UN MESE IN PERU’…ANCORA UNA VOLTA..parte seconda

(...Continua dalla Parte Prima) UN MESE IN PERÙ...ANCORA UNA VOLTA (2004) - PARTE SECONDA g.serrau@tiscalinet.it – cell. 339.2503074 6° GIORNO AREQUIPA - COPORAQUE - COLCA CANION Altitudine: Percorrenza: Questa dovrebbe essere la giornata in cui si arriva al Colca. Ci si alza di buon ora (5,30) e si parte. Si attraversa la riserva...
Scritto da: Gabriele Serrau
un mese in peru'...ancora una volta..parte seconda
Partenza il: 29/07/2004
Ritorno il: 29/08/2004
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 2000 €
(…Continua dalla Parte Prima) UN MESE IN PERÙ…ANCORA UNA VOLTA (2004) – PARTE SECONDA g.serrau@tiscalinet.it – cell. 339.2503074 6° GIORNO AREQUIPA – COPORAQUE – COLCA CANION Altitudine: Percorrenza: Questa dovrebbe essere la giornata in cui si arriva al Colca. Ci si alza di buon ora (5,30) e si parte. Si attraversa la riserva naturale di Aguada Blanca y Salinas, dove si incontrano le Vigogne, gli Alpaca, i Lama, le Aquile (i primi tre sono camelidi delle Ande, le aquile invece sono aquile, quelle che volano!), tutti allo stato brado, e spesso si scende per fare delle foto bellissime. Se scendete, fate attenzione perché si deve rimanere sulla strada e non andare nei prati, cercando di avvicinarsi alle bestiole. Rischiate che qualche guida un po’ troppo zelante denunci la vostra escursione non autorizzata al posto di polizia più vicino. A me lo hanno fatto quest’anno, ma credo soprattutto perché stavo viaggiando da solo con il mio bel pullmino verde speranza insieme a tanti miei amici…e le organizzazioni Arequipene, cioè le agenzie che accompagnano i gruppi, si sono fatte rodere che non gli abbiamo lasciato un soles e ci volevano fare un dispetto. Qui, come al Cusco, attorno ai turisti ed ai viaggi organizzati c’è una bella mafietta e chi viene da fuori senza lasciare il suo pedaggio alle agenzie del posto non è ben visto…ma a noi no ci frega niente, anzi, ci divertiamo a farli schiattare…mica è proprietà loro il Perù!!! Cavolo!!! L’importante è che, se viaggiate così come ho fatto io, da soli intendo, senza agenzia e guida, dovete assicurarvi di avere tutti i permessi. Ad esempio, se avete un pullmino con autista, dovete accertarvi che questo sia autorizzato e che abbia il permesso del ministero dei trasporti con sopra il numero di targa della vettura, perché senno possono farvi storie. Quando sarete certi di essere nel giusto, non recedete di fronte a nulla…;tanto nella maggior parte dei casi vogliono solo rompere le balle! Il viaggio fa spesso delle “vittime”, c’è gente che non riesce ad abituarsi alla rapida ascesa, si passa da 3.600 mt a 5.000 mt in un giorno e quindi comincia a svomitazzare a destra et a manca soprattutto perché non fa attenzione a mantenersi leggero la mattina a colazione, oppure si sdraia in preda ad attacchi di mal di testa tremendi. Una signora giapponese che stava con noi è stata due giorni con un giacchetto sulla faccia (meglio era pure brutta) ed un sacchetto nella mano per fare voi sapete cosa. Comunque sul pullman c’è l’ossigeno e si può respirarlo quanto e quando lo si vuole, tanto serve a poco, se ti becca il soroche te lo tieni per due giorni, puoi solo scendere di quota. Però l’ossigeno ti da delle belle botte! Si arriva dopo 5 ore di curve all’Hotel Mamayacchi, – eccetto una piccola pausa in barretto sulla strada al bivio di ****** dove si dovrebbe bere una botte di Mate de Coca, unico vero rimedio all’altura ed ai suoi inconvenienti. Lo Chalet in cui si dorme è situato in un paesino che si chiama Coporaque, dove l’unica macchina che conoscono è il pulmann dell’agenzia che ogni giorno scarica qualcuno. Il paesino ha una bella chiesetta coloniale e qualche rovina che diventa interessante se si azzecca la guida giusta. Io, ogni anno che passa, lo preferisco sempre di più rispetto a Chivay dove oramai si trova un affollamento che deprime il fascino di questo Canon. Insomma, non è bello venire fino a quassù per incontrare il cielo e trovarsi invece circondati da orde di tedeschi, Inglesi e Francesi che girano con i pantaloncini corti e le maniche di lana alla tirolese, non credete? A Coporaque, invece, non c’è quasi nulla di tutto questo, c’è solamente il Perù, quello vero! E’ la prima occasione dove si cominciano a vedere personaggi autenticamente perùani, con il poncho rosso acceso, i sandali fatti di caucciù, la pelle bruciata dal sole ed un odore terrificante addosso! Coporaque si trova a 7 Km da Chivay, dove l’escursione della Agencia Jardin fa tappa per il pranzo del primo (prima di arrivare alla sistemazione al Mamayacchi) e secondo giorno. Si mangia bene con 3 dollari, ma, ovviamente, se venite con me si mangia meglio e si spende meno (tacchete! Beccati pure questa). Poi si arriva in hotel, ci si riposa un paio d’ore a suon di te di foglie di coca per assuefarsi all’altitudine e poi chi ce la fa va a fare una visita alle acque termali di Chivay. Trattasi di bagno di sera a 3.600 mt e all’aperto in vasche termali pulitissime e affollate da gente di tutto il mondo. Una esperienza interessante e dove si socializza… molto facilmente…sarà per il freddo fuori e per il caldo dentro…L’ingresso che non è compreso nell’escursione costa 2 usd (ce lo potevano pure includere, ma i peruani spesso si perdono in un bicchier d’acqua!). Il posto è carino, però quest’anno ho scoperto che c’è una vasca solamente per i locali e che a questi non è permesso mischiarsi con noi…………BUUUUUUUUUU ….i turisti…e che modi sono? Mi hanno fatto un pochino girare le balle…e allora mi sono cercato un’altra stazione termale…L’ho trovata al Colca Lodge, un albergo super raffinato modello baite sparse a mo’ di bungalow sulle rive del colca river. Sicuramente più radical chic delle caleras di di Chiyay, però almeno non ha l’ipocrisia di essere popolare e poi invece separa il popolo dai turisti…e che siamo marziani noi! Oppure ci attaccano le malattie, loro…bho? Ste cose mi fanno incacchiare. Insomma, le terme del Colca Lodge sono davvero belle, sono formate da piccole vasche naturali delimitate da bordi che camminano, in un percorso ideale, al fianco del fiume. Sono circolari e ricavate dalla pietra del fiume e quando ti ci trovi dentro, il profilo dell’acqua calda si confonde con quello del fiume gelido, qualche metro più in la’…insomma, se ci arrivi quando c’è ancora un’oretta di sole allora passi davvero un bel pomeriggio…se ci arrivi troppo tardi, invece, non fai in tempo a godertelo, perché esci subito e te la fai sotto dal freddo. Rispetto alla caleras di Chivay si paga lo stesso prezzo ma è un pochino più difficile arrivarci. Si trova a qualche Km da Coporaque, allontanadosi dal paese verso la valle. Si ritorna in albergo con la pressione sotto le scarpe e si fa un’ottima cena, anch’essa non inclusa nel prezzo, e che si aggira sui 4/5 dollari, nella quale si può mangiare un filetto di alpaca con le pesche veramente eccezionale. La serata si trascorre nella lobby dove si beve Pisco di fronte al camino e si parla tutti in lingue diversissime, italiano, spagnolo, tedesco, francese. I clienti, generalmente, sono quasi tutti di una sola escursione e quindi si socializza molto in fretta e ci si diverte molto. Fuori fa molto freddo e quindi si rimane tutti “in casa”. Si va a letto presto – in reception ti danno la borsa dell’acqua calda per andare a dormire, che goduria!!! 7° giorno – COLCA CANION – CRUZ DEL CONDOR – AREQUIPA Altitudine: si sale sopra i 5000 mt Percorrenza: Ci si alza alle 4,30 del mattino perché si devono andare a vedere i CONDORES che volano sul Canion. Per arrivare alla Cruz del condor, si attraversano, sulla strada polverosa, un paesino che si chiama Yanque e uno che si chiama Maca, dove c’è una gran bella chiesa coloniale distrutta dal terremoto del 2000 e che stanno ristrutturando. Quest’anno, ho potuto vedere che i lavori sono quasi finiti e il risultato è davvero apprezzabile. Ci si ferma varie volte per ammirare le ANDENES, ovvero le terrazze de coltivo che venivano usate dagli Incas per coltivare sulle pareti scoscese delle montagne. Detto così sembra niente, ma i paesaggi sono impressionanti: ci sono decine di migliaia (forse esagero ma ci sta bene) di terrazze che scendono e salgono dalla montagna per oltre 70 Km, le loro forme sono ricavate dalla curve naturali del terreno ed il loro colore è una mescolanza di tutte le tonalità di verde che si possono immaginare; il risultato è una armoniosa visione di terra, cielo e fiume che si fondono e si snodano sinuosi fino a dove gli occhi possono spingersi…e anche oltre, nei luoghi della mente e dell’immaginario. Il tutto in un Canion alto molto spesso più alto di 1500 mt sul cui fondo corre il Rio Colca, il fiume che ha scavato la gola nella quale ci si muove e che, nel silenzio assoluto e rigido della mattina, fa spesso sentire la sua voce a chi lo guarda dall’alto della strada che scorre sulla cresta del Canion. Insomma, vi posso assicurare che, se trovandovi in questo quadro dipinto da Dio in uno dei suoi giorni di forma migliore, avete pure la fortuna di vedere sorgere il sole, allora davvero viene la voglia di mettersi seduti, comodi, a guardarne i raggi che sembrano delle potenti e gigantesche spade di luce lunghe 100 km che affettano la nebbia umida e trasparente che sale dal fondo e, storditi dall’infinito, ci si ritrova ad aspettare, aspettare ed aspettare………………fino a quando gli altri che sono con vo si arrabbiano e suonano con il pullman che deve ripartire! A me è successo così! Si arriva alla Cruz del Condor, un punto di osservazione dove si sta tutti radunati in religioso silenzio e, se si è fortunati, si vedono volare bestioni con tre metri di ali a 10 mt dalla testa che fanno un rumore come quello di un gigantesco flauto di pan e proiettano un ombra da pterodattilo preistorico. Sono così impressionanti che in certi momenti hai paura persino che allunghino le zampone e ti portino in alto con loro a volare sulle montagne innevate. Il mirador della Cruz del Condor è a davvero a strapiombo sul canion e se vuoi, ma sarebbe meglio dire “se ce la fai”, puoi stare seduto sul bordo roccioso con le gambe a penzoloni con 1.500 mt di aria sotto i pedi mentre cerchi di scattare foto ai benedetti condores. Un po’ di tempo fa, si narra, qualcuno un po’ disattento si è lasciato prendere dall’emozione del momento mistico e, udite udite, si è ritrovato a fare un bel volo in linea retta fino in fondo al fiume. Poveraccio. Quindi, fate attenzione a dove metete i piedi. Non siete proprio nel cortile di casa vostra. Adesso, alcuni piccoli consigli. Il primo anno che sono arrivato alla cruz, mi hanno detto di andare prestissimo (mi hanno fatto alzare dall’hotel alle 4.30) perché gli uccelloni, dicevano gli autoctoni e le guide, ci sono solo fino alle 8.30/9.00, visto che, dopo quell’ora, le correnti calde ed ascensionali che vengono dal mare, e che si infilano nel Canon sostenendo gli uccelloni, se ne vanno, e gli uccelloni pure, perchè sono pesanti e, dopo una certa ora, se non sono sostenuti dalle termiche (così si chiamano le correnti d’aria) gli fa fatica volare! Tornandoci diverse volte, invece, mi sono accorto che il motivo per il quale ci facevano alzare così presto dipendeva dal fatto che, diversamente, non si riusciva a fare tutto quanto quello che loro avrebbero voluto in giornata e le agenzie non avrebbero potuto, altrimenti, riportarci ad Arequipa in serata, chiudendo come avrebbero voluto, l’escursione. Il risultato, mi sono accorto quest’anno, è che se sei un pochino sfortunato, i condores, con questo tipo di organizzazione, non li vedi proprio (come è capitato a me una volta) perché, al contrario di quello che dicono loro, gli uccelloni si alzano maggiormente proprio dalle dieci di mattina in poi…ovvero quando le termiche acquistano maggior forza. E già, proprio così. Quest’anno, che stavo con il mio bel pullmino verde speranza, e quindi decidevo gli spostamenti come e quando mi pareva, ho fatto rimanere il mio gruppetto alla cruz del condor fino a quando, appunto, tutti sono andati via. Così, verso le dieci, dieci e mezza, quando i vari gruppetti da venti/trenta viaggiatori se ne sono andati perché correvano da qualche altra parte a non vedere, fare e capire niente, noi siamo rimasti li soli soletti e, puntualmente, gli uccelloni si sono alzati a decine, solo per noi. Ci hanno danzato davanti per più di un’ora, potenti, maestosi e regali, affettando l’aria con le ali più grandi che io abbia mai visto. Ci guardavano fieri e fermi, ogni volta che ci passavano davanti, a non più di cinque sei metri di distanza, mentre noi rimanevamo impietriti ed inebetiti sul ciglio dello strapiombo. Alla fine le nostre macchine fotografiche, e le nostre videocamere, erano sazie di uccelloni per circa un secolo, e le foto che sono scappate fuori sono degne di National Geographic. Un consiglio. Se andate alla Cruz del Condor, portatevi un 200 o un 400 (di obiettivo dico) e un rullino da 100 ASA. In questa maniera, se sarete bravi, riuscite a fotografargli pure i peli del naso….mentre se siete sfigati e gli uccelloni non saranno sono alzati, almeno potrete fotografarli mentre se ne stanno placidi ed appollaiati laggiù, sulle rocce, a qualche centinaio di metri distanti da voi. Comunque, dopo aver osservato i condores per un’oretta buona, si torna indietro e si passeggia sul ciglio del Canion, sempre stando attenti a non provare l’ebbrezza del volo in linea retta, mi raccomando. Si fa ritorno a Chivay per mangiare in un altro ristorantino a 5/6 Usd. Si ritorna all’albergo, si prendono baracca e burattini, e si ritorna, per le sei di sera, in albergo ad Arequipa, in città. Sul pullman per il ritorno chi non sviene dalla fatica vince una bambolina! La sera si esce e si va a mangiare all’Arequipay, un delizioso ristorantino che cucina un porcellino d’india (il cuy) eccezionale, basta non pensare che si sta mangiando, praticamente, un topone gigante! Si ritorna in albergo e si sviene, nuovamente, sul letto. Il giorno seguente, se si ha tempo, si può passare a fare shopping ad Arequipa dove si può acquistare dell’ottimo artigianato in tutti i negozietti che si incontrano. In particolare, ad Arequipa c’è un bel mercatino regionale che racchiude tutti i tipi di artigianato del Perù suddiviso per dipartimenti, ovvero per distretti provinciali. Questo mercatino c’è per tutto Agosto, mentre a Settembre la popolazione dei venditori scarseggia. Si può visitare poi la nuova cattedrale (inaugurata nel 2002), la bellissima e ristrutturata Plaza de Armas, ed infine si può andare da un tizio che vende dei prodotti di lana di alpaca che sono pregiatissimi e che costano fino a 10/15 volte di meno che in Italia. Per esempio, una mantella di lana di Baby Alpaca con uno scialle che qui costa 500 euro io l’ho pagato 60 dollari. Ma se non venite con me non vi dico come si chiama il Tizio e ne dove lo trovate. Zacchete!!! Per quanto riguarda i piatti che dovrete provare qui ad Arequipa…io vi consiglio questo: Rocoto relleno: un buonissimo, pesantissimo e piccantissimo peperone ripieno di carne che nella sua migliore forma si presenta coperto di una salsa de queso con tutt’attorno olive, aji e uova sode. Praticamente ci mettete una settimana a digerirlo a questa altitudine! Poi dovete mangiucchiare l’Adobo che è carne cotta a fuoco lento e macerata in vinagrette, condita con aji, chicha e comino…e poi il Chupe de Camarones, che sarebbe una zuppa di gamberoni buona e piccante che si prepara con arroz (il riso) latte, aji, vino, patate e altre cose che adesso non mi ricordo… 8° GIORNO, AREQUIPA – PUNO – LAGO TITICACA Altitudine: 3.850 mt slm Percorrenza – 297 km di strada asfaltata – 6 ore circa con i mezzi pubblici. Se si viaggia in pullman, si parte da Arequipa di sera tardi (è meglio), e si arriva a Puno la mattina del giorno dopo, prestissimo. Se invece si viaggia da soli, allora, è bello fare la strada anche di giorno, ma praticamente si impiega una mezza giornata o anche di più. Puno è risalente al 1668 ed è bagnata dalle gelide e intense acque del lago più famoso del mondo…il Titicaca. A Puno bisogna prendersela calma, ragazzi, siamo a 4.000 mt slm e si fa fatica pure allacciarsi le scarpe. Quindi, il primo giorno si va piano piano. Si può fare una bellissima passeggiata sui dei divertentissimi risciò a tre ruote, guidati da dei peruani cocciuti e stremati che trascinano questi pesanti trabiccoli, con i turisti sopra, su e giù per la città facendo degli sforzi immani per qualche dollaro. Aneddoto: una volta, io, vedendo il nostro risciò-man oramai sul punto del trapasso causa collasso cardiovascolare, ho deciso di far accomodare il tipo al mio posto e mi sono messo a pedalare scorazzandolo per le vie di Puno. Bhè, dopo cento metri avevo le gambe dure come il cemento, dopo 500 metri avevo assunto le sembianze di una prugna secca, e dopo un silometro ho abbandonato ogni velleità solidaristica e mi sono rimesso seduto al mio posto!!! Ubi maior, il risciò, cessat!!!! Comunque, Si può andare a visitare, sempre in risciò, la Nave Museo Yavari’, orgoglio della marina peruana di fine ottocento, ancorata all’embarcadero di Puno. E’ un vecchio battello a vapore con tre o quattro marinai d’equipaggio, di cui uno è donna, che fanno di tutto, dai motoristi alle guide turistiche, e spiegano con passione ed attenzione tutta l’odissea di questa nave arrivata a pezzi dall’Inghilterra fu, in seguito, ricostruita in 6 anni dopo che cinque ce ne vollero per trasportarla a dorso di mulo dalle coste del Perù sino a Puno. Si visita tutta la nave, compresa la sala motori dove si puà ammirare il più vecchio motore diesel del mondo con, 4 cilindri bellissimi e funzionante. La prima volta che l’ho visto, ho pensato alla macchina in cui rimane incastrato Charlie Chaplin in tempi moderni!!! Ora vi dico qualche cosa in più, visto che quest’anno, non potendo farne a meno, sono nuovamente tornato a trovare i miei amici marinai e mi sono preso un bel foglio di spiegazioni. Allora: la Yavarì, fu costruita per essere unna cannoniera, e avrebbe dovuto essere impiegata per controllare i confini sul Lago Titicaca. Ha una gemella, la Yapura, che attualmente è alla fonda sempre sul Titicaca, ed entrambe furono commissionate dal governo peruano, nel 1861, alla James Watt Foundry a Birmningam ed al Thames Ironworks and Shippbuilding. I peruani, già sapevano che avrebbero dovuto trasportare la nave a dorso di ciuco e, quindi, la ordinarono a pezzi…il risultato furono 2766 pezzi di nave da circa 120 Kg l’uno…tanto era il peso, infatti, che ogni somarello poteva, e doveva, trasportare. Entrambe le navi, a pezzi, furono imbarcate, su una terza nave, la Mayola, fino al porto di Arica, sulle coste pacifiche del Perù (porto che poi fu appunto perso nella guerra del pacifico a favore del Cile) e, poi, i pezzi furono inviati in treno fino a Tacna. Ci vollero solo sei anni, ma i somarelli alla fine ce la fecero. Nel 1870, poi, la Yavarì venne varata e l’anno dopo navigò per la prima volta. All’inizio, la Yavarì funzionava con una caldera…cioè con una caldaia, e il propellente era costituito da cacca di lama e alpaca. Si, una nave a cacca! La Yavarì era una nave che andava a cacca! Poi, però, i Perùani si accorsero, vivaddio, che forse era meglio cambiare carburante (anche perché già gli era toccato allargare la nave perché il motore consumava troppo!!!) e allora, nel 1914, si decisero a fare come tutte le genti cristiane e responsabili di questo mondo e misero in sala macchine un bel motore Bolinder…un gioello di tecnica primo ‘900 che ancora oggi funziona ed è uno spettacolo vederlo e sentirlo girare. Io ho avuto la fortuna di ammirarlo in funzione, e vi dico che è davvero spettacolare. Attualmente, il motore Bolinder montato sulla Yavarì e il più antico al mondo che possa funzionare. I miei gruppetti ce li porto sempre. Quest’anno purtroppo, quando sono passato io un pistone era fuori uso, e, pertanto, non abbiamo potuto godere lo spettacolo della macchina di Chaplin… Oggi, la Yavarì è gestita da una Associazione (www.yavari.org) presieduta da una Signora, Meriel Larken, che comprò la nave nel 1987 con l’obbiettivo di restaurarla e di riportarla a navigare dopo decenni di incuria, salvandola quindi da una morte sicura. Alla fine, dopo quasi trent’anni di lavoro serio ed appassionato, portato avanti da donne e uomini di un equipaggio che sembra formato da eroi di una favola per bambini, la Yavarì ha navigato di nuovo, finalmente, nel 1999 per una sola volta e, proprio quest’anno, si pensa possa tornare a lavorare come una nave da crociera per non più di venti passeggeri, che alloggeranno in cabine tipo ‘900, e io li invidio davvero!!! Forza Yavarì!!! La sera, dopo questa bella visita, si va a vedere il tramonto sul mirador all’ultimo piano del nuovo Hotel di proprietà di una splendida famigliola di miei amici (lo chiameranno el Miralago…peruviani, brava gente!) dove si gode una vista impareggiabile del lago Titicaca incendiato dal rosso del tramonto. Poi, si scende per prendere un the alla casa del Corregidor, un piccolo palazzetto spagnolo del 500/600 riattrezzato a centro culturale che ospita spesso delle mostre fotografiche e dispone di una piccola caffetteria. Si visita la bella piazza con la cattedrale, si cena su Calle Lima, preferibilmente all’Apu Salkantay (Jr. Lima 82) , un ristorantino che fa pure la pizza a legna (!) Quest’anno, devo dire, ho trovato Puno piena di vita e con localini a iosa…la notte, si va in hotel, pure perché qui, a oltre 4000 mt slm, di sera fa un freddo che la metà basta! HOTEL a PUNO La scelta dovrebbe cadere sull’Hostal Helena, pulito, con camere molto grandi, sicuro e non molto freddo; ha l’acqua calda, il televisore ed il telefono. Ancora deve acquisire quella patina di “usato”, visto che funziona da 4 anni. Comunque il prezzo è di 15 usd a persona per una doppia e di 12 per una tripla, o quadrupla, ma se si rimane di più si hanno degli sconti. E’ compresa la prima colazione, abbondante. Poi c’è l’Hostal Vyelena che è vicino al primo e offre servizi come il primo ma è più economico e meno accogliente, il costo è 9 usd per persona o camera, non ricordo. Un consiglio: a Puno non si deve alloggiare agli ultimi piani degli hostal perché non c’è abbastanza pressione per farci arrivare l’acqua corrente. Anche quest’anno ho chiesto di questo problema ai miei amici, e sembra proprio che non ci si possa fare nulla…quindi…camere ai piani bassi, oppure doccia fredda e pelle d’oca! Non sempre però. In più, quest’anno, ho notato e conosciuto l’Hotel El Lago, in Avenida El Sol n° 865. Ha una bella vista sul lago Titicaca…ma consideratelo una scelta di emergenza…se no riuscite a trovare accoglienza in un luogo che vi aggrada di più. A puno mangiatevi del pesce, il pescado, è ottima la trota (la trucha), eccezionale il pejerrey, e il ishpi. Anche la carne è molto buona qui. Io ci ho mangiato dell’ottima alpaca e dei cuy (i porcellini d’india) deliziosi… 9° GIORNO – ISLA TAQUILE – probabilmente la notte più alta della vosra vita. Altitudine: 4.150 mt slm Percorrenza – circa tre ore di barca Questo uno dei pernottamenti più duri ma, sicuramente, va incluso fra i più affascinanti. Per arrivare a Taquile si parte da Puno la mattina alle 7.20 e si pagano 20 soles, 6 euro, o giu di li, per andare e tornare. Il tragitto si fa su dei barconi a motore che sarebbero agevolmente superati in velocità da un’anatra zoppa con poca voglia di nuotare, e si arriva dopo 4 ore, se tutto va bene. Sono convinto che con un buon gommone il tutto si farebbe in 25/30 min. Ma tant’è, stai in Perù e ti devi adattare! Nel tragitto ci si ferma una mezzora sulle isole UROS, ovvero le isole galleggianti o flottanti, che si trovano sparse per la parte peruana del lago. In sostanza si tratta di grossi zatteroni di alcune migliaia di mtq fatte di TOTORA, una specie di canna di bambu’ galleggiante che resiste nell’acqua gelida del Titicaca per circa sei mesi e, poi, marcisce nel suo strato inferiore e deve essere sostituita da altre canne, nello strato superiore, per mantenere uno spessore di circa 6 mt sotto il livello del lago, altrimenti l’isolotto affonda. Le isole sono simpatiche, piene di abitanti che vivono solo di quello che vendono ai turisti e che offrono dei giri sul lago con delle piccole imbarcazioni, fatte sempre di totora, e che pure loro affondano dopo circa sei mesi, insomma li è tutto un affondo continuo!!! Ma non vi preoccupate, quelle su cui si viaggia, le barche intendo, sono nuove e solide. In realtà, non si deve sempre credere a tutto…manco a quello che vi ho appena scritto, perché secondo me gli abitanti di Uros sono dei furboni e dietro le casette galleggianti c’hanno dei potenti evinrude da 150 cavalli e la sera vanno a divertirsi con i motoscafi a Puno, coi soldi che noi frallocconi gli abbiamo lasciato comprando aggeggetti vari e cotillon…Si riparte e in tre ore circa si arriva a Taquile. Questo, al contrario di Uros, è’ veramente un posto fuori dal mondo. E’ abitato dai Taquileni, gente solida e rocciosa che ha voluto tentare di gestire tutto il turismo per conto proprio… e almeno in parte ci sono riusciti…Per ora, alcune delle comunità che qui vivono, lo fanno in maniera tale da garantire un basso impatto del turismo sull’ecosistema dell’isola. La organizzazione urbanistica di Taquile rispecchia simbolicamente, o almeno quella era l’intenzione quando cos’ venne suddivisa, quella del vecchio impero INCA. L’impero, infatti, era diviso in 4 Suyos, che comprendevano tutto il regno e si chiamavano………. Qui, invece ci sono sei Suyos, ognuno retto e gestito da una comunità…che poi ha dei rappresentanti che si riuniscono e che interagiscono con un Alcalde…,l’Alcalde de Taquile. La cosa interessante è che qui le autorità si riconoscono dal colore del cappello, come i ministri, anche loro con il cappello colorato tipico delle persone importanti. Loro stessi guidano i barconi dalla terra ferma sino all’isola e viceversa. Su tutta l’isola, o quasi, l’energia elettrica è una rarità, l’acqua corrente pure e i bagni sono delle graziose buche scavate per terra che metteranno alla prova il boyscout che è in voi. Poi c’è qualcuno che dentro il boyscout non ce lo ha proprio, oppure è andato a farsi un giro..e allora, purtroppo, viste le estreme condizioni…niente cacca per due o tre giorni! e con tutte quelle patate e mais, verdura e sopas nella pancetta…vi assicuro che il desiderio di un bel water candido si farà sentire. AAAHHH se si farà sentire! Genericamente, in relazione alla comunità dalla quale in cui si scende, si viene accolti da una specie di consiglio di paese. La prima volta mi è capitato di scendere a Chunopampa Suyo, il più famoso fra i suyos perché è quello che si trova alla sommità della famosa salita spaccagambe di 500 scalini, una salita quando la fai tutta, molto spesso, causa nell’inerme ed ignaro arrampicatore inquietanti apparizioni di S.Giorgio o Sant’Uberto dai Piedi scalzi. Sempre che alla fine ci si arrivi! Infatti, purtroppo, l’anno scorso due belle americanotte paffutelle hanno preso un gran coccolone proprio appena arrivate in cima e, stremate come cavalli da tiro svedesi, hanno stirato le zampone. Amen, e il ministero del turismo, giustamente, ha chiuso la salita al turismo (i taquileni la fanno più volte al giorno, pure i bambini, con carichi assurdi sulla schiena!!!). Quindi, adesso, si sale solo da altri embarcadero, e la salita non vede più le processioni dei miseri con gli zaini sulle spalle. Di embarcaderos ce ne sono in tutto otto, ma solo alcuni sono “comodi”. Al suyo Chunopampa, che è pure il più turistico, quando si arriva c’è tutto il conclave e i turisti sono ricevuti da un vero comitato di accoglienza…fintarello, direi, ma gradevole. Il segretario del sindaco, o chi per lui, ti fa firmare in piena piazza un registrone con il tuo nome, la tua professione e quanti giorni devi rimanere, (il 99 virgola 99 superperiodico rimane solo una notte!!!) mentre tutto il pueblo guarda i turisti affannati e sudati con un aria fra il curioso, il compassionevole ed il divertito. I vecchi, per la verità, sembrano diffidenti. Ci sono poi tutte donne che parlano fra di loro fitto fitto con la mano sulla bocca, mentre filano la lana sotto con mani agili e costumi bellissimi e colorati; gli uomini, invece, ti squadrano mentre imperturbabili fanno cappelli e sciarpe con la lana filata dalle donne, tenendo dei ferri sotto le ascelle e sferruzzando con una abilità impressionante, come quella di un pianista navigato. Insomma alla fine del rituale vi viene assegnato un numero, corrispondente ad una casa, una donna si alza, vi acchiappa e vi porta presso la vostra (sua) abitazione, che diventerà anche “casa” vostra per il tempo che deciderete di trascorrere a Taquile. Ogni abitazione può ospitare soltanto due turisti per volta perché tutti hanno il diritto, a rotazione, di avere un po’ di guadagno da noi ricconi. Il pernottamento costa 3/4 usd per notte, ma se siete poco fortunati, come è capitato a me, potreste trovarvi in una situazione cosi estrema da dover fuggire di notte, dall’odore o dal freddo, e rifugiarvi in qualche altra casa (come ho fatto io la prima volta che sono stato a Taquile!). Ovviamente capisco che per loro può essere normale, ma a me hanno dato delle coperte sulle quali sembrava avesse dormito un reggimento di alpini tedeschi che aveva camminato per giorni con le stesse calze! Ho provato a resistere ma poi ho ceduto! Ubi puzza…turistum scappa!!! Si mangia in piccole stanze dove le donne o le ragazze cucinano dei piatti buonissimi a dei prezzi tanto bassi da vergognarsi, oppure, se si vuole, si può mangiare a casa dell’ospite che cucinerà per voi e vi farà mangiare con la famiglia. Il mio, una volta, era così povero che mi ha chiesto di andare a mangiare al ristorante!!! Io in realtà mi sono dispiaciuto perché mi avrebbe fatto piacere mangiare con loro che erano così gentili. Tuttavia, per non metterli ulteriormente in imbarazzo, ho accolto il loro non invito, e sono andato a cena fuori! C’è pure un ristorante comune, o sociale, dove lavorano i membri della comunità. C’è anche un negozio di artigianato comune, dove tutti devono portare i loro lavori a maglia, che sono obbligati a fare, perchè poi possano essere venduti a favore della comunità e di chi li ha fatti in prima persona. Tutti, dopo i 27 anni, devono lavorare, per un certo periodo di ogni anno, a favore della comunità, in ristorante o in negozio! Insomma, una bella comune socialista, in piena regola ed in pieno Sud America, dentro un lago a 4.200 mt di altitudine…da non crederci! La cosa più bella è che anche le donne, qui, possono in teoria (molta teoria) diventare sindaco o ministro! Incredibile. Una volta, abbiamo provocatoriamente chiesto ad un “funzionario” se ci poteva consentire di entrare a far parte della comunità e lui, molto serafico, ci ha risposto che in comunità possono entrare soltanto i nati a Taquile, dopo i 27 anni, e che per gli stranieri c’è bisogno del consiglio di paese con la decisione dell’Alcalde, il sindaco. Poco male. Dopo aver passato una notte quantomeno “singolare”, si fanno grasse spese e risate nel negozietto locale di artigianato – dai nostri padroni di casa ci siamo fatti fare dei bellissimi cappellini ed un paio di guanti, di straforo ed alla faccia del socialismo reale – e si riparte per il lunghissimo e stancante viaggio di ritorno a Puno, dove, finalmente, si dorme. Tutto questo, come vi dicevo sopra, succede più o meno a Chunopampa Suyo. Quest’anno, invece, visto che viaggiavo da solo con il mio bel gruppetto, sono sceso, dopo aver affittato una bella barca verde speranza (no dai, scherzo, l’ho affittata davvero la barca per i miei amici ma non era verde speranza) all’embarcadero di Kollino Suyo. Su questo bel posto, ci perdo un pochino di tempo e ci spendo un pochino di parole, perché se lo merita proprio… Kollino, è la comunità che sta proprio al centro di Taquile, ed è, diciamo, amministrata, dal punto di vista della ospitalità ai turisti, da due o tre personaggi. Uno è il mio amico Isidro, che è di una simpatia e competenza davvero fuori dal normale. Ha una ossessione pressoché maniacale per l’obbiettivo di conservare i costumi di Taquile (conservamos los costumbres…diceva sempre….lo chiamavamo noi! Il signor costumbre), e tutto, per lui, orbita attorno a questo. Di contro, tuttavia, lui i costumi e gli usi antichi di Taquile, li ama, li conosce e li rispetta davvero. Ce ne siamo accorti quando ci ha accompagnato a fare una bellissima passeggiata d’istruzione attraverso tutti e sei i suyos di Taquile, e ci ha illustrato nei minimi dettagli tutte le piante autoctone, le loro proprietà e i loro usi…addirittura mi ha fatto lavare le mani usando come sapone una pianta macinata! Vedete, esistono due tipi di Perù…quello dei luoghi comuni, e quello dei luoghi reali…Kollino, è ancora un luogo reale, come molti altri che io ed i miei amici abbiamo avuto la fortuna di visitare durante questo viaggio, e che più avanti vi racconto. A Kollino, tutto è ancora poco intaccato dal turismo, che, invece, negli altri suyos di Taquile sta iniziando a lasciare i suoi segni, non sempre positivi. Le sistemazioni per noi viaggiatori sono davvero basiche, ma pulite e sicure. Quest’anno, le mie lenzuola profumavano di bucato. Quest’anno, addirittura, sono stato onorato della richiesta di diventare padrino di un bambino bellissimo, il piccolo Rojer Huatta Quispe, che ha avuto la sfortuna di vedersi tagliati i capelli dal sottoscritto (così funziona la cerimonia, haime!) Io, non potevo certo rifiutare, così, adesso, ho un figlioccio Perùviano bello come il sole ma con i capelli da ospedale psichiatrico…per farmi perdonare gli mando un pacco di giocattoli per natale!!! Edwin, il papa di Rojer, e quindi suppongo mio compare, ha una bella casetta dove ospita i turisti, pulita ed accogliente e con un panorama mozzafiato, sta proprio in cima a tutti. Io c’ho l’e-mail per contattarlo……e voi no! (bastardo che sono he!). Insomma, pernottando a Kollino, almeno dal mio punto di vista, significa essere dei privilegiati rispetto a chi se ne sta…beato e inconsapevole….nella parte affollata dell’isola, che è tuttavia bellissima, ma no bella come Kollino, almeno per come la vedo io! Un consiglio. Come tutti, ovviamente, anche voi, come ho fatto io (homo pirla), sarete colti da una irrefrenabile voglia di prendere una quintalata di sole sulla barca che vi porta da Puno a Taquile, oppure avrete la bella pensata una volta arrivati sull’isola (a meno che non tiri vento forte, che allora fa davvero freddo). Quando esce un bel sole caldo in una giornata limpida, infatti, è davvero piacevole stare “spaparanzati” (in lingua terrona significa “sdraiati”) al tepore a prendere un pochino di colore…il problema, però, è che se non vi mettete un secchio, anzi due, di crema solare protezione 1.000.000 alla “n”, la sera potreste sentire la urgente necessità di svitarvi la testa dal collo e buttarla nel gelido lago, perché avrete ridotto la vostra la pelle ruvida come una ramina arrugginita e bruciata come un dito appiccicato sulla piastra per cuocere le bistecche. Insomma, fate attenzione, perché poi il fastidio di una brutta scottatura da sole peruviano dura almeno un paio di giorni. Indovinate perché lo so?…(la risposta “perché sei un pirla”… non vale) 10° PUNO – CUSCO – il corridoio in mezzo alle nuvole…che porta verso l’ombelico del mondo Altitudine da 3.850 a 3.400 mt, passando oltre i 4.000 mt Percorrenza: 389 KM – 6/7 ore con i mezzi pubblici Da Puno, dopo la visita a Taquile, si parte preferibilmente con l’autobus della Ormeno di sera, per arrivare a Cusco di notte. Ovviamente, questo per non perdere troppe ore di giorno in viaggio e sfruttare più tempo possibile sia nell’ultimo giorno a Puno che dopo l’arrivo a Cusco. Oramai non vi dico più come ci sono andato io, quest’anno, tanto mi sa che la storia del pulmino l’avete capita. Però vi dico che con il famoso pullmino verde speranza quest’anno il corridoio Puno-Cusco lo abbiamo attraversato di giorno tutto e devo dire che ho trovato questo tratto di strada di una bellezza davvero sconvolgente. Soprattutto mi riferisco al tratto finale, subito prima e subito dopo l’attraversamento del passo più alto di questa zona. Non è facile descrivere la sensazione di pulizia e limpidezza che si prova nel guardare in faccia le nuvole! L’aria è dura e gelida, il sole è vicino e ed accende i colori. L’erba è un verde tappeto volante, e il blu del cielo assomiglia a quello delle immersioni in mare aperto. Il bianco della neve è splendido e pulito, dolce come la leggerezza del sorriso. Gli occhi sono pieni di vita e di emozione… e la strada verso Cusco diventa improvvisamente troppo breve. Nel tragitto, noi ci siamo fermati a Raqchi (e questa sosta la consiglio a tutti) una graziosissima comunità che si dedica, da qualche anno, al turismo responsabile ed è gestita dai suoi abitanti con impegno, passione, competenza e tanti tanti ottimi risultati. Raqchi si trova a non più di un paio d’ore di macchina da Cusco e, per via della sua ottima posizione, si potrebbe raggiungere anche se ci si trova già a Cusco, per fare una bella escursione in giornata. C’è un bellissimo sito archeologico, molto importante, che si chiama il Tempio di Wiracocha, che poi era un Inca che governò all’incirca nel 1410 d.C. E il suo nome da giovanotto era HATUN TUPA INCA. Il sito è molto interessante perché consta anche, oltre al tempio centrale parzialmente conservato, di una serie di cosiddette “Qolqas”, ovveri degli edifici circolari di cui ancora non si conosce bene la destinazione passata. Quello che è sicuro, è che la loro funzione attuale è quella di far scervellare studiosi, e turisti, sul loro impiego passato. Si tratta di circa 160 resti di edifici, di cui sette ricostruiti nel 1997 per far vedere come si presentavano nell’antichità; si dice che potessero essere magazzini o viviendas (abitazioni), o ancora alloggi temporanei (una specie di ostelli) per permettere ai pellegrini di fermarsi in questo luogo che, sicuramente, veniva considerato sacro o comunque molto importante. Una caratteristica del sito, infatti, è quella di essere circondato da una grande muraglia di quasi 7 km che aveva indubitabilmente una funzione di protezione. Alcuni danno molto credito all’idea della funzione di magazzino, perché la zona del sito si trova proprio fuori Cusco, che era la città più importante della valle e, quindi, la fortificazione poteva avere la funzione di proteggere le scorte di emergenza per i periodi di guerra o di carestia. La protezione era appunto dovuta al fatto che le scorte di cibo erano davvero importanti. Insomma, che servisse per proteggere il grano, o il sito sacro, la muraglia indica che questo posto era prezioso e, quindi, voi, invece di fare i loboturisti, fermatevi e dateci un occhiata. Se poi volete (dovete) passarci pure la notte, allora basta andare in Plaza de Armas e chiedere ospitalità. Chiedete ad una delle bancarelle che vendono artigianato e rimarrete stupiti dall’organizzazione di questa gente. Sembrano una piccola impresa consolidata, ma è tutto comunque molto naturale, muy natural, come direbbe il vecchio Isidro di Taquile. Se rimanete per la notte, avrete la fortuna di assistere ad una rappresentazione di una ricostruzione del rito del Pago a la Tierra, uno dei riti più importanti della religiosità andina. Questa piccola rappresentazione, seppur ad uso e consumo di noi viaggiatori, non è una di quelle cose tristi da loboturisti, ed ha un sapore di istruzione e divulgazione per noi; si tratta insomma di una rappresentazione finalizzata ad istruire, quasi didattica. Attualmente Raqchi conta 80 famiglie e il 70% di queste si preoccupano di tramandare le occupazioni tradizionali di questa comunità, ovvero la lavorazione della ceramica (da dove proviene il nome Racqchi) e il 30% si preoccupa di agricoltura. Si trova a 3480 mt slm, proprio sotto un vulcanone, il Vulcano Quinsach’ata, una bella montagnetta dove, se avete voglia, una guida locale vi accompagna, a piedi o a cavallo fino in cima su su, suissimo, direi. A giugno, c’è una bellissima festa del Sole, simile a quella di Cusco ma molto moooolto più piccola come dimensioni e risonanza, ed è conosciuta come Raqch’ i Raymi. Se passate da quelle parti, e se avete tempo e modo, fermatevi e comprate della ceramica dalla mia amica Dolores Cumpa Quispe, moglie dell’artigiano fenomenale Raul Rodriguez Moron…io gli ho comprato due vasi perché di più non avevo posto…e non vi dico quanto l’ho pagati perché me ne vergogno; ma glielo fatto fare a lei il prezzo, e non ho battuto ciglio, ovviamente. Zitto e paga, è il mio motto. Insomma, adesso questi due spelìndidi oggetti di artigianato stanno belli belli davanti al mio computer mentre scrivo…e, credetemi, valgono almeno cento volte quello che li ho pagati. E poi, se dopo aver lasciato Raqchi comprerete della ceramica al Cusco, rimarrete fregati perché nella maggior parte dei casi quello che avete comperato viene da qui, ve lo assicuro. La differenza sta nel fatto che ve la fanno pagare venti o cinquanta volte tanto; ho sperimentato…sempre la storia del pirla…vabbè! Manco a dirlo, a Raqchi, mi sono fatto dare la e-mail dal grande Profe Exaltacion, il professore della comunità che ci vede lungo e che organizza il turismo in città; parlando con lui, si può organizzare il soggiorno. Come si fa ad avere la e-mail del Profe???….He He He He…la mia mail sta in fondo al racconto (bastardissimo sono). Uscendo da Raqchi, e andando verso Cusco, ci si avvicina sempre di più a Machu Picchu. Cusco, l’ombelico del mondo, è infatti la base indispensabile per accedervi. Con due orette di macchina, o anche un pochino di meno, sarete arrivati in una delle città più belle del Sud America! LA CITTA’ DEL CUSCO Cusco, è da sempre fonte di discussioni infinite fra i viaggiatori che ci arrivano e che, inevitabilmente, volenti o nolenti, ci si fermano…alcuni anche molto a lungo. He si!!! C’è un gran discutere attorno al fatto che Cusco, l’ombelico di questo cacchio di mondo secondo gli inca, sia una città positiva, o meno. Io, devo dire la verità, ho una posizione intermedia…diciamo che fra i “cuschisiti” e gli “anticuschisti” mi colloco in una posizione laica…tipo casco blu o osservatore ONU. Non sto ne di quà e ne di là…perché il Cusco è un po’ come la New York del Perù (facendo i debiti distinguo, ovviamente…basti considerare che una singola pietra, un sasso, un tombino, una gomma attaccata per terra del Cusco ha dentro di se più patrimonio culturale rispetto a qualsiasi cosa che stia poggiata sul suolo di scemolandia…ehm! scusate volevo dire degli USA, ma tanto avevate capito lo stesso, no?). Questo lo dico nel senso che il Cusco ha molto da offrire, ma è anche uno dei luoghi dal quale parte l’organizzazione e dove ci sono gli esempi dei più grandi truffoni e ,“soloni”, a danno dei viaggiatori e a danno del Perù. Non sono troppo radicale. E’ la realtà, basta conoscere questo paese un pochino approfonditamente, per capire che il Cusco è, per il Perù, fonte di benefici e malefici, nella stessa misura… Tuttavia, come già detto prima, Cusco è la base indispensabile attraverso la quale far partire l’organizzazione per alcune delle visite maggiormente desiderate da parte dei viaggiatori: il Valle sagrado, Machu Picchu, Pisac, la Amazzonia sud Orientale…ma come accade in ogni luogo dove ci sono migliaia di turisti ansiosi di “vedere tutto ed in fretta”… ci sono, per questo, anche migliaia di gatti e volpi pronti a rifilare migliaia di sole e pacchi altrettanto in fretta. Per questo, nelle righe che seguono cerco di illustrare come si può fare per soggiornare nell’ombelico nella maniera meno superficiale, senza farsi trascinare nel vortice e del caleidoscopio dell’illusionismo turistico, arte nella quale, ho scoperto, in questo paese molti si esercitano con grande successo … Ecco i mei consigli: Come detto, Cusco è una città nella quale si può (o si deve) pernottare anche molti giorni, quindi, è molto importante riuscire a trovare, se la vostra intenzione è quella di fermarvi un po’, una soluzione che permetta di coniugare economicità, accoglienza, comodità e soprattutto autenticità e qualità. Dal mio punto di vista, esistono due luoghi in cui tutto questo si fonde perfettamente, e questi gioiellini preziosi e veri si chiamano CAITH e PICCOLA LOCANDA ITALIANA. Questi due piccoli paradisi hanno entrambi un gran pezzo di Italia dentro perché, almeno in gran parte (Camilla non ti arrabbiare!), sono stati pensati da menti Italiane, volute da cuori italiani e realizzati da energie Italiane. Capiamoci bene, io non sono uno di quei frallocconi che vanno alla ricerca, in qualsiasi posto del mondo, di un angoletto di Belpaese perché altrimenti cade in crisi di astinenza da spaghetti e caffélllllatte coi biscottoni della salute (mi sa che questa l’ho già scritta…ma mi piace e la riscrivo) anzi…ho scoperto LA PICCOLA LOCANDA e IL CAITH dopo tre o quattro volte che sono stato e che ho alloggiato al Cusco…e sono davvero felice di averla fatta, questa scoperta. Partiamo dal CAITH. Questo giardino di serenità si trova a 5 minuti dal centro di Cusco, proprio sulla strada che porta genericamente i turisti verso la Fortezza di Sacsayuaman, ed è gestito, come vi dicevo, prima, da Vittoria Savio, una donna fatta di forza e passione che molti hanno ribattezzato la Madre Teresa di Calcutta Peruviana. Il Caith,”Centro di Apoggio Integrale alle Lavoratrici domestiche” è un programma dell’Associazione Yanapanaku-sun. Yanapanakusun è un’organizzazione privata a scopo sociale, con differenti programmi che hanno una sola finalità: l’appogio totale alle lavoratrici domestiche per la conquista di una vita migliore nell’esercizio dei loro diritti. Inizó le sue attività in Agosto 2001; tuttavia la preoccupazione ed il lavoro per questo settore sociale giá inizió nel 1994 col CAITH. Nel CAITH le lavoratrici domestiche, molte di queste sono ancora bambine, trovano una nuova famiglia e l’opportunità di un’educazione migliore che parta della conoscenza delle loro realtà e necessitá. Il CAITH, per sostenere le sue attività sociali, utilizza le entrate che il Programma Ayparikusun genera offrendo servizi e alloggio a turisti intelligenti e sensibili che sono interessati non solo a quello che offre tradizionalmente il Cusco, ma anche a conoscere da vicino una cultura differente ed avere con essa un vero scambio socio culturale, scambio che serve per sensibilizzare gli uni ai problemi degli altri. Ayparikusun nella lingua quechua significa “Corriamo incontro a chi gia’ bussa lasciando comunque aperta la nostra porta per chi ancora non appare all’ orizzonte”. E’ difficile spiegare quello che significa il Caith, almeno per chi come noi è talmente distante da tutto quello che accade qui! Allora mi sembra giusto riportare qui sotto, una testimonianza di una delle ragazze che ha avuto aiuto e sostegno dal Caith, e da Vittoria. “Mi primo Armando también me sacaba del colegio. Me sacó cuando tenía 9 años y me trajo al Cusco para que viviera en su casa y cuidara a la hijita de 2 años. No me gustaba, era muy traviesa. La señora era mala, me echaba la culpa de todito a mí. Cuando la chiquita solita se quemó con el agua porque la señora me dijo que la dejara allí, todita la culpa me la echaraon. Mi primo me pegó y la señora también, con correa y con patadas. Nunca me creían nada. Un día yo estaba de sueño porque ya era de noche tarde y estaba esperando que el agua se calentara y se me rebalsó. También me pegaron duro. No me iba al colegio, pero mi primo le había dicho a mi mamá que sí me iba a mandar. En la casa de mi primo yo me levantaba a las 6 de la mañana, preparaba el desayuno para todos. A las 7 tomaban desayuno, pero yo tomaba solita en la cocina. Me hubiera gustado tomar con ellos, más cosas comían ellos. (…) Yo limpiaba todita la casa antes de tomar el desayuno, hacía jugar a la hijita, cocinaba para el almuerzo para todos, pero yo almorzaba después en la cocina. En la tarde otra vuelta le hacía jugar a la bebita mientras la señora descansaba. Jugaba a la casita y a la comidita. Las vecinitas también venían y a todas tenía que hacerlas jugar. Preparaba para la cena. Cenaban a las 9 de la noche y de ahí que yo lavaba el servcicio, yo cenaba en la cocina. A las once hay veces me dormía proque tenía que hacer dormir a la bebita. Yo dormí en un cuartitio donde recibán visitas, en un colchoncito con una frazada. Ningún día salía a la calle.”Después de unos años de trabajo en diferentes lugares, donde ganó no más de 50 soles (ca. 15 dólares) por mes, su hermana la llevó al CAITH: “Antes paraba triste, preocupada, todo me daba miedo y sentía que nadie me quería, y que nadie me trataba bien. Me sentía sola y que todo me iba mal. Cuando llegué al CAITH ya no seinto tanto miedo porque sé que hay alguien que me puede ayudar si tengo problemas. Por ejemplo Vittoria, la Jose, Marleni, si no me pagan (los patrones), le aviasan en el Juzgado de Menores.” En el CAITH, entre las demás trabajadoras de hogar, también encontró amigas: “Tengo varias amigas. Con ellas me siento bien. Ellas son buenas conmigo, jugamos, nos reímos, me aconsejan bien. Te ayudan cuando necesitas. Antes del CAITH no tenía amigas, sólo algunas en el colegio, pero no me llevaba tan bien con ellas.”Citas del libro “¿Estás bien? CAITH: La cultura del afecto con trabajadoras del hogar, Maite Rofes. Come avrete capito, Il Programma CAITH ha come obiettivo, tra altri, migliorar le condizioni di vita e di lavoro, attraverso un cambiamento di coscienze ed abitudini delle lavoratrici domestiche e della società che le circonda. Ora, mi rendo conto che non è bello definire qualcuno con il nome di qualcun altro…ma voi, come la chiamereste una donna che è riuscita, con la forza delle sue idee, del suo stomaco e delle sue braccia, a costruire una meravigliosa casa albergo dove ha oramai, in anni e anni di lotte e sacrifici, ospitato centinaia di bambine sfuggite (e ha volte strappate) dalla spirale del lavoro minorile, della violenza, della umiliazione e della disperazione? Come la chiamereste una donna che lotta con ostinazione e successo contro un sistema che ancora e purtroppo tollera spesso che le bambine povere, figlie dei campesinos, possano essere “vendute” alle case dei signori cuscheni ricchi perché li, almeno, “potranno avere un tetto ed un pasto” ed avere un “futuro” da lavoratrici, leggasi “schiave”, domestiche? Come la chiamereste una donna che manda a scuola i figli degli altri quando questi sono troppo impegnati a picchiarli ed a ubriacarsi? Io la chiamo Madre Teresa di Cusco…ma voi potete chiamarla Vittoria. Il Caith è tutto questo, è una casa albergo che ha iniziato recuperando bambine e ragazze madri in difficoltà, e dando appoggio a viaggiatori che andavano alla ventura offrendo loro una sala dove sdraiarsi sui sacchi a pelo e un pasto caldo, gratuitamente. Poi, la voce, come sempre accade per le “cose buone” ha viaggiato velocemente…ed ora ci sono una trentina di belle camere da letto che fanno dormire chi lo chiede a non più di 15 dollaretti a notte. Soldi benedetti. In più, il Caith è, nella CUSCO spesso un pochino pastificata, uno spicchio di genuinità fatto di cucine calde ed affollate da gente di tutto il mondo, di sale da pranzo ricche di fiori frutta e allegria, di camere pulite accoglienti e vere, di lavatoi grigi di pietra per lavare i panni affaticati da giorni di cammino, di gridolini contenti felici e divertiti di bambine che finalmente possono andare a scuola, di zaini e scarponi che salgono e scendono le scale a tutte le ore del giorno e della notte…il tutto in un clima di serenità e rilassatezza, direi di felicità. Tutti possono andare al Caith, e tutti dovrebbero farlo…Al Caith si può anche cenare (oddio che buone le cene, ancora me le ricordo, erano così buone che non smettevo mai di mangiare e poi la sera non ce la facevo ad uscire tanto ero abbottato….) e questo aggiunge solamente 3 dollaretti, soldi benedetti, al costo della camera. Poi c’è l’insuperabile Piccola Locanda Italiana, gestita da Matteo e dalla sua bellissima moglie Camilla, italico il primo Perùvianissima la seconda, ma entrambi uguali nella capacità, nell’amore e nella competenza che hanno messo nel creare nel cuore alto di Cusco, un rifugio protetto, comodo e caldo per tutti i pellegrini viaggiatori che passano da quelle parti. Sapete perché la Locanda mi è piaciuta tanto e perché “piace” tanto? Perché Matteo e Camilla, alla Locanda, non hanno fatto quello che fanno gli “Italioti” quando vanno in giro per il mondo a costruire alberghi o ristoranti; non hanno preso un pezzo dei nostri vizi, capricci, abitudini e comodità per trapiantarlo a forza, a martellate, nel suolo di un paese nel quale magari questo avrebbe stonato clamorosamente…soltanto perché…”… all’italiano gli piace”. No, La Locanda non è una enclave italiana al Cusco, ma è un esempio di come il gusto italiano, l’intelligenza e la sensibilità di chi ha già visto un bel pezzo di mondo, e gli aspetti migliori di un paese “ospite” possano fondersi dando come risultato un equilibrato senso di serena convivenza e rispettosa, anzi rispettosissima, conoscenza. Insomma, alla Locanda, non c’è il quadro in bianco e nero di Alberto Sordi che con la maglia a righe si mangia lo scodellone di spaghetti al pomodoro, oppure la foto della nazionale italiana appesa al muro…(mi sembra ci sia quella della juve!) ma c’è l’aria italiana, il respiro del nostro del nostro paese, il profumo dei piatti, preparati da Matteo, che si siede sui tessuti coloratissimi filati con la lana d’Alpaca; ci sono parole italiane, ma anche di ragazzi e ragazze di tutto il mondo, che rimbalzano sui muri dipinti di color ocra e sul legno scuro dei pavimenti. Insomma, c’è il risultato di chi ha capito una cosa che io nel mio piccolo vado dicendo da moltissimo tempo: Viaggiare non significa semplicemente uscire dai propri confini, ma avvicinarsi ed entrare, con rispetto, in quelli altrui…portandosi dietro la propria ricchezza…aggiungerei nel caso di Matteo; Bravi Matteo e Camilla. 10 e lode. La locanda è in grado di ospitare i turisti in sei camere di cui solamente tre, per adesso, hanno il bagno privato. Ma non preoccupatevi, perché la Locanda non è un albergo, è la vostra casa al Cusco… ed uscire dalla propria stanza con l’asciugamano sulla spalla per andare a lavarsi i denti nella porta accanto, non sarà un problema….’che a casa vostra vi da fastidio o vi preoccupa andare al bagno a lavarvi???!!! Tutto è così vividamente familiare che secondo me non ci farete caso…anzi, sembrerà ancora di più di essere a “casa”…Per spiegarvi questo che sto cercando di dirvi, vi racconto una cosa: Mentre Matteo mi mostrava la locanda, mi sono accorto che c’erano potenzialità di ampliamento, e gli ho domandato quali fossero le sue intenzioni in merito. Lui mi ha detto, “voglio aumentare solo di qualche camera, massimo dieci, poi basta; se ne avessi di più, poi alla fine, non riuscirei più a parlare e conoscere chi viene da me” Capito lo spirito? La Locanda, non è un albergo è una casona nel cuore di Cusco; se non sbaglio, fra l’altro, quella era proprio una vecchia casa, poi ristrutturata e messa a punto da Matteo e da Camilla dove, se volete, potete essere ospiti ad una cifra attorno ai 10 dollari a notte. Soldi ben spesi, ve lo assicuro. Un consiglio, se ci andate, fatevi dare da Matteo la camera con la vista sulla Plaza de Armas, insuperabile, impagabile. Infatti, la locanda si trova proprio sotto la Chiesa di S.Cristobal, su una strada bellissima e ripidissima che si chiama resblosa, che in peruano significa “scivolosa”, quindi occhio…Insomma, da alcune delle sue finestre si vede bene la Plaza de Armas, probabilmente una delle piazze più belle del Sud America…e vi tocca pagare ben sette otto dollari per dormire li…la vita del viaggiatore è dura, a volte…ma non quando si dorme alla Locanda!!! Se poi volete scattare una foto eterna, allora andate sulla piccola terrazzina della Locanda, magari con una bella tazza di thé, guardate verso la piazza, magari verso sera quando si stanno per accendere i lampioni arancioni, guardate bene, chiudete velocemente gli occhi e poi riaprite…et voilat…avrete la vostra foto eterna del Cusco; non esiste infatti migliore macchina fotografica dei vostri occhi e del vostro bel cervelletto. Un ultima ma importantissima cosa, Matteo è in grado di aiutarvi in una cosa fondamentale…NON PRENDERE FREGATURE. Infatti, ha sufficienti contatti da indicarvi per organizzare escursioni, anche di diversi giorni, e pure fino a Puno, se volete. Vi può aiutare a non patire fregature per la salita a Macchu Picchu e magari per le prenotazioni dei biglietti del treno….o per trovare un alberghetto ad Aguas Calientes che non sia una topaia. Insomma, come avrete capito, a me sto ‘posto è piaciuto, e l’anno prossimo, o molto prima, ci ritorno…aaaaah se ci ritorno!…e se volete venire con me…sapete come fare, la mia mail è giu in fondo!!! Se poi decidete di non pernottare al CAITH o alla LOCANDA (peste vi colga) un altro hostal che mi sento di consigliare in questa cittadina è il KOYLLIUR, nel quartiere di San Blas che è il più bello e antico di Cusco, quartiere ancora costruito sulle antiche basi Inca e dove i palazzi si innalzano da terra poggiando su dei massi enormi, a loro volta poggiati l’uno sull’altro senza nessuna amalgama ed arrotondati dal tempo; le strade sono di ciottoli e costellate da piccole botteghe di artigianato o di pasticcerie, e di caffetterie. Il Koylliur è un ostello a conduzione familiare veramente grazioso, ricavato da una casa padronale con tutte le stanze che si affacciano su un cortile interno attrezzato con sedie e divanetti. Le camere sono tutte ampie e pulite e sono matrimoniali, doppie, triple e quadruple. Sono pulite ma spartane. Alcune non si addicono ad un turismo italiano, ma io le ho girate tutte e so quali possono essere prese e quali no. Il costo è di una decina di dollari per notte senza colazione. La famiglia che lo conduce si chiama GUEVARA, e ciò è bene! Diversa è la scelta dell’Hostal CUSCO, dotato di riscaldamento, moquette, televisione acqua calda 24h ed ampi bagni moderni. Il tutto affacciato su un cortile con pub e bar. Il costo è di circa 20/25 usd, ma dipende dalla capacità di contrattare. COSA FARE AL CUSCO E LARES TRAIL Ora, come vi dicevo, Cusco offre moltissimi siti da visitare nei suoi immediati dintorni: Sacsayuaman, Tambo Machay, Q’enqo, Tambo Moray, Puca Pucara…Ad ogni modo, la mia esperienza mi consiglia di fare quanto di seguito: Il primo giorno dovreste preoccuparvi dell’acquisto del cosiddetto “bolleto turistico”, ovvero una sorta di passepartout per quasi tutto quello che c’è da vedere nella zona di Cusco, e, di conseguenza, ci si dovrebbe dedicare a pianificare le relative visite. Con questo biglietto si potrà visitare: Saqsayhuaman, Q’enqo, Puca pucara, Tambo Machay, Pikillachta, Tipon, Ollantaytambo, Pisac, Chinchero…per quanto riguarda luoghi nel Valle. Dentro Cusco, invece, biglietto da accesso a: Cattedrale, Museo de Arte Religiosa, San Blas, Museo de Santa Catalina, Museo de Palacio Municipal, Museo de sitio de Qoricanhca. Il bolleto costa 10 usd e vale 10gg dalla data di emissione, ed è personale; sono soldi ben spesi, ve lo assicuro. I siti fuori Cusco aprono per lo più alle 07.00 e chiudono alle 18.00, la Cattedrale alle 10.00 fino alle 11.30 (se siete fortunati) e dalle 14.00 alle 17.00…ma gli orari cambiano di continuo; la Chiesa di S. Blas alle 08.00, i Musei alle 09.00, orientativamente. Dopo aver fatto ciò, si visita il centro della città e si prendono contatti con la una agenzia che possa organizzare, in maniera coscenziosa un buon LARSE TRAIL, un trekking che porta sino a Machu Picchu in 3 notti e 4 (oppure se si vuole qualche cosa in più) giorni di cammino attraverso vallate incontaminate e di una bellezza semplicemente terrificante. Io mi sono imbattuto in questo trekking per caso, visto che l’idea (o meglio quella del mio gruppo visto che io ero contrario per consigli ricevuti in patria) era quella di acquistare il famoso INCA TRAIL, ovvero il percorso più famoso per arrivare a piedi sino alla città sacra. Grazie a Dio il percorso dell’Inca Trail era indisponibile per tutta la settimana! Il costo del trekking, va dai 250 dollari in su, se si vuole affittare un sacco a pelo polare (non è uno scherzo, serve davvero!) per quattro giorni si pagano ulteriori 20/30 dollari usd, in genere. Se poi avete voglia di qualche cosa di davvero diverso, oppure siete già un gruppetto formato con l’idea del trekking, oppure siete dei supercazzuti arrampicatori con i calli sulle mani e pure sotto i piedi allora potete provare a servirvi di due miei contatti che organizzano, come guide personali di montagna, percorsi di trekking, sicuri, garantiti e farciti di panorami mozzafiato. Loro si chiamano Jose Antonio e Miguel Lucuano, e sono stati definiti dei “mostri” di bravura, professionalità e simpatia. Ho inviato gente da entrambi e tutti sono stati soddisfattissimi e non hanno neanche pagato molto. Magari qualche decina di dollari in più rispetto all’Inca Trail… Acquistato il trekking ed affittato, sempre presso la stessa agenzia, il materiale che non si ha, si va a riposare e l’indomani si parte all’avventura. 11° GIORNO – Inizio del Trekking CUSCO-LARES Il primo giorno del Trekking prevede il trasferimento in pullman privato dalla Plazas de Armas di Cusco sino al luogo di inizio camminata. Durante il tragitto ci si ferma per ammirare qualche paesaggio del Valle Sagrado che, tuttavia, non può definirsi neanche un assaggio di quello che i vostri occhi vedranno e divoreranno nei giorni successivi. Scattata qualche foto, ci si riferma per fare una veloce colazione, al sacco, e poi ci si dirige verso il luogo di inizio della prima “passeggiata di due ore” fino al paesino di Lares, che, comunque, si trova a quasi 3.000 mt s.l.m.. Il paesino non offre nulla di particolare, e la camminata tanto meno, ma serve, a dire degli esperti, per abituare i muscoli a quello che succederà il giorno dopo… Arrivati a Lares si gira un po’ per il paesino e poi ci si dirige direttamente verso il primo accampamento. Le tende vengono piantate immediatamente a ridosso di una sorgente termale nella quale, ovviamente, tutti si buttano per fare un bagno ristoratore, e, altrettanto ovviamente, tutti poi riescono perché l’acqua ti accoglie con una temperatura di oltre 50 gradi! L’acqua, in realtà, è marrone, ma è un dettaglio. Dopo il bagnetto, con la pressione uguale a quella di un gommone sgonfio lasciato sette giorni al sole, ci si ritira nelle tende, è gia notte, e si sta tutti a parlare dei giorni che si andranno ad affrontare. L’atmosfera, almeno per quello che ho avuto modo di sperimentare io, è piacevole. Ci sono ovviamente persone provenienti da tutto il mondo (noi, durante il mio primo viaggio, eravamo 14) e si imparano un sacco di cose. In più, durante questi momenti, la guida approfitta per iniziare la spiegazione del sito archeologico di Machu Picchu in maniera tale, dice lui, di non dover lottare contro l’inevitabile distrazione che coglie tutti quando ci si trova di fronte a quella meraviglia della natura che è la cittadella sacra. Dopo il break a suon di thé, mate, porridge e una valagna di pop corn (!) passano un paio di ore…… e si fa la cena. Quello che davvero non manca in questa escursione è il cibo. Si mangia tre quattro volte al giorno, e sempre bene, ed in maniera abbondante. Il gruppo è assistito da 4/5 portatori (in relazione ovviamente anche al numero dei partecipanti) da un dottore, una decina fra muli e cavalli, un cuoco e i suoi assistenti e, ovviamente, la guida. Dopo aver trascorso un paio d’ore in un barrettino che vende praticamente nulla, ed è pure al buio, si finisce la serata a chiacchierare ed a fare a gara a chi è più stanco e a chi ha lo zaino più pesante, poi si va a dormire e ci si sveglia all’alba per cominciare a salire. 12° GIORNO – LARES – HUACAHUASI. Il secondo giorno è il più spettacolare. Si affronta un dislivello di oltre 1.400 mt per arrivare ad un passo fra la neve a circa 4.600 mt e poi ridiscendere sino a 4.300 ed accamparsi di nuovo per la notte. In quelle otto ore di cammino può succedere davvero di tutto. Noi siamo stati colpiti in brevissimo tempo da tempeste di sole e di pioggia che, dopo i 3.500, si trasforma inevitabilmente in neve. Prima dell’ora di pranzo si arriva ad un paesello che si chiama Huacahuasi, e ci si accampa solo con la tenda comedor, per il pranzo. Qui, probabilmente, abbiamo vissuto il momento più bello di tutto il viaggio ed io credo che quello che accadde, sia il ricordo più bello che il Perù, fino ad oggi, mi abbia regalato. Dopo 5 minuti dal nostro arrivo, guardatici un pochino attorno, abbiamo scelto di accamparci presso una vecchia chiesetta semidiruta vicino ad un collegio (una scuola elementare). Finito di piantare la tenda, siamo stramazzati al suolo pronti a farci coccolare un pochino da un sole tiepido e ruffiano…stavamo già cedendo al richiamo di un singolare morfeo andino quando siamo stati raggiunti, e drammaticamente svegliati, da 4/5 fra bambini e bambine che hanno cominciato improvvisamente, ed in maniera assolutamente disinvolta e gioiosa, a scherzare con tutti noi. Noi, con il sonno che ci aggrediva da un lato e i peruvianitos che ci attaccavano dall’altro fianco, ci siamo difesi con il lancio di qualche grappolo di caramelle per disperdere il nemico, e, i più diplomatici, hanno subito cercato di instaurare relazioni pacifiche e distensive spiccicando qualche improbabile frase in spagnolo. Ovviamente loro, troppo piccoli, non l’avevano ancora imparato e parlavano soltanto Qechua. Ci siamo attestati su una posizione di difesa e resistevamo dignitosamente ai vari solletichini e furti di cappelli ma all’improvviso, dopo una mezz’oretta dall’inizio della battaglia con il primo squadrone di chicos, il cataclisma! è suonata la campanella della scuola (si fa per dire visto che li usano il fischietto!) e tutti i ninos del Perù sono usciti a valanga dalla scuola li vicino. Non erano tanti…erano tantissimi, troppissimi, ed avevano una sola intenzione…attaccare lo straniero e depredarlo di tutte le caramelle, dolciumi, occhiali da sole e aggeggi vari…erano coordinati, decisi e motivati!!!…e si muovevamo come un corpo unico….é stato un massacro!!! (ovviamente per noi). Siamo stati letteralmente invasi da una onda anomala di “ponchetti” rossi e neri sotto i quali c’erano, ben nascosti da una coriacea sporcizia, bambini dalle facce e dalle espressioni ancestrali ed indimenticabili. In 5 minuti io ero per terra completamente ricoperto da una ventina di loro intenzionati a sottrarmi, distruggere e vivisezionare, ridendo e gridicchiando, la mia telecamera per capire come fosse possibile che loro fossero “tutti li dentro”, dopo che, sciaguratamente, avevo fatto vedere loro un pezzettino di filmato girato durante il loro primo assalto. Gli altri compagni di viaggio erano letteralmente assediati da altre orde di piccoli barbari affamati che volevano caramelle a tutti i costi. Alcuni sono stati morsi…si narra! Mi ricordo che io, sopraffatto dalla tenerezza, ho dato una caramella ad una bambina multistrato (nel senso che quando poi, dopo, mi permise di prenderla in braccio mi resi conto che probabilmente aveva sedici o diciassette strati fra vesti di alpaca e ciccia autentica, praticamente era un linghotto di piombo) che probabilmente non ne aveva mai vista una. Appena gliela diedi, cominciò incredibilmente a succhiarla con tutto l’involucro! Gli usciva soltanto un pezzo di carta argentata dai denti stretti a protezione della dolce preda e ricordo ancora che la birbantella mi guardava fra il confuso ed il deluso come per dire “ma che m’hai dato?”; Decisi di agire, e incurante del pericolo, rischiando il morso della mano destra, sono riuscito a togliergliela dalla bocca ed a scartarla…fra mugugni di chiaro disappunto… quando gliela ho ridata, però, la tizietta a cominciato a succhiare incredula e grata, illuminando gli occhi ed il viso con un sorriso che mi ha ripagato di tutte le fatiche ed i sacrifici ( anche economici, direi) affrontati per questo viaggio. In tutto, l’assalto e la pace susseguente è durata un paio d’ore e, alla fine, mentre riprendendo il nostro cammino, mentre ci dirigevamo ancora più in alto, siamo stati accompagnati per un tratto dai marmocchi più arditi e fieri, avvolti nella loro divisa – ponchetto rosso, che ci hanno poi abbandonato uno ad uno quando il nostro cammino giungeva nei pressi delle loro case. Al momento di salutarci ci mandavano un “Ciiiiaoooo” da crepare dal ridere e poi si catapultavano ruzzolando a velocità vertiginose per le discese d’erba umida, con i piedi scalzi, o con dei sandaletti di gomma scomparendo dentro qualche capanna o dietro qualche muretto a seccho in lezzo ad un gruppo di vacche pasciute. Io, comunque, non ho mai capito quale strano dono di equilibrio abbiano ricevuto questi peruviani, perché non né ho mai visto cadere uno!!! Io, dal canto mio, invece, sono riuscito a cadere un numero di volte imprecisato e tuttavia variabile dalle 20 alle “enne” volte, sia in discesa che in piano che in salita, da in piedi e da seduto. Evidentemente avrò altre doti, spero, rispetto a quelle dell’equilibrio! Dopo altre ore di supplizio, quando siamo arrivati in cima (io sono arrivato per primo!!!) mi sembrava di essere come Licia Colo, senza tette, passata attraverso un documentario. Anzi, secondo me neanche lei ha mai fatto tanto. La pendenza delle salite che avevamo sconfitto in alcuni tratti superava il 50% e i nostri eroi sono stati costretti a camminare a zig zag per fare poche centinaia di metri, in molto tempo. Anche i muli faticavano come muli e, spesso, sono caduti (non addosso a noi fortunatamente) scivolando sulla neve e sui muschi duri come la roccia e lisci come il vetro. Comunque, quando (se) si arriva sulla cima, si apre il paradiso. Dietro ci sono i 1.400 mt più faticosi e alti della vostra vita, costruiti su di una ripida parete colorata di verde e di fiori, acqua ed uccelli e, davanti, precipita una discesa che sembra un miracolo e che conduce ad un laghetto color blu felicità che, a tratti, riflette il colore bianco e verde delle montagne. Insomma, un posticino niente male. Tutta la vallata che si ha di fronte (quella nella quale ci si accampa per la notte) è piena di llamas che pascolano, di ibis che volano e di una sacco di altri uccelli che io non avevo mai visto. Purtroppo fa un freddo cane, e, vista la stanchezza, il freddo lo si sente ancora di più. Quella notte, forse anche per l’acqua e la neve presa a secchiate, ho avuto il febbro-coccolone (che é un incrocio fra il febbrone e un rincoccolonimento che rintontisce) e per riscaldarmi ho praticamente passato tutto il tempo nella tenda del “cocinero” dove c’era il fuoco e mi potevo riscaldare. Ad un ora imprecisata sono svenuto nel sacco a pelo e nessuno ha avuto più notizie di me sino alla mattina seguente. Però ero arrivato primo!!! 13° GIORNO – HUACAHUHASI/OLLANTAYTAMBO/AGUAS CALIENTES Il giorno dopo si parte di buon ora, tanto per cambiare, per scendere fino al paese di Aguas Calientes, ovvero la inevitabile base di partenza per salire a Macchu Pichu. Prima di arrivare a questo paese, di gran lungo il più brutto, sporco e disorganizzato che io abbia mai visto nei miei viaggi, (Lima è la Città più brutta, questo è il paese più brutto) ci si ferma dopo 4/5 ore di cammino nel pueblo di Ollantaytambo, un roccioso paesino con una stazione ferroviaria affollatissima dalla quale si parte per effettuare il tragitto che porta, appunto, ad Aguas Calientes. Una volta arrivati in quel di Ollantaytambo, si mangia in un ristorante del luogo. Ad Ollantaytambo, prima della cena, si visitano le rovine del paese, molto affascinanti e ben conservate e, a mio parere, fra le più interessanti di tutto il Valle Sagrado. Alla Base del sito ci sono ancora scavi aperti e, quindi, vale la pena avere una buona guida che può dare illustrazioni esaurienti. Poi si prende il trenino della Perù Rail per arrivare a tarda sera a destinazione. A Ollantaytambo, in realtà, nell’ipotesi si stia salendo verso Machu Picchu dopo una escursione di qualche giorno per tutto il Valle, sarebbe una buona idea pernottare, dato che è proprio una cittadella gradevole ed accogliente; Piu in avanti, magari vi do un’altra opzione di tre o quattro giorni per arrivare al Machu dopo due o tre giorni di escursione fra Pisac – Urubamba e Ollanta…se fate i bravi… 14° GIORNO – AGUAS CALIENTES – MACHU PICCHU – CUSCO La sera che si trascorre ad Aguas Calientes è la nota (o notte) dolente di tutto il viaggio. Praticamente tutta l’organizzazione che ruota attorno alla visita al sito archeologico di Macchu Picchu, soprattutto se si cade nelle mani sbagliate, è una vera e propria associazione a delinquere fra il governo Peruviano, la Municipalidad di Aguas Calientes e la società monopolista della linea ferroviaria, ovvero la Perù Hotel S.p.a., mi pare che si chiami così, ma mi devo informare meglio, (che è partecipata dalla società che gestisce pure l’Orient Express) e che ha ottenuto dal Governo la concessione trentennale per lo sfruttamento della ferrovia. Inutile dire che lo sta facendo con lo stesso spirito che potrebbe avere un cammello assetato di fronte ad un bel laghetto di acqua limpida e fresca; in sostanza, questo tipo di organizzazione sta prosciugando le risorse della valle, e la Perù Rail, o meglio la Perù Hotel, sta semplicemente aspettando di vedere il fondo, la fine, il nulla…e quando sarà finita l’acqua…addio, ovvero… “è stato bello conoscersi e trafugare i vostro soldi…alla prossima vostra bella pensata, quando avrete voglia di farvi rubare qualcos’altro, richiamate!!!” Purtroppo, però, questa è l’unica strada per arrivare sul posto. In sostanza, per visitare il sito è difficile non farsi turlupinare e di spendere meno di 80/100 usd. Ed infatti lo stratagemma che usano i meschini è questo: se si parte con il treno del tardo pomeriggio da Ollantaytambo per arrivare ad Aguas, si pagano soltanto 10 usd di trasporto, ma poi si devono pagare dai 15 ai 25 usd di pernottamento, perché si arriva quando è buio già da un pezzo. Poi si dorme ed il giorno dopo si entra al sito e si pagano 20 usd (la metà per gli studenti con la carta internazionale di riconoscimento), poi se si vuole ripartire in giornata si pagano circa 35 usd per il ritorno fino al Cusco, in più c’è da pagare 2 usd il bus che ti fa scendere dal sito sino al paese. Sono così circa 80/85 dollari e qualcosa di più se si considerano le colazioni e robe varie. Se si sceglie di tornare a Cusco, il giorno dopo in mattinata, invece si pagano solo 10 usd di treno, quello della mattina, ma, ovviamente, si paga un pernottamento in più. Se invece si vuole partire di mattina presto dal Cusco e tornarvi di sera dopo la visita, e quindi si sceglie di evitare il pernottamento, cosa veramente consigliabile ma che determinerebbe uno sforzo fantozziano, allora non c’è verso di fuggire si pagano i canonici 35 usd di treno più l’ingresso più il bus….e la pappa è sempre quella! Qualcuno ci ha provato e dopo aver faticato come mai aveva fatto in vita….è rimasto a piedi e non è riuscito a partire…a tornare indietro, diciamo. Circola, infatti, la voce che ci sia un ordine di qualche farabutto di qualche ministero inutile o di qualche ente rubba rubba di disincentivare al massimo la vendita dei biglietti di andata e ritorno nella stessa giornata allo stesso viaggiatore…in sostanza, è davvero difficile acquistare un ritorno direttamente al cusco prima di partire o lassu, quando si è visitato il sito, e si vuole tornare di pomeriggio. Quindi, come la metti la metti sei obbligato a dormire ad Aguas ed a stare almeno per due giorni (o due mezze giornate) ed una notte. Insomma, con i costi differenziati dei biglietti fra mattina e pomeriggio, la storia che a volte proprio non te li vendono, e considerato che non c’è verso di fare tutto in mattinata a meno di non morire sulla montagna, hanno studiato un bel modo per cui i soldi in qualche modo glieli devi comunque lasciare…o pernottando oppure pagando dei biglietti di trasporto allucinanti. Morale della favola è che vedere Machu Picchu non costa meno di 120 usd. Tuttavia, io il modo di fregarli ‘sti maledetti l’avrei pure studiato, ma determina un pernottamento invece che ad Aguas ad Ollantaytambo. Questo tuttavia non rende possibile salire al sito prima delle otto/otto e mezza. Ed in quell’ora il sito è già abbastanza affollato e quindi perde gran parte del suo fascino. Nell’altra maniera invece, quella un pochino più costosa, si riesce per lo meno a salire alle 6.30, camminando fin dalle 4.30 di notte, e si gode lo spettacolo veramente suggestivo del sito deserto con il sole che sorge da dietro le montagne. (non vi fate fregare con la storia dell’alba a Machu Picchu…NON SI PUO’ VEDERE L’ALBA IN UN UNA CONCA A 3000 mt DI ALTITUDINE QUANDO SI E’ CIRCONDATI DA UN IMBUTO FATTO DA DECINE DI MONTAGNE ALTE QUASI 4000 mt…non vi pare?) Tutto questo pippone, in realtà, si può ovviare acquistando il famoso trekking, di sopra descritto, che prevede i pernottamenti e gli ingressi. Comunque, ci sono vari modi di approcciare il sito ma, per non farsi fregare di brutto, bisogna sapere come funziona il sistema delle prenotazioni, conoscere le differenze di prezzo e soprattutto sapere a cosa si va incontro quando si arriva. Tornando alla nostra opzione del trekking, come già detto, si parte alle 4.30 della mattina dopo aver fatto in albergo (se così si può chiamare) una buona colazione, ci si arrampica per circa due orette sulle pareti scoscese ma scalinate della montagna che conduce al sito di Machu Picchu e, poi, si arriva in cima alle 6/6.30 tutti fradici di sudore. La salita e molto suggestiva, anche per la destinazione che si deve raggiungere, ed è curioso arrampicarsi tutti con le torcette in mano, o sulla testa, e sentire tutti i linguaggi del mondo di persone che, come te, si stanno arrampicando tutto attorno ma che tu non vedi. Sembra che la montagna parli! Arrivati in cima si visita il sito (è opportuno arrivare presto anche perché non ci sono i controlli degli zaini e non si è obbligati a depositarli presso la polizia) e, chi ce la fa, si arrampica su Wayna Picchu, ovvero il famoso dente di roccia che sovrasta Machu Picchu (che tutti quanti, me compreso, prima di visitare il sito scambiano per il Machu Picchu che invece è il picco meno alto e che nelle foto classiche non si vede quasi mai, perché in realtà è sempre alle spalle dell’obbiettivo). Dal Wayna Picchu si gode una vista impareggiabile del sito archeologico, che si offre agli occhi con una prospettiva decisamente insolita. In realtà, il vero divertimento è la salita a questo picco. In cima c’è spazio appena per 20/30 persone e, a meno di non esserci saliti veramente presto, ci si può rimanere ben poco. La salità è pittutosto impegnativa, ma la possono fare tutti quelli che hanno un poco di pazienza. Tuttavia, in cima, a meno di non buttare di sotto tutti quelli che piano piano arrivano e vogliono, giustamente, godere di una della viste più suggestive al mondo, si può rimanere solo qualche decina di minuti. Si deve firmare un registro di entrata e di uscita, perché e successo spesso che qualcuno è salito e non è mai più sceso, probabilmente dopo aver deciso di scegliere uno dei posti più affascinanti del mondo per fare un bel volo fino a valle e mettere fine ai propri problemi…un bel modo di morire! Come avete letto, io sono arrivato al Machu attraverso il Lares Trail, guidato da una Agenzia, quest’anno, tuttavia, grazie ad un contatto con una ONG di turismo responsabile, abbiamo sperimentato una esperienza simile ma con una guida specializzata di montagna, ed è stato altrettanto meraviglioso, anzi, il servizio è stato ancora più personalizzato ed affidabile. Indovinate cosa dovete fare per provarlo pure voi?…… 15° GIORNO – MACHU PICCHU/CUSCO – ritorno alla realtà. Si ritorna in serata al Cusco, e non si può fare altro che svenire (ancora) sul letto del proprio alloggio per poi dedicarsi, il mattino dopo, arzilli e padroni di un ricordo che rimarrà per tutta la vita, alla visita della città, che è splendida. Chiaramente, anche qui vi suggerisco qualche piatto succulento da ingurgitare avidamente: allora..cominciamo con el chancho, ovvero il maiale, in tutte le salse lo potete trovare e in tutte le salse lo dovete mangiare perché è buonissimo. Poi dovrete provare tutti i tipi di patate e choclo che troverete qui, perché il mais e le patate qui sono buonissimi. Ovviamente, riempitevi di sopa, di mais, di quinta, un cereale super proteico, e tanti altri tipi. Se siete fortunati da essere al Cusco durante la festa del Corpus Cristi (il primo di giugno), dovete assaggiare il Chiri uchu, che è un piatto di carne fritta di cuy, gallina, manzo, llama, pesce formaggio e frittata di uovo…non aggiungo altro. Provate anche a bere la Chicca, un succo di mais fermentato naturalmente, senza additivi vari…io l’ho provata…è buona (!) LA VISITA DEL VALLE SAGRADO – UN CIRCUITO INTERESSANTE DI DUE O TRE GIORNI Come ho gia detto è possibile visitare tutti i luoghi di interesse del Valle, o quasi, attraverso l’acquisto del bolleto turistico, dieci dollari per circa dodici siti. La visita di tutti questi luoghi, se ben fatta, può occupare due o tre giorni. Volendo anche di più. E questa potrebbe essere la soluzione per terminare il viaggio, ovvero si potrebbe, tornati dal Machu, ci si può dedicare alla visita dei siti archeologici che non si sono visitati prima della salita. Io, ad esempio, negli ultimi giorni mi sono affittato taxi e tassista e mi sono fatto scarrozzare in lungo ed in largo per tutto il Valle Sagrado, degustando con calma gli splendidi paesaggi costellati di terrazze de coltivo e le anse del fiume sacro, mentre ci spostavamo da un tesoro archeologico ad un altro su una sgangheratissima e singolarissima ford blu lapislazzulo con i cerchi bianchi. Il tutto può essere fatto anche in un modo molto più divertente e cioè attraverso l’uso dei cosiddetti collectivos, i prioetti-pullmini peruviani nei quali si viaggia pigiati come sardine insieme agli autoctoni. Dico prioetti-pullmini perché, purtroppo, in Perù gli autisti dei pullmini raggiungono, guidando, delle velocità prossime al MAC 2, ovvero tendono a pigiare un pochino troppo sull’acceleratore. Vedere un combi su una strada di montagna peruviana e’ come vedere un concorde che sfreccia fra pecore e sandali di gomma!!! In realtà, questo accade più spesso con i grossi bus da turismo…quindi, mi raccomando, occhio a chi si sceglie per farsi trasportare e occhio anche quando si è sulla strada a camminare e passeggiare…c’è sempre un proietti-bus in agguato!!! Tornando ai nostri sconsigli di viaggio, nell’usare un combi o un pullmino, l’altra faccia della medaglia sta nella preistorica scomodità del mezzo che, però, è ampiamente compensata dalle grasse risate che esploderanno durante i mille imprevisti e sorprese dei perigliosi tragitti condivisi con personaggi dall’improbabile odore, colore ed espressione. Assolutamente da non perdere, ad esempio, in questo fine viaggio è la visita di alcuni dei mercati del Valle. Ma attenzione, tutte le guide (anche la Lonely) osannano il famosissimo mercato di Pisac, consigliando di andarci di giovedi o domenica per vederlo in tutto il suo splendore…SBAGLIATO!!! Non dimenticate mai che la Lonely Planet, é si impareggabile per aiuti dal punto di vista logistico ed organizzativo (soprattutto in materia di trasporti e tragitti) ma è piuttosto fallace in molti altri settori. Non dimenticate mai che è nata ed è prevalentemente studiata per popoli di origine anglosassone, che in materia di piacere per la autenticità e verità dei luoghi, direi che proprio non brillano. L’americano medio (locuzione che è sinonimo di “deficiente”) è irrimediabilmente attratto da mercati finti e/o pataccogeni e, quindi, da luoghi che noi europei, culturalmente più attrezzati, probabilmente considereremmo delle truffe marrufone al nostro diritto di spendere bene i soldi ed il nostro tempo. Insomma, forse, Pisac “era” il miglior mercato…prima che gli americanotti lo invadessero, immancabilmente, tutti i giovedi e tutte le domeniche con vagonate di bus turistici e mezzi vari. Un tempo, almeno fino a quattro anni fa, Pisac era un trionfo di spontanei vortici di colori, odori e sensazioni; un luogo dove contrattare un prodotto della selva, della montagna e della terra, con persone comuni che abbandonavano i villaggi per vendere il loro lavoro o per cucinare il loro cibo. Si poteva assaggiare un piatto tradizionale cotto alla maniera dei campesinos, oppure si poteva apprezzare la verità di un tessuto. Si poteva ancora comperare dell’argento ad ottimo prezzo. Oggi, haimé, la autenticità dei banchi, dei mercanti e dell’artigianato, è quella che si può trovare su molte delle strade più turistiche del Perù…insomma, Pisac sta finendo. Purtroppo. E non per colpa nostra. Molto meglio, oggi, dal mio modesto punto di vista, è visitare il mercato di Chinchero che, sempre per quello che ho potuto vedere le quattro cinque volte che ci sono stato, ancora presenta i mercanti seduti per terra, almeno nella piazza di fronte alla bellissima chiesa, e prodotti meno inflazionati. Insomma, vale la pena cominciare a tralasciare ciò che oramai ha perso il suo fascino antico. Diversa invece è la storia per quanto riguarda le rovine della città vecchia di Pisac. Il sito archeologico di Pisac è, purtroppo, troppo spesso sacrificato a vanatggio del finto-mercato, luogo nel quale i turisti, ma la responsabilità è prevalentemente delle loro guide e di chi le accompagna, decidono sciaguratamente di spendere tutto il loro tempo trascurando la passeggiata per la strada che si inerpica sino al sito e la visita alle rovine, tragitto di un fascino sicuramente meritevole di un paio d’ore di esplorazione. Ci si arriva con una stradina di una decina di Km in macchina o con un sentiero di 5 km di passeggiata spettacolare fra andenes e gole dipinte di verde intenso e ricco. Appena all’entrata del sito, vi sono decine di ragazzi che saranno disposti a farvi da guida e, nella maggior parte dei casi, sono sufficientemente competenti da potervi rendere un buon servizio per il modico prezzo che chiedono. Il sito offre viste spettacolari dove, come se si inquadrassero in cornici minuziosamente studiate, le geometrie dei resti si inseriscono armonicamente nelle sinuosuità dei paesaggi che compongono la valle, in un gioco di prospettive grandiose e distanti. Il sito offre tutta la serie delle maestrie igegneristiche Incas; opere civili, irrigue e di abitazione, opere militari e per l’agricoltura. Insomma, una rappresentazione completa della maestria di questo popolo nell’arte della costruzione. LE TAPPE DEL CIRCUITO E LE DISTANZE Per programmare bene la vostra escursione, dovete considerare, e se avrete una mappa sotto mano ve ne renderete conto, che il valle sagrado è servito da una statale, la 3S, che attraversa tutto il valle disegnando un anello di 140 KM, sul quale, ovviemente, si incontrano i paesi principali (la ruta è Cusco, Pisac, Calca, Yucay, Urubamba, Chinchero, Cusco e, con qualche piccole deviazione, è possibile giungere sino ad alcuni siti poco frequentati ma assolutamenti singolari ed affascinanti). Questa potrebbe essere una bella opzione per scorazzare lungo il Valle in due o tre giorni, visitando le cittadine spesso trascurate, magari affittandosi una bella macchina con tassista oppure girando con i combi, ma sfruttando comunque un tassi privato per il primo giorno. Quest’anno, poi, ho avuto la fortuna di conoscere, alla Piccola Locanda Italiana al Cusco, una donna eccezionale (Ada) che gestisce una Casa Famiglia in Urubamba, proprio nel cuore del Valle Sagrado. Questo è un vantaggio enorme. Infatti, conoscere un punto d’appoggio, fra l’altro responsabile, all’interno del Valle, nel suo cuore, permette di sviluppare un piccolo percorso con un pernottamento, o anche due, che renderebbero sicuramente più rilassante e approfondita la visita al Valle. Allora: PRIMO GIORNO Partite presto dal cusco per arrivare a Pisac, ci vorranno solamente una cinquantina di minuti. Nel tragitto, proprio appena usciti da Cusco, potrete visitare alcune delle rovine che circondano Cusco: Sacsayhuaman, Tambo Machay con il frontistante Pucapucara, poi Qenqo, e Cusillochayoc; Il primo, è sicuramente il più interessante fra tutti. Domina Cusco ed aveva un evidente funzione militare, e fu costruita, secondo famosi “Peruanologi” (William H. Prescott) da almeno 20.000 uomini in quasi 50 anni. Un bel lavoretto, direi. Basta guardare le dimensioni dei sassolini che compongono le mura per immaginare la fatica che i tapini avranno dovuto fare. In questo luogo venne combattuta una famosa battaglia ed infatti sembra che Sacsahuyaman fosse, prevalentemente, una fortificazione a ridosso del Cusco, al quale doveva fornire protezione. Le muraglie che lo compongono disegnando uno strano zig zag sono realizzate con massi di dimensioni simili a quelle di Bisteccone Galeazzi, ed una di queste pietruzze, la più famosa, pesa addirittura 361 tonnellate ed ha ben 8.5 mt di altezza, con un nulero imprecisato di agoli, forse 21 o 22 !!! Ultimamente il sito è stato dotato di una suggestiva illuminazione notturna, e quindi varrebbe la pena di farci una passeggiata anche di notte…tanto sta proprio vicino al Cusco e ci si arriva in 5 minuti di macchina. Poi c’è Tambo Machay (“punto di riposo” in Qechua) questo posto è chiamato anche “i Bagni degli Inca”…ma non perché gli Inca ci facessero i bisognini, bensi perché era un luogo rituale dove si effettuavano bagni purificatori… Poi, attraversate la strada e sarete già nel bel sito di Puca Pucara (il “forte rosso”). Più avanti c’è Qenqo, fra tutti, per me, il sito meno spettacolare. Trattasi di pietrona bucherellata e dotata di tunnel che si presume fossero in qualche modo collegati all’uso che gli Inca ne potessero fare in cerimonie con la Chicha o con sacrifici vari…Bhoooo? Considerate che ci vorranno almeno un paio d’orette per fare queste prime visite e percorrere la strada che le separa (che tuttavia è proprio poca)…poi dipende da voi. Proseguendo coprirete i 32 km, che separano Cusco da Pisac e, tanto prima sarete partiti, tanto meglio potrete godere il mercato in tranquillità, senza orde di americani assetati di borsette, collanine e guanti di alpaca. Poi spenderete un paio d’ore nella visita alle rovine della città sopra descritte. A quell’ora sarà tempo di pranzo e io vi consiglio di mangiare al mercato oppure ad un ristorantino che sta proprio all’angolo destro della estremità della salita che, dopo il ponticello, conduce dalla fermata degli autobus verso la piazza del mercato. Potrete riconoscere la strada di cui parlo perché è tutta ciottolosa e con un canale di scolo al centro, ed è quella che più comunemente si usa per salire dalla strada alla piazza del mercato. Da Pisac, poi, si dovrebbe proseguire verso Calca e Yucai. La prima si trova già a 51 km dal Cusco, mentre quando giungerete alla seconda sarete a 71 km dall’ombelico del mondo. Entrambe le cittadine meritano una visita rapida, e Yucai offre interessanti esempi di architettura Incaica pre e post conquista spagnola. Dopo ulteriori 4 Km, arriverete a Urubamba, il luogo dove vi consiglio di pernottare, presso la Casa gestita da Ada Stevanja, che si chiama Mosoq Runa. SECONDO GIORNO Partendo di buon mattino si può giungere rapidamente a Ollantaytambo, una stupenda cittadella arroccata nell’estremo del valle, ultimo luogo raggiungibile attraverso la strada in direzione di Machu Picchu; Siamo a 94 Km dal Cusco, e a 23 Km da Urubamba. Il sito archeologico di Ollantaytambo è meraviglioso e misterioso. Qui sono conservati i resti della fortezza dove Manco Inca affrontò Hernando Pizarro nel 1536. E’ un tripudio di muraglie solide e squadrate, di terrazzamenti geometricamente perfetti ed inseriti su una costa di montagna che offre e offriva riparo naturale alla popolazione. Sono bellissimi il tempio del sole e della luna, ricchi di enormi pietroni che ancora non è stato spiegato, almeno sensatamente, come potessero essere trasportati sin li. Tutto intorno è possibile osservare le famose piedras cansadas, ovvero grossi pietroni che venivano ricavati dalle cave circostanti, trasportate fino ai dintorni del sito per essere usate in esso, ma poi abbandonate, per non si sa quale motivo, prima dell’utilizzazione…forse, qualcuno si era rotto le scatole di faticare come un somaro!!! Dopo aver visitato il sito…in relazione all’orario, sarebbe bene andare a fare un visita al mio amico Alejandro Puente, che gestisce un ottimo ristorantino proprio alla fine della strada che porta dalla ferrovia in paese (oppure ovviamente all’inizio della stradina che porta alla ferrovia) ed un Hospedaje che si chiama Poka Rumi, bellino e dall’ambiente assolutamente affascinante come il ristorantino. Fra l’altro Alejandro fa dei panini che sono la fine del mondo. E’ un localino davvero gradevole dove star comodi, al caldo seduti a bere un mate bollente e a sgranocchiare mais tostato o bere un buon vino…provate provate…poiiiiii mi dite! Nel pomeriggio, in direzione di Chinchero, tornando a ritroso verso Cusco, ci si dirge vero i siti di Maras, dove si possono visitare le surreali saline. Siamo a circa 20 Km a nord da Chicnchero e a 9 da Urubamba, e per giungere a Maras, alle saline, bisogna fare una deviazione dalla strada principale. Ugualmente, nella zona si trova Moray, uno dei luoghi che ricordo con maggior piacere, forse perché siamo arrivati di pomeriggio tardi, con il sole arancione che tagliava obliquamente l’aria azzurra e limpida, disegnando tutto intorno una atmosfera morbida e soffusa. Si tratta di un centro di sperimentazione agricola, fatto di grandi crateri concentrici scavati nel terreno, molto profondamente, come un grande imbuto fatto di livelli progressivi, sui quali sono scavate delle andenes, delle terrazze de coltivo sulle quali si ricreano dei differenti microclimi nei quali sperimentare le diverse coltivazioni. Da qui, si percorreranno gli ultimi 20 Km del nostro percorso fino a Chinchero…luogo nel quale potrete visitare la bellissima chiesa, coloniale e dominante una vallata con una spianata che invoglia quasi tutti a fare una gran partita a pallone…peccato che è un posto sacro. Chinchero è “Il posto dove nasce l’arcobaleno”, secondo gli antichi Inca. Da chinchero, si torna al Cusco in serata…dalla parte opposta dalla quale si è partiti. ANCORA PIU’ LONTANO, DA CUSCO VERSO PUNO… Se poi siete ancora più avventurosi, allora potrete contrattare con un autista privato un giro di diversi giorni che più o meno potrebbe essere lungo un due tre giorni e che fa più o meno così: Cusco – Andahuailyllas – Racchi – San Pedro – San Pablo – Sicuani – Aguas Calientes – La raya – santa Rosa – Ayaviri – Pucara – Juliaca – Puno/Sillustani. In questo giro si potrebbe dormire a Ayaviri, presso la casa albergo gestita dal MLAL una ONG che sta portando avanti un progetto di sostegno alla popolazione, e poi a Puno. Al ritorno, se non si è già fatto, si potrebbe dormire a Racchi. Fino a qui, cari amici….abbiamo riempito almeno 17/18 gg…ma il giro nella macchina del tempo non è mica finito!!! perché per quelli di voi che hanno ancora un pochino di disponibilità…e di tempo….e di soldi….…allora potranno, insieme a noi, buscare un aereo un aereo verso Lima, riposare una giornatella magari andando a fare shopping al Mercato de Indio e poi…………via, abbandonando i pesanti abiti invernali nella luggage room del nostro Hostal a Miraflores, o in qualche casa di amici, e dopo aver riempito gli zaini di abiti leggeri, pantaloncini e maniche corte, olio solare e creme protettive, zanzariere e repellenti…volare verso Iquitos, un isola di sciamanesimo, di relax e di natura nell’oceano verde della foresta Amazzonica… Iquitos è un luogo magico, difeso dalla eccessiva curiosità del mondo da 1500 km di foresta vergine e dai monti più alti della Cordillera Blanca. Da qui, infatti, parte la nostra avventura nella Amazzonia profonda, alla scoperta di una cassaforte piena di tesori naturali, di suoni dimenticati e colori mai osservati, di caldo, sole e di pioggia verde, ci dirigiamo alla volta della laguna dove abitano i delfini rosa di fiume:… …andiamo ad El Dorado, la laguna nascosta nella riserva di Pacaya Samiria!!!

(…continua a scaricare anche la parte terza!!!)



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