco sul fiume, maioliche scene azzurre sullo sfondo bianco, gruppetti di anziani raccolti sul ciglio della strada intenti al gioco delle carte, cantieri in costruzione, edifici fatiscenti resi opere d’arte dagli allegorici ed imponenti murales.

Giunti alla foce del fiume, con l’autobus rientrammo in centro e ci concedemmo la loro tipica francesinha: un tostone farcito di tutto. Ero diffidente, ma dovetti ricredermi: ancora una volta, squisito.

Non ancora stanchi, con la macchina, arrivammo a Vila Nova de Gaia sino al miradouro sospeso sul Douro. Davanti a noi si spalancò l’ardito arco del Dom Luis I, possente e vertiginoso nel suo scorrere regolare ed inesorabile di tiranti e travi, tagliati ferocemente dai raggi duri del sole ormai basso riflessi nelle flemmatiche acque sottostanti.

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