Viaggio nel paradiso ritrovato: un mese in Nuova Zelanda

La nostra magnifica luna di miele in dettaglio, in un luogo che è davvero un sogno.
Scritto da: Estelgard
viaggio nel paradiso ritrovato: un mese in nuova zelanda
Partenza il: 22/09/2009
Ritorno il: 23/10/2009
Viaggiatori: 2
Mi accingo a scrivere un dettagliato resoconto del nostro splendido viaggio di nozze in Nuova Zelanda, la terra dei kiwi, dei maori, della haka e del Signore degli Anelli, ma soprattutto un luogo dove la natura è la vera padrona incontrastata. Cercherò di riportare tutto quello che mi ricordo e che ho appuntato sul mio diario di viaggio, ma se vi sono domande che volete fare, scrivetemi pure all’indirizzo mail o sul sito di Turisti per caso.

Noi siamo partiti il 22 settembre e rientrati il 23 ottobre, periodo nel quale in NZ è primavera. La cosa positiva è che c’è ancora meno gente di quanto non ce ne sia in estate (comunque poca rispetto ai nostri standard) e ci si gusta certi scenari in completa solitudine. Certo per gli amanti delle attività all’aperto e del mare conviene andare se possibile più avanti, ad esempio in genneio o febbraio, piena estate. Noi non abbiamo fatto il bagno al mare perchè l’acqua era ancora troppo fredda e a volte è stata davvero dura non tuffarsi. Abbiamo prenotato volo, auto a noleggio, traghetto tra le due isole e ultime 3 notti a Auckland con un tour operator e poi io ho prenotato tutti i pernottamenti (tranne un paio) dall’Italia tramite mail e carta di credito. Devo precisare che questa è un’operazione che si può tranquillamente evitare, ma noi l’abbiamo scelta per non dover perdere tempo a cercare il pernottamento in loco e sfruttare al massimo ogni minuto; inoltre avevamo un programma di viaggio ben definito (studiato per mesi dal sottoscritto) e volevamo rispettarlo il più possibile. Se invece si vuole essere più liberi, non preoccupatevi di prenotare prima: gli I-Site locali, onnipresenti anche nelle cittadine minori ed efficentissimi, vi troveranno una sistemazione anche a parecchi km di distanza, l’importante è andarvi negli orari di apertura (di solito tutti i giorni dalle 9.00 alle 17.00). Abbiamo anche prenotato delle escursioni in anticipo, ma vi dirò nel resoconto quali. E adesso comincio con la narrazione, cercherò di essere succinto e dare le informazioni più importanti.

22/09 GIORNO 1: ROMA – HONG KONG Partiamo con la Cathay Pacific alle 13.50 da Roma Fiumicino senza ritardi, né problemi. Il volo sul grosso aereomobile è molto piacevole, cibo discreto e soliti intrattenimenti video/audio.

23/09 GIORNO 2: HONG KONG Arriviamo in mattinata all’aeroporto di Hong Kong e, dato che dobbiamo fare uno stop di 9 ore circa, decidiamo di uscire e visitare brevemente l’isola di Lantau, che si trova fuori dal centro cittadino. Prendiamo un taxi per la stazione di Tung Chung e poi un autobus che in circa 45 minuti ci porta alla località di Ngong Ping, dove si trovano le attrazioni che vogliamo vedere. Le strade sono tutte curve e saliscendi ripidi, ma il pulman va pianissimo quindi non c’è da preoccuparsi; la cosa importante invece è cercare di avere degli spicci per il l’autobus, perchà non hanno resto dfa dare: a noi delle gentili signore e monache hanno cambiato le monete cartacee (in totale sono 35 dollari di Hong Kong a tratta per 2 persone). A Tung Chung si ha un breve asaggio della incredibile metropoli di Hong Kong: palazzi e grattacieli enormi si sviluppano fino ad altezze proibitive, tutti uguali e con strane forme e piloni che li sostengono. Mi viene in mente una specie di civiltà aliena che costruisce queste foreste di cemento sullo sfondo di un’isola verdeggiante e montagnosa; le strade sono impervie e la natura rigogliosa cresce sui ripidi picchi a strapiombo sul mare e così i pochi villaggi al di fuori del centro sono quelli di pescatori e artigiani. Arrivati a Ngong Ping il caldo torrido ci attanaglia e un’umidità pazzesca ci rende ben presto affaticati. L’area di Ngong Ping è un cantiere aperto in evoluzione: nella zona della piazza stano rifacendo la pavimentazione e dietro al monastero verrà eretto un edificio sacro molto più grande di quello esistente. Ci aggiriamo con calma nel monastero buddhista di Po Lin e visitiamo alcuni templi/pagode costruiti all’inizio del XX secolo ammirado le mirabili decorazoni (draghi, svastiche, iscrizioni, statue); nei giardini notiamo i classici oggetti del culto buddhista, campane di bronzo e enormi incensieri, contornati da fiori e piante dal profumo intenso. Il “Wisdom Path” è un sentiero che si immerge nella vegetazione, ma anche qui i lavori in corso disturbano il tutto, anzi dopo pochi metri decidiamo di torare indietro perchè il setiero pare abbastanza abbandonato. Alle 10.00 apre l’attrazione principale dell’area, il Giant Buddha, statua in bronzo costruita nel 1993: essa si trova sulla cima di un colle raggiungibile da una monumentale scalinata di 268 gradini, è alta 34 metri e pesa 250 tonnellate. Il Buddha è seduto sul fiore di loto, con la mano destra sollevata nel gesto dell’abbandono dalle afflizioni terrene ed è contornato da 6 statue di divinità femminili; alla bsae si può entrare in un museo con una reliquia del Buddha pagando 23 dollari a testa, altrimenti la visita è gratuita. Dopo aver ammirato il paesaggio scendiamo al villaggio turistico di Ngong Ping, ricostruzione ad hoc per i turisti, pieno di negozi di souvenir e bar e con una funicolare che porta ad un punto panoramico. La tremenda aria condizionata, sparata fortissima e a temperature bassissime, ci costringe però ad evitare i negozietti, quindi ritorniamo sui nostri passi e riprendiamo autobus e taxi per arrivare all’aeroporto (mi raccomando portate sempre con voi una maglia o una sciarpa per ripararvi dall’aria condizionata, a meno che non vogliate ammalarvi!). All’aeroporto pranziamo con abbondanti ramen (116 dollari di HK), ritiriamo i bagagli al deposito (3 bagagli per 5 ore, 165 dollari di HK) e siamo pronti a ripartire. Il cambio dollaro di HK/Euro era di circa 10/1.

24/09 GIORNO 3: NORTHLAND (AUCKLAND – WHANGAREI – KAWAKAWA – PAIHIA) Arriviamo all’aeroporto di Auckland in perfetto orario alle 6.10 di mattina e siamo ovviamente molto stanchi. Cambiamo un pò di euro in dollari neozelandesi: tasso di cambio euro/Nz dollar, circa ½, quindi in pratica le cifre in dollari che vdrete sono sempre la metà o leggermente più in euro. Ci accorgiamo con fastidio che il tour operator ha sbagliato la prenotazione dell’auto a noleggio, quindi invece di ritirarla in aeroporto dobbiamo recarci in centro. Per arrivare in città consigliamo di prendere uno shuttle, un pulmino da circa 12 posti che costa circa 37 dollari NZ per coppia e vi porterà in qualunque posto vogliate. L’unica differenza con un taxi (che costa circa 90 dollari) è che probabilmente dovrete attendere un pò che salgano altri passeggeri (noi eravamo in 4 in tutto comunque e abbiamo aspettato 20 minuti) perchè ovviamente a loro fa comodo riempire il più possibile. Al ritiro dell’auto un altro errore: la macchina era prenotata dal giorno successivo! Allora paghiamo un giorno in più e ci facciamo dare una vettura col cambio automatico (Ford Focus blu) prima di partire per il nord. I primi metri col cambio automatico sono un pò difficoltosi percè mi viene da premere la frizione che non c’è e quindi inchiodo, anche perchè il freno è sensibilissimo e scatta appena viene sfiorato. Per fortuna col passare del tempo diventerò un maestro della guida automatica…Dopo un viaggio di circa 2 ore sull’unica autostrada a pagamento della NZ giugniamo a WHANGAREI. Attenzione: una cosa non specificata dalle guide è che il breve tratto di autostrada a pagamento non ha caselli, quindi è possibile pagare ad un cabinotto molto poco visibile al lato della strada (noi non lo abbiamo visto), oppure tramite internet (come abbiamo fatto noi) entro 3 giorni dal passaggio. Sono solo 2 dollari ed è meglio non prendere multe appena arrivati; ovviamente serve una carta di credito, poi la conferma arriva tramite mail. Dopo aver pranzato alla “Home Backery” una sorta di fast food/forno, andiao a vedere le Whangarei Falls, uno spettacolo da cartolina, come è scrito sulla Lonely Planet. E’ davvero così: un parco con un sentiero ben tenuto (caratteristica di ogni sentiero in NZ) permette di ammirare lo splendido salto dell’acqua di 26 m su una colata di lava basaltica; ci sembra di essere sul set di “Lost” quando osserviamo la cascata dal basso, in mezzo alla rigolgiosa foresta di alberi e felci giganti. A KAWAKAWA, circa 50 km più a nord, sostiamo giusto il tempo di vedere I curiosi bagni pubblici dell’eccentrico artista Hundertwasser: una commistione di rivestimenti in ceramica bianca e colorata, unita a formare figure astratte, insieme all’utilizzo di vetri colorati. Il risultato è una costruzione che non sembra proprio una toilette (c’è anche un albero che vi cresce in mezzo) ed è diventata l’unica attrazione della cittadina. Arrivati alla nostra meta, PAIHIA nella BAY OF ISLANDS, abbiamo giusto il tempo per una capatina nell’area di Waitangi, un bel parco di enorme importanza storica per il trattato firmato tra gli europei e I maori nel 1840; a mio avviso un ottimo modo per cominciare a scoprire la cultura maori e conoscere la storia di questa nazione. Il biglietto di 20 dollari è valido per 24 ore, quindi possiamo riutilizzarlo anche il giorno successivo. Facciamo una passeggiata breve tra I sentieri che si snodano tra enormi alberi e felci e arriviamo alla collina dove un alto pennone di una nave indica il punto dove fu firmato l’accordo. Ai mergini della radura si stagliano la “whare runanga” (casa delle assemblee, detto anche marae in lingua maori) e ci accodiamo a una visita guidata per ascoltare le leggende e le storie che regolano questa costruzione. E’ stata costruita nel 1940 per celebrare il centenario del trattato e presenta fantastici rilievi e intagli maori in legno, raffiguranti divinità, figure mitologiche e capi tribù, contraddistinti tutti dai “moko”, i tatuaggi rituali, e dalle espressioni feroci con occhi sbarrati e lingua fuori derivanti dalla “haka”. Questo edificio vale da solo il prezzo del biglietto ed è uno dei pochi marae dove si possono scattare foto e video. La canoa da guerra (“waka”) è purtroppo in restauro e sta iniziando a piovere copiosamente (alle 17 corca ci sarà una specie di nubifragio, il tempo più brutto che abbiamo preso, ma siamo già in camera) e quindi decidiamo di uscire e terminare la visita il mattino successivo. La nostra casa per le due notti successive, lo Chalet Romantica, è un gioiellino: abbiamo prenotato la Romantica Suite, una camera deliziosa e spaziosa in mansarda con cucinotto, salotto e balconcino, per trattarci bene al nostro arrivo e non abbiamo sbagliato. La padrona di casa, la signora svizzera Inge, è gentilissima e ci mette subito a nostro agio, facendoci usare internet e dicendoci come pagare l’autostrada. Poi si offre di prenotarci senza impegno la corciera nella Bay of Islands all’indomani mattina, se il tempo sarà bello. Ceniamo in un pub, il Frank’s sul lungomare, a base di ottima zuppa di pesce e saporita Caesar salad. Attenzione: gli orari dei kiwi sono molto simili a quelli britannici e irlandesi, per cui la cucina di sera apre alle 17 e chiude solitamente entro le 20 (a parte qualche eccezione e nelle grandi città), anzi in realtà se arrivate alle 19.30 rischiate di essere gli unici avventori e che alle 20.30 quelli del locale comincino già a pulire e sparecchiarvi intorno.

25/09 GIORNO 4: NORTHLAND (WAITANGI – BAY OF ISLANDS) Per fortuna la sera precedente avevamo detto a Inge di prepararci la colazione (15 dollari a testa)! Quando scendiamo nella veranda illuminata dal sole ci troviamo di fronte ad un’intera tavola imbandita solo per noi due! Frutta, cereali, focacce, pane tostato con varie marmellate, burro, miele, formaggio, uova…ce n’è abbastanza per riempirci fino a cena e così ci abbuffiamo! Inge ci prenota la crociera alle 13.30 e noi andiamo ancora al Waitangi National Park per terminare la nostra visita. Vediamo un video sulla canoa in restauro, visitiamo il picolissimo museo e infine andiamo alla Traty House, sulla collina di fianco alla “whare runanga”. E’ la casa dove, dal 1832, è vissuto James Busby, importante signore e mercante dell’800, e dove è stato firmato il famoso trattato: restaurata, all’interno conserva molti cimeli storici e ricostruzioni delle stanze. Atorno all’edificio vi sono meravigliosi giardini e alcuni tordi che svolazzano qua e la. Terminata la visita, prendiamo il traghetoo per Russell, ridente cittadina dall’altra parte della baia rispetto a Paihia, e facciamo una passeggiata per le sue strade che conservano un’atmosfera ottocentesca (è stato il primo insediamento stabile degli europei); vediamo il Pompallier, edificio del 1842 che ospitava la tipografia dei missionari, la graziosa chiesetta di Christchurch, la più vecchia della NZ e saltiamo il piccolo museo, perchè non abbiamo tempo. Alle 13.40 partiamo con la corciera: il viaggio dura circa 3 ore e permette di osservare le splendide baie che danno il nome a questa zona, spiagge dorate e isolate con piccole barche e yacth alla fonda e la fauna marina che spesso si avvista. Noi vediamo un gruppo non troppo numeroso di delfini che non hanno la minima paura delle barche e anzi ci girano attorno divertiti. Altro momento entusiasmante è il rifornimento a un vecchietto che vive col cane su isoletta sperduta e da sogno! Purtroppo il mare mosso non ci permette di arrivare alla “Hole in the rock” la punta estrema della Bay of Islands, un’arco di pietra che si può attraversare con la barca; ci accontentiamo delle impennate e delle rollate che dell’imbarcazione appena puntiamo verso il mare aperto! Al ritorno dall’esperienza molto piacevole prendiamo l’auto e decidiamo di fare ancora qualche km per una strada ad anello attorno a Paihia per vedere le Haruru Falls, cascate molto più basse di quelle di Whangarei , ma molto più larghe e rumorose. Per cenare proviamo il ristorante “Only seafood”, consigliato dalla Lonely Planet: 2 antipasti, 1 piatto principale, patate fritte, 2 dolci, 2 bicchieri di pinot grigio a un totale di 116 $. Abbastanza costoso per gli standard kiwi (in realtà 58 euro in due per il pesce da noi è poco), ma comunque buono, anche se i sapori sono decisamente diversi dai nostri (cozze avvolte nel bacon!?). Domani ci attende la traversata più lunga del mese, circa 500 km, quindi a letto presto!

26/09 GIORNO 5: NORTHLAND E WAIKATO (KERIKERI – WAIPOUA FOREST – MATAKHOE – HAMILTON) Oggi sveglia alle 6.00 per fare uno dei tratti più lunghi della vacanza. Dopo aver lasciato a malincuore lo Chalet Romantica e aver fatto il pieno, ci dirigiamo a KERIKERI, un piccolo villaggio storico a nord. Arrivati in un piccolo parcheggio senza auto, scendiamo e facciamo alcune foto alla Stone Sore, l’edificio in pietra più antico della NZ (1832), che oggi conserva alcuni oggetti antichi dell’epoca ottocentesca; a fianco dell’edificio fotografiamo la Mission House, la costruzione in legno più antica del Paese (1822) e ammiriamo lo scorcio della darsena attorno a noi. Decidiamo di prendere il sentiero che, in 10 minuti, ci porta sul colle davanti agli edifici storici: questo era il sito del Kororipo Pa, la fortezza del famoso capo maori Hongi Hika, ma oggi non resta praticamente nulla a testimonianza del passato, tranne alcuni pannelli illustrativi che documentano l’aspetto del villaggio fortificato e alcune scene di vita maori del passato. L’aspetto migliore del luogo è l’ottima visuale della Stone Sore e della Mission House e il sentiero che si snoda tra alberi di gomma e felci giganti, permettendo ai turisti di avere uno splendido contatto con la natura neozelandese, caratteristica sempre costante di un viaggio in NZ. In mezzo a tanti uccelli e piante riesco anche a fotografare un pukeko, un gallinaceo di colore blu scuro con la testa rossa, piuttosto comune in NZ. Prendiamo poi la strada per la costa ovest, mentre purtroppo comincia a piovere copiosamente; a Omapere, una cittadina dove sostiamo per una pausa in un bagno pubblico, sembra si sia scatenata una tormenta. Ma la variabilità del tempo in NZ ci stupisce di nuovo: arrivati alla WAIPOUA FOREST il maltempo si placa leggermente e spioviggina solamente. Ci copriamo comunque con la cerata e prendiamo il sentiero che porta al Tane Mahuta, “il signore della foresta” in lingua maori, l’albero kauri più grande della NZ coi suoi 51 m di altezza. In 5 minuti arriviamo al cospetto dell’enorme albero, dove una guida maori canta nella sua lingua alcune preghiere tradizionali e suona un piccolo flauto in legno; il momento è davvero magico, siamo nel mezzo di una rigogliosa foresta tropicale con una fitta pioggierellina che cade su di noi e siamo al cospetto di una creatura vivente che sembra davvero avere una sua anima. Dopo questo sentiero andiamo a vedere altri kauri particolarmente famosi: le Four Sisters, quattro alti e snelli kauri cresciuti vicinissimi tra loro, e il Te Matua Ngahere, “il padre della foresta”, il kauri più vecchio (circa 2000 anni di età) e forse quello col tronco più ampio (5 m di diametro) di tutto il Paese; queste aree si raggiungono con dei piacevoli sentieri (di circa 15 -20 minuti) e si parcheggia l’auto in uno spiazzo sorvegliato da volontari che controllano la zona contro i furti (è gradita una mancia di un paio di dollari). Consigliamo davvero una visita a questa incontaminata foresta piena di fascino e di storia, dove l’uomo si sente un essere quasi insignificante di fronte all’immensità della natura. La strada verso sud si snoda attraverso gli alberi immensi e il verde delle piante, con curve a volte strette che si susseguono tra un muro di verde e l’altro, ma il traffico è davvero poco quindi ci si può godere il viaggio senza problemi. E’ piacevole completare la conoscenza della zona con la visita al Kauri Museum (ingresso 15 dollari a testa) di MATAKHOE, una bella attrazione in un villaggio alcuni km a sud: la struttura ha molte stanze con riproduzioni di vita nell’800, molte spiegazioni sul taglio, la lavorazione e l’utilizzo del legno di kauri, una ricostruzione di un’intera segheria e la strabiliante camera della gomma, una leggera sostanza simile all’ambra estratta dai kauri. Vale la pena una visita anche per gli eccellenti prodotti in legno che si possono trovare nel negozio di souvenir. Passiamo il pomeriggio in auto per la lunga traversata verso Hamilton, dove arriviamo alle 19.30 circa: la nostra sistemazione è il Cobourne Cottage Homestay, praticamente la dependance di una famiglia in periferia, con tre stanze da letto, una cucina completa di tutto, un salotto e un bagno spaziosi (comprese la lavatrice e l’asciugatrice)! Il tutto per 120 dollari a notte, ne vale certamente la pena, anche se si è un pò fuori dal centro. Decidiamo che per le 3 notti che passeremo qui sfrutteremo la cucina e prepareremo da soli la cena.

27/09 GIORNO 6: WAIKATO (MATAMATA – TIRAU – CAMBRIDGE – HAMILTON) Per gli amanti della trilogia di Peter Jackson “Il Signore degli Anelli”, MATAMATA è una tappa obbligata, la Hobbiton del film. Noi abbiamo prenotato il tour guidato alle 9.30 di mattina e scopriamo con meraviglia che siamo solo in 2: dobbiamo ammettere che il business del Signore degli Anelli è molto calato nel corso delgi anni, comunque non ci lamentiamo, la guida infatti sarà a nostra completa disposizione. La visita dura circa 2 ore e mezzo, compreso il tempo per arrivare al sito che è leggermente fuori città. Le scene si riconoscono piuttosto bene, anche con l’aiuto delle foto del film lasciate in scena e con le spiegazioni e gli aneddoti della guida; si possono scattare molte foto divertenti, soprattutto al “party tree” e alla “casa di Bilbo” e l’atmosfera è davvero magica, contornata da una miriade di pecore e agnelli (costo di 58 dollari a testa). A proposito di ovini, alla fine della visita c’è una piacevole dimostrazione di tosatura delle pecore e poi ci permettono di nutrire gli agnellini col biberon!!! Irene ed io siamo davvero emozionatissimi quando accarezziamo quei batuffoli di lana e io prendo anche in braccio quello che allattavo (il nero!). Dopo il Ring Scenic Tour ci dirigiamo a TIRAU, la città della lamiera ondulata: con questo materiale sono costruite alcune sculture e insegne di negozi e anche alcuni edifici, compreso l’I-Site locale, a forma di gigantesco cane, a fianco del negozio di souvenir a forma di gigantesca pecora. Per il pranzo scegliamo il Boatshed cafè, sulla sponda del Lake Karapiro, suggerito anche dalla Lonely planet: 2 grossi sandwich, 1 birra, 1 acqua e 1 cappuccino a 24 dollari. Poi passiamo per CAMBRIDGE, una città molto british con molti negozi e laboratori artigianali e una graziosa chiesetta di St. Andrew. Dopo aver fatto spesa per la cena al supermercato, tornaimo ad HAMILTON, dove passiamo oltre un’ora a passeggiare per gli Hamilton Gardens, che, essendo domenica, sono molto frequentati: ci sono molte varietà di piante e fiori, ampi spazi dove stendersi e rilassarsi e una parte tematica che illustra con esmpi praticii vari tipi di giardini del mondo (giapponese, italiano, indiano, ecc). Ale 18.00 circa facciamo infine ritorno al Cobourne cottage, dove prepariamo un gustoso piatto di spaghetti al sugo di pomodoro, tutto made in Barilla!

28/09 GIORNO 7: KING COUNTRY (WAITOMO CAVES – TE OTOROHANGA) Al risveglio la giornata è nuvolosa ma non piove a dirotto, come avevamo visto nelle previsioni in tv; in realtà dopo pochi km comincia la solita pioggerella, ma ormai ci siamo abituati: secchiate d’acqua per alcuni minuti, poi schiarite e arrivo del sole. La tappa della mattinata è la zona delle WAITOMO CAVES, una stretta valle dove sono state scoprete alcune caverne, e dove soprattutto vivono i rarissimi glowworms. Questi ultimi sono larve di un insetto simile alla zanzara, che sono depositate sulla volta della caverna e risplendono di luce propria al buio. Arriviamoal visitor centre alle 9.00 e prenotiamo la visita combo (consiglio di prenotare tempo prima se si va nella loro estate, perchè il luogo è affollato) all’Aranui Cave alle 10.00 e alla Glowworm Cave alle 11.00 per 58 dollari a testa. Nell’attesa diamo un’occhiata al piccolo e divertente museo, dove sono raccolti fossili (compreso un trilobite enorme) e discutibili scheletri di animali, incluso quello di un Moa, uccello ormai estinto simile a un grande struzzo; consigliamo anche la visione di un filmato che spiega molto bene cosa sono i glowworms e come sono state scoperte le grotte. Alle 10.00 ci spostiamo con la macchina di circa 3 km, per raggiungere il punto d’incontro con la guida dell’Aranui Cave, che ci introduce, dopo un breve sentiero come sempre immerso nel verde, in una stretta e alta fenditura nella roccia, ricca di stalattiti e stalagmaiti: ci impressiona soprattutto la forma della caverna, che assomiglia a un vero e proprio crepaccio decorato da forme fantastiche (da notare però che qui non vi sono glowworms, ma la zona è simile a alle nostre caverne carsiche). Alle 11.00 comincia la visita alla Glowworm Cave, la più famosa della valle, dove siamo accompagnati da molte più persone rispetto alle 7 della precedente grotta: si scende per alcuni metri, tra formazioni rocciose meno spettacolari dell’Aranui Cave, ma la caverna è molto più alta e ampia e in un certo punto la guida ci mostra i primi glowworms molto in alto nella volta. Il vero spettacolo però comincia quando si sale sulla barca,per il breve ma intenso giro nella caverna con la bassa volta ricoperta di glowworms. C’è da puntualizzare che chi è claustrofobico ed ha paura del buio pesto non se la passerà benissimo (infatti Irene è un pò terrorizzata e mi stritola la mani!); il giro in barca dura comunque meno di 10 minuti, quindi se volete gustarvi al massimo le luci meravigliose dei glowworms, cercate di salire al secondo giro, poichè potrete restare sulla banchina al buio ad ammirare i primi vermicelli sulla volta, in uno spettacolo davvero emozionante. La vera meraviglia è comunque la volta che si ammira dalla barca e questa visione è davvero difficile da spiegare a parole: ci sembra di navigare lentamente sotto un vero e proprio cielo stellato, in un silenzio totale (la guida non parla e anche i visitatori sono invitati a fare assoluto silenzio) rotto solamente dalla caduta di qualche goccia d’acqua e dallo sciaquio del fiume sotterraneo; un’esperienza da vivere che lascia a bocca aperta (una delle migliori cose viste in NZ) e raccontarla o vederla in video o foto (non si possono comunque fare, si possono comprare libri o dvd) non rende assolutamente l’idea. Dopo questa fantastica avventura ci concediamo un pò di tranquillità allo Shearing Shed, il luogo dove i teneri conigli d’angora vengono allevati e tosati per la lana. Arriviamo giusto in tempo per la tosatura alle 12.30 e osserviamo, incuriositi, come il coniglietto riduce il suo volume perdendo il pelo ovattato; la posizione nella quale viene messo l’animale non è delle più comode, legato per le zampe anteriori e posteriori e stirato per bene, ma pare che la creaturina si abituata. Foto di rito con un coniglione dal pelo enorme e poi a mangiare da Morepork Pizza (consigliamo una taglia medium al massimo, perchè le pizze sono conditissime!). Nel pomeriggio andiamo a visitare le Kiwi Houses di TE OTOROHANGA, dove finalemente vediamo il buffo uccello inabile al volo, simbolo della NZ; è davvero carino, col suo becco puntuto sempre alla ricerca di cibo e la sua forma rotonda e grassoccia e le aree lievemente illuminate che contengono i kiwi permettono di avere una grande probabilità di avvistare gli ospiti, poichè sono ben posizionate. Nel parco vi sono molte altre specie di uccelli: anatre, pukeko, rapaci, piccioni della NZ, i rari pappagalli Kea e Kaka, e anche qualche rettile, come i gechi e i tuatara, una sorta di antichissima iguana, caratteristica dell’isola. Il parco si gira circa in un’ora ed è piacevole da vedere, anche se alcuni animali, in particolare i rapaci e i pappagalli stanno in gabbie piccole e piuttosto malmesse. Tornando a Hamilton cerchiamo di vedere il museo storico del Waikato, ma purtroppo, diversamente da quanto scritto sulla Lonely Planet, la struttura chiude alle 16.30, noi arriviamo più tardi e dunque torniamo al cottage. Altro piatto di pasta Barilla e a letto presto per affrontare l’indomani il viaggio verso Rotorua.

29/09 GIORNO 8: ROTORUA Sveglia molto presto (alle 6.00) perchè ci sono molte cose da vedere a Rotorua! Dopo un’ora di auto in una scorrevole strada tra colline verdeggianti, arriviamo vicino all’area di ROTORUA e subito capiamo di essere prossimi alla meta dal forte odore di zolfo che ci assale. La zona è infatti la più importante e vasta area termale/vulcanica della NZ e i fumi derivanti dai gas solforosi si innalzano dai tombini, dai prati e tra le case. Il lago non si vede bene perchè c’è una specie di nebbiolina. Giungiamo al Jack and Di’s Accomodation e da un telefono apposito fuori dalla struttura, chiamiamo il numero verde, dal quale una ragazza ci dice che dovremo attendere almeno le 14.00 per entrare in camera. Per noi non è un problema, dunque ci dirigiamo a sud di Rotorua per vedere la famosa area termale di Wai-o-Tapu. Dopo aver fatto il biglietto (30 dollari a testa), ci spostiamo di qualche km su suggerimento delle guide del parco, per assistere all’eruzione del Lady Knox Geyser, che, come abbiamo letto sulla Lonely Planet, dovrebbe mostrarsi ogni giorno alle 10.15…in realtà scopriamo che un addetto “stimola” il piccolo vulcano, gettandovi dentro del sapone naturale, quindi dopo un’abbondante fuoriuscita di schiuma, un getto di vapore e acqua alto una decina di metri, si sprigiona dalla terra. Lasciamo il geyser ancora attivo e torniamo al parco, che merita davvero di essere visto: le attrattive di maggior impatto sono certamente il paesaggio, disseminato di crateri e fumarole, e alcune particolari zone, come la “Champagne Pool”, la “Artist Palette” o il “Devil’s Bath”, quest’ultimo una vasca di acqua di un verde fluorescente. A mio avviso si possono spendere circa un’ora e mezza o due ore per fare l’intero giro e fotografare tutto con calma, anche se vi sono percorsi più brevi; noi facciamo il tour completo e alla fine ci fermiamo a comprare souvenirs nel solito fornitissimo negozio, mangiamo un tramezzino al volo e partiamo per la prossima attrazione. Prima di lasciare la zona passiamo dalle “Mud Pools”, delle pozze di fango bollente che si possono osservare gratuitamente. Non paghi di tutte queste pozze e crateri, ci dirigiamo alla Waimangu Volcanic Valley (29 dollari a testa), che ci sorprenderà ancora di più. Infatti qui non vi sono così tante pozze e crateri come nell’area precedente, ma lo spettacolo è assolutamente mozzafiato: una valle di 4 km di lunghezza, modificata dall’eruzione del vulcano Tarawera nel 1886 e da altri fenomeni vulcanici successivi, che comprende diversi laghi, sorgenti di acque calde e fredde, geyser e terrazze vulcaniche. Io sono rimasto più estasiato da questo parco che dal Wai-o-Tapu, forse perchè vi sono pochissime persone e la natura e l’atmosfera mi fa sentire in un film fantasy: l’”Echo Crater” e le “Cathedral Rocks” sembrano usciti da un film di fantascienza che parla di pianeti sconosciuti, l’”Inferno Crater” ha l’acqua più azzurra che abbia mai visto, il fiume e le sorgenti che gorgogliano con acque a 50° creano un’atmosfera surreale. Un autobus che effettua 3 fermate passa circa ogni ora per accompagnare indietro i visitatori e noi prendiamo la corsa delle 15.00. Decidiamo poi di saltare la visita al villaggio sepolto di Te Wairoa, perchè siamo abbastanza stanchi, così portiamo i bagagli alla nostra stanza: il City King studio è una stanza confortevole, con una tappezzeria molto romantica e le solite comodità, come cucinotto, frigo e microonde, al prezzo di 75 dollari a camera a notte. Facciamo poi due passi a Rotorua, una città carina, ordinata e relativamente nuova, e ci fermiamo al fornito I-site locale, dove prenotiamo la cena e lo spettacolo serale al Mitai Maori Village, al prezzo di 99 dollari a testa; il prezzo è piuttosto alto, ma è il solo modo per avvicinarsi alla cultura maori e vedere nelle rappresentazioni gli usi, i costumi e le famose danze di questo popolo, compresa la famosa haka, a meno che non si conosca personalmente qualche maori e si venga invitati al pranzo tradizionale. La serata si svolge in questo modo: si entra in un tendone molto simile alle nostre sagre paesane, dove si fa un aperitivo e un divertente animatore maori intrattiene il pubblico, poi si esce per vedere l’arrivo dei guerrieri maori sulla canoa da guerra e le loro danze e canti, infine si cena con la tradizionale hangi, il pasto cucinato nel forno interrato. Credo che sia un’esperienza assolutamente da non perdere, a meno che non si riesca a trovare un’alternativa per vedere le danze e per partecipare alla cena.

30/09 GIORNO 9: ROTORUA

Al risveglio proviamo ad andare al molo di Rotorua per vedere se riusciamo a prendere la crociera sulla motonave Lakeland Queen, che propone un viaggio di un’ora con colazione, ma l’ufficio prenotazioni è chiuso e un’orda di coreani si avventa sulla nave, quin di lasciamo perdere. Scegliamo dunque di visitare il famoso Te Puia, il centro culturale maori più importante della città, e, dopo un’abbondante colazione al cafè (con super fetta di Carrot Cake), ci uniamo a una visita guidata che parte alle 9.00 (40 dollari a testa). La signora maori che ci fa da guida (mestiere molto praticato dalle donne in NZ) è molto brava e spiega tutto in modo chiaro e comprensibile, anche per le mie orecchie non ancora del tutto abituato al rapido inglese neozelandese. All’interno del parco le attrattive più interessanti sono la ricostruzione di un piccolo villaggio maori (con capanne, forno interrato per la hangi, l’immancabile marae), i laboratori dove si possono ammirare all’opera gli artigiani intagliatori del legno o le tessitrici di abiti tradizionali (fatti con fibre vegetali e piume), una kiwi house, dove però risulta piuttosto difficile avistare il buffo uccello, e l’area termale di Whakarewarewa (la guida ci insdegna a pronunciare il nome intero, più lungo di questo, con pessimi risultati), che ha i suoi punti forti nelle Mud Pools e il Pohutu Geyser col suo piccolo vicino, il Prince of Wales Feathers Geyser, che a differenza del Lady Knox Geyser, eruttano naturalmente e costantemente; ci si può inoltre sdraiare nei pressi dei due geyser su enormi pietre piatte e sentire il benefico calore che emanano, circondati dal vapore e dal temibile rumore che proviene dalla profondità della terra. Nel complesso un piacevole posto dove passare un paio d’ore, seguite da alcuni minuti di shopping nel solito negozio di souvenirs (ricco di prodotti per il corpo, come fanghi, maschere, ecc). Lo spettacolo della sera precedente al Mitai Village, consente di scegliere un’altra attrazione da vedere e noi avevamo optato per il Rotorua Museum of Art & History, per cui guidiamo fino in centro, nei Government Gardens, per raggiungerlo. Di fronte all’edificio, la sede dei bagni pubblici dal 1908, splendidamente restaurato, degli arzilli vecchietti giocano a croquet con i tipici gesti che a noi paiono un pò goffi (è il gioco con la mazza e le palline che devono passare sotto gli archetti, quello di Alice nel Paese delle Meraviglie per interderci), come il colpo alla palla con la mazza tra le gambe. Il museo, già un’opera d’arte architettonica sia esternamente che interiormente, ospita oggi una interessante sezione sull’eruzione del vulcano Tarawera (compreso un video che ricostruisce la vicenda di circa 20 minuti, molto “movimentato”), importante soprattutto per capire le dinamiche del territorio attorno a Rotorua e per chi volesse visitare il villaggio sepolto di Te Wairoa; una parte sulla II Guerra Mondiale e sul battaglione che operò proprio in Italia (vicino a Forlì tra l’altro!); una sezione suigli splendidi tesori maori, in particolare in legno intagliato; una zona nella quale sono stati ricostruiti gli ambienti dove si svolgevano le cure termali, in certi casi abbastanza inquietanti (mi ricordano certi film dell’orrore odierni), che permette anche di esplorare la torre e i sotterranei, dove correvano i tubi per il riscaldamento dell’acqua, ecc. Dopo un panino e un caffè al bar del museo, ci prepariamo per un pò di relaz alle Polynesian Spa, proprio quando termina un rapido scroscio d’acqua ed esce il sole! Le terme sono un’esperienza davvero da provare: noi scegliamo l’opzione delle vasche generali (40 dollari a testa), che comprendono 4 piscine di acqua termale da 36, 38, 40 e 42 gradi, costruite in maniera da fondersi col giardino circostante e con bella vista sul lago. L’acqua sulfurea ci distende i muscoli e i nervi e passiamo due ore di tranquillità assoluta.Verso le 18.00 abbiamo ancora la forza di andare al Raimbow Springs Park (26 dollari a testa), per vedere se riusciamo ad avvistare il kiwi che abbiamo mancato in mattinata. Il parco, con molte specie di uccelli, pesci (trote e anguille giganti), mammiferi non autoctoni (wallabies) e rettili (un tuatara bello grosso che ha fatto prendere un bello spavento a Irene, che credeva fosse una sagoma!), è decisamente più nuovo e meglio studiato di quello di Te Otorohanga; i kea e i kaka (specie di pappagalli) ad esempio, si vedono davvero da vicino, poichè è possibile entrare direttamente nelle loro ampie gabbie (ma fate attenzione a oggetti indossati, come occhiali o altro perchè tendono a rubarli!). Nel periodo in cui lo abbiamo visitato, il parco stavo subendo delle modifiche e vi erano alcuni lavori in corso, ora abbiamo constatato, sulla pagina di Facebook di Raimbow Springs, che è stata fatta una bella cascatella con vasca di acqua limpida al centro dell’area. Purtroppo non riusciamo a vedere i kiwi, che si trovano in gabbie simili a quelle dei pappagalli (ci si può camminare all’interno, tramite un sentiero che permette di vedere gli uccelli davvero vicinissimi), ma alla reception ci consigliano di tornare verso le 21.30, quando farà buio, perchè ovviamente i kiwi sono uccelli notturni e verso quell’ora si svegliano. Dunque torniamo in centro per una eccellente cena al pub Pig & Whistle (consigliatissimo, 86 dollari in due) e poi di nuovo al Raimbow Springs con lo stesso biglietto del pomeriggio, valido per 24 ore. Finalmente vediamo i kiwi (ve ne sono 4 divisi in altrettante recinzioni) davvero da vicino: gli animaletti sono abbastanza abituati alla presenza umana, sebbene siano sempre piuttosto schivi e ne sentiamo anche le acutissime grida; restiamo un’ora ad osservare questi buffissimi e carinissimi uccelli e verso le 22.30 una guida entra nella gabbia e con dei versi particolari chiama un kiwi vicino a se: l’uccello lo tocca con il becco e rimane vicino alla recinzione, io mi accosto ad essa e riesco ad accarezzarlo, mentre lui emette una specie rumore simile alla tosse e mi esamina col lungo becco (perchè il tatto è uno dei sensi principali del kiwi, dato che è quasi completamente cieco). E’ un’emozione fortissima, che riesce a provare anche Irene per pochi secondi, e non riusciamo quasi più a stare nella pelle. Il nostro consiglio è di visitare il parco di giorno per vedere gli animali, ma non mancare assolutamente la visita notturna, cercando di restare fino alla chiusura nel caso arrivasse una guida che permettesse di fare la nostra stessa esperienza. Dopo una giornata così intensa ci addormentiamo col sorriso sulle labbra, pronti per i km da fare nella giornata successiva.

01/10 GIORNO 10: ROTORUA – TAUPO (OHINEMUTU – ZORB – ARATIATIA RAPIDS – LAKE TAUPO – HUKA FALLS – TURANGI)

Ci svegliamo senza far colazione, perchè ho deciso di affrontare il temibile Zorb, presso il parco Agrodome, poco fuori Rotorua, e non voglio avere nulla nello stomaco, in caso mi sentissi male! Prima però facciamo una breve deviazione nel quartiere OHINEMUTU, a nord della città, dove si possono ammirare la casa di riunione Tamatekapua e, di fronte, la chiesa di St. Faith’s, costruita in tipico stile architettonico maori: sono due ottimi esempi di edifici simbolo della cultura maori, utilizzati anche ai giorni nostri. Passiamo poi allo ZORB: esso consiste in una discesa da un collina all’interno di una grande sfera di gomma (con una camera d’aria notevole attorno), scegliendo la modalità legati oppure liberi e con un pò di acqua all’interno (il che permette ai “viaggiatori” di rimbalzare e scivolare). Io opto per la prima (60 dollari), anche perchè ho lasciato il costume in valigia e non ho intenzione di bagnarmi troppo. La discesa è corta, ma legati in quelle condizioni si perde rapidamente la cognizione del tempo e dello spazio e si spera che tutto finisca in fretta, salvo poi aver voglia di rifare l’assurdo viaggio! Un’esperienza comunque da sperimentare, per chi vuole assaggiare uno degli estremi passatempi kiwi. Dopo aver acquistato le foto dell’a discesa e dopo una breve colazione da Subway, facciamo rotta verso il Lake Taupo. Sostiamo prima alle ARATIATIA RAPIDS, dove una diga viene aperta a determinati orari per mostrare come erano le rapide del fiume Waikato, prima dello sbarramento del corso d’acqua; alle 12.00 ad esempio suona la sirena e le acque cominciano a defluire dalla diga, in un ribollire di schizzi e schiuma. L’acqua è di un limpido e azzurro impressionanti e mostra tutta la sua potenza, incanalandosi con forza nello stretto alveo del fiume, uno spettacolo che si può ammirare da sopra il ponte stradale presso la diga o dal punto panoramico a circa 10 minuti di cammino (noi abbiamo provato entrambi). Ci spostiamo poi a Taupo, la città sul lago omonimo, e, dopo aver prenotato una breve crociera sul lago, pranziamo al Jolly Good Fellas, un pub irlandese con una buona guinness e un’ottima casseruola di manzo con purea di patate. Alle 14.00 saliamo sulla motonave Ernest Kemp, una riproduzione di un piccolo battelo a vapore degli anni ’20, che ci porta a fare un’escursione di circa 2 ore sul LAKE TAUPO. La crociera (40 dollari a testa) è picevole, con varie vedute su parti del lago e gli aneddoti del capitano che spesso racconta la storia delle case sontuose che si vodono sulle rive, ma il vero motivo per fare questo tour è la possibilità di osservare i rilievi moderni su roccia in stile maori a Mine Bay. La scultura è davvero affascinante e il capitano si ferma davanti per circa 15 minuti, spiegandone il significato e dicendoci come e chi l’ha eseguita. Tornati a Taupo decidiamo di non essere ancora sazi di cose da vedere e torniamo a nord sul fiume Waikato, Honey Hive New Zealand, un grande negozio dove vengono venduti miele, marmellate, prodotti per I corpo, vini e liquori principalmente fatti col dolce nettare delle api; gironzoliamo piacevolmente per il posto per circa 45 minuti, assangiando i prodotti e acquistiamo qualche miele e crema. Alle 17.00, quando il negozio chiude, andiamo alle HUKA FALLS, un’altra meraviglia della natura da non perdere: il parcheggio chiude alle 17.30, quindi abbiamo circa mezz’ora per osservare le cascate più larghe della NZ, che rimbombano nella valle del fiume Waikato con schiumose acque azzurre. Vorremmo anche visitare I Craters of the Moon, ma la strada che vi ci porta ha una sbarra che viene chiusa alle 17.30, per cui non ci resta che prendere la via panoramica che costeggia il Lake Taupo fino a TURANGI, la capitale kiwi della pesca alla trota. Qui abbiamo prenotato all’Anglers Paradise, un bel motel spazioso con abitazioni (con cucinotto) disposte attorno a una piscina, dove, nonstante l’aria fredda, qualche temerario fa il bagno alle 8 di sera! Dopo un piatto di pasta preparato da noi andiamo a letto sperando che domani il tempo sul Tongariro sia favorevole.

02/10 GIORNO 11: TONGARIRO NATIONAL PARK – RANGITIKEI RIVER GORGE – PALMERSTON NORTH

Sveglia moto presto oggi per andare da Turangi al TONGARIRO NATIONAL PARK. Cominciamo a salire dei tornanti verso l’altipiano dal quale si iniziano a vedere I primi monti e abbiamo subito un assaggio della zona selvaggia nella quale ci troviamo: un paio di falchi australiani (kahu) ci volano vicinissimi al parabrezza dell’auto e devo stare attento a non metterli sotto! Purtroppo più ci avviciniamo, più le nuvole avvolgono le vette delle montagne, ma decidiamo comunque di raggiungere il Whakapapa Village, dove all’I-site locale (aperto dalle 8.00 di mattina) chiediamo informazioni sul tempo atmosferico. La nostra idea di percorrere il primo tratto del Tongariro Crossing viene scartat per la presenza di fitte nubi attorno alla cima del Mt. Ngauruhoe (il “Monte Fato” della trilogia di Jackson), dato che finiremmo per camminare in mezzo alla nebbia, senza gustarci il panorama. Così ci viene proposto il classico sentiero ad anello per le Taranaki Falls, lungo circa 6 km e percorribile in due ore e, acquistati guanti e berretto (perchè la temperatura è di circa 6 gradi), partiamo per il sentiero ben battuto. La prima parte (quella del sentiero alto, ma si può eseguire l’anello anche dalla parte parte inversa) si snoda nel basso bush multicolore con una lieve pendenza e ogni tanto il vento che sposta le nuvole ci permette di scattare delle magnifiche foto del Mt. Ruapehu, il più alto vulcano del comprensorio. Il paesaggio è davvero mirabile, diverso dalle nostre aree alpine, a volte sembra davvero di trovarsi nella Terra di Mezzo di Tolkien, nelle pianure dei Rohirrim, quasi soli al mondo. Ad un bivio giriamo a sinistra (verso destra si giunge a dei laghi e ci si avvicina al Ngauruhoe) e scendiamo un ripida scaletta che ci porta di fronte alla muraglia di roccia dalla quale, con un salto di circa 20 metri, si getta il corso d’acqua che crea le Taranaki Falls. Di fronte a questa meraviglia scatiamo molte foto, ci rilassiamo e facciamo uno spuntino, visto che è spuntato anche un pò di sole. La seconda parte del sentiero segue il corso delle limpide acque del ruscello, in mezzo ad una fitta foresta, per poi ritornare, salendo, all’altipiano del villaggio. Prima di lasciare il Tongariro, seguiamo la strada ancora verso l’alto e raggiungiamo il Whakapapa Sky Field, presso l’Iwikau Village, una stazione sciistica dove vediamo da vicino la neve e i vari sciatori e snowborders; la temperatura è la più bassa della vacanza, 2,5 gradi! Il paesaggio innevato è particolarmente roccioso e si comprende perchè qui siano state girate alcune scene raffiguranti Mordor, nella trilogia del LOTR. Scendendo verso il basso arriviamo poi ad Ohakune, la città delle carote, ed Irene viene costretta da me a farsi una foto sotto la grande scultura della Big Carrot, nonostante la sua avversione per il suddetto ortaggio. Da questo villaggio prendiamo una deviazione verso un’altra stazione sciistica, la Turoa Sky Area, per ammirare le Mangawhero Falls, un’altra location dove è stata girata una scena di Gollum, Frodo e Sam in un ruscello. Il punto è abbastanza riconoscibile per gli affezionati del film, mentgre la cascata è assolutamente spettacolare per chiunque: un salto imponente di acqua che si tuffa in una piccola pozza alla base, visibile da un belvedere a soli 150 metri dal parcheggio (vi sono le ringhiere ma bisogna fare attenzione, soprattutto se si hanno bambini). Dopo questa visita, prendiamo la SH1 verso Palmerston North e usciamo poco dopo la cittadina di Taihape per vedere un’altra location del LOTR, il RANGITIKEI RIVER GORGE (dove sono state girate alcune scene del fiume Anduin). La deviazine merita anche per chi non ha visto il film: ci si addentra in una campagna verdeggiante e quasi intoccata dalla presenza dell’uomo, tra collinette tumuliformi costellate di pecore e di cervi da allevamento, seguendo il cartello “Gravity Zone” si raggiunge lo splendido canyon mozzafiato da dove i più coraggiosi possono provare il brivido del bungee jumping da 80 metri, gettandosi da un ponte in ferro che oltrepassa il fiume (il salto più alto dell’isola nord). Noi scattiamo solo alcune foto e io salgo anche sul ponte, da dove si può ammirare il canyon e il fiume che scorre placido. Incontriamo anche un simpatico ragazzo dello staff del Gravity Zone che è stato 7 anni in Italia (a Rosignano Marittimo!) a fare il saldatore! Riprendiamo infine la strada per Palmerston North, lunga ma molto panoramica, che segue il corso del canyon, e arriviamo a destinazione al Palmerston North Motel (47,5 dollari a testa) verso sera.

03/10 GIORNO 12: PALMERSTON NORTH – KAPITI COAST – WELLINGTON

Ci svegliamo a PALMERSTON NORTH verso le 8.30 e facciamo colazione all’interno della stanza del motel con biscotti e tè, poi usciamo in una piacevole giornata di sole. Vorremmo vedere i pluripremiati giardini di rose al Victoria Esplanade, ma siccome aprono alle 10.00, decidiamo di andare direttamente al New Zealand Rugby Museum, che apre alla stessa ora. L’edificio è molto piccolo e vintage, diverso come se lo aspetterebbe uno straniero che visita il museo dello sport nazionale, quasi una religione qui; la custode molto simpatica e l’atmosfera davero retrò, danno comunque al luogo un’atmosfera fascinosa, rendendolo uno dei quie posti dove si respira ancora l’aria di vecchio, visto che a mio parere l’esposizione è rimasta pressochè immutata da 25 anni a questa parte. Prendiamo la brochure in italiano – la NZ è uno dei pochi paesi stranieri che abbiamo visitato dove spesso troviamo spiegazioni nella nostra lingua – e facciamo il giro delle 3 stanzette del museo, che contiene cimeli antichi riguardante lo sport più amato dai kiwi: maglie e cappelli di inizio XX secolo, palloni, scarpe, fischietti degli arbitri (è conservato ogni fischietto che da inizio ai campionati del mondo), manifesti e foto antichissime. Una parte scenografica è rappresentata dalle due pareti nelle quali sono appese le maglie delle squadre regionali della NZ e le maglie delle varie nazionali più importanti (compresa ovviamente l’Italia, che nel ranking è dodicesima su circa 100 squadre). Ovviamente tutto o quasi ruota attorno agli All Blacks, ma considerato quanto questo sport sia idolatrato in patria (molto più di quanto noi teniamo al calcio), ritengo che una visita per 5 dollari a testa sia da mettere nel programma (inoltre vi è la possibilità di usare gratuitamente internet, nonostante sia molto lento). Usciamo soddisfatti dopo circa 1 ora e partiamo alla volta della KAPITI COAST (saltando la visita ad Owlcatraz, un parco dedicato ai gufi e ad altri uccelli, forse piacevole per i più piccoli), fermandoci verso le 12.30 a Paraparaumu, dove, dopo un fish & chips e frittelle di pesce acquistate da Maclean Street Fish Supply (14 dollari in due), fotografiamo la spiaggia e una moltitudine di gabbiani che volano su un mare mosso da un vento che sembra aumentare. In seguito facciamo tappa al Queen Elizabeth Park che si trova poco prima della cittadina di Paekakariki: è un grazioso parco con colline verdi, aree umode dove poter fare birdwatching, possibilità di passeggiate a piedi e a cavallo proprio lungo la costa (sono state girate altre scene del LOTR). Noi abbiamo purtroppo poco tempo, così ci limitiamo a una breve passeggiata in spiaggia, dove raccogliamo delle bellissime conchiglie, poi torniamo in auto, anche a causa di un vento gelido che spira dal mare; tempo permettendo, consiglio di passare una mezza giornata nel parco, magari facendo un gradevole pic-nic sui prati pulitissimi. Arrivare a WELLINGTON è piuttosto semplice, non c’è traffico esagerato e non somiglia proprio a una capitale. La nostra sistemazione, l’Halswell Lodge (150 dollari per una camera doppia, ma vi sono camere anche a minor prezzo), è molto carina, una piccola costruzione vittoriana che resiste tra edifici moderni, a due passi dal centro della città, inoltre il personale è uno dei più gentili e disponibili che abbiamo incontrato, e come altri si presta a dare consigli e ad effettuare prenotazioni per i ristoranti della città. Dopo esserci sistemati e aver bevuto un tè in camera, usciamo per un giretto in centro: la meta da non perdere assolutamente è il Te Papa, il museo più importante della NZ, che è già di per se un’opera di architettura moderna magnifica dall’esterno. Il museo è gratuito, tranne che per eventuali mostre temporanee, e probabilmente una gentile guida vi verrà incontro come è successo a noi, vedendovi un pò spaesati all’ingresso, e vi darà informazioni su come muovervi. Acquistiamo una piccola brochure del museo per 3 dollari e ci tuffiamo all’esplorazione. Visitiamo una parte relativa alla geologia e ai fossili (con tanto di simulazioni di terremoti ed esplosioni varie), una parte dedicata alla flora e alla fauna (con il corpo conservato di uno spettacolare quanto viscido calamaro gigante) e un’area multimediale; poi passiamo ai piani superiori dove vi sono mostre di arte contemporanea e video, ma anche alcuni bellissimi tesori maori. Ammiriamo delle imponenti capanne maori e un marae intero, i vari oggetti caratteristici di questo popolo – vestiari in tessuto, oggetti in giada, in particolare asce e pendenti raffiguranti divinità, e una infinità di manufatti e elementi architettonici intagliati magistralmente nel legno – e alla fine della sezione possiamo finalemente vedere da vicino una enorme waka, la canoa da guerra in legno. Purtroppo il museo chiude alle 18.00 (solo il giovedì alle 21.00) e non riusciamo a vedere tutte le sezioni, ma siamo comunque soddisfatti. Proseguiamo la passeggiata costeggiando il porto e arriviamo alla Civic Square (dove si trova il grande I-site locale), che raggiungiamo oltrepassando la strada trafficata tramite un bel ponte pedonale, realizzato con inserti in legno intagliato. Continuiamo a camminare per le strade del centro, tra negozi e neozelandesi ben vestiti che si preparano alla cena del sabato sera, nonostante siano appena le 18.30, e arriviamo alla Cablecar, la cremagliera di inizio ‘900 che porta sulla cima del colle che sovrasta Wellington. Da li si ha un’affasciante vista panoramica dell’intera città, che di certo ripaga il costo del biglietto (5 dollari a testa per andata e ritorno). Avendo tempo si possono anche visitare i Botanical Gardens, sulla cima del colle, un’area verde molto estesa alla quale noi rinunciamo sempre a causa del terribile vento freddo che ci perseguita. Tornati nelle strade del centro arriviamo a Cuba Street, la zona pedonale e più in di Welly, dove cittadini ben vestiti affollano i vari locali e ristoranti piuttosto costosi; noi optiamo per un più informale ristorante indiano, il Tulsi, dove tutto sommato ceniamo bene (30 dollari a testa). Tornati alla nostra camera, ci concediamo una rilassante pausa nella vasca idromassaggio e ci corichiamo mentre il vento fuori ruggisce forte contro le finestre.

04/10 GIORNO 13: WELLINGTON – MIRAMAR PENINSULA – MARTINBOROUGH

Mattinata in gran parte dedicata la Signore degli Anelli! Abbiamo fatto per prima cosa un giro panoramico della costa a sud di Wellington, lungo la MIRAMAR PENINSULA, partendo dalla Oriental Bay e arrivando fino a Lyall Bay, il paradiso dei surfisti, fotografando bei tratti di litorale. Ai sobborghi di Miramar ci siamo fermati alla Weta Cave, il negozio-santuario per chi ha amato fil come la trilogia del LOTR, King Kong, Narnia, ecc. Un video interessante di 20 minuti per cominciare e introdurci nel fantastico mondo degli effetti speciali, poi una accurata ispezione al piccolo ma ben fornito negozio. Vi sono le riproduzioni in scala 1:1 di Lurtz, il capo degli Huruk-hai, di un goblin delle caverne di Moria e di Gollum, oltre ad altre miniature spettacolari! Naturalmente io acquisto delle pubblicazioni in inglese, la maglietta e qualche altro piccolo souvenir. Dopo la visita di oltre un’ora, saliamo al parco del Mount Victoria, dove, con l’aiuto del libro “the Lord of the Rings location guidebook”, percorriamo alcuni sentieri alla ricerca dei luoghi che furono scene per la fuga degli hobbit dalla Contea. In realtà è piuttosto difficile riconoscere i posti (nonstante ci sia un piccolo cartello all’inizio del sentiero che indica “filming location”), ma con un pò d’immaginazione decidiamo che un tratto del sentiero deve essere quello in cui Frodo grida a tutti di uscire dal sentiero, prima dell’arrivo del Cavaliere Nero. Dopo aver gironzolato per il parco in cerca di altre location, ritorniamo all’auto e percorriamo 1 ora e mezzo di strada per arrivare a MARTINBOROUGH, una placida cittadina regolare, cresciuta attorno ad una piazza quadrata e contornata da una ventina di aziende vinicole, che producono perlopiù pinot nero, sauvignon (ottimo!), riesling, chardonnay e gewurtztraminer. Assaggiamo alcuni vini (le gradazioni sono sempre piuttosto altine rispetto alle nostre) al Martinborough Wine Centre e in un paio di aziende, infine acquistiamo due bottiglie (il vino costa caro in NZ, dai 20 dollari in su in azienda e dai 40 circa in ristorante). Ritorniamo a Wellington e facciamo qualche foto in centro alla chiesa di Old St. George (che chiude alle 17.00) e agli edifici sede del parlamento: la libreria in stile neogotico, l’edificio principale in stile vittoriano e il Beehive, sede degli uffici, così chiamato per la sua forma ad arnia. Per la cena, che ci siamo fatti prenotare dal personale dell’hotel, optiamo per il Fisherman’s Table, un locale sul molo dove si possono assaggiare piatti di pesce a prezzi modici: ottima la seafood chowder, buoni il fritto e I piatti di pesce principali (anche se con un pò troppe salse), incluso nel prezzo anche il gustoso buffet di verdure (90 dollari in due). Andiamo a coricarci sazi e di buon ora, perchè domani ci attende la traversata in traghetto per raggiungere l’isola sud.

05/10 GIORNO 14: TRAGHETTO – KAIKOURA

La prima parte della giornata è dedicata agli spostamenti. Ci svegliamo molto presto per poter prendere il traghetto delle 8.25 che ci porterà alla South Island; la riconsegna dell’auto (ce ne daranno un’altra all’arrivo a Picton) avviene in maniera semplice e un pò strana: un inserviente ci dice di mettere le chiavi in una scatola dove vediamo che vengono raccolte le chiavi di tutti gli autonoleggi e parcheggiare l’auto nel parcheggio. Non ci sono controlli o altro da effettuare, evidentemente ci si fida molto gli uni degli altri. Ci sistemiamo nella parte anteriore del traghetto e subito dopo ci avvisano che è quella più “movimentata”, a causa del mare mosso; per fortuna la xamamina fa il suo dovere e ci addormentiamo dopo poco, evitando la parte più brutta del viaggio (io ho provato ad andare in bagno poco prima dell’effetto della medicina ed era difficile rimanere in piedi senza giramenti di testa). Al risveglio la nave è già entrata nel fiordo dell’isola sud, dunque non ci sono più ondeggiamenti che provocano malessere. Dopo lo sbarco a Picton, ritiriamo l’auto (una Toyota Corolla col cambio manuale) e partiamo alla volta di Kaikoura. In tarda mattinata il tempo è un pò nuvoloso e uggioso, ma il paesaggio ci si presenta subito con spettacolarità: a sinistra il mare, a volte mosso, a destra immense montagne, con le vette innevate, che spesso spingono le loro pendici fino alla costa. Sostiamo verso le 13.00 al pub The Store, circa a metà strada, per uno spuntino a base di fetta di torta enorme e te (vi sono anche panini e altre pietanze e l’interno è davvero accogliente e originale). Dopo questa fermata la strada si avvicina notevolmente alla costa e si insinua tra la spiaggia e le montagne a strapiombo sul mare: questo è il momento per iniziare ad aguzzare la vista alla ricerca delle foche. Ne avvistiamo un paio lontane in una curva, poi in un’area con una piccola piazzola per parcheggiare l’auto, ci fermiamo e ammiriamo una colonia di foche permanente, dove, nonostante il tempo non sia dei migliori, vi sono diverse foche che non sono assolutamente disturbate dalla nostra presenza; i simpatici (e ahimè puzzolenti) mammiferi si possono fotografare da una distanza tra i 10 e i 30 metri e abbiamo la fortuna di vedere anche diversi cuccioli, compresi alcuni che vengono allattati proprio a pochi metri da noi. Contenti per aver visto le foche continuiamo verso KAIKOURA e, arrivati a destinazione, andiamo direttamente al Sails Motel (95 dollari per la camera doppia), dove la gentile e loquace proprietaria ci riempie di informazioni su cosa c’è da sapere e fare nella cittadina; le unità abitative del motel sono molto carine e pulitissime, sebbene non abbiamo la vista sul mare. Ci concediamo un’oretta di internet a Global Gossip, poi andiamo all’estrema punta est della penisola di Kaikoura, dove è situata una grande colonia stabile di foche. Ci meravigliamo molto di vedere, al nostro arrivo, una foca addirittura nel bel mezzo del parcheggio e ci rendiamo subito conto che questi animali si sono totalmente abituati alla presenza umana. Si deve però ricordare che bisogna tenersi ad una debita distanza dai mammiferi e non mettersi mai tra le foche e il mare, perchè si eliminerebbe la loro via di fuga e potrebbero innervosirsi e diventare aggressive. Dopo aver fatto foto davvero ravvicinate (pochi metri) ci inerpichiamo sul sentiero che porta alla Whale Bay, dove dall’alto è possibile notare una miriade di foche sulla lingua rocciosa che si protende in mare, purtroppo però comincia ad essere tardi e il sole sta calando, quindi non ci avventuriamo oltre, ma scattiamo foto di paesaggi da National Geographic (consiglio vivamente una passeggiata sul promontorio della penisola). Ceniamo all’elegante White Morph, dove una grossa mezza aragosta costa 60 dollari, ma non possiamo rinunciare ad assaggiare il crostaceo proprio nella cittadina che ne porta il nome maori (il totale del pasto, compreso di altri 2 piatti, 1 contorno e 2 bicchieri di vino è di 114 dollari, tra i più alti della vacanza). Andiamo a letto molto stanchi, ma come al solito contenti e speriamo di poter avvistare le balene all’indomani.

06/10 GIORNO 15: KAIKOURA – MARLBOROUGH SOUND – NELSON

Questo dovrebbe essere il giorno dell’uscita in barca per avvistare le balene, l’attrazione più famosa di Kaikoura, ma purtroppo il capitano dice che le condizioni del tempo in mare non sono buone e le crociere in prima mattina vengono cancellate e si cerca di spostare i clienti verso le uscite di metà giornata; noi, nostro malgrado, dobbiamo rinunciare perchè abbiamo in programma la crociera nel fiordo di Picton per il pomeriggio. Quindi decidiamo di riposare in camera fino a circa le 9.00 e poi andare al belvedere per avere una magnifica visuale a 360 gradi dell’intera penisola di Kaikoura; facciamo un’ultima puntata alla colonia di foche per una breve sessione di foto coi mammiferi, ci fermiamo in un negozio di souvenirs per acquistare le paua, le tipiche conchiglie, grezze o lavorate. Lungo la strada per Picton non resistiamo ad un altro breve stop alla colonia di foche vista il giorno precedente e così possiamo ammirare anche diversi Kawaupaka, cormorani tipici delle zone marine. Arriviamo a Picton giusto in tempo per prendere parte alla crociera nel MARLBOROUGH SOUND che avevamo prenotato con Dolphin Eco Tours (100 dollari a testa). Le imbarcazioni sono piccole e le guide sono esperte e molto socievoli, quindi a mio avviso è un’ottima escursione; si possono scegliere diversi itinerari e noi abbiamo optato per la crociera che permette anche la visita a Motuara Island, un santuario ecologico per uccelli. Si possono avvistare molti animali: quasi impossibile non vedere i simaptici delfini “bottlenose”, che ci saltano vicino alla barca e seguono divertiti e incuriositi la scia dello scafo (ci stanno vicino per molto tempo e facciamo bellissime foto, in estate è possibile nuotare con loro e lo consiglio vivamente); uno spettacolo fantastico è poter osservare le sule a caccia: questi eleganti uccelli marini volteggiano in aria a grande altezza poi improvvisamente si tuffano in acqua chiudendo le ali e assumendo la forma di razzi, tanto che noi restiamo all’inizio sbalorditi dalla velocità e dal rumore che questi “proiettili” provocano nell’impatto con l’acqua vicino alla barca. Una volta sbarcati a Motuara Island (con un pò di fatica, sul molo stanno facendo dei lavori) avvistiamo diversi volatili: il delizioso, minuscolo e particolarmente intraprendente “robin” (la guida ci mostra come grattando il terreno con un ramoscello vicino ai piedi e smuovendo la terra, il piccolo uccello si avvicina senza timore per catturare qualche piccolo insetto); vediamo inoltre il “bellbird” e due pinguini blu alla cova nei piccoli rifugi costruiti dall’uomo (si vedono a un metro di ditanza!) e lungo la camminata sentiamo molti canti di uccelli, vediamo i famosi insetti weta e alcuni gechi. Una volta arrivati in cima alla collina la vista è ottima, con un tempo limpido è possibile distinguere la costa della North Island. Al ritorno con la barca vediamo di nuovo alcuni delfini che precedono la prua del traghetto in arrivo a Picton e alcune foche che riposano sulle rocce. La strada che da Picton ci porta a NELSON è movimentata e lunga, circa due ore di strada panoramica e piena di curve, quindi va presa con la solita calma che caratterizza un viaggio in NZ. Al nostro arrivo il Beeches Motel a Nelson è un vero gioiellino: tutti i servizi più moderni corredano la nostra stanza e ne approfittiamo per un bel bagno nella grande vasca idromassaggio, prima di goderci un pò di tv neozelandese sul plasma affisso al muro (125 dollari per la camera doppia) e cucinarci qualcosa nella spaziosa cucina.

07/10 GIORNO 16: ABEL TASMAN NATIONAL PARK – NELSON

La giornata è dedicata all’esplorazione dell’ABEL TASMAN NATIONAL PARK, una splendida area protetta costiera, a circa un’ora di auto da Nelson. Il tempo è splendido, sole e cielo azzurro, e arriviamo a Kaiteriteri, da dove partono i tours, poco prima delle 9.00, in tempo per acquistare il biglietto per il “discover day” con la compagnia Sea Shuttle; esso consiste di una mini crociera di circa 2 ore, che permette di vedere gli highlights – la Split Apple Rock (una roccia in mare sferica e divisa in due), le varie baie incontaminate e la colonia di foche dell’isolotto di Tonga – per poi sbarcare i passeggeri a Bark Bay, in modo che possano proseguire a piedi lungo un sentiero fino a Torrent Bay o Anchorage. Il trekking nella foresta, lungo il sentiero costiero, dura circa 1 ora e 45′ ed è a dir poco meraviglioso: vegetazione splendida (felci giganti che mi riportano alla mente la preistoria), torrenti con acque limpidissime e di un verde turchese (il più ampio attraversato da uno stretto ma stabile ponte sospeso), baie con acque azzurre con spiaggie di sabbia dorata e una moltitudine di uccelli che cantano attorno a noi. Il percorso è semplice con pochi punti in salita, ma arrivati a Torrent Bay decidiamo comunque di non proseguire per Anchorage, perchè vogliamo gederci il pranzo al sacco rilassandoci sulla sabbia dorata. Torrent Bay è un posto tranquillo e silenzioso (si raggiunge, come tutte le baie del parco, solo via mare), quasi fuori dal tempo, dove alcuni pochi fortunati posseggono una seconda casa di villeggiatura, integrata perfettamente con la natura circostante; una larga lingua di sabbia dorata divide il mare nella baia da una laguna interna dove attraccano piccole barchette, mentre con l’alta marea uno stretto corridoio riunisce di nuovo le acque di mare e laguna; con lo sciabordio di sottofondo e alcune beccacce di mare dal piumaggio nero e occhi e becco rosso fuoco, ci rilassiamo fino al momento del pick-up time, fissato per le 15.00 (è necessario essere puntuali, anche perchè con l’aumentare dell’alta marea le barche non riescono ad avvicinarsi troppo alla spiaggia e si rischia di bagnarsi, come capita ad alcuni turisti ritardatari). Torniamo all’auto e siamo davvero entusiasti dell’escursione: l’Abel Tasman deve essere un must in una vacanza in NZ perchè è davvero un luogo straordinario, un paradiso ritrovato, e consiglio a chi può di passarvi almeno un paio di giorni e agli appassionati di trekking, di compiere la traversata a piedi da Kaiteriteri a Totaranui (circa 3-4 giorni, informarsi sugli orari delle maree e portarsi repellenti per insetti) oppure effettuare una escursione in kajak. Tornati a NELSON, visitiamo l’imponente Christ Church Cathedral, in stile art decò, e a poca distanza la South Street, che presenta alcune casette costruite tra il 1863 e il 1867, e che, secondo la Lonely Planet, sarebbe la via più antica della NZ rimasta intatta negli anni. Ritorniamo stanchi ma molto contenti al motel, dove ci cuciniamo la solita pasta Barilla e ci corichiamo presto, poichè il giorno successivo ci attende una grande traversata.

08/10 GIORNO 17: WESTLAND (BULLER GORGE HERITAGE HIGHWAY – PUNAKAIKI – GREYMOUTH – HOKITIKA – FRANZ JOSEF GLACIER)

Giornata di lungo spostamento dal nord alla zona della Westland, in totale circa 480 km percorsi in 11 ore, comprese le fermate. La mattina partiamo presto da Nelson e maciniamo strada attraverso le montagne e la scenografica BULLER GORGE HIGHWAY, lungo la quale possiamo fotografare il ponte sospeso più lungo della NZ e un tratto di strada scavato nella roccia. Arriviamo verso mezzogiorno nella zona di Punakaiki e affrontiamo il Truman Track, 15 minuti immersi in una rigogliosissima foresta di pini (rimu) e felci giganti, fino a giungere a un bush alto circa due metri che ci porta alla spiaggia. Uno spettacolo meraviglioso ci appare alla fine del sentiero: una piccola baia dove il mare si scaglia con forza sulla battigia e vi sono rocce che formano una specie di anfiteatro naturale, scavato dall’erosione del vento, dal quale si getta un’esile cascatella; pare un set dal film Laguna Blu o simile, se non fosse per il tempo nuvolo e una pioggerellina fine. Dopo aver fotografato il posto idilliaco, tale anche perchè non vi è anima viva, proseguiamo in auto verso la meta più influazionata dell’area, le Panckake Rocks. Nella zona si possono vedere parecchi Weka, dei gallinacei più piccoli dei Pukeko, simili a delle quaglie giganti, molto curiosi e abituati agli uomini, tanto che appena sentono lo scartocciare di qualche borsa o sacchetto, si avvicinano per cercare cibo. La pioggi fitta e insistente è parecchio fastidiosa, ma non tanto da farci rinunciare alla visita delle PANCAKE ROCKS E BLOWHOLES: le formazioni rocciose di quest’area unica in NZ somigliano a tante frittelle piatte disposte una sopra all’altra, che formano strani paesaggi lunari; inoltre alcune insenature del mare si aprono come canyon tra le rocce e l’acqua, in particlare quando è mossa e agitata, incanalandosi in esse producono dei soffi e degli spruzzi che vengono chiamati “sfiatatoi”. In certi punti si può udire il rombo del mare che si spinge in cunicoli sotterranei e si può vedere il vapore acqueo uscire da alcune spaccature nella roccia. Inutile dire che il posto merita assolutamente una visita e vi è la possibilità di fare innumerevoli foto. Proseguiamo lungo la strada costiera e arriviamo a GREYMOUTH, dove all’I-site locale prenotiamo, tramite voucher, una camera doppia all’Alpine Lodge Motel al villagio presso il Franz Josef Glacier; purtroppo la Left Bank Art Gallery, un museo e negozio di giada, ha chiuso alle 14.00, quindi continuiamo il viaggio verso sud e decidiamo di fare una deviazione per vedere SHANTYTOWN, una parco tematico che ripropone la ricostruzione di un villaggio di minatori dell’800, uno dei tanti caratteristici di questa zona dell’isola meridionale nel XIX secolo, nati per l’estrazione dell’oro. La visita è abbastanza carina, nonostante la piogerella, che però sta diminuendo: si può fare un breve viaggio su un treno d’epoca mosso da una locomotiva a vapore, si può provare l’ebrezza di ricercare l’oro con il setaccio, si possono visitare gli edifici in legno perfettamente restaurati e ammirare il piccolo insediamento cinese (una comunità particolarmente sfruttata nell’estrazione mineraria dell’800). Prima di raggiungere la nostra meta ci fermiamo anche alla cittadina di HOKITIKA, dove visitiamo la Jade Gallery, un negozio dove vi sono laboratori per la lavorazione della giada, e ovviamente ci facciamo tentare e acquistiamo un ciondolo a forma di spirale, realizzato con la verde pietra (58 dollari). Il viaggio continua, finalmente senza pioggia, fino a Franz Josef, dove, appena ci siamo sistemati nello spartano ma confortevole motel (125 dollari per la camera doppia) prenotiamo l’escursione guidata sul ghiacciaio per il giorno successivo (l’ufficio dei tour chiude alle 19.00) e poi andiamo a cenare nel caloroso pub del villaggio (100 dollari in due), il Landing, dove sostanzialmente si raduna quasi tutta la comunità e I turisti di Franz Josef.

9/10 GIORNO 18: WESTLAND (FRANZ JOSEF GLACIER – HAAST PASS) – WANAKA

Oggi intensa mattinata dedicata all’escursione guidata sul FRANZ JOSEF GLACIER. La visita parte alle 8.45 e dura circa 5 ore, delle quali la metà sul ghiaccio. Vengono forniti pantaloni impermeabili (sotto ai quali si raccomanda di non avere jeans, ma abiti di tela), scarponi, ramponi, calzetti, berretto, guanti e giacca a vento e dopo un breve breafing si parte. Il tour (215 dollari in due) comincia con un breve viaggio in pullman per raggiungere la valle del ghiacciaio, poi si passa a una camminata di 45 minuti, la prima parte nella foresta, la seconda direttamente nella vallata rocciosa del ghiacciao che ci si staglia davanti; alla vista della lingua di ghiaccio l’emozione è forte: la valle somiglia ad un paesaggio lunare pieno di sassi e rocce lasciate dal movimento del ghiacciao, dalle cime che circondano la valle scendono sottili cascate su rocce e sporgenze aguzze, il vento soffia potentissimo. Arrivati al fronte del ghiacciao, indossiamo i ramponi e cominciamo la scalata con la notra guida che ci fa strada con piccone e vanga, per creare scalini fruibili da tutti e togliere il ghiaccio frantumato; certi punti più ripidi sono dotati di corde che facilitano l’ascesa ma, nonostante si proceda lentamente, l’impresa è abbastanza impegnativa, sia per il freddo e il vento, sia per l’impervio sentiero. Gli scenari sono però straordinari: pareti di ghiaccio grandiose, crepacci sottili e apparentemente senza fondo, pinnacoli di ghiaccio che si ergono come lame e colori che vanno dal bianco all’azzurro più puro (sebbene la giornata un pò nuvolosa incupisca un pò i riflessi del ghiaccio). Il percorso ci permette di fare molte foto e ammirare i paesaggi da diverse prospettive, la discesa è più agevole della salita e alla fine siamo contentissimi, anche se stanchi. Terminata l’escursione, prenotiamo il pernottamento a Wanaka tramite l’I-site locale e ci mettiamo in marcia. Ancora una volta il tempo cambia in un attimo, concedendoci uno splendido pomeriggio di sole tra panormai mozzafiato: la selvaggia costa ovest col sole che cala lentamente sul mare è davvero magnifica e ci fermiamo ogni tanto in qualche spiaggia solitaria per fotografare qualche scorcio. Superato il villaggio semi-fantasma di Haast (sul quale sembra imperversare una specie di tempesta di sabbia, mentre ci fermiamo all’unico supermarket locale per un caffè veloce), imbocchiamo la panoramica strada che sale all’HAAST PASS. La zona, che è protetta da un parco naturale, è molto selvaggia e verdeggiante e per chi ha tempo si possono fare diversi sentieri tra i monti: noi facciamo solo una sosta per ammirare la Fantail Falls, una cascata molto scenografica con acque limpidissime a 5 minuti dalla strada, ovviamente immersa nella solitudine e nel silenzio del luogo (solo una specie di cormorano ci osserva stupito della nostra presenza, senza prestarci molta attenzione comunque). Sorpassato l’Haast Pass, la strada continua tra valli e costeggia il Lake Wanaka prima e il Lake Hawea dopo, offrendo innumerevoli scorci di panorami, che naturalmente meritano una fermata e una fotografia. Arriviamo a WANAKA verso le 19.00 e ci sistemiamo al Bella Vista Motel (120 dollari per la camera doppia, è una catena di motel presente in tutta la NZ), dove il cordialissimo proprietario ci consiglia di cenare al ristorante “Capriccio”, un elengante locale in riva al lago, dove gustiamo ottima carne di cervo con un buon vino rosso locale, un pasto che ci costa circa 130 dollari, ma li merita davvero.

10/10 GIORNO 19: WANAKA – CARDRONA – ARROWTOWN – QUEENSTOWN

Al risveglio a WANAKA scopriamo che il tempo è splendido: un sole cocente riscalda coi suoi raggi l’ambiente e permette di affrontare meglio i circa 12 gradi della mattina, illuminando inoltre i magnifici paesaggi attorno al lago, le cime innevate che si riflettono nel limpido specchio d’acqua e le valli verdeggianti. Spinti dalla voglia di ammirare questi panorami montani col cielo così limpido, arriviamo fino a Glendhu Bay (a ovest di Wanaka), dove scattiamo diverse foto di luoghi da cartolina, poi tornaimo sui nostri passi e , tra colline, montagne e allevamenti di cervi, arriviamo a Puzzling World, un parco divertimenti sulla strada per Cromwell. Il parco (12.5 dollari a persona) non è molto grande ma richiede diverso tempo, perchè presenta alcune attrazioni davvero singolari. Noi partiamo subito dal grande labirinto, nel quale impieghiamo circa 45 minuti: lo scopo è passare per ognuna delle quattro torri agli angoli del labirinto ed infine trovare la via d’uscita (vi assicuro che sembra semplice, ma non lo è affatto!). Una volta usciti facciamo una pausa al bagno…e ci troviamo di fronte ad una riproduzione di un bagno pubblico romano, dipinta sul muro con un tecnica che crea un’illusione ottica di profondità; divertenti foto di rito ovviamente, poi nel bagno vero e proprio, che comunque presenta eccentriche ciambelle coprieater. Il tema ricorrente del parco sono le illusioni ottiche, ed in effetti la prossima sezione è proprio la galleria degli ologrammi, alcuni persino inquietanti, che consistono di quadri che visti ad una determinata distanza presentano delle proiezioni tridimensionali che fuoriescono dalla cornice! Il passo successivo è la grande sala dei volti di personaggi famosi, aggettanti verso l’esterno, sebbene siano in realtà incavati verso l’interno, con lo sguardo che vi segue sempre, poi la sala che crea l’illusione ottica delle dimensioni (nella stessa stanza una persona pare un gigante di fianco ad un’altra che sembra un nano, un trucco usato per la realizzazione del LOTR); la sstanza inclinata di 15 gradi è davvero impressionante, anche se ci provoca qualche senso di nausea e qualche vertigine! Dopo altre piccole curiosità, si ritorna alla sala principale, dove ci si può cimentare con una innumerevole quantità di rompicapi di logica (acquistabili tutti allo shop) e nel giardino antistante si possono fare divertenti foto illusorie con la torre dell’orologio inclinata di 53 gradi (con le lancette dell’orologio che vanno all’indietro). Dopo la rilassante mattina, decidiamo di percorrere la strada che va Wanaka a Queenstown passando per la valle di CARDRONA: lo scenario è molto brullo e selvaggio e si arriva ad un certo punto ad un minuscolo villaggio che pare una vecchia stazione di posta e possiede uno degli hotel più antichi della NZ, il Cardona Hotel. Ci fermiamo per pranzare ed entriamo in una stanza che sa di altri tempi: divani di fronte allo scoppientante camino in pietra, tavoli e arredamento in legno e un cordiale ragazzo al bancone che ci suggerisce cosa prendere, la zuppa del giorno, con mais e bacon e la cesseruola di cervo, una zuppa con carne teressima e verdure molto, ma molto pepata. Il tutto accompagnato da una guinness, per la modica cifra di 45 dollari in due. Ci alziamo molto sazi e continuiamo la strada fino ad ARROWTOWN, piccola città dal passato minerario. La via principale brulica di negozietti ospitati in edifici che riproducono le abitazioni di un villaggio minerario di fine ottocento, in una ricostruzione forse un pò troppo artificiosa; ma l’attrazione principale è il parco in riva al piccolo torrente Bush Creek, che ospita I resti dell’antico insediamento cinese di minatori (il meglio conservato della NZ), dove si possono vedere gratuitamente le misere casupole dei lavoratori e leggere interessanti informazioni sulla vita dei minatori e in particolare della comunita cinese, nei pannelli illustrativi. Passeggiamo un altro pò sulle rive del fiume Arrow, dove è stata girata un’altra scena del LOTR (quella del guado del fiume Bruinen) e dove una famiglia sta cercando qualche pagliuzza d’oro col setaccio (si possono affittare al visitor information centre), poi ci dirigiamo in auto verso il famoso Kawarau Bridge. Da questo ponte, sospeso su un canyon nel quale scorre un fiume dalle acque turchesi (utilizzato anch’esso per alcune riprese del LOTR), si sono gettati i pionieri del bunjee jumping nel 1988 e oggi il luogo è frequentatissimo da molti locali e turisti che vogliono affrontare il salto di 43 metri e bagnarsi nel fiume. La compagnia AJ Hackett Bungy è tra le migliori della NZ e permette di effettuare il lancio in tutta sicurezza, ma noi non siamo abbastanza coraggiosi per provare quel brivido; io mi limito a scattare molte foto dei temerari, sia dalla terrazza panoramica che da sopra al ponte, poi gironzoliamo per il negozio e acquistiamo qualche souvenir. Arrivati a QUEENSTOWN, la mitica capitale mondiale degli sport estremi, scarichiamo i bagagli al grazioso Lomond Lodge (145 dollari per la camera superior), dove incontriamo alla reception una ragazza di Udine che lavora da anni in NZ, e scopriamo che la direzione è stata così gentile da regalarci una bottiglia di champagne per la nostra luna di miele! Abbiamo ancora il tempo e la voglia di fare una passeggiata fino alla Skyline Gondola, una cabinovia piuttosto ripida che sale sul colle che domina la città e permette di ammirare un panorama spettacolare (23 dollari a testa); sulla cima vi è una stazione nella quale si può cenare, si può assistere a uno spettaoclo maori, ci si può lanciare col bungee jumping, si può provare il luge, una sorta di piccolo kart senza motore, che sfrutta solo la pendenza del percorso e permette di raggiungere elevate velocità e fare curve abbastanza temibili. Infine scendiamo e facciamo un giretto per il centro di Queenstown, una cittadina a misura d’uomo molto carina, con una via principale deliziosa e piena di negozi alla moda e un lungolago tranquillo e panoramico, una graziosa chiesetta e il Williams Cottage, la casa più antica di Queenstown, risalente al 1864; a noi la città è piaciuta davvero molto e consigliamo, soprattutto agli amanti degli sport (estremi e non) e della montagna di passare almeno un paio di notti qui. Per cena scegliamo l’eccellente Fishbone, sulla strada principale – The Mall – che offre ottime pietanze a base di pesce: antipasto di capesante, linguine alle vongole e risotto di pesce dello chef, più due magnifici dolci e due bicchieri di sauvignon al prezzo di 120 dollari in due (meritatissimi, uno dei migliori locali che abbiamo provato).

11/10 GIORNO 20: QUEENSTOWN – FIORDLAND (TE ANAU – MILFORD ROAD)

Dopo aver lasciato a malincuore il Lomond Lodge, facciamo una breve visita al Kiwi & Birdlife Park (35 dollari a testa), più che altro per vedere i kiwi durante il feeding time alle 10.30; in effetti il parco, immerso in un bosco di altissime conifere, sembra ospitare un numero di uccelli minori rispetto ai parchi visitati in precedenza (tra questi kea, anatre, piccioni neozelandesi, parrocchetti), ma il momento in cui i kiwi slatellano fuori strillando in attesa del cibo è davvero indimenticabile ed è un ottimo modo per vedere l’uccello in piena attività. Dopo il parco abbiamo ancora un’oretta di tempo per visitare l’Underwater World (gratuito), dove si può osservare, tramite finestre sotto il livello dell’acqua, la vita subacquea dei pesci, soprattutto trote, delle anguille giganti e delle anatre del lago, in particolare le morette; se si vuole spendere qualche spicciolo, si può acquistare del mangime che viene automaticamente rilasciato in acqua e richiama una gran quantità di anatre e di pesci. La visita comunque è breve (pochi minuti in realtà), quindo facciamo un salto anche al negozio del Nomad Safari, che organizza tours nelle location del LOTR e vende gadgets dello stesso. Alle 12.00 ci rechiamo nel luogo dove effettueremo la nostra esperienza col jet-boat allo Shotover River, prenotata grazie alla gentilezza del receptionist del Lomond Lodge. La compagnia in questione è l’unica che ha la licenza per fare elettrizzanti escursioni all’interno del canyon dello Shotover, 25 minuti di corse mozzafiato tra rocce sporgenti, rapide e tratti di acqua bassissima; il jet-boat è un motoscafo che permette al pilota di eseguire curve repentine, di passare sopra i ciotoli del fiume e di fare anche evoluzioni come rotazioni di 360 gradi, grazie allo scafo piatto e a un motore particolarmente ingegnoso, che non usa carburante, ma sfrutta l’acqua in entrata e in uscita. Terminata l’avventura (che costa 109 dollari a testa), ci rechiamo al sobborgo di Kelvin Heights, una penisola di fronte a Queenstown, dov e si dovrebbe trovare il Deer Park Heights; uso il condizionale perchè, come mi aveva anticipato in una mail una ragazza dell’I-site locale, il luogo dove sono state girate diverse scene del LOTR e dove viveva un nutrito branco di cervi; ora dei cervi non si vede l’ombra e sul colle dove vi era il parco ci sono diverse abitazioni di ricchi borghesi, pertanto torniamo indietro e prendiamo la strada verso sud. Facciamo un pic-nic in una piazzola con tavolini deserta, con una splendida vista sui monti innevati e il Lake Wakatipu: sostiamo per diverso tempo immersi nel silenzio e ci stendiamo sul prato, godendoci la calda giornata di sole. Il tratto di strada fino a Te Anau è molto bello e permette di attraversare luoghi di natura quasi incontaminata, con la possibilità di avvistare molti falchi in volo; spesso, fermandoci per fotografare i paesaggi, ci vengono in mente le parole solitudine e immensità. Arrivati a TE ANAU entriamo nell’I-site locale per prenotare la crociera al Milford Sound, durante la mattinata successiva, poi, visto che è ormai pomeriggio inoltrato, imbocchiamo subito la strada scenografica e patrimonio dell’umanità che porta a Milford Sound, lunga circa 120 km. I primi 50 km della MILFORD ROAD sono già molto affascinanti, ma le emozioni e lo spettacolo aumentano man mano che si procede. L’Eglinton Valley si apre ampia e silenziosa davanti a noi e i picchi innevati che la cingono si riflettono negli imperdibili Mirror Lakes (occhio agli insetti), che hanno acque davvero come specchi e ospitano diversi tipi di anatre. Poi continuiamo fino al passo The Divide, dal quale partono alcuni sentieri di trekking, e arriviamo all’Homer Tunnel, una galleria di 1200 metri scavata nella viva roccia e non illuminata (almeno non all’ora nella quale arriviamo noi, verso le 19.00); una traversata un pò inquietante, soprattutto se penso ai poveri lavoratori che lo hanno costruito tra gli anni ’30 e ’50 del secolo scorso. Usciti dal tunnel lo spettacolo mi lascia letteralmente senza parole: la Cleddon Valley è una stretta gola con muraglie di roccia ripidissime e altissime, sulle quali scivolano decine di sottili cascatelle. Sembra davvero di essere in un set di un film fantasy, anzi è ancora meglio di quanto l’immaginazione possa fare! Estasiati da questa meraviglia, procediamo molto piano, ammirando tutto attorno a noi la magnificenza della natura, spesso fermandoci per fare foto e riprese; arriviamo dunque senza fretta alla nostra meta, il Milford Sound Lodge, dove abbiamo prenotato una doppia: si tratta di un’ostello e campeggio dove i servizi, molto puliti, sono in comune e le camere sono spartane ma funzionali (80 dollari per la camera doppia). Consigliamo di percorrere la Milford Road nel tardo pomeriggio se possibile, poichè si incontra sicuramente meno traffico e le luce del sole che tramonta ad ovest illumina in maniera perfetta le valli che si attraversano; questo implica comunque di dover dormire nel luogo in cui lo abbiamo fatto noi, perchè è l’unica soluzione per pernottare nel fiordo. Per cena scendiamo nel villaggio e andiamo all’unico pub aperto, il Blue Duck, dove gustiamo un ottimo hamburger gigante, accompagnato da una buona birra rossa e per finire un whiskey delicato niente male (75 dollari in tutto).

12/10 GIORNO 21: FIORDLAND (MILFORD SOUND) – SOUTHLAND (SOUTHERN SCENIC ROUTE – INVERCARGILL)

Ci svegliamo alle 9.00 circa e carichiamo l’auto in compagnia di un curioso kea, un pappagallo quasi inabile al volo tipico della zona, molto socievole e a volte dispettoso (ci sono cartelli che ammoniscono di non nutrirli), poichè ruba piccoli oggetti che lo attraggono; dopo una rapida colazione al Blue Duck (12.5 dollari), saliamo sulla barca della Real Journey per la crociera al MILFORD SOUND (107 dollari a testa, ma ci sono varie compagnie che si possono scegliere). Purtroppo la giornata è un pò nuvolosa e ventosa, ma gli scenari che vediamo sono comunque stupendi, decisamente tra i più belli di tutta la vacanza, insomma questa meta non è assolutamente da perdere! Rocce e muraglie di pietra altissime a picco sul fiordo, vegetazione verdissima ovunque (qui cadono 6-7 metri di pioggia all’anno) e cascate che si gettano in mare da vette aguzze. L’ambientazione mi ricorda alcuni paesaggi preistorici (tipo l’isola di King Kong per fare un esempio) e mi aspetto da un momento all’altro di vedere sbucare uno pterodattilo che mi voli sulla testa. Invece vediamo pinguini crestati coi loro tipici ciuffi gialli e le placide foche che si riposano sulle rocce; le barche inoltre si incuneano vicino alle pareti di pietra e vanno proprio sotto le cascate più grandi (occhio agli spruzzi!), regalando prospettive davvero uniche. Noi facciamo anche la breve sosta facoltativa all’Observatory, una stazione subacquea dove è possibile osservare i pesci del fiordo e ascoltare le spiegazioni della guida. Al ritorno pranziamo – al Blue Duck ovviamente (23 dollari), così abbiamo provato tutti e tre i pasti nell’unico punto di ristoro di Milford Sound – poi partiamo per il lungo viaggio verso sud. Dopo aver percorso il magnifico primo tratto della Milford Route (ora è uscito il sole e facciamo splendide foto e riprese), prendiamo la via verso Invercargill, la SOUTHERN SCENIC ROUTE, più lunga della via più classica e trafficata, ma molto più panoramica. Man mano che si procede verso sud le montagne si allargano, facendo spazio a vasti altipiani e vallate, poi giungiamo al mare, mosso e spazzato dal vento gelido. E’ davvero una bellissima esperienza poter ammirare i luoghi incontaminati di questa area poco raggiunta dai turisti, in particolare nel tardo pomeriggio, con la magica luce del tramonto. Arrivati alla meta, veniamo accolti dalla gentilissima proprietaria del Victoria Railway Hotel a INVERCARGILL, un edificio vittoriano restaurato, un pò costoso (145 dollari per la doppia standard), ma davvero incantevole e confortevole. Facciamo quattro chiacchere con altri avventori al bar, sorseggiando syrah, in un’atmosfera molto old style, poi ceniamo con portate ottime (cervo, salsicce e un delizioso pudding) e ci corichiamo presto perchè domani faremo trekking.

13/10 GIORNO 22: STEWART ISLAND

Ci si alza abbastanza presto per raggiungere la piccola cittadina di Bluff, dove acquistiamo i biglietti di andata e ritorno per STEWART ISLAND (126 dollari a testa). Alle 9.30 parte il piccolo traghetto e si comincia a ballare paurosamente sulle onde del mare mosso: mia moglie è decisamente in crisi e terrorizzata, io sono piuttosto scosso, ma mi faccio coraggio (per dare il buon esempio!) vedendo che gli altri passeggeri e il resto della ciurma sono tranquilli e scherzano. La barca fa dei salti davvero spaventosi e si inclina seguendo il moto delle onde: ora capisco in parte quello devono provare certi marinai o pescatori in mare aperto, quando la furia delle acque fa davvero paura! Avvicinandoci a Stewart Island la situazione ritorna più calma e, dopo circa un’ora di navigazine, sbarchiamo a Oban, l’unico villaggio sull’isola. Facciamo spesa per un pranzo al sacco (30 dollari) e andiamo al Visitor Information Centre per chiedere quali opzioni abbiamo per una mezza giornata di trekking; la ragazza dell’ufficio ci fa vedere l’opuscolo “short walks” (2 dollari), poi ci consiglia alcuni sentieri non troppo lunghi, perchè purtroppo il mio ginocchio destro non è al massimo della forma. Quello che ci dice essere il migliore è il sentiero che raggiunge Ackers Point (andata e ritorno circa 3 ore), dove si possono vedere uccelli marini, comprese berte, albatross e pinguini blu. La prima metà si svolge sulla strada asfaltata che costeggia la baia, non molto affascinante, poi giunti alla vecchia casa in pietra degli Acker – uno degli edifici più antichi della NZ – comincia il bel sentiero nel bush e nella foresta. Purtroppo non vediamo nessuno dei tipi di uccelli previsti, ma possiamo osservare moltissimi tui, uccelli dal piumaggio nero-verdastro con due piume bianche sotto il becco, che emettono suoni stranissimi, quasi meccanici, oltre ad alcuni bellbird e un fantail dalla coda biforcuta. Una pioggerella fitta cade a intermittenza, alternandosi col sole, noi ci vestiamo e ci svestiamo in continuazione e mangiamo il pranzo al sacco sotto gli alberi. Nonostante il posto sia meraviglioso e si possano udire i veri suoni di una natura pressochè incontaminata, consiglio a chi volesse avere più probabilità di avvistare la fauna locale, di affrontare un percorso più lungo nella foresta, oppure di prendere parte ad una visita guidata (in solitario o con un taxi d’acqua) su Ulva Island, un santuario di uccelli dove si vedono più facilmente kea, parrocchetti e dove chi è fortunato può avvistare il rarissimo kakapo o addirittura il kiwi. Il ritorno in traghetto per fortuna è più agevole rispetto al mattino e, rientrati a Invercargill, sbrighiamo alcune faccende in hotel (bucato e internet) prima di uscire per cena in un ristorante giapponese (50 dollari in tutto) dove siamo gli unici commensali, dato che molti locali sono chiusi e c’è molta poca gente in giro.

14/10 GIORNO 23: SOUTHLAND (INVERCARGILL – CATLINS – NUGGET POINT)

Dopo un ariposante dormita facciamo un giro in auto a INVERCARGILL per ammirare alcuni monumenti storici: la First Presbyterian Church, che sembra fatta in stile romanico, il teatro e la torre cisterna dell’acqua. Al termine di una breve spesa in un supermercato Countdown, decidiamo di passare un’oretta al Southland Museum di Invercargill, una struttura ad entrata libera (anche se una donazione è ben accetta) nella quale si possono vedere mostre temporanee di artisti neozelandesi, una interessante e curiosa sezione sugli sport in NZ (compresa una strana danza scozzese!), una sezione dedicata agli abitanti della zona nell’800, compresa di ricostruzione di stanze di epoca vittoriana, una parte piccola ma ben fornita sull’arte maori e l’immancabile area naturalistica; in effetti le vere star di Invercargill sono in questa parte: si tratta dei tuatara, gli unici rettili autoctoni della NZ, iguane simili a dinosauri, uno dei quali ha ben 140 anni e ha appena partorito una cucciolata di diversi piccoli. Il complesso è molto moderno e ben tenuto e, se siete a Invercargill non solo di rapido passaggio, merita certamente una visita. Dopo questa prima tappa, partiamo alla volta della regione dei CATLINS, l’ampia parte costiera a est di Invercargill, selvaggia e paesaggisticamente magnifica. Il primo luogo dove ci fermiamo è Waipapa Point, al largo del quale, nel 1884, accadde una delle peggiori disgrazie nautiche della NZ, il naufragio della nave “Turarua”; un faro, costuito 3 anni dopo, ricorda la tragedia e vi è un breve percorso lungo la spiaggia dove possiamo ammirare alcuni leoni marini che sonnecchiano, oltre a un nutrito stormo di sterne e beccacce. La zona è battuta da un feroce vento che piega gli alberi fino a farli crescere quasi orizzantali e paralleli al terreno, ma si possono fare degli scatti magnifici, soprattuto in casi di una fortunata giornata di sole. Proseguiamo sulla Southern Scenic Route e prendiamo la deviazione per Curio Bay, una spiaggia davvero unica, dove si possono osservare tronchi e impronte di legno pietrificato fuse con la roccia, a causa dell’azione di una colata vulcanica. Alcuni pannelli illustrano come un tempo la spiaggia fosse coperta da una rigogliosa foresta e si nota molto chiaramente il limite di tale area boschiva sulla spiaggia rocciosa; si distinguono anche piuttosto bene le tracce rette dei tronchi pietrificati, caduti in seguito all’eruzione, sebbene sia oppurtuno giungere nel posto con la bassa marea, altrimenti si rischia di fare un viaggio a vuoto (noi siamo arrivati verso mezzogiorno, ma è bene informarsi presso un I-site). Nella vegetazione appena oltre la spiaggia di roccia cerco e trovo un pinguino degli antipodi (o crestato e dagli occhi gialli) che sta covando: se andate in NZ in ottobre, questo è il periodo nel quale le femmine stanno nascoste tutto il giorno tra i cespugli a curare le uova, mentre i maschi sono in cerca di cibo in mare; non è difficile individuare i luoghi di cova, basta cercare le rocce chiazzate degli escrementi bianchi dei pinguini, anche se naturalemente non ci si deve avvicinare agli uccelli per non disturbarli, quindi mi lim ito a qualche scatto con qualche arbusto davanti. Continuando la strada, ci fermiamo per una passeggiata di 30 minuti, andata e ritorno, alle Matai Falls e alle Horseshoe Falls, due belle cascate circondate da una foresta lussurreggiante e soprattutto molto poco visitate. Più avanti le Purakakaunui Falls (10 minuti andata e ritorno) sono certamente più conosciute e spettacolari, ma comunque di solito non si trovano folle di turisti che potrebbero rovinare l’atmosfera: la cascata scende come fatata, larga e poco alta, su rocce stondate, nello scenario perfetto di una foresta vergine. Torniamo poi verso la costa per visitare Cannibal Bay, una spiaggia di sabbia enorme tra due promontori, ampia, solitaria (ci siamo solo noi!) e battuta dal vento; cammindando sulla sabbia e vicino alla duna erbosa che delimita la spiaggia, notiamo un leone marino enorme che dorme a pochi metri da noi, per cui ci scostiamo rapidamente per non innervosirlo. Raggiunto NUGGET POINT, non ci fermiamo alla nostra sistemazione, ma prima proseguiamo in direzione del faro arroccato sul promontorio della penisola e ci fermiamo a Roaring Bay, un luogo dove, in un capanno riparato, è possibile appostarsi per avvistare i pinguini degli antipodi ritornare ai loro nidi. Sostiamo nel capanno per circa 45 minuti (dalle 18.00 circa, ora in cui gli uccelli cominciano a rientrare) e vediamo 3 pinguini tornare a riva con la loro goffa andatura. Uno in particolare, sale parecchio sulla riva erbosa, fino a spingersi abbastanza vicino al punto nel quale siamo appostati, permettendoci di scattare eccellenti foto mentre si pulisce il piumaggio (ovviamente serve un binocolo o uno zoom abbastanza buono, io avevo un 28x). Ricordate che gli avvistamenti si fanno sempre poco prima del tramonto (o all’alba) e servono pazienza, buon occhio e abiti per restare caldi. Dopo una giornata così piena, siamo felici di arrivare al Nugget Lodge, la nostra sistemazione, una casa sulla scogliera che ha due opzioni di prezzo: noi abbiamo scelto la “lighthouse unit” (160 dollari a notte), uno studio con cucina ben fornita, tv e salottino che da direttamente sul mare e offre splendide visuali e della costa. Al risveglio, la mattina successiva, il sole che sale sull’acqua, illuminando la spiaggia rocciosa, è un’immagine da sogno che ci regala un’autoscatto indimenticabile.

15/10 GIORNO 24: DUNEDIN

Ci svegliamo come al solito presto, perchè la giornata è pregna di cose da vedere. Per prima cosa andiamo verso il faro di Nugget Point per poterlo osservare da vicino, ma scopriamo che vi è una sbarra che impedisce alle auto di proseguire; un sentiero porterebbe alla punta della penisola, ma purtroppo non abbiamo tempo e voglia di fare una passeggiata che ci pare abbastanza lunga. Lasciamo dunque con rimpianto (e una promessa di cercare di tornare in futuro) Nugget Point e imbocchiamo la strada verso DUNEDIN, città universitaria e moderna alla quale arriviamo dopo circa un’ora e mezza, percorrendo una strada che ci pare trafficata perchè veniamo dalla solitaria regione dei Catlins, mentre in realtà la viabilità è molto tranquilla. In attesa del tour guidato a Olveston House prenotato per le 10.45, raggiungiamo Baldwin Street, la strada più ripida del mondo, entrata nel Guinness dei primati per la sua incredibile pendenza. La percorriamo a piedi in salita, poichè mi sembra abbastanza impegnativa in auto e non voglio proprio rischiare di fondere motore e freni; la pendenza è davvero eccezionale: le case a fianco della strada sembrano inclinate di 45 gradi e si possono fare foto curiose e divertenti, seguendo l’andamento dell’asfalto, ecc. All’ora stabilita ci rechiamo a Olveston House e, dopo aver trovato parcheggio con qualche difficoltà, entriamo nella bella villa vittoriana: alla reception una signora elegantissima ci accoglie dicendoci in maniera molto formale “you’re supposed to be the Cantarellis” e noi rispondiamo divertiti con un sorriso. La casa ha degli interni meravigliosi, in gran parte il mobilio è rimasto intoccato dal 1967 ed in seguito restaurato e la visita di circa un’ora (16 dollari a testa) è esaustiva e molto interessante: le stanze più mirabili sono sicuramente la cucina, la sala da pranzo e soprattutto il magnifico salone con la scala in legno e l’eccentrica sala da gioco. Spostiamo di nuovo l’auto e facciamo una visita di circa un paio d’ore all’Otago Museum, un museo davvero bello a ingresso libero: grandi e interessanti le sezioni sui maori (con i caratteristici oggetti intagliati e una waka lunghissima), quella sulle popolazioni del Pacifico (in particolare le maschere e il manichino raffigurante un guerriero con due spade realizzate con denti di squalo) e la parte naturale, con animali imbalsamati e il gigantesco scheletro fossile di un plesiosauro. Pagando poi un biglietto di 5 dollari si può entrare in una sezione interattiva – per bambini, ma noi ci siamo comunque divertiti un sacco – e nella successiva casa delle farfalle, un ambiente che comprende una serra tropicale nella quale si muovono indisturbate centinaia di tipi del coloratissimo insetto; ci muoviamo con calma tra le farfalle che ci si posano addosso e facciamo molte foto prima di uscire e controllare con cura di non avere insetti attaccati ai vestiti. Terminata anche questa esperienza, abbiamo giusto il tempo di un giro rapido alla piazza centrale di Dunedin, The Octagon, sul quale si affacciano negozi, locali ed edifici storici. Un panino al volo ci permette di arrivare alle 15.15 puntuali al tour guidato di Cadbury World (18 dollari a testa), la fabbrica di cioccolato di una famosa marca di cioccolato (che purtroppo non viene distribuita in Italia!). Entrare in quella fabbrica è un pò come rivivere in prima persona il film “Willie Wonka” ed è consigliato agli amanti dei dolci e a chi non è a dieta: la guida con una tuta viola spiega interessanti notizie sul cioccolato, regala dolci a chi risponde ai suoi quesiti e ci porta nella zona della lavorazione, dove si notano macchinari che producono barrette, uova di cioccolato, ecc. La cosa più entusiasmante della visita, oltre ai diversi assaggi che si fanno, è la cascata di cioccolato all’interno di un grande silos, dove si respira un’odore intensissimo di cacao. Dopo aver fatto incetta di dolci allo shop di Cadbury, andiamo a piedi alla Railway Station, un gioiello vittoriano assolutamente da vedere, uno spettacolo sia esternamente, con le torri e le decorazioni, che all’interno, coi mosaici pavimentali e le finestre policrome. Per finire raggiungiamo la First Church of Otago, un imponente edificio in pietra grigia con una torre frontale di 60 metri e un interno ampio e solenne, situato a poca distanza dalla stazione, sopra un piccolo colle spianato. Poco prima dell’imbrunire arriviamo al Manor Motel (105 dollari per la camera doppia), dove facciamo conoscenza con la simpaticissima e un pò folle – come del resto tutti i kiwi – propietaria: ci dice di aver rilevato da poco l’attività e, siccome la precedente gestione aveva fatto confusione con la nostra prenotazione, ci sistema nell’appartamento per famiglie, molto grande (comprende cucina, salotto, bagno, due camere) e ci regala una fetta di torta al cioccolato da mangiare a colazione! Ceniamo nella piazza centrale, al The Terrace (100 dollari), dove proviamo lo stonegrill, la pietra rovente sulla quale si può cuocere personalmente la carne o il pesce, un’esperienza davvero gustosa e divertente, come afferma il cameriere che ci serve, mentre alla tv proiettano una partita dell’onnipresente rugby.

16/10 GIORNO 25: OTAGO (OTAGO PENINSULA – MOERAKI – OAMARU)

Appena alzati ci dirigiamo in centro perchè abbiamo deciso di spedire alcuni souvenirs con un pacco postale, così dalle 9.00 alle 9.40 sbrighiamo questa incombenza, che comunque non si rivela particolarmente ardua; da ricordare che conviene avere un’idea del costo degli oggetti da mettere nel pacco e si devono brevemente descrivere e indicarne la tipologia. Passiamo poi dall’I-site locale per prenotare l’escursione guidata a Penguin Place, una colonia di pinguini degli antipodi che si trova nell’OTAGO PENINSULA, la nostra prossima meta. Prima di raggiungere la colonia, abbiamo tempo di fermarci al piccolo acquario del Marine Studies Centre (12.5 dollari a testa), un centro di ricerca sulle attività marine, dove lavorano studenti e scienziati. Sono interessanti in particolare le vasche finali con anemoni e stelle di mare (che si possono toccare con la dovuta cautela) e il video sulle creature degli abissi all’interno del “sottomarino giallo”, che spiega bene cosa gli studiosi incontrano nella profondissima fossa sottomarina presso la penisola. Alle 11.45 giugiamo a Penguin Place (40 dollari a testa): la guida ci spiega alcune cose dell’area che visiteremo, informandoci sui pinguini e su altri animali della zona. Con un pulmino si percorrono in 10 minuti i pochi km verso l’area e all’arrivo ci inoltriamo subito nelle “trincee” scavate nella terra e coperte con strutture in legno e teli mimetici: questo ottimo sistema permette di vedere gli uccelli senza disturbarli eccessivamente e le foto che si riescono a fare sono davvero straordinarie. Come già detto, in ottobre le femmine dei pinguini restano nelle casupole costruite dagli uomini per la cova e osserviamo, da vicino e con ottima visuale, diversi uccelli intenti alla cura delle uova; oltre ai pinguini si possono notare diversi tipi di anatre, in particolare la “paradise duck”, rondini dal piumaggio luminoso e vediamo anche uno splendido airone grigio. In una parte della colonia vi sono anche anche le tane dei minuscoli pinguini blu e se ne vedono alcuni all’interno dei loro nidi. Terminiamo la visita appena in tempo per prender parte alla crociera della Monarch Wildlife (50 dollari a testa) che parte dalla Wellers Rock: si tratta di un giro di circa 1 ora nella baia alla ricerca di uccelli marini e altra fauna acquatica. Da ricordare che nella parte estrema della penisola si trova una grande colonia di albatross reali, ma da metà settembre a fine novembre non è possibile visitare i nidi perchè siamo nel delicato periodo dell’accoppiamento, quindi la crociera diventa in quei mesi una valida alternativa. Durante la navigazione avvistiamo un leone marino in mare e che poi sale in spiaggia, con la sua andatura buffa, poi sulle rocce una ampia colonia di cormorani che nidificano su “piedistalli” creati dal proprio guano, e in volo berte e un albatross molto lontano. La parte più emozionante della crociera è però l’avvistamento di una balena, che per accoglierci compie un magnifico salto fuori dall’acqua (che purtroppo non riesco ad immortalare in uno scatto); restiamo in mare un pò più del solito, proprio per osservare il placido cetaceo e sulla via del ritorno abbiamo la fortuna di vedere anche il rituale di corteggiamento di due albatross reali sulla collina della colonia. Ultima tappa della Otago Peninsula è il Larnach Castle (25 dollari a testa, chiude alle 17, ma si può restare nei giardini fino al tramonto), un edificio risalente all’800, costruito su una collina e immerso in un magnifico giardino. Gli interni sono più ampi, ma certamente meno spettacolari di Olveston House, anche se meritano comunque una visita, in particolare l’ultimo piano e la torre dalla quale si ha una splendida vista. I giardini sono ben curati e, disseminati in vari punti, vi sono diversi riferimenti al libro “Alice nel paese delle meraviglie” che noi, grazie anche ad un’accurata mappa, cerchiamo e troviamo tutti, perdendo non poco tempo per individuare l’introvabile Stregatto (abbiamo dovuto chiedere aiuto a una signora del personale). Dobbiamo poi partire per raggiungere Oamaru, ma prima ci fermiamo a MOERAKI, per ammirare i Moeraki Boulders, strane formazioni rocciose completamente rotonde disseminate in un tratto si spiaggia e sacri per i maori; pare che si siano formati per la solidificazioni di cristalli di sabbia; da notare che non bisogna prendere la strada per il villaggio, ma proseguire per circa un km a nord e prendere una deviazione con un cartello che segnala l’attrazione. Arriviamo a OAMARU verso le 19.30 e chiediamo alla gentile proprietaria del AAA Thames Motel di Oamaru di lasciare in fretta i bagagli e sbrigare le formalità il mattino seguente, perchè vogliamo vedere andare di corsa alla famosissima colonia di pinguini blu. Giungiamo dunque all’area (ricordate di portare abiti pesanti per il freddo), dove ci accomodiamo nella gradinata in cemento costruita per permettere di osservare il ritorno dei maschi di pinguini blu dalla caccia in mare: verso le 20.30 cominciano a tornare i piccoli pennuti (sono i più piccoli pinguini del mondo, alti appena 25 cm) e lo spettacolo è davvero stupendo e soprattutto lungo, perchè la colonia è composta da circa 500 animali. Alcuni pinguini che non sono per nulla intimoriti dalla nostra presenza, si avvicinano molto alla gente, passandoci a circa 1 metro di distanza, mentre altri continuano a camminare fino a raggiungere il parcheggio delle auto e li vediamo un pò spauriti tra le vetture; bisogna fare molta attenzione a come ci si muove in macchina e controllare se vi sono pinguini sotto di essa, inoltre è vietato scattare foto col flash per evitare di spaventarli. Ceniamo al McDonald visto che sono ormai le 22.00, provando finalmente l’angus beef burger, molto gustoso, e ci addormentiamo esausti appena arrivati in camera.

17/10 GIORNO 26: OTAGO (WAITAKI VALLEY) – CANTERBURY (CHRISTCHURCH)

In mattinata, dopo aver caricato i bagagli e salutato la propietaria del motel, ci dirigiamo con l’auto verso nord e poi deviamo a ovest, infilandoci nella WAITAKI VALLEY, per vedere alcuni luoghi di interessa geologico e paesaggistico. La zona più interessante è certamente quella delle Elephant Rocks, un luogo davvero magico, dove formazioni rocciose di 25 milioni di anni fa, costituite da sabbia solidificata, riposano silenziose in un ampio prato in lieve pendenza. Il posto è così scenografico che vi sono state girate alcune scene del primo capitolo della trilogia delle Cronache di Narnia (quelle che ritraggono il campo di Aslan) e in una zona confinante con le Elephant Rocks, ma recintata, scorgiamo un set di un film in lavorazione, con la riproduzione di un villaggio in pietra e con tanto di manichino vestito da inserviente per tenere alla larga i curiosi! Comunque il posto merita assolutamente una visita per il fatto che è quasi totalmente privo di turisti (ne incontriamo solo tre), quindi l’atmosfera è davvero tranquilla e surreale e ci porta a scattare molte foto. Proseguendo poco oltre lungo la strada che porta a questo sito, troviamo un sentiero che conduce in 5 minuti al fossile di una balena incastonata in un roccia: in realtà restano solo 4 parti di ossa ed è davvero difficile riconoscere la morfologia dell’antica creatura, nonostante vi sia un pannello illustrativo in soccorso dei visitatori. Nel vicino villaggio di Duntroon, il piccolo museo con diversi fossili in mostra, chiamato Vanished World Centre, apre alle 11.00 e noi non abbiamo voglia di attendere quasi un’ora l’apertura, per cui partiamo alla volta di CHRISTCHURCH. Il viaggio è lungo e dura circa 4 ore, su una strada comunque agevole, e sostiamo per il pranzo a Timaru, piccola cittadina costiera, dove prendiamo una pizza super condita al Red Rocket. Arrivati verso le 16.00 alla nostra meta, ci dirigiamo subito verso l’areoporto, perchè abbiamo intenzione di visitare l’International Antarctic Centre: Christchurch è infatti una delle più importanti porte verso l’Antartide e possiamo scorgere gli stabilimenti di diverse missioni internazionali, compresa l’Italia che offre alla ricerca scientifica i contributi maggiori, insieme a USA e NZ. All’interno del centro (48 dollari a testa) si imparano molte cose interessanti sul continente ghiacciato (ad esempio che, col vento artico, la temperatura può arrivare a -82 gradi, alla quale un uomo all’esterno può resistere circa 1 minuto) e sulle spedizioni passate e odierne e vi sono anche diverse esperienze interattive da fare: tra le altre si può sperimentare una tempesta antartica a -18 gradi all’interno di una stanza piena di ghiaccio (in dotazione viene fornito l’equipaggiamento), si possono osservare i pinguini blu alla cova e nella loro vasca e, per chi non soffre di problemi di stomaco, si può fare un giro sull’Hagglund Ride, una corsa emozionante e piuttosto movimentata su un veicolo a cingoli utilizzato nelle regioni artiche (lo consiglio, ma tenetevi stretti!). Dopo questo pomeriggio al freddo, arriviamo al Camelot Square Hotel, la nostra sistemazione proprio nella piazza centrale di Christchurch (110 dollari per la camera doppia a notte) e ci rilassiamo un attimo prima di uscire e ammirare la maestosa Christchurch Cathedral (la finestra della nostra camera da proprio sull’edificio); di fianco alla chiesa si trova una singolare ma affascinante scultura moderna, detta Metal Chalice, realizzata per salutare il nuovo millennio da Neil Dawson e di fronte alla cattedrale si trova invece uno spazio per giocare a scacchi giganti, come a The Octagon a Dunedin. Ceniamo al “Palazzo del Marinaio”, ristorante italiano di pesce (praticamente l’unico aperto anche alle 20.30): il cibo è abbastanza buono (non troppo le cozze,a buone le linguine), il sauvignon è come al solito ottimo, ma il tutto è un pò troppo costoso (160 dollari in due!).

18/10 GIORNO 27: CANTERBURY (CHRISTCHURCH – HANMER SPRINGS)

Quando scendiamo in piazza a CHRISTCHURCH,c’è poca gente in giro e fortuna c’è il sole, nonostante l’aria sia ancora abbastanza fresca. Ammiriamo di nuovo la cattedrale e proviamo ad entrare, ma dato che ci sono le prove del coro, diamo solo una sbirciata dal fondo della navata. Ci rechiamo allora all’I-site in piazza e prenotiamo un biglietto combo (30 dollari a testa) per il circuito dei tram storici di Christchurch e un giro in barca sul fiume Avon a bordo di un punt, una barca vittoriana simile alle nostre gondole. Prendiamo il tram storico restaurato, con tanto di controllore vestito a tema, nella piazza centrale: è un modo molto carino per visitare le attrazioni principali del centro città su un mezzo d’epoca e il bigietto è valido per l’intera giornata. Arrivati all’Antigua Boatshed, punto di partenza del punting on the Avon, saliamo a borda della nostra barca insieme a una coppia di turisti di Hong Kong e partiamo per la tranquilla regata di circa 30 minuti nel parco, accompagnati dal timoniere Vincenzo, un italo-neozelandese che ci da alcune informazioni su Christchurch mentre scivoliamo sul placido fiume. Dopo la rilassante esperienza, attraversiamo a piedi parte dei Botanic Gardens, passiamo di fronte al Canterbury Museum e poi ci immergiamo nel movimentato mercato che si tiene ogni sabato e domenica all’Art Centre (consigliamo vivamente di cercare di passare per Christchurch in questi giorni, perchè il mercato merita davvero): il mercato non è molto vasto, ma è ricco di bancarelle di artigianato e vestiti, mentre in una viuzza laterale si concentrano molti chioschi che vendono cibi di diverse nazionalità, dall’oriente all’europa (manca solo la mitica piadina romagnola!). All’interno degli edifici storici che compongono l’Art Centre, vi sono invece negozi e laboratori artistici che si possono visitare liberamente e noi ci muoviamo curiosi nei luoghi in cui vengono create splendide sculture in legno intagliato, manufatti in osso e in giada ed eccentriche gallerie d’arte. Dopo aver gustato un felafel libanese enorme e un piatto vietnamita, riprendiamo il tram storico per terminare il giro e decidiamo di trascorrere il pomeriggio ad HANMER SPRINGS, una località a circa 2 ore di auto da Christchurch, conosciuta come il maggiore centro termale della South Island. Il posto si trova in una zona di montagna facilmente raggiungibile e quando arriviamo non ci sono molte persone, anche perchè il tempo si è fatto nuvoloso e una sorta di foschia scende come una pioggerella fine a tratti. Decidiamo di rilassarci per cominciare in una spa privata (24 dollari a testa), un’ottima scelta per cominciare ad ambientarci nelle acque calde, della durata di 30 minuti, che permette comunque di usufruire anche delle piscine esterne. Quando usciamo non piove più, ma il tempo è ancora nuvoloso e piuttosto freddo per cui decidiamo di immergerci. Ci sono 9 piscine termali di varie dimensioni, con la temperatura dell’acqua che varia da 35 a 40 gradi, ed è davvero insolito immergersi in queste vasche fumanti, mentre fuori il paesaggio è costituito da monti innevati e la temperatura è di circa 12 gradi; nonstante il nostro iniziale scetticismo, dopo poco il corpo si abitua e si tempra e il freddo non è più un problema, quindi restiamo alla spa per oltre 3 ore (e ovviamente quando usciamo fa capolino il sole!). Il ritorno a Christchurch è abbastanza agevole, anche se le acque termali ci hanno spossato a tal punto, che decidiamo di restarcene in camera e consumare i panini che avevamo preventivamente acquistato ad Hanmer Springs, considerato anche che l’indomani dovremo prendere il volo per Auckland alle 9.30 del mattino.

19/10 GIORNO 28: AUCKLAND

La mattina è tutta dedicata al volo che da Christchurch ci porta ad AUCKLAND, che per fortuna va liscio come l’olio e ci permette anche di gustarci splendide visuali dall’alto dei paesaggi che abbiamo attraversato, perchè la giornata è molto soleggiata. All’arrivo prendiamo uno shuttle per la città (tutti privati, meglio chiedere prima il prezzo) per 37 onesti dollari a coppia: l’unica condizione per prendere questo piccolo furgone, è il fatto di dover comunque attendere che qualche altro cliente salga per essere portato in centro, ma la nostra attesa dura comunque circa 20 minuti e si risparmiano molti soldi rispetto al taxi (che ne costa fino a 90!). Lo shuttle ci porta proprio di fronte al Citylife Hotel, l’albergo che avevamo prenotato col tour operator italiano per le ultime 3 notti ad Auckland, in una zona centralissima della città a pochi minuti dalla Sky Tower: il personale è cordialissimo e competente e per la nostra luna di miele ci hanno riservato una executive suite, che ci offrono al posto della camera doppia standard da noi prenotata, senza alcun supplemento di prezzo! La stanza è più simile a un bilocale: ha una ampia cucina con tutti gli accessori annessi (compreso frigobar, lavatrice e asciugatrice), un salottino con la tv al plasma, una camera da letto spaziosa con la cabina-armadio e il bagno con la vasca; un piccolo sogno, perfetto per terminare il nostro viaggio, con inoltre la vista della vetta della Sky Tower dalla finestra. Decidiamo di uscire subito, dato che non sono ancora le 12.00, e ci rechiamo a piedi fino all’Auckland Domain, passando per Albert Park e la zona universitaria, movimentata da vivaci gruppi di studenti. La passeggiata di circa 30 minuti è un saliscendi per il terreno collinare sulla quale la città è costruita e, visto che vi è un sole cocente e la temperatura sfiora i 18 gradi, ci gustiamo appieno i vari aspetti di Auckland, un centro moderno, verde e a misura d’uomo. Arriviamo all’Auckland Museum, sulla cima della collina all’interno del grande parco chiamato Auckland Domain, dove molti kiwi fanno jogging, si rilassano sui prati e passeggiano, in tempo per prender parte alla visione dello spettacolo culturale maori (25 dollari a testa), che in circa 25 minuti mostra le tipiche danze del popolo autoctono, compresa la famosa haka; in realtà è più una performance con alcuni aspetti comici, che un vero spettacolo tradizionale (come quello del Mitai Village a Rotorua), insomma carino ma non imperdibile. Il museo invece è molto interessante e noi lo esploriamo per circa un’ora e mezza, passando dalla sezione maori, alla parte sulle guerre mondiali (che comprende un’aereo Spitfire intero), dalla sezione naturalistica a una sala dove viene ricostruita la Auckland vittoriana, per terminare con un’area dove sono raccolti molti abiti delle varie epoche del XX secolo (per la gioia di Irene). Pranziamo al cafè del museo, poi torniamo verso il centro e ci rechiamo all’I-site della Sky Tower per avere informazioni sul noleggio auto per un giorno e sulle previsioni meteorologiche dei prossimi due giorni; apprendiamo che mercoledì (cioè dopodomani) dovrebbe essere una giornata di sole in tutto il nord, così decidiamo di noleggiare l’auto per quel giorno e riportarla il giorno successivo direttamente in aeroporto, prima di partire per il viaggio di ritorno. Passiamo poi un’oretta su internet e torniamo in hotel, dove, dopo esserci rinfrescati, ceniamo al ristorante dell’albergo, lo Zest, una scelta raffinata e molto buona (90 dollari in due).

20/10 GIORNO 29: AUCKLAND

Dopo una sostanziosa colazione da Starbucks, ci dirigiamo nella zona del porto ed entriamo all’I-site per acquistare i biglietti (10 dollari a testa A/R) per Devenport, che raggiungiamo con un traghetto che in circa 12 minuti ci porta nel tranquillo quartiere di fronte al centro della città, dal quale si possono scattare eccellenti foto dello skyline di AUCKLAND. Curiosando tra i negozietti (vi è una tradizionale passione per i libri usati e l’antiquariato in genere), percorriamo la via principale, fino a raggiungere l’inizio della strada che porta sulla cima del Mount Victoria, una collinetta verde che è quel che resta di un vulcano estinto: dalla sommità è possibile spaziare con lo sguardo a 360 gradi su tutta l’area cittadina di Auckland e si possono vedere anche le isole della Great Barrier. Si può inoltre ammirare da vicino il grande cannone a scomparsa costruito in occasione della Seconda Guerra Mondiale, parte di una fortificazione eretta per far fronte alla minaccia russa e nipponica nel Pacifico. Scesi dal colle, pranziamo (56 dollari in due) al buon pub irlandese “The Patriot” (non mi faccio mai scappare l’oppurtunità di una guinness ben spillata), poi riprendiamo il traghetto e ci aggiriamo nella zona del molo, passando accanto all’Hilton Hotel, un lungo edificio aggenttante in mare, costruito in modo da riprendere la forma di una nave da crociera; camminando, sbirciamo dall’esterno anche il famoso “Minus 5 Bar”, un locale alla moda sotterraneo, costruito interamente in ghiaccio (vengono forniti dei giacconi con pelo), ma dato che la giornata è calda, non vogliamo rovinarla con una dose di freddo. Andare a zonzo per i negozi e i centri commerciali del centro ci impegna circa 2 ore e ci divertiamo e compriamo diversi piccoli souvenirs, prima di rinsavire e decidere di dirigerci alla Sky Tower per affrontare finalmente la salita: l’edificio simbolo di Auckland è la torre più alta dell’emisfero meridionale coi suoi 328 metri di altezza e dobbiamo ammettere di essere abbastanza timorosi prima dell’ascesa. Compriamo i biglietti (28 dollari a testa) per poter raggiungere il Main Floor (188 metri) e anche l’Observatory (il punto più alto raggiungibile dai turisti, 220 metri) ed entriamo nell’ascensore che sale rapidamente, col brivido di una parte del pavimento in vetro e di alcune finestre che compaiono durante il tragitto. Quando si aprono le porte, facciamo qualche passo e ci troviamo leggermente intontiti, forse a causa dello sbalzo di pressione oppure delle vertigini dovute al panorama: la vista infatti è davvero incredibile e si può girare a 360 gradi attorno alla torre per osservare Auckland e i suoi dintorni in tutte le direzioni; le auto e le persone sono minuscole, vediamo il nostro hotel di 27 piani che somiglia a un giocattolo da dove siamo e io sperimento il brivido di passare su dei tratti di corridoio (evitabili) nei quali il pavimento è costituito da lastre in vetro dello spessore di 38 millimetri. Le emozioni continuano nell’Observatory, sul quale saliamo con l’ascensore: il piano è molto più stretto del precedente e si sentono diversi rumori delle strutture metalliche che stridono, causati dal vento, che ad Auckland e a quell’altezza è praticamente una costante; si possono anche vedere appena sotto di noi, i temerari (o folli) che dal camminamento esterno in ferro, all’altezza di 192 metri, si gettano nel vuoto con un bunjee jumping “guidato” da un filo d’acciao, comunque l’atmosfera claustrofobica ci induce a scendere presto al piano inferiore, dove ci accomodiamo ad un tavolino e prendiamo un classico the delle 17 (passate in realtà) accompagnato da una fetta di torta. Tornati all’hotel, ci concediamo un’ora di relax nella piscina privata al secondo piano e passiamo una tranquilla serata nella nostra suite, cucinando cibo acquistato in un minimarket nelle vicinanze.

21/10 GIORNO 30: COROMANDEL PENINSULA (TAIRUA – CATHEDRAL COVE – HOT WATER BEACH)

Scendiamo alle 9.00 nella lounge del Citylife, dove ci attende un addetto dell’autonoleggio Go Rental per consegnarci la Hyundai prenotata. Dopo aver sbrigato le formalità del caso, partiamo per la COROMANDEL PENINSULA in una splendida giornata di sole, con 20 gradi di temperatura! Il programma originale che avevo studiato era di percorrere la strada da Thames a Coromandel Town – dove avremmo visitato la Driving Creek Railway and Pottery – fino a Whitianga e Cathedral Cove, per poi rientrare passando dai Pinnacles, ma avendo potuto prendere la vettura solo alle 9.00 ci rendiamo conto di dover sacrificare qualcosa per apprezzare al meglio ciò che vedremo. Il mio consiglio è comunque di passare almeno una notte nella penisola, se la si vuole visitare con calma e a fondo. Percorriamo dunque le due ore di auto da Auckland alla base della penisola e poi scegliamo di dirigerrci sulla costa est, per affrontare il tranquillo sentiero che a piedi ci porterà a Cathedral Cove, a detta di molti, una delle più belle spiagge della NZ. In prossimità di Thames deviamo verso oriente, prendendo la strada che attraversa la regione boschiva e montagnosa dei Pinnacles (vi sono sentieri più impegnativi e selvaggi, per chi fosse interessato), e attraversiamo la penisola fino a rivedere il mare presso la placida cittadina di Tairua, con un promontorio sull’acqua molto fotogenico. Continuiamo verso nord e arriviamo infine ad Hahei, dove seguiamo le indicazioni stradali per la nostra meta, CATHEDRAL COVE. Parcheggiamo nella piccola area dove vi è un chiosco con bibite fresche e poco altro (noi ci siamo premuniti il giorno precedente acquistando panini e bevande in un minimarket) e siamo pronti a partire poco prima delle 12.00: la camminata è come al solito piacevole e dura circa 45 minuti, oppure un’ora se ci si ferma spesso per foto e si se fa la breve deviazione a Gemstone Bay, una caletta rocciosa particolarmente rinomata per lo snorkelling. Dopo aver sceso gli ultimi gradini per Cathedral Cove, ci si presenta di fronte un paesaggio paradisiaco: alla nostra destra una splendida spiaggia dorata e un mare azzurro con isolette sullo sfondo il tutto racchiuso da un’alta parete di roccia che delimita la zona e dalla quale scende una sottile cascatella di acqua purissima; a sinistra un’arco enorme di roccia calcarea, che divide in due la spiaggia e sotto al quale passiamo subito per ammirare la parte più selvaggia dell’area. Ci sistemiamo sulla sabbia della spiaggia “di sinistra”, dove un maestoso pinnacolo di roccia, opposto all’arco e che sale dalle acque basse vicino alla spiaggia, si staglia contro il cielo azzurro. Tutto è calmo e rilassante, nonostante la presenza di (poche) persone, e si comprende bene il perchè questo luogo sia stato scelto per le riprese iniziali del secondo film della trilogia delle “Cronache di Narnia” (è il punto dove sbarcano i fratelli). Dopo aver consumato il pranzo al sacco ci sdraiamo al sole e ci rilassiamo un pò, io faccio molte foto e mi bagno anche le gambe, nonstante l’acqua sia ancora un pò freddina (ma quale coraggioso fa il bagno). Prima di ripartire a metà pomeriggio, mi improvviso personaggio di “Paradise” e riempio una bottiglietta di plastica con l’acqua fredda della cascatella, infradiciandomi quasi tutto, ma comunque il sole e il caldo mi consolano! Arriviamo all’auto verso le 16.30, ci diamo una rapida ripulita e guidiamo fino a Hot Water Beach, una spiaggia a breve distanza molto particolare: la presenza di correnti di magma sotterraneo infatti, fanno si che, scavando una buca nella sabbia presso il mare in una stretta fascia di spiaggia, l’acqua che dal basso la riempie, sia caldissima (quasi ustionante) e abbia proprietà benefiche. Guadiamo un piccolo fiumiciattolo a piedi, poi arriviamo al limitato tratto di spiaggia dove si verifica il fenomeno e osserviamo molta gente che scava con una pala (che si può noleggiare nel vicino stabile), crea la buca, lascia che essa si riempia di acqua bollente e si piazza in mezzo a quella che pare una fangosa spa naturale all’aperto. Lo spettacolo è alquanto singolare e ci da l’idea di un’affollata spiaggia di Ostia, soprattutto perchè le persone sono molte in uno spazio davvero piccolo, una cosa difficile da vedere in NZ; da ricordare che la spiaggia “termale” è agibile solo da 2 ore prima a 2 ore dopo la bassa marea, e considerato lo spazio limitato, conviene arrivare per tempo. Torniamo poi verso Auckland, passando dalla strada percorsa al mattino, e notiamo con stupore che la bassa marea ha praticamente svuotato di acqua la baia di Tairua, dove all’andata avevamo fotografato il promontorio che si specchiava nel mare. Lasciamo la macchina da parcheggiare al servizio dell’hotel, poi andiamo a fare la nostra ultima cena kiwi al Tony’s Lord Nelson (150 dollari in due), un ottimo locale presso la Sky Tower, pieno di gente del posto e che prepara succulente bistecche e buon pesce.

22/10 – 23/10 GIORNI 31 E 32: AUCKLAND – HONG KONG – ROMA

Ci svegliamo con calma e con la solita tristezza che ci accompagna quando dobbiamo lasciare un paese che ci ha appassionato, mista alla voglia di rietrare a casa e raccontare tutto a parenti e amici. Guido fino all’aeroporto di Auckland, dove restituiamo l’auto a noleggio (135 dollari), poi entriamo nel terminal dei voli internazionali e imbarchiamo i bagagli, preparandoci al lungo volo di ritorno; per fortuna lo stop a Hong Kong questa volta è di sole tre ore, quindi abbiamo giusto il tempo di una cena a base di ramen e poi attendiamo pazienti di riprendere l’aereo verso mezzanotte. L’arrivo ad una nuvolosa, ma non particolarmente fredda Roma il 23 ottobre ci riporta subito alla nostra realtà, fatta di caos, urbanizzazione e rumore ed è inevitabile, nonostante il nostro amore per l’Italia sia indiscutibile, ripensare di tanto in tanto a quel magnifico paradiso naturale che è la terra degli antipodi, la Nuova Zelanda, una paese che ci ha accolto con gentilezza e ci ha fatto trascorrere la più bella luna di miele che avessi potuto immaginare. Nella speranza di ritornare prima o poi in quel paradiso.



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