Vi racconto l’Arabia Saudita
Già dalla serpentina che si crea in aeroporto, al controllo visti, si capisce di essere atterrati in una realtà del tutto particolare. Il vestiario: le donne in abaya (lunga veste nera che copre le fattezze femminili e le nasconde fino ai polsi e alle caviglie) e niqab (il velo che copre il volto, lasciando intravedere solo gli occhi, oltre al velo che copre i capelli) e gli uomini in thobe (lunga veste bianca) e guthra (il copricapo tipico di stoffa rossa a quadretti bianchi). Eppure è subito evidente la commistione multirazziale interna: una moltitudine di asiatici e nordafricani che spesso giungono nel paese per sopperire ai lavori più umili ed il resto delle popolazioni richiamate a dare il loro supporto ai profili lavorativi più skillati.
Nonostante la lungaggine burocratica richiesta per il visto, l’avvertimento di un rigido controllo bagagli (c’è un elenco piuttosto dettagliato di ciò che non può essere portato nel paese: ad esempio carne di maiale, alcol, oggetti religiosi, ecc.), il fatto di essere identificati tramite le impronte, si viene accolti sempre con un sorriso ed un caldo benvenuto. Altra cosa che si comprende immediatamente è che il concetto di tempo è molto dilatato: non si corre solo perché c’è una lunga fila di persone o perché ci sono bambini che, dopo ore, piangono estenuati. Non c’è mai fretta, i ritmi sono lenti e inshallah (letteralmente “se Dio vuole”, è il seguito che si dà ad ogni cosa da compiersi e che spesso si traduce in alibi per rallentare le varie scadenze) ogni cosa si risolve.
È chiaro che a dettar legge è la religione: leggi, valori, costumi, tradizioni sono sharia. E va rispettata, ergo non si va in un paese con questa rigidità di fondo se si teme di non poterla seguire. Allora perché andarci? Ovviamente perché la ricca economia ha fatto sì che le opportunità lavorative siano divenute un po’ il sogno di una carriera in crescendo. E quando si arriva in un paese, dai più descritto come “difficile”, si impara ad apprezzare le sue ricchezze ed i suoi contrasti. Parlo di antitetiche giustapposizioni: di bianco e di nero delle vesti, di grattacieli e di antiche fortezze, di tecnologia superavanzata e di matrimoni combinati, di opulenti giardini in fiore e di lunghe distese desertiche, di hit list a tutto volume e del canto del muezin che richiama alla preghiera, di shopping mall dalle griffe mondiali più trendy e di souq ch vendono i prodotti tipici della cultura araba, del termometro che può superare i 50 gradi e della rigida frescura ottenuta dai condizionatori attivati in tutti gli interni. Si può avere il massimo del lusso e dello sfarzo, eppure rivivere alcuni rituali del mondo beduino. Si può andare anche dall’altra parte del globo, ma se la famiglia chiama, vanno annullati tutti gli impegni.
Recarvisi con un giudizio precostituito è un errore: si perde la bellezza del percorso ancor prima dell’arrivo. Si può godere della bellezza del mare: delle sue acque trasparenti e delle sue correnti caldissime; si può godere della bellezza del deserto: delle sue dune degradanti dall’ocra al rosso vermiglio e del suo profondo silenzio; si può godere della bellezza del cielo: della grandezza del sole calante e dei suoi cieli stellati (riccamente visibili nel buio del deserto).
È un paese che ha le potenzialità per avere il massimo del progresso, ma sa di dover apprendere dai talenti di altri paesi. Aprirsi ad altre culture significa creare una multicuturalità, ma con cui è difficile integrarsi. Si può imporre uno stile di vita, ma non si cambia il background di un mondo libero. Credo che il confronto, il guardarsi dallo stesso specchio nel tempo richiederà di attenuare alcune rigidità a vantaggio di un amalgama più conciliante e permissivo.
Chi fosse incuriosito da quanto vengo apprendendo da questa avventura, può visitare il mio blog: choosingsaudi.blogspot.it
Chiara Ciampricotti