Pechino e dintorni

Viaggio in Cina tra il grigio del cielo e i colori dell'autunno
Scritto da: giubren
pechino e dintorni
Partenza il: 19/10/2014
Ritorno il: 02/11/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
E’ ormai sera quando raggiungiamo gli hutong del quartiere Dongcheng. Lungo Nanluoguxiang, nei pressi dell’omonima stazione della metropolitana, brulicano esercizi commerciali e ristoranti. La via è illuminata da lanterne e fiancheggiata dai salici piangenti… forse è proprio la commercializzazione dell’area che ha salvato il quartiere dalle ruspe e che lo rende ai miei occhi ancora familiare e riconoscibile a distanza di anni. Sono di nuovo a Pechino… nell’aprile del 2006 la città era prossima all’apertura delle Olimpiadi e molti monumenti erano ai restauri o chiusi all’accesso dei visitatori. La modernizzazione ebbe in quel periodo un’ulteriore accelerazione e molti edifici tradizionali venivano rasi al suolo per edificare mostri in vetrocemento… ma ecco, arriviamo al nostro albergo di stile tradizionale, un tempo residenza di un generale dell’epoca Qing e da 20 anni adattato per accogliere i turisti stranieri. Il Banchang hutong è rimasto esattamente come lo ricordavo anche se sono aumentate le macchine parcheggiate a fatica ai suoi lati. Le lanterne all’ingresso sono sempre al loro posto… nessun lavoro di ristrutturazione è stato intrapreso nonostante una certa patina di trascuratezza, l’atmosfera e la tranquillità dei cortili interni è esattamente quella che mi era rimasta impressa e che sono stato felice di ritrovare.

Difficilmente le altre città dell’Estremo Oriente possono rivaleggiare con Pechino, capitale per secoli dell’Impero di Mezzo sotto diverse dinastie che da qui governavano un territorio vastissimo, influenzando culturalmente i Paesi vicini. Con la caduta della dinastia mancese dei Qing nel 1911, la nuova capitale della Cina repubblicana venne spostata a Nanchino e Pechino continuò a vivere indisturbata al ritmo delle tradizioni ancestrali fino al 1959. Persino gli occupanti giapponesi non osarono profanarla durante il secondo conflitto mondiale, ma grandi cambiamenti furono inevitabili quando i comunisti di Mao la scelsero quale loro sede di governo. Similmente a quanto accadeva in passato con l’avvicendamento delle dinastie, la capitale doveva rispecchiare la nuova ideologia dominante, per cui la vecchia cultura doveva essere cancellata assieme a tutti quegli edifici e strutture che potessero tramandarla ai posteri. Le tracce del passato tuttavia sono ancora numerose, sia in città che nei suoi dintorni, per cui difficilmente si può esplorare l’area della capitale in pochi giorni.

Iniziamo le visite dal cuore antico di Pechino: la Città Proibita. E’ un giorno infrasettimanale, tutte le guide sconsigliano di recarsi in questo luogo durante i fine settimana per l’enorme afflusso di gente. Nonostante questo, si forma rapidamente una calca soffocante in attesa di superare i controlli di polizia che passano al metal detector tutte le borse dei visitatori. Da quando è esplosa una bomba dinnanzi la Porta Tien an Men a seguito di un attentato rivendicato dagli indipendentisti Iuguri, anche per accedere alla omonima piazza (la più grande del mondo) bisogna attendere pazientemente l’esecuzione di questi controlli che sono stati estesi agli accessi di ogni stazione della metropolitana.

La Città Proibita è un vastissimo complesso di palazzi allineati ai punti cardinali secondo le regole del Feng Shui, un’antica arte geomantica che stabiliva regole precise nella disposizione degli edifici per scopi propiziatori. Si accede dall’imponente Porta della Meridiana ai vasti cortili e ai palazzi, dove la fiumana di visitatori cinesi si concentra sull’asse centrale del vasto perimetro delimitato dalle mura; gli edifici laterali infatti finiscono per rimanere piuttosto tranquilli. Nel Palazzo dell’Armonia Suprema è custodito il Trono del Drago da dove l’imperatore presenziava gli eventi ufficiali, tuttavia ora è davvero difficile ammirarlo in quanto occorre farsi largo a spintoni. Malgrado la confusione, la Città Proibita rimane un luogo incantevole, su cui aleggia ancora lo spirito degli ultimi occupanti: nei pannelli esplicativi ricorrono spesso i racconti sugli intrighi di corte dell’Imperatrice Vedova Ci-Xi, che nominò imperatore Pu-Yi, un bambino di soli 2 anni, contribuendo così ad accelerare così la caduta della dinastia.

A nord e ad ovest della Città Proibita rimangono ancora quartieri di hutong, estremamente piacevoli da percorrere a piedi. Gli edifici dai mattoni grigi ed i vicoli medioevali sono senz’altro l’anima della vecchia Pechino, è difficile credere che il Governo centrale non li tuteli a sufficienza ed abbia contribuito in nome del progresso alla loro progressiva sparizione. Nei pressi del lago Houhai raggiungiamo la ex residenza di Song Qingling, un tempo appartenuta ad un principe manciù: singolare la vita di questa donna, originaria di Shanghai ed andata in sposa a Sun Yat Sen, primo presidente della Repubblica Cinese. Nonostante i suoi trascorsi borghesi, le fu consentito dal governo maoista di vivere in questa grande magione circondata da un giardino tradizionale fino al termine della sua vita. Non lontano, si visita anche l’affascinante casa a corte del principe Gong, probabilmente tra le meglio conservate della vecchia Pechino, che nella sua struttura riproduce in scala ridotta la disposizione degli edifici della Città Proibita.

Poco più a sud, si estende lungo le rive del lago Beihai un grande parco cittadino, un tempo riserva di caccia imperiale all’epoca della dinastia mongola Yuan (quella di Marco Polo). Difficile definirlo come un “polmone verde” nel centro della città… nonostante ottobre sia il mese ideale per visitare Pechino, il cielo è sempre grigio ma per lo smog delle fabbriche e del traffico automobilistico. Al centro del lago sorge l’isola di Giada sormontata dallo Stupa Bianco in stile tibetano dal quale si dovrebbe ammirare un bellissimo panorama, purtroppo la visibilità è davvero limitata ed il sole dall’aspetto pallido e malato riesce a malapena a filtrare la spessa coltre di fuliggine.

A sud est della piazza Tien an Men, saliti i 16 gradini di una piccola scalinata, si attraversa l’ex Legation Street (oggi Dongjiaomin Xiang) che attraversa il quartiere dove sorgevano le antiche legazioni straniere accreditate presso la corte dei Qing e le residenze della comunità occidentale. Si alternano grandiose facciate neoclassiche delle vecchie sedi della Banque d’Indochine, della First National City Bank di New York ed il pittoresco ex ufficio postale francese, oggi riconvertito in ristorante, fino a raggiungere le guglie gotiche della chiesa di Saint Michel ed il palazzo in mattoni rossi della vecchia sede diplomatica belga. In un vicolo, si riesce a rintracciare a fatica l’ultima superstite targa stradale che riporta il vecchio nome “rue Hart” con cui, in anglo-francese, era stata battezzata la via dalle Potenze Europee dell’epoca…

Tra i templi più interessanti, sicuramente va annoverato il Yonghe Gong (Tempio dei Lama) in stile tibetano, dove nei vari padiglioni sono custodite meravigliose statue antiche, tra cui quella del maestro Tsong Khapa e del Buddha Maitreya, un capolavoro realizzato con un unico blocco di legno di sandalo ed alta ben 18 metri. Monaci svogliati cercano di tenere a bada le macchine fotografiche dei visitatori locali, dando la parvenza di salvaguardare la sacralità del luogo. Si sollevano dai grandi calderoni vorticose nuvole d’incenso, ma il senso religioso dei cinesi sembra ormai quasi del tutto tramontato, visto che i luoghi di culto sembrano essersi trasformati in ideali palcoscenici dove scattare fotografie. Perfino un gruppo di veri tibetani (riconoscibili dall’abbigliamento e dai tratti somatici himalayani) recatisi sin qui per rendere omaggio all’illuminato diventano oggetto di curiosità e di scatti continui mentre si prostrano 3 volte innanzi agli altari…. “Tashi delék!” li saluto io in tibetano e ricevo sorrisi sinceri di approvazione.

A breve distanza dal Tempio dei Lama sorgono le due torri della campana e del tamburo che avevo già visitato nel 2006 e che, per ironia della sorte, sono oggi chiuse per restauri. Tutt’intorno, sono sopravvissuti moltissimi hutong con piccoli negozi che vendono oggetti di culto buddhista, rendendo quest’area estremamente tradizionale. Non lontano da uno degli ultimi “pailou” (o archi cerimoniali) sopravvissuti della vecchia Pechino, ritrovo il bellissimo Tempio di Confucio che invece avevo trovato chiuso nel viaggio precedente. E’ un luogo poco frequentato e di grande atmosfera, dove si conservano innumerevoli stele di pietra con su incisi i nomi di coloro che, nel corso delle varie dinastie, riuscirono nell’adiacente collegio imperiale a superare gli esami per accedere al mandarinato.

Dedichiamo i due giorni seguenti ai dintorni della capitale e non avrebbe potuto mancare la Grande Muraglia. Scegliamo di visitare il tratto di Mutianyu a circa 50 chilometri di distanza e meno affollato rispetto alla sezione più nota di Badaling. La mattinata è rigida ma la visibilità è piuttosto buona, possiamo ritenerci fortunati visto che l’inquinamento atmosferico è tale da raggiungere anche le regioni circostanti. Camminare su questo sentiero di pietra che serpeggia tra le montagne, inseguendone i crinali e le scarpate scoscese, è un’esperienza da non perdere, resa ancora più suggestiva dalla sinfonia dei colori dell’autunno. Il giorno successivo raggiungiamo le Tombe Orientali dei Qing, nella regione dell’Hebei a circa 160 chilometri da Pechino. Il sito è stato recentemente dichiarato “patrimonio dell’umanità” dall’Unesco, tuttavia sono davvero pochissimi i visitatori che si spingono fin qui per cui si riscopre la piacevole sensazione di essere viaggiatori alla scoperta di monumenti nascosti, immersi in un’atmosfera bucolica. Si tratta di una vasta area sepolcrale che custodisce le tombe degli imperatori più importanti dell’ultima dinastia Qing (tra cui Qianlong e Kangxi), oltre a quelle di imperatrici e concubine.

Grandi portali d’accesso conducono alla lunga via degli spiriti, di ben 3 chilometri, dove ai lati coppie di animali di pietra (alternativamente accovacciati ed in piedi) e statue di mandarini rendevano simbolicamente omaggio ai feretri che le processioni conducevano fino alla loro ultima dimora.

Iniziamo la visita dalla tomba della famosa Imperatrice Vedova Ci-Xi, forse quella che attrae il numero maggiore di curiosi. Questa donna infatti, intelligente ed ambiziosa, fu de facto la principale autorità del Paese per almeno 30 anni, governando in modo autoritario e sostituendosi ai deboli imperatori “ufficiali”. Cercò di contrastare la modernizzazione del Paese per salvaguardare la cultura tradizionale dalle influenze occidentali, ma la sua politica finì alla lunga per causare l’effetto opposto.

Gli edifici della tomba di Ci-Xi seguono una disposizione che si ripropone anche in tutte le altre: varcato un ingresso monumentale si apre un cortile dove ha sede un tempio cerimoniale per la celebrazione dei riti in onore del defunto. Segue infine la tomba vera e propria con un palazzo sotterraneo contenente il sarcofago. La singolarità è semmai quella di vedere raffigurata la fenice (simbolo dell’imperatrice) in posizione sopraelevata rispetto al drago (simbolo dell’imperatore): evidentemente si voleva comprovare quelli che furono i reali rapporti di forza.

La tomba più interessante è quella dell’imperatore Qianlong, non solo per le dimensioni imponenti ma anche per le magnifiche decorazioni della camera sepolcrale con iscrizioni in lingua manciù e tibetana, che la fanno assomigliare ad un santuario buddhista.

Trascorre lento il tempo nel girovagare tra questi edifici dimenticati ed ancora rimasti integri e non restaurati nonostante le profanazioni ed i saccheggi durante l’anarchia del primo periodo repubblicano.

Lasciamo temporaneamente Pechino e raggiungiamo Xi’an, la città che fu capitale della Cina durante la dinastia Tang ed in passato nota con il nome di Chang an.

Xi’an era il punto di arrivo (e di partenza) della famosa via della seta: gli scambi commerciali con la Persia ed il Medio Oriente favorirono la diffusione dell’Islam, per questo ancora oggi vive nel centro storico la comunità Hui di religione musulmana che anima il vivacissimo mercato notturno nei pressi della Torre del Tamburo. La Grande Moschea assomiglia ad un tempio cinese ed il minareto ad una pagoda, ma si assiste ad un’insolita fusione tra elementi architettonici classici con decorazioni calligrafiche arabe; un edificio incredibile, isolato dal trambusto del quartiere ed integro nella sua antica struttura, che ospita nelle gallerie laterali polverosi mobili ed oggetti di arredamento dell’epoca Qing.

Con l’esclusione della genuinità superstite del quartiere musulmano, Xi’an si presenta come una città moderna e non sempre piacevole, abitata da oltre due milioni di abitanti e dall’aria inquinata, tuttavia conserva una cinta muraria di epoca Ming praticamente intatta e percorribile in bicicletta nei suoi 14 chilometri di estensione. Le mura, ben restaurate, regalano panorami inaspettati su antichi caseggiati tradizionali mentre si pedala ammirando lungo il percorso torri di guardia, le quattro maestose porte d’accesso collocate in corrispondenza dei punti cardinali e filari di lanterne rosse che verso sera si illuminano rendendo la passeggiata notturna ancora più suggestiva.

Fuori dal perimetro delle mura cittadine, sorgono le due pagode di epoca Tang della Grande e della Piccola Oca Selvatica, entrambe meritevoli di essere visitate.

L’attrazione principale di Xi’an sono i famosi guerrieri di Terracotta, custoditi presso il sito in cui sono stati ritrovati accidentalmente. Il Museo permette di osservare da vicino le statue più espressive e che hanno conservato tracce delle originarie colorazioni, mentre in tre fossati sono esposte le altre migliaia che rappresentano un intero esercito in assetto di guerra avente la funzione di proteggere la tomba dell’imperatore megalomane Qin Shi Huangdi.

Lo sviluppo della rete ferroviaria ad alta velocità permette oggi di raggiungere in tempi brevissimi numerose località del Paese, perciò dalla stazione nord di Xi’an (simile ad un aeroporto avveniristico) raggiungiamo in meno di un’ora e mezza la città di Luoyang e la sua principale attrazione: le grotte di Longmen. Questo sito si affaccia sulla riva occidentale del fiume Yi ed è stato realizzato durante la dinastia degli Wei Settentrionali, gli stessi che fecero scolpire le grotte di Datong , situate più a nord. Molte sculture appaiono purtroppo gravemente danneggiate dalle intemperie oltre che dagli atti vandalici, tuttavia il sito è assolutamente spettacolare non solo perché rappresenta una grandiosa testimonianza dell’arte rupestre buddhista, ma anche per la suggestiva cornice fluviale su cui si affaccia. La grotta più spettacolare è quella dedicata alla venerazione degli antenati, dove troneggia un Buddha seduto di 17 metri d’altezza dal sorriso enigmatico, che alcuni si spingono a paragonare a quello della “Gioconda” di Leonardo (si dice infatti che il volto fosse stato modellato su quello dell’imperatrice che commissionò l’opera). Non meno imponenti le vicine statue laterali dei guardiani, dalle pose plastiche e dalle espressioni intimidatorie.

Torniamo a Pechino nel nostro albergo tradizionale, le lanterne rosse dei cortili e la vista sui tetti di tegole ci erano mancati. Completiamo le visite ai monumenti principali della città iniziando dal Tiantan Donglu (il Tempio del Cielo) ed il vasto parco che lo circonda. La struttura principale è il Tempio del Buon Raccolto, dalla nota copertura a tre gronde circolari di epoca Ming. Essendo stato costruito interamente in legno ad incastro, è stato più volte restaurato e sicuramente fu il luogo più sacro della Cina imperiale. Un lungo percorso conduce ad un altare circolare dove l’imperatore officiava ai riti che dovevano garantire l’aiuto delle divinità celesti per evitare possibili carestie.

Sono dettagliatamente descritte le fasi preparatorie e le complesse cerimonie che l’imperatore seguiva personalmente ogni anno.

I riti furono officiati per l’ultima volta nel 1914 dal generale Yuan Shikai in epoca repubblicana, ma le didascalie sembrano riferirsi a tempi ancestrali con i continui riferimenti “all’antica Cina” e ciò fa riflettere sui radicali cambiamenti che hanno spazzato via nel giro di qualche decennio tradizioni secolari se non millenarie.

Separato dagli edifici di culto, il Palazzo dell’Astinenza ospitava l’imperatore nei tre giorni antecedenti la cerimonia ed è quasi del tutto dimenticato dalle folle di visitatori.

L’ultimo luogo da non perdere per gli amanti della Cina tradizionale è il Palazzo d’Estate. Danneggiato a più riprese dagli eserciti europei durante le guerre dell’oppio, fu l’imperatrice Ci-xi a ricostruirlo e farne la sua residenza prediletta durante la stagione torrida. Nella Sala delle Onde di Giada Ci-xi fece rinchiudere l’imperatore Guangxu, suo nipote, reo di aver cercato d’intraprendere coraggiose riforme e che venne avvelenato dall’Imperatrice Vedova il giorno prima della sua morte per impedire che tornasse al potere. Dalla collina della Longevità, dove sorge la Pagoda del Profumo Buddhista ed il meraviglioso Tempio del Mare di Saggezza interamente ricoperto da piastrelle smaltate, spaziano gli incantevoli panorami sul lago Kunming e sulla città.

Pechino non è solo tradizione, ma anche quartieri moderni che sono lo specchio dell’imponente crescita economica del Paese. A Sanlitun sembra di ritrovarsi a Singapore con i suoi immensi centri commerciali, ristoranti raffinati e la chiassosa via dei bar, con musica ad alto volume e ballerine di lap-dance che si intravedono nelle loro acrobazie dalle vetrate e che richiamano la gioventù più trendy della capitale.

Molto vivace, la via pedonale Wangfujing è nota non solo per i suoi negozi eleganti, ma anche per il cibo di strada dove, tra le esotiche prelibatezze, ci sono anche gli spiedini di ragni, scorpioni e larve che mettono alla prova i delicati palati dei turisti. La zona di Qianmen, immediatamente a sud della piazza Tien an Men, ha invece un aspetto tradizionale, con i suoi edifici di fine 800, negozi e locande che iniziarono la loro attività già dall’epoca imperiale.

Tra le zone più interessanti, 798 Art District è il quartiere dell’arte d’avanguardia. Gli spazi espositivi sono stati ricavati in vecchie fabbriche di elettronica in disuso, dove ancora campeggiano sbiaditi slogan maoisti degli anni ’60. Esposizioni gratuite e a pagamento, caffè e ristoranti di design, boutique di stilisti ispirati all’abbigliamento tradizionale sono allineati lungo strade pedonali. Ma soprattutto si incontrano giovani studenti educati, spesso in grado di esprimersi in un ottimo inglese o desiderosi di comunicare in maniera disinvolta ed impensabile nel lontano 2006…

E’ tempo di prepararsi per il ritorno, solo un ultimo giro tra i vicoli di Dashilan e Liulichang dove sono in vendita oggetti di “pseudo” antiquariato, pennelli per la calligrafia e strumenti musicali tradizionali prima di andare in aeroporto.

Splende il sole in un cielo azzurro ed insolitamente terso e mentre l’aereo ci riporta verso casa, già sale la nostalgia dei grigi mattoni degli hutong…

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Tombe dei Qing Orientali

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Città Proibita - sala dei tesori

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Grande Muraglia a Mutianyu

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grotte di Longmen



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