Oman, terra di incenso, fortezze e canyon

Tour di gruppo con visita di Muscat, l'antica capitale Nizwa, il deserto Wahiba, la schiusa delle uova di tartaruga a Ras Al Jinz, Wadi Shab e Bani Khalid
Scritto da: Ginger27
oman, terra di incenso, fortezze e canyon
Partenza il: 27/10/2017
Ritorno il: 03/11/2017
Viaggiatori: 15
Spesa: 2000 €

Oman, terra di incenso, fortezze e canyon

Il desiderio di visitare l’Oman nasce in modo inaspettato in un giorno di dicembre del 2016, quando, leggendo i 4 itinerari proposti da un’agenzia di viaggi, mi innamoro di quello che, oltre al giro standard partendo da Muscat, fa una crociera nei fiordi della penisola di Musandam con rientro in Italia da Dubai. La mia fantasia vola e penso che l’Oman sarebbe una meta perfetta. Nel mio giro finale non è prevista la tappa per visitare questa penisola, in quanto il viaggio prevede un tour che parte da Muscat, tocca l’antica capitale Niwza, il deserto, il mare di Ras Al Had per poi ritornare nella capitale. Poco prima di partire leggo tutto d’un fiato la guida Planet, dono del tour operator, e scopro che il paese è più attaccato alle tradizioni di quanto si pensi. Il sultano Qaboos (scoprirò che si pronuncia kabus), che governa dal 1970, ha modernizzato il paese con moderazione, senza stravolgere l’identità del popolo omanita e il profilo della capitale Muscat, non deturpato dai grattacieli che affollano le capitali dei paesi confinanti. L’Oman mi sembra vicino al mio modo di essere che apprezzo le modernità senza i suoi eccessi. Scopro che il profumo Amouage, quello più prezioso al mondo, è prodotto a Muscat in varie fragranze, alcune a base di incenso Frankincense Silver, la varietà proveniente dalle colline omanite di Dhofar. Creato dal naso di Grasse Guy Robert nel 1983, la fragranza Gold ha la bottiglia rivestita d’oro. La sua particolarità è che è composto da 120 sostanze di altissima qualità, come olii essenziali, incenso e mirra. È venduto sui voli Oman Air, al duty free di Muscat, al museo Bayt al Zubair, all’hotel Al Bustan (che merita già di suo una visita). Dal sito www.amouage.com scopro che la collezione di prodotti è varia e raffinata: il profumo costa 195£ (il sito ha i prezzi in sterline), la crema per il corpo 95£, il sapone 28£. Ogni profumo è imbottigliato a mano e la scatola nasconde al suo interno la firma di chi l’ha confezionata. Riuscirò durante il mio viaggio a immergermi in questo mondo fatto di profumi antichi?

Venerdì 27 ottobre 2017

Partiamo da casa alle 16.30 per raggiungere il parcheggio a Malpensa. Il volo per Muscat è di linea senza scali (Oman Air WY0144) e decolla alle 22.40, anche se la partenza era prevista alle 22.15. Verso mezzanotte viene servita una cena a base di agnello o di pasta: mio malgrado devo scegliere la pasta che poco dopo rinuncio a mangiare. La capricciosa è maionese allo stato puro e lascio anche quella. Mangio il pane con il burro spalmato e una torta che penso sia alla frutta secca. Sonnecchio per come si riesce a fare sulla classe economica di un aereo.

Sabato 28 ottobre 2017

Nel mezzo della notte mi sveglio per le gambe anchilosate. Alle 4.30 viene servita la colazione e mangio una sfoglia con bacon di tacchino. Atterriamo a Muscat alle 5.40 (ora locale: 7:40), dopo esattamente 6 ore di volo. Facciamo una coda di un’ora per cambiare gli euro in Rial e fare il visto. Confrontandoci con i compagni di viaggio, scopriamo che ognuno di noi ha pagato una cifra differente e che il cambio in aeroporto non è proprio vantaggioso (1R per 2,5€). Noto che c’è il duty free anche all’arrivo che vende Amouage. Dopo il controllo passaporti ci attendono le nostre valigie che sono già state scaricate dal nastro trasportatore. Fuori dal moderno aeroporto ci accoglie il caldo e una città moderna che ammiriamo dall’autostrada. Dai colori chiari e con lo sfondo dei monti, Muscat (che si pronuncia Mascat) stupisce per i giardini curati, la pulizia, la bellezza architettonica dei palazzi in pietra chiara, le grate simili ad arabeschi, i portoni in legno decorati. Gli edifici non possono superare i 12 piani, secondo un piano regolatore che non intende stravolgere lo skyline della città. Le case singole sono sempre circondate da un muro alto circa 2 metri, affinché dall’esterno non si possa vedere cosa accade all’interno. I condizionatori, parte essenziale nella vita degli omaniti, sono quasi sempre schermati da grate decorative.

Dopo avere girato un po’ con l’autobus, arriviamo al Somerset Panorama, hotel distante circa 15 km dal centro, situato dentro il centro commerciale Panorama Mall. Le stanze non sono pronte perché in Oman il check out si fa verso le 12. La stanza che ci viene assegnata alle 13 è ampia, si affaccia sulla piscina, ha un angolo cottura e la lavatrice. Con una breve doccia spero di riprendermi dalla nottata e poi via a pranzare in hotel. Spilucco del pollo, del pesce e una minestra, ma niente mi soddisfa. Come dolci c’è una torta al miele e i macaron. Mi consolo con il tè verde. Alle 15 si parte, si attraversa la bella Corniche (si pronuncia cornisch, è una parola araba che indica il lungomare) di Mutrah dove intravedo il grande incensiere su un promontorio che si affaccia sul mare e si arriva al porto dove ci dividiamo in due barche. Attraccata c’è una nave da crociera, in quanto Muscat fa parte del circuito dei crocieristi, mentre alcuni romantici dhow trasportano i turisti lungo la costa. La nostra navigazione ci porta verso sud, dove l’arenaria si alterna a spiagge con sopra casette di qualche piano. L’acqua è limpida, ma non c’è il mare spettacolare delle Maldive. Passiamo sotto un arco naturale quando il sole tinge di rosa la roccia. Torniamo a motori spiegati verso Mutrah, proprio mentre il sole sta per scomparire dietro le montagne e si intravedono le sagome dei dhow e dell’incensiere. Ritorniamo in hotel e decidiamo di visitare il Panorama Mall, il centro commerciale dell’hotel. Al terzo piano c’è un bel negozio di kuma, i tipici copricapi omaniti ricamati a mano e venduti a soli 65 R (165€!). Al primo piano, entrando nel negozio di casalinghi, si può avere un assaggio di cosa piaccia alle omanite: tripudio di colori oro e argento nell’oggettistica, che trovo eccessiva per i miei gusti. Scoprirò in seguito, al mercato di Nizwa, che molti di quei contenitori servono per contenere l’halwa, il dolce nazionale. Il supermercato accanto vende la frutta al triplo di quanto costi da noi, insomma l’Oman si sta rivelando un paese per ricchi. Ceniamo alle 20.15 con zuppa di pollo, pollo con patate, carote, manzo, dolce al miele: un altro pasto mediocre. Nella hall dell’hotel mangio gli ottimi datteri e poi usciamo per vedere da lontano la moschea Bianca dalle cupole intarsiate e illuminate, fatta costruire da una famiglia facoltosa del posto. Rientriamo alla base perché la stanchezza non tarda ad arrivare.

Domenica 29 ottobre 2017

Ci svegliamo alle 6.30 per fare colazione alle 7. Trovo il latte caldo, qualche biscotto, la frutta secca (buone le noci, un po’ meno le mandorle) e lo yogurt in vasetto. Anche se c’è la possibilità di farsi preparare sul momento l’omelette, rinuncio ad assaggiarla per non appesantirmi. Poco prima delle 8.30 conosciamo Abdul, la nostra guida che veste il tipico vestito omanita, la dishdisha di colore nocciola e copre il capo con il turbante. Sin da subito viene giudicato da tutte le signore del gruppo come un bel ragazzo e la curiosità a indagare sulla sua vita privata non tarderà ad arrivare.

La prima visita è alla Grande Moschea la cui costruzione, durata 6 anni dal 1995 al 2001, è stata interamente finanziata dal sultano. Nel cortile, attraversato da canali crescono alberi di frangipani. L’edificio è in pietra di sabbia proveniente dall’India, ha travertino e marmo di Carrara. I mosaici arrivano dall’Iran, come l’enorme tappeto Isfahan, tessuto in 4 anni da 700 donne in 3 parti, unite in loco in 4 mesi. Avevo già visto qualche foto della moschea e pensavo che fosse stata fatta dopo una giornata di pioggia, in quanto l’immagine dell’edificio si riflette sul pavimento. Non sapevo ancora che la pioggia è rarissima in Oman e che il riflesso è creato dal marmo lucido. Gli addetti alla pulizia del luogo sono parecchi e, tra le altre mansioni, c’è quella di lavare via gli escrementi degli uccelli. La nostra guida cerca di trasmetterci un concetto di islam diverso da quello che dal 2001 preoccupa noi europei. Ci parla di una religione d’amore, dei due angeli del bene e del male che stanno alla nostra destra e alla nostra sinistra. Un buon musulmano deve accrescere il numero delle sue buone azioni e quindi accontentare l’angelo del bene attraverso la shahada (professione di fede), la salat o preghiera, la zakat o elemosina, il ramadan, l’hajj cioè il pellegrinaggio alla Mecca. Con un foulard sulla testa, gambe e braccia coperte, piedi scalzi sono pronta ad entrare nella Grande Moschea. Visitiamo prima la piccola sala delle donne (per loro è complicato andare in moschea perché devono badare alla famiglia e quindi lo spazio ad esse dedicato ha dimensioni contenute) con al suo interno un bel lampadario di murano, finestre con i vetri colorati, soffitto a cassettoni in legno di sandalo, porte di legno intagliato. Entriamo poi nella sala destinata agli uomini: rimango a bocca aperta per la bellezza della cupola con i suoi mosaici di impronta iraniana, la maestosità del lampadario che luccica per il cristallo swaronski e le dorature. Provvista di un sistema di aria condizionata con i bocchettoni che escono dalle colonne di marmo bianco, la moschea può ospitare fino a 6000 persone. I vetri alle finestre presentano raffinati decori floreali. Durante il tragitto verso il museo Beit Zubair, la nostra guida ci parla della società omanita.

L’Oman ha 4,6 milioni di abitanti, stranieri inclusi e solo 2,5 milioni sono originari dell’Oman. La religione principale è l’Islam, l’85% sono sunniti (con 5 momenti di preghiera al giorno) e il 15% sciiti (con 3 momenti di preghiera giornaliera). L’economia si basa per il 75% sul petrolio e sul gas, per il 15% sul turismo e per il 5% sull’agricoltura. Ci sono giacimenti di rame che al momento non si intende sfruttare e che si lasciano alle future generazioni (una lungimiranza impensabile nel nostro paese!). L’acqua è desalinizzata con molto dispendio di energia, l’illuminazione pubblica è alimentata da centrali a gas. La dishdisha è il vestito tradizionale maschile di colore solitamente bianco; talvolta all’altezza del colletto pende un ponpon di fili su cui applicare il profumo, parte essenziale nella vita degli omaniti di entrambi i sessi (basta visitare un centro commerciale per rendersene conto). L’abaya è la tunica nera che la donna deve indossare in pubblico, oltre a coprire la testa con il velo. L’80% dei matrimoni sono combinati e l’uomo sposa la donna che i propri genitori hanno scelto per lui. La dote pagata dall’uomo per sposarsi (in media dai 5000 ai 7000 Rial diventa 10000/20000 a Sur) viene usata dalla donna per comprarsi vestiti, gioielli e profumi per il giorno delle nozze. Dopo avere firmato il contratto e avere pattuito l’importo della dote, la festa del matrimonio avviene in casa per le donne e fuori per gli uomini che sfoggiano i pugnali ricurvi (khanjar) infilati sotto le fasce strette in vita abbinate al kuma. Ben presto le domande dal generale si spostano sul personale (povera guida che deve tenere a freno la curiosità femminile!). Lui ammette che ha già rifiutato 2 donne che gli sono state proposte dai suoi genitori e si ritiene fortunato per averlo potuto fare. Noi tutte pensiamo che se venisse in Italia avrebbe molte pretendenti, ma torniamo a parlare di Oman.

Il museo Beit Zubair ospita una collezione privata di oggetti attraverso i quali viene descritta la società omanita. I famosi pugnali d’argento esibiti durante i giorni di festa non hanno la lama affilata. Le spade omanite sono dritte, quelle dell’Arabia Saudita sono ricurve. Simbolo dell’ospitalità omanita è la caffettiera (dove non si prepara il caffè ma lo si serve insieme ai datteri) e i bruciatori di incenso, attizzato con la carbonella. Un quadro all’ingresso descrive le varie regioni dell’Oman e così scopriamo che l’unica regione che ha le 4 stagioni è il Dofhar con piantagioni di melograno, cocco, mango, mentre il resto del paese ha solo estate e autunno e che la regione omanita del Musandam è staccata dal resto del paese, rispettando una suddivisione delle terre voluta dagli Inglesi. Alcuni manichini vestono il costume delle beduine, con una particolare maschera che protegge le donne dal sole e dalla sabbia. All’uscita riattraversiamo il centro di Muscat con la Corniche per tornare in hotel per il pranzo e la sosta fino alle 16. Mangio la minestra di verdure, del pesce, pollo, patate e carote stufate, due torte farcite. Termino con il tè verde. Trascorro la siesta a bordo piscina sotto una tettoia dove la calura è mitigata dal vento. Alle 16 ci rimettiamo in moto per le visite pomeridiane e andiamo a vedere dall’esterno il palazzo del Sultano edificato nel 1970. Lungo la strada, da un tratto in altura, diamo uno sguardo a Muscat vecchia. Il palazzo del Sultano non è la sua residenza abituale, perché lui abita a 60 km da Muscat, ma è un palazzo di rappresentanza. Marmi a profusione, giardini con l’erba curatissima e corvi svolazzanti fanno da cornice a un palazzo dalle linee appariscenti, con colonne di diversi colori che si aprano verso l’alto come corolle di fiori. Alle 17.30 si ritorna a Mutrah. Una foto veloce alla Corniche dove passeggiano in pochi e ci tuffiamo nel souq, dove predomina l’odore di incenso che i venditori usano per profumare l’ambiente e per invogliare l’acquisto di questo prodotto che tanti secoli fa aveva reso ricco il paese. Accompagniamo i compagni di viaggio nei loro acquisti, una di loro compra una abatjour dai vetri colorati. Io osservo le caffettiere, annuso l’incenso, ma alla fine non compro niente. Ci sono tanti oggetti in argento, brucia incenso e pugnali. La nostra guida ci spiega che la parte del souq dai soffitti in legno è stato aggiunto con scopi turistici trent’anni fa alla parte preesistente. Alle 18.30 si riparte con una sosta per vedere dall’esterno l’Opera House illuminata; la destinazione finale è il ristorante turco Divan, dove ci si serve da piatti in comune con il gruppo. La nostra guida aiuta quelli del locale affinché non ci manchi nulla. Ci portano l’humus, crema di melanzane, insalata, un ottimo pollo arrosto dove non predomina il sapore speziato, pesce arrosto e pesce stufato al pomodoro che si chiama hummer (pesce di queste parti non traducibile in italiano). Concludiamo con un tè alla menta. A fine viaggio lo eleggerò miglior ristorante del tour. Dopo cena per digerire andiamo al Muscat Grand Mall, un altro centro commerciale non troppo distante dall’hotel.

Lunedì 30 ottobre 2017

La sveglia è alle 6.30 per fare colazione alle 7 (mangio le stesse cose di ieri in una sala delle colazioni piena di lavoratori). Andiamo via da Muscat alle 8 e il territorio attorno alla capitale è roccioso dai colori ambrati, gli stessi visti durante la crociera lungo la costa di Muscat. Appena imbocchiamo lo svincolo per Nizwa (abbiamo percorso circa 20 km), il territorio cambia e la roccia diventa di colore nero. Abdul lungo il tragitto ci racconta un po’ di storia omanita. Parte dal 120 d.C., quando una tribù emigra in Oman a causa del crollo di una diga. Il popolo omanita si converte all’Islam senza spargimento di sangue, dopo avere ricevuto una lettera di richiesta di conversione in cambio di prosperità. Nel 1505 i Portoghesi invadono il paese ci rimarranno fino a metà del 1600: in questo periodo la capitale passa da Bahla a Nizwa. Facciamo un fuori programma per vedere il Falaj (si pronuncia falagi) Al Khaitmin, all’interno dell’oasi di palme da dattero Birkat Al Mawz (letteralmente campo di banane). Il Falaj è un antico sistema di irrigazione. Passeggiamo in mezzo alle palme, fino ad arrivare ad una struttura di mattoni sulla cui cima c’è un canale in cui scorre l’acqua. Sparse qua e là si intravedono case di fango. Ripartiamo per arrivare all’antica capitale Nizwa, dove entriamo nel souq, dove ci accoglie un odore di pesce insopportabile, forse anche a causa del caldo; ci dirigiamo verso un negozio di datteri. Ce ne sono di tanti tipi, dai meno zuccherini (khlas a 1 R al chilo) fino a quelli succosi (sukari a 2,5 R al chilo). Compriamo sia i sukari che i khlas. Assaggio i datteri ricoperti di cioccolato e quelli in una pastella all’arancia, ma preferisco quelli al naturale. Decido anche di acquistare un piccolo brucia incenso dorato a 1 R. La prossima sosta è nel negozio di fronte per assaggiare l’halwa, il dolce tipico omanita fatto di zucchero di canna, acqua di rose, frutta secca e talvolta miele. È una sorta di mostarda che lascia tutti indifferenti. Di fronte al bancone sono esposti i contenitori argentati o dorati per contenerlo; ne noto anche uno a forma di caffettiera omanita. Percorriamo il mercato della frutta e con la mente penso a quello coperto di Samarcanda che per me ha molto più fascino. Per un quarto d’ora girovaghiamo per i negozi di artigianato che vendono anche anfore traforate. Poi ci rechiamo al forte di Nizwa che stupisce per l’enorme torre circolare con scale in salita e discesa con vista sulle palme, la moschea o il paese (percorrendole tutte penso che rappresentano una metafora della vita, con i suoi saliscendi). Il forte risale al 1650 e sotto un tempo scorreva il Falaj Daris che permetteva ai suoi abitanti di essere autosufficienti con l’acqua in caso di pericolo. All’interno c’è un piccolo museo in cui si proiettano filmini per mostrare la lavorazione del ferro, la raccolta dell’acqua dai canali usando corde trainate da asini per riempire otri di capra, l’insegnamento del corano dentro una madrasa che può essere frequentata da bambini e bambine con divisa e velo.

La prossima tappa è il forte di Bahla, imponente per le sue dimensioni, ma impossibile da visitare perché chiuso per restauri. Fatto di paglia, fango e pietre è facile che decada in fretta, soprattutto se piove. Pranziamo verso le 14 al Fawanees Bahla Restaurant, un altro ristorante turco, dove il piatto forte è la shuwa (si pronuncia chiuva), carne di capra cotta in un forno sotterraneo. Ovviamente io scelgo altro e meno male che è previsto anche il pesce (sempre il delizioso hummer) che arriva fritto e accompagnato dal riso. Come antipasto humus di ceci e melanzane. Oltre al tè assaggiamo un dolce turco al formaggio che sembra una mozzarella in carrozza dolce che a me non piace. Prima che chiuda, alle 15.45 ci precipitiamo al forte di Jabreen. Fatto costruire dall’imam Bilarab dal 1680 al 1692, all’interno dell’edificio c’è la sua tomba. Composto di 55 stanze su 3 piani, è stato più una residenza che una fortezza. Un po’ labirintico nella struttura, in una sala ci sdraiamo sui tappeti a riposarci. Al suo interno si trovano le carceri femminili e maschili, la sala della giustizia, dove la pena per il colpevole cominciava dal camminare inginocchiato per raggiungere le celle. Tra le colpe attribuite alle donne c’era anche quella di disubbidire al marito, il viceversa non era contemplato, con disappunto di tutte le signore europee. Tra le stanze ad avere il soffitto di legno dipinto c’è la sala del sole e della luna, la cui caratteristica è di avere tante finestre da cui penetra sia la luce del sole che della luna. All’ultimo piano c’è anche la madrasa. Dall’alto si ammirano le merlature, sullo sfondo le palme: siamo ormai al tramonto e tutto si tinge di ocra dalle tonalità calde. Il sole tramonta su piccoli villaggi di case bianche e palme mentre noi ci dirigiamo verso il Jabreen hotel che sembra appartenere agli anni 60. La nostra camera ha un soggiorno, una piccola cucina con frigo ma senza fuochi, un bagno con doccia a pavimento con tenda (credo che bagnerò tutto il bagno quando farò la doccia), una camera da letto ampia con mobili sfarzosi e tende damascate (tutto troppo vistoso per i miei gusti e rimpiango l’hotel di Muscat). Usufruisco però del bollitore per il tè. Strano a dirsi, ma ha anche i prodotti da bagno: shampoo e crema per il corpo. Ceniamo alle 20.30 con minestra di legumi, humus, pollo arrosto (niente a che vedere con quello del diwan) e una pallina di pastella fritta. Anche il tè verde non è eccezionale. Chiacchieriamo dopo cena con gran parte dei compagni di viaggio.

Martedì 31 ottobre 2017

Sveglia alle 6.45 e colazione alle 7. La scelta su cosa mangiare è scarsa. C’è il latte caldo, ma non ci sono i biscotti e quindi vado in camera a prendere i miei. Poi mangio dello yogurt sfuso. Partiamo alle 8.30 e andiamo ad una fabbrica di ceramiche a Bahla. L’argilla di base è rossastra, la stessa con cui sono state fatte le piastrelle del cortile. La manifattura non è di alto livello e i decori sono realizzati con stencil e solo raramente a mano. Quando entra una scolaresca di maschietti, sono più incuriositi da noi che dalla visita alla fabbrica. Ripartiamo e verso le 11 ci fermiamo in un’area di servizio con un unico bagno per tutti. Quello che è interessante è il piccolo locale che prepara sul momento spremute di frutta: noi assaggiamo un mix di mango e papaia e la spremuta di melograno, uno dei frutti omaniti per eccellenza.

Si prosegue per Ibra, un tempo fiorente cittadina, come dimostrano i resti dei suoi imponenti palazzi, abbandonata 100 anni fa per mancanza di spazio. Un arco annuncia l’ingresso in città, dalle mura e i tetti diroccati. Nei portoni lignei decorati e nelle finestre dalle forme ricercate si scorge l’antica bellezza che purtroppo talvolta si mischia ai rifiuti. I bagni moderni sono pulitissimi e dotati di carta igienica e sapone. Pranziamo nel locale tendato Al Saula’ee, ristorante libanese dove la specialità è la carne di cammello stufata con le cipolle. Io la assaggio dal piatto di mio marito e trovo che il gusto sia molto delicato. L’antipasto è humus di melanzane (molto buono) e ceci. Come piatto principale scelgo un trancio di pesce, ma è troppo speziato da coprire il gusto del pesce. Assaggio l’ottimo tè omanita dal sapore avvolgente, con chiodi di garofano, zafferano, limone e zucchero. All’uscita del locale ci attendono i fuoristrada con destinazione deserto. Dopo avere percorso un breve tratto di strada asfaltata, svoltiamo verso il deserto di dune di sabbia chiamato Wahiba, lungo una pista che percorriamo per circa 10 km. Il deserto di Wahiba è ampio 180×80km ed è attraversabile in 5 ore di auto. A sud, al confine con l’Arabia Saudita, si estende un altro deserto tanto grande da essere chiamato il quarto vuoto di 650 km quadri, attraversabile in 20 ore. ll campo Arabian Oryx Camp ha casette indipendenti dai profili merlati che simulano le costruzioni di fango e paglia, un piccolo dehors con divanetto, stanza ampia con 2 letti da una piazza e mezzo, soffitto tendato, bagno dall’ampia doccia (con prodotti da bagno, phon e piccolo boiler), bollitore per il tè, aria condizionata. Lo trovo accogliente senza essere lussuoso. Nella hall noto gli slittini da sabbia che affitto per 2 R insieme a una compagna di viaggio. Alle 16.30 si va con i fuoristrada a vedere il tramonto sulle dune, tramite acrobazie sulla sabbia, discese spericolate e salti da risvegliare l’adrenalina. Ma la mia è già sveglia al pensiero di scivolare sullo slittino. Le auto si fermano in cima ad una discesa e io e N. ci piazziamo sugli slittini sulla cresta della duna e ci facciamo scivolare tentando disperatamente di prendere velocità, senza in realtà riuscirci, in quanto è molto facile che lo slittino si insabbi in punta. Comunque l’importante è averci tentato e provare la sensazione di essere tornata ancora bambina. In cima ad altre dune aspettiamo che il sole scompaia per osservare come la sabbia si tinga di rosso. A lungo ho pensato a quale scarpe portare nel deserto e ho finito per camminare scalza, dopo che la guida ci ha detto che non c’era alcun pericolo. La sabbia soffice e calda avvolge i piedi dando una sensazione di benessere. Alle 18 si ritorna al campo dopo avere percorso un anello attorno al campo. Fatta la doccia, prepariamo il tè con il bollitore e lo sorseggiamo nel piccolo dehors, facendosi accarezzare dal venticello asciutto e tiepido della sera. Questa sì che è vita! Ceniamo alle 20 nella grande sala tendata dove è stato riservato un unico lungo tavolo per tutto il gruppo. Mangio sia minestra di pollo thai (credo che ci sia lemmongrass) che minestra di verdura, humus, crema di lenticchie, pollo arrosto, un’arancia, della crema come dolce. In un’altra sala prendiamo il tè e ascoltiamo dei canti dal vivo. Tento di fare conversazione con il nostro gruppo ristretto, ma ben presto vanno tutti a dormire. Io e mio marito passeggiamo un po’ fuori dal campo, ma la luna, che è quasi piena, impedisce di vedere le stelle. Rientriamo alla base: l’intenzione domani è di assistere all’alba sulle dune.

Mercoledì 1° novembre 2017

Ci svegliamo alle 5.20 per assistere all’alba sulle dune. Fuori fa discretamente freddo e quindi andiamo su con la felpa. Scavalchiamo il recinto in ferro per accorciare il cammino e cominciamo la salita. Ben presto ci leviamo i sandali e ci rendiamo conto di quanto sia faticoso raggiungere la cima delle dune. Mio marito sta per scoraggiarsi, ma, a patto di fare un passo alla volta, io voglio raggiungere la vetta. La sabbia è ancora fresca per la notte, ma a stare fermi si rischia di scivolare indietro e arretrare. Con calma e tante soste ce la facciamo. Su il sole è ancora nascosto, ma il chiarore all’orizzonte annuncia la sua comparsa ormai imminente. Finalmente eccolo spuntare e colorare le dune che sembrano onde di sabbia. Io rimango seduta a guardare incantata il panorama e come i profili delle dune cambino tonalità di rosa con il tempo che passa. Adesso per scovare i soggetti più interessanti bisogna rivolgere lo sguardo all’indietro. Rimango lì, seduta in cima ad una duna, fino a poco prima delle 7. La discesa risulta piacevolmente veloce e per niente faticosa e giungiamo al campo in meno di 5 minuti. Accelerando il passo e abbandonando le gambe alla gravità, sembra di volare sulla sabbia, a giudicare delle impronte poco profonde che abbiamo lasciato sul costone della duna. La colazione è abbastanza ricca con latte caldo, pancake e miele, torta alle mandorle, muffies, yogurt al naturale, papaia. Lascio un po’ a malincuore questo bellissimo campo con vista sulle dune, diretti a Wadi Bani Khalid, usando ancora i fuoristrada perché raggiungere questo posto non è proprio semplice e bisogna percorrere una strada in salita circondata da rocce e che nell’ultimo pezzo ha anche dei tornanti. L’elevato numero di auto parcheggiate ci fa capire che il luogo è molto frequentato sia da turisti che dai locali. Percorrendo una strada di cemento, sassi e scalini con ai lati palme rigogliose giungiamo a vari laghetti verde smeraldo con insenature e rocce levigate dall’acqua. Noi oltrepassiamo il lago dove c’è il bar per raggiungere le pozze meno frequentate che si trovano ancora più su. Indossando le scarpe da scoglio per proteggere i piedi dalle pietre mi immergo nell’acqua ed è bellissimo nuotare circondati da pareti altissime di roccia. Con l’aiuto di un ragazzo del posto, nuotiamo contro corrente, camminiamo su massi scivolosi e risaliamo una piccola cascata per scoprire angoli nascosti frequentati da pochi visitatori. Io sono persino passata indenne al peeling fatto dai pesciolini agli altri. Ripartiamo alle 12.30 e, giunti a valle, lasciamo i fuoristrada per riprendere il pullman. Ci dirigiamo verso Sur per pranzare lì verso le 15 al ristorante Zaki con insalata, humus, pesce fritto (piccantissimo ha anestetizzato la bocca e annientato il gusto), gelato alla vaniglia.

Ripartiamo alle 16 e arriviamo a Ras Al Hadd alle 17; purtroppo l’hotel Ras Al Hadd Holiday, situato su una penisola con il mare su tre lati, è una struttura datata. La nostra camera è ampia, ha il bollitore, prodotti da bagno. Il Wifi è solo nella hall. Stasera bisogna cenare alle 19 perché alle 19.30 si va a Ras Al Jinz per vedere, se abbiamo fortuna, la schiusa delle uova di tartaruga. Io non ho ancora digerito il pranzo e quindi spiluccherò qualcosa. La cena si rivela tra le migliori servite in hotel: mangio la minestra di pollo, il pesce hummer, humus, macedonia, assaggio il creme caramel e la torta al cioccolato.

Si parte per Ras Al Jinz che dista mezz’ora dall’hotel. La nostra guida fa i biglietti per noi e siamo il gruppo n° 5 (i primi gruppi sono sempre destinati a chi soggiorna nel resort). La gente che aspetta è tantissima e investo del tempo nel piccolo negozio di souvenir dove mio marito compra una polo con una bella tartaruga stampata sulla schiena e il cassiere mi fa indossare un vestito coloratissimo per farmi la foto. L’attesa diventa estenuante, forse perché nella sala fa molto caldo. Ogni tanto viene chiamato un gruppo, ma non è mai il nostro turno. Cominciamo a pensare che il nostro tentativo stia andando in fumo. Poi, finalmente alle 21.45 si aprono anche per noi le porte che danno l’accesso al sentiero che conduce alla spiaggia. Camminiamo per circa mezz’ora con la sola luce della luna, con una guida che in prossimità della riva con una torcia ci mostra una tartaruga che sta deponendo le uova. Poi ecco lo spettacolo per me più emozionante: i piccoli appena usciti dalle uova si avviano zampettando in modo goffo verso il mare; tifo per loro perché ce la facciano a immergersi nell’acqua, scampando agli uccelli o ai granchi che sono i loro predatori. E quando il mare, come un manto, li avvolge, auguro loro una buona vita. Ci spostiamo di poco e la guida ci indica una tartaruga che si sta tuffando in acqua dopo avere deposto le uova e poi quella di prima che adesso sta insabbiando le proprie uova. Infine scorgiamo 2 tartarughe che risalgono i bordi della buca che hanno scavato per riprendere il mare. Al ritorno la guida ci racconta che le tartarughe verdi vivono in media 80 anni, sono fertili dai 20 ai 50 anni, depongono ogni volta un centinaio di uova che si schiuderanno dopo 50/70 giorni. Il sesso della tartaruga dipende dal calore della sabbia dove è stato deposto l’uovo. Purtroppo solo 1 tartaruga su 1000 raggiunge l’età adulta. È tempo di organizzare, anzi riorganizzare, il programma di domani. Per la guida il sentiero che conduce alla sorgente del Wadi Shab non è per tutti, prevede un’ora di tracking con un tratto in cui i propri oggetti devono essere portati sopra la testa per non bagnarli. Proponendo come alternativa la possibilità di andare al mare, tutti, tranne me, scelgono questa alternativa. Rimango contrariata e, come spesso accade, mi sento una voce fuori dal coro. Sui diari di viaggio di chi ha visitato l’Oman prima di me ho letto di quanto sia emozionante l’escursione che per me sta sfumando e mi sento beffata.

Giovedì 2 novembre 2017

Sveglia alle 6.45 e faccio colazione alle 7 con latte, pancake, torta, tè. Si parte per Sur alle 8.45 e ammiriamo la città adagiata sul mare dalla piazzola del faro restaurato da poco. La nostra guida ci offre i lukaimat, crespelle dolci in 3 varianti: con miele, cacao, latte condensato: io preferisco quest’ultima versione. Andiamo alla fabbrica di dhow (si pronuncia dau) che è l’ultima rimasta in Arabia a costruire questo tipo di imbarcazione. Il cantiere arriva a costruire fino a 3 barche in contemporanea. La chiglia è in legno di teak, i lati in legno di acacia. Il costo varia da 80 a 130 mila Rial (180/300 mila €). Pur avendo le vele è sempre usata con il motore. Pranziamo al Wadi Shab Resort che sorge sul mare. Mangiare in un locale che porta il nome del posto che non riesco a vedere mi sembra di nuovo una beffa. Dinanzi al poster di Wadi Shab chiedo ad alla guida quanto costa affittare un’auto che possa portarci al Wadi. Lui cerca di convincermi che il sentiero è complicato, ma io gli spiego che so cosa mi aspetta, avendolo letto nei diari di viaggio di chi è stato in Oman prima di me. Aggiungo che sono convinta di stare per perdere qualcosa di bello; forse qualcosa scatta dentro di lui perché a metà pranzo viene a sedersi accanto e mi dice che accompagnerà solo noi due in questa avventura, a patto di tenere il suo passo perché il tempo a disposizione è limitato: non si può lasciare per troppe ore il resto del gruppo nella spiaggia di Fins alle 3 del pomeriggio, sotto un sole cocente. Io raccolgo la sfida e mi sembra che sia avvenuto un piccolo miracolo. L’angelo del bene di Abdul ha guadagnato un punto su quello del male per avere accontentato una viaggiatrice curiosa. Lasciamo gli altri vicino alla spiaggia e noi tre torniamo indietro con il pullman fino a Wadi Shab (solo una decina di chilometri separa la spiaggia dall’ingresso al wadi). Con una barchetta ci spostiamo dall’altra parte della vallata, dove comincia un percorso assolato tra pietre e sentieri stretti che costeggiano il canyon dove scorre a tratti un’acqua color smeraldo. Il ritmo è serrato, nei punti al sole sudo tantissimo, ma non mi lamento e procedo mantenendo il passo della nostra guida. Dopo circa tre quarti d’ora, lui decide di fermarsi per prendere fiato. Io rimango in piedi, piena di un’energia che non so da dove ho tirato fuori.

Riprendiamo il cammino, ma il percorso sui massi ad un certo punto è interrotto, forse a causa di una frana. La nostra guida decide di proseguire a nuoto. Si immerge e scherzando dice che siamo tre matti. Io levo i pantaloni e li deposito in un anfratto nella roccia. Nuoto con il costume e la maglietta. Per qualche metro mio marito porta sopra la testa la macchina fotografica, poi la lanciamo su una roccia perché è già andata in acqua una volta e meno male che ha la custodia. Speriamo che nessuno la rubi, altrimenti, oltre a perdere la macchina fotografica, non avrei più alcuna foto del viaggio.

Liberi da tutto, nuotiamo più spediti verso la meta: una strettoia, dove non si tocca e si passa solo di lato aggrappandosi alla roccia con le mani; oltrepassato il varco, che farebbe paura a chi soffre di claustrofobia, l’incanto è dinanzi ai nostri occhi, reso ancora più affascinante perché conquistato con la forza di volontà. Un raggio di sole illumina di sbieco una caverna e la sua cascata. Lo spettacolo è indimenticabile e l’immagine di quel luogo rimarrà per sempre impressa nella mia memoria, anche se non ho potuto fare foto. All’uscita l’acqua è ancora più chiara perché un raggio di sole radente la illumina. Nell’oltrepassare di nuovo il varco mi sembra di uscire da una grotta azzurra. Nuotando arriviamo alla roccia dove avevamo depositato la macchina foto che nessuno ha portato via, poi riprendiamo il sentiero di terra e i vestiti. Il tragitto al contrario è sempre impegnativo, ma meno faticoso perché il sole non penetra più nella gola. Arriviamo al pullman verso le 16.30 quando gli altri, rientrati dalla spiaggia, ingannano l’attesa al bar all’inizio del Wadi.

La tappa successiva è Hawiyat Najm (Sink Hole) park, un cratere creato dall’erosione dell’acqua; una scalinata conduce alla pozza di acqua salata dove si può fare il bagno. Io mi bagno solo i piedi (ammetto di essere ancora infreddolita dall’avere fatto il bagno con la maglietta senza avere il ricambio, ma confido nel caldo omanita per asciugarmi). Arriviamo alle 19.30 allo stesso hotel di Muscat delle prime due notti e dopo la doccia scopriamo che la cena per noi non è prevista. I camerieri però si danno da fare per improvvisare una cena veloce con insalata, humus, pane, pollo e torta al cocco. Il corrispondente in Oman ci offre il trasferimento fino in centro come rimborso per gli hotel che sono stati cambiati rispetto al programma originario. Il pullman ferma proprio di fronte a Startbucks e allora decido di comprare la tazza del locale per un’amica che le colleziona. Passeggiamo osservando la colonna di auto che fa su e giù per la strada principale, una sorta di passeggio sulle quattro ruote. I marciapiedi sono in rifacimento e c’è anche chi inciampa. In riva al mare la gente del posto siede sullo sdraio che si è portato da casa per godere della leggera brezza marina. Gli omaniti vivono di sera o nei centri commerciali per sconfiggere il caldo del giorno. Ritorniamo in hotel verso mezzanotte.

Venerdì 3 novembre 2017

Visto che non c’è niente in programma, oggi ci alziamo alle 8, un orario quasi da vacanza. Dopo colazione, prepariamo i bagagli e andiamo al centro commerciale che il venerdì, il giorno festivo per i musulmani, apre alle 10. Scopriamo che solo il supermercato è aperto. Alle 11.30 ci accompagnano all’aeroporto, dove salutiamo la nostra guida. Al duty free di Muscat provo alcune profumazioni di Amouage. Una compagna di viaggio ne compra una per 225€. Subito dopo c’è lo stand esclusivo di Amouage, provo qualche altra fragranza, ma il costo elevato mi scoraggia: lascerò l’Oman senza acquistare neanche una miniatura, anche se avevo trascorso il sabato prima della partenza a pensare a quanto accattivanti dovessero essere le fragranze del profumo più prezioso al mondo.

Saliamo sul volo per Milano WY0143 verso le 14.15, ma decolliamo solo alle 15; durante il volo ci servono sia un pranzo (pollo con riso, insalata russa e semifreddo alla fragola) che un panino con peperoni e altre verdure che non mangio perché la prolungata turbolenza mi ha fatto venire la nausea. Alla ricerca disperata di un bagno, l’unico libero è quello della prima classe che ha un ramo di orchidea dentro un vaso, il profumo e la crema Amouage a disposizione dei clienti (nei bagni della classe economica c’è solo una miniatura di crema senza tappo per scoraggiare eventuali “sottrazioni indebite”).

Arriviamo alle 19 (ora italiana) con un volo che è durato 7 ore percorrendo 5051 km.



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