Tarta Club Italia presenta: Cronache dal Madagascar
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Il Tarta Club Italia è un’associazione naturalista no profit che si batte per la tutela delle tartarughe. Siamo oltre 1200 soci (la più grande associazione italiana nel settore dell’erpetologia). Fra le nostre attività più importanti abbiamo la gestione di un centro di recupero per le tartarughe acquatiche alloctone e organizziamo la più grande mostra mondiale dedicata alle tartarughe, denominata TARTARUGHE BEACH (nel 2010 l’appuntamento è per il 4 e 5 settembre nei locali della fiera di Cesena). Molta importante è la nostra lotta legale che stiamo attuando per migliorare le leggi sulla tutela delle tartarughe e dei diritti degli allevatori. Stampiamo e distribuiamo gratuitamente libri didattici per diffondere una cultura di conoscenza e rispetto verso questi meravigliosi animali. Info: www.Tartaclubitalia.It
Madagascar: il paese
di Viviana Sangion Prima di svelare le incredibili avventure che abbiamo vissuto è meglio fare mente locale sulle principali caratteristiche del Madagascar, giusto una breve panoramica che illustri meglio il luogo che ci ha ospitato per due settimane. Il Madagascar è una Repubblica, ex colonia francese, che si estende per circa 578.000 Km q., si tratta della 4° isola più grande del mondo. Un tempo definitiva “l’isola verde” per la sua maestosa vegetazione, oggi è più appropriato chiamarla “l’isola rossa” data la cattiva abitudine dei malgasci di incendiare boschi e foreste per fertilizzare il terreno: peccato che piova troppo poco, e una volta arso il terreno questo non produce più niente. Distruggendo il loro habitat, anche gli animali muoiono o se ne vanno per non tornare più. I malgasci forse non si rendono conto, ma come ha detto qualcuno stanno bruciando il loro futuro. La parte centrale è montuosa e perciò un po’ più fredda, sulle coste si prende il sole in spiagge ancora poco frequentate dai turisti.
La lingua ufficiale è il malgascio con tutti i suoi dialetti, ma non è raro trovare chi parla francese, soprattutto dove il turismo è un po’ più diffuso. La moneta corrente è l’Ariary, il cambio è di circa 2.800 Ariary per un Euro.
La popolazione ha origini differenti a seconda della zona in cui ci troviamo: africani, creoli, mulatti, bianchi… Molte le coppie miste tra bellissime ragazze isolane e uomini francesi molto meno attraenti. La maggior parte della popolazione rurale è analfabeta e alleva animali (zebù, capre, pecore, polli, tutti animali molto magri), mentre i bambini di città riescono ad andare a scuola e ad imparare un mestiere nei vari Istituti professionali. I più fortunati arrivano a frequentare l’Università, ci hanno parlato molto bene dei corsi tenuti nella capitale, Antananarivo.
Cosa si mangia? Riso, patate, crevettes (gamberetti), angusta (aragosta), zebù e tanta frutta! Banane, mango, papaia e ananas. Tante e varie le spezie, ottime le bacche di vaniglia, profumati e colorati i fiori di ylang ylang. … Ma di tutto questo a noi interessava poco, noi volevamo vedere… LE TARTARUGHE!
I protagonisti del viaggio
Siamo partiti in nove, eccoci! Agostino: il Presidente. Da vero romagnolo sempre pronto alla battuta, organizzatore del viaggio. Mezzo matto per le tartarughe (come del resto quasi tutti gli altri), è riuscito a scattare una media di duecento foto al giorno, credo sia stato costretto a rottamare la sua macchina fotografica dopo il viaggio… Per cogliere un’immagine particolare è quasi riuscito a decapitare Loris! Michele: compagno di stanza di Ago. Il nostro interprete di menu al ristorante, nessuno osava ordinare prima che Mik avesse tradotto tutte le pietanze una per una, ascoltato da una platea in religioso silenzio. Memorabili i suoi “avec le pomme de terre”… Loris: il Geologo. Ci ha aiutato a capire i vari tipi di rocce e minerali presente nel Paese, sempre discreto e disponibile. Grande appassionato di animali e natura, aveva già partecipato al precedente viaggio del Tarta Club Italia alle Galapagos, quindi sapeva a cosa stava andando incontro… Filippo: appassionato di tartarughe d’acqua e gran dormiglione. Filo riesce a dormire in ogni dove: minivan, branda, jeep, motoscafo, piroga, forse anche mentre guida il quad. E poi telefona: Filo riceve telefonate anche quando nessun altro ha campo, lui sì! Yuri, Martina & Lejla: la premiata ditta Valeri ha lasciato il segno. Vasta la conoscenza di piante ed animali, stare ad ascoltarli è davvero interessante. Yuri in particolare ha saputo indicare il nome specifico di buona parte delle specie animali e vegetali che abbiamo incontrato lungo il tragitto. Lejla ha evitato il crollo delle economie locali acquistando l’inverosimile: un passaparola indigeno la anticipava in ogni villaggio. Nei momenti di relax i capelli di Martina sono stati i più piastrati in assoluto, mentre lei valutava come terminare l’ultimo capitolo della sua tesi di Laurea. Claudio & Viviana: Lui vero amante degli animali, le tartarughe sono la sua passione: si venderebbe anche la fidanzata per salvare un nuovo animale! Il viaggio in Madagascar ero un suo sogno da tanto tempo, flora e fauna unici al mondo lo incuriosivano da sempre. Lei ha scoperto di odiare alcuni animali, ad esempio gli scarafaggi morti dentro il letto in albergo. Oggi ama il cemento e vuole andare in vacanza a Tokyo. Bene, eccoci pronti a raccontare!
Diario di viaggio in Madagascar
di Viviana Sangion
Primo giorno Partenza dall’aeroporto di Bologna venerdì 23 ottobre all’alba. Tutti presenti tranne Filippo… Che stesse telefonando?! Al check-in finalmente lo vediamo arrivare, ora comincia il viaggio! Il boeing Airfrance ci aspetta con le sue 13 ore di viaggio da passare tra spuntini, film, musica e racconti. I più provati sono i fumatori, impossibilitati a dare sfogo al loro vizio per così tanto tempo. Arriviamo ad Antananarivo (la capitale) alle 10 di sera e necessitiamo del visto d’entrata: per evitare inutili code da buoni italiani in vacanza decidiamo di contattare un ragazzo del posto che tramite amici di amici riesce a farci saltare la fila. Quindi andiamo a cambiare valuta: per poco più di trecento Euro ci consegnano una mazzetta e mezza di Ariari, ci siamo sentiti ricchi! Sbrigate queste pratiche ci sistemiamo in albergo(Le Lac Hotel che dista 5 minuti dall’aeroporto, situato ai bordi di un lago) in attesa del primo volo interno che ci avrebbe condotti a Mahajanga la mattina successiva, ovviamente ancora all’alba. Secondo giorno Poco prima delle otto del mattino siamo già a Mahajanga e dopo 15 Km di strada bianca, sterrata, raggiungiamo il villaggio Antsanitia, resort sulla spiaggia limitrofo ad un caratteristico piccolo villaggio di pescatori dove vivono circa 500 anime. Durante il tragitto abbiamo una prima visione della vera vita africana: la gente di campagna vive in piccole baracche di legno e fango con il tetto in foglie di banano, aggregate in gruppi di tre o quattro. Allevano piccoli animali e vendono oggetti di artigianato. Al nostro passaggio i bambini gridano e ridono felici di vedere questi vahasa (i “bianchi”) che forse regaleranno bonbons. Scopriamo con curiosità che l’acqua che useremo per lavarci è fredda e gialla: non esiste un sistema di acquedotto che copre tutto il Paese, spesso l’acqua è trasportata con ampie cisterne che riforniscono le strutture quasi quotidianamente. Il colore è dovuto al residuo ferroso. Anche la corrente elettrica non è sempre disponibile: per ovvie ragioni di risparmio viene tolta durante tutta la notte e buona parte della giornata. Il villaggio è comunque accogliente e si mangia bene, tutti sono molto disponibili. Sulla bella spiaggia arrivano le piroghe dei pescatori, molto caratteristiche ma soprattutto piene di pesce, quindi ci precipitiamo a curiosare e scattare tante bellissime foto. Il pomeriggio alcuni di noi decidono di noleggiare i quad ed inoltrarsi in sentieri sterrati con una simpatica guida francese che ci porta a visitare il lago sacro, un grosso baobab dove Iuri fa la conoscenza di un nido di feroci insetti che gli lasciano il segno per diversi giorni, di una fattoria dove allevano coccodrilli, della laguna e nel tragitto facciamo il primo incontro con una famigliola di lemuri sifaka nell’aia di una capanna malgascia come fossero i mici di casa. Il mercato locale è colorato, le donne vendono la frutta e si dipingono la faccia con un minerale che lascia una patina giallo ocra utile contro i raggi del sole e molto idratante. Seccandosi sul viso forma una serie di arabeschi decisamente particolari. Vediamo per la prima volta i pousse-pousse, tipico mezzo di trasporto “povero” che assomiglia ad un calesse con due sole ruote, trainato da un uomo scalzo. Viene utilizzato tanto per il trasporto di persone quanto per il trasporto di merci, e nonostante il trainante sia spesso filiforme e sembri senza forze, il carico del pousse-pousse assomma non di rado diverse decine di chilogrammi. Di sera facciamo visita alla città dove gironzoliamo un po’ lungo la passeggiata nei pressi del porto e vediamo l’imponente grande baobab, famoso per la sua grande circonferenza di circa 22 metri che in pratica funge da rotonda stradale e punto di riferimento; toccarlo è considerato tabù. Mahajanga o Majunga è una città di circa 15.000 abitanti, chiamata la città dei fiori, con una temperatura abbastanza alta e costante durante l’anno, ma con un clima relativamente secco che la rende molto gradevole da viverci, infatti non pochi sono gli stranieri che vivono qui, in maggior parte francesi aiutati dalla loro lingua molto diffusa. Domani ci aspetta il Centro Angonoka, il Tarta Club Italia è pronto a dare i numeri!
Terzo giorno Oggi visita al Durrel Wildlife Conservation Trust presso il Parco Nazionale di Ankarafantsika a circa 120 Km da Mahajanga. Il Tarta Club è letteralmente impazzito, i ragazzi hanno cominciato a scattare un sacco di fotografie a tutti gli animali presenti, oltre a fare tantissime domande al responsabile del Centro e agli inservienti circa l’estivazione, il cibo, l’ambiente, il numero degli esemplari presenti e la loro provenienza. Apprezzabile e divertente il tentativo di Agostino di porre i propri quesiti in tantissime lingue: italiano, romagnolo, spagnolo, francese, inglese… Uno spasso! I Tarta-appassionati sono rimasti decisamente senza parole davanti alle Angonoka (Geochelone yniphora) e non solo.
Ma passiamo ad una descrizione un po’ più “scientifica”: Oltre alle otto specie di lemuri (come il lemure donnola, il sifaka di Coquerel e il microcebo murino) e alle 129 specie di uccelli, il Parco ospita un centro per l’allevamento di diverse specie di tartarughe a rischio di estinzione, la testuggine dalla coda piatta (Pyxis planicauda), la rarissima ANGONOKA o testuggine dal vomere (Astrochelys yniphora), la più comune Astrochelys radiata chiamata dai malgasci SOKAKE e l’unica tartaruga endemica d’acqua dolce del Madagascar, la podocnemide del Madagascar (Erymnochelys madagascariensis). Di quest’ultima, inserita nel “RED BOOK” della IUCN tra le 25 specie a maggior rischio di estinzione, sono allevati diversi esemplari con un ottimo risultato riproduttivo. Interessante e curiosa scoperta è stata sapere che vengono alimentate, oltre che con pesce, lumache, frutta e verdura, anche con i tuberi di manioca, una pianta diffusissima nell’isola e coltivata a scopo alimentare. Presso il Durrel sono attivi progetti di recupero per queste testuggini e senz’altro il più delicato e difficile è il “Project Angonoka”. Il Centro ospita, attualmente, circa 200 esemplari di Astrochelys yniphora e altri 40 sono stati già reintrodotti recentemente nel loro habitat originario nei dintorni di Soalala nel Parco Nazionale “Baie de Baly” a sud-ovest di Mahajanga (la prima nascita risale al 1987!!). L’incubazione delle uova è del tutto ancora naturale (ben 12 mesi) e non vengono utilizzate incubatrici. La percentuale di schiusa è sul 60%. Bellissimo ed emozionante poter vedere dal vivo due maschi, di dimensioni notevoli, impegnati nella lotta utilizzando la protuberanza degli scuti gulari (da cui l’appellativo “testuggine dal vomere”). Per potersi accoppiare, infatti, il maschio deve prima eccitarsi lottando con altri maschi utilizzando proprio la protuberanza degli scuti gulari come uncino per far presa sotto il carapace del rivale. Se non ci sono rivali disponibili alla lotta, cosa che avviene sempre più spesso in natura a causa della diminuzione degli esemplari, il maschio non si accoppia, mettendo in pericolo la continuità della specie. Obiettivo della visita al Parco è stato anche verificare la possibilità di instaurare un rapporto di collaborazione orientato a migliorare le attività di recupero, allevamento e riproduzione del “Progetto Angonoka”. Il Tarta Club Italia, infatti, si è impegnato ad aiutare il centro anche con l’aiuto dei soci; ci è stata consegnata una lista di attrezzature utili come PC portatili, bilance di precisione, microscopio elettronico, endoscopio, tende da campeggio, torce tascabili e soprattutto un sistema di allarme. E’ molto alto, infatti, il rischio di furti delle A. Yniphora, come già avvenuto alcuni anni fa da parte di alcuni uomini che, forse su commissione, trafugarono una settantina di esemplari che sul mercato nero valgono svariate decine di migliaia di euro. Il Madagascar resta un paese molto povero e trovare questo tipo di manodopera è molto facile considerando anche il bassissimo livello d’istruzione della popolazione. Alcuni giorni dopo la visita al centro Durrel, siamo stati ricevuti, ad Antananarivo, dal presidente del Durrel per il Madagascar. Durante la chiacchierata è emerso che il problema principale, oltre a quello della distruzione dell’habitat, per le tartarughe malgasce, è quello del bracconaggio. Anche le A. Radiata, infatti, fino pochi anni fa erano molto numerose nelle zone aride del sud del Madagascar con una densità anche piuttosto alta. Attualmente, purtroppo, la loro presenza in natura è rarissima a causa dei continui prelievi illegali in natura. La destinazione principale di questi animali sono i mercati asiatici dove non esistono leggi per la loro tutela. Ben lieto della nostra visita, e felicissimo dell’impegno di cui il Tarta Club Italia si è fatto carico, il presidente del Durrel ci ha anche informato della imminente creazione di un secondo Centro dedicato alla quarantena delle angonoka sequestrate e recuperate per sfruttare al massimo il basso numero di esemplari ormai esistenti (si stima che in natura ce ne siano meno di 400).
Quarto giorno Oggi dedichiamo la giornata al riposo. Mattina e pomeriggio liberi: chi va in piscina, chi prende il sole, i più temerari hanno concordato una gita con una piroga dei pescatori; incredibile esperienza con queste barchette totalmente auto costruite con materiali molto poveri, vele comprese, formate nei maggiori dei casi da teli di plastica ricavati dai sacchi usati per il trasporto dei cereali e cuciti tra loro. Il timoniere la maggio fatica la faceva nel buttare fuori continuamente secchi di acqua che entrava dalle tante fessure della piroga. Povera piroga! Forse non avrà mai retto tanto peso come in questo caso; tre turisti di discreta stazza, più tre esili pescatori. Verso sera ritorniamo in aeroporto per il viaggio di circa un ora che ci riporta in capitale (Tana), dove alloggiamo nel solito albergo per attendere la partenza della mattina successiva con un minivan che ci porterà fino a sud con tante tappe intermedie.
Quinto giorno Sveglia di buon mattino per fare la conoscenza di Eri, la nostra nuova e simpaticissima guida che ci accompagnerà lungo il viaggi in minivan su e giù per il Paese. Prima tappa: Antsirabe, bella e pulita cittadina a circa 170 Km a sud di Tana e 1.500 metri di altitudine. Qui crescono rigogliose piante di eucalipto, pini, cipressi e foreste di conifere. Il terreno fertile consente la coltivazione di riso, tabacco, cotone, frutta e verdura. Prima tappa in un grande spiazzo dove ci sono tante capannine piene di gadget e souvenir di tutti i tipi lavorati con la raffia; quindi primi veri acquisti. Lungo il tragitto incontriamo delle venditrici di fragole dalle quali ne acquistiamo un paio di sacchetti: veramente gustose, ottima merenda per il pomeriggio! Antsirabe è la città con il la maggiore densità di pousse-pousse, circa 6.000 mezzi, nonché una nota località termale. Molte le scuole professionali avvistate lungo la strada (istituto linguistico, per operatore turistico). Sembra una località più ricca rispetto alle precedenti, complice sicuramente il clima meno torrido, l’attività turistica e di vendita di pietre preziose, presenti in tutto il Madagascar in grandi quantità. Nel pomeriggio andiamo a visitare un laboratorio di pietre e minerali e mentre il nostro geologo Loris ci aiuta nel riconoscere acquamarine e topazi, tormaline e smeraldi, zaffiri e opali, mentre i Tarta-matti scompaiono e… Li ritroviamo dopo alcuni minuti occupati a spupazzare e fotografare cinque esemplari di radiata di proprietà del laboratorio, animali abbastanza anziani ed interessanti ma non proprio ben tenuti: le tartarughe sono costrette a passeggiare sopra una distesa di minerali e pietre grezze tale per cui le zampe sono abbastanza usurate con la quasi assenza delle unghie. Qualcuno ha fatto notare questo particolare agli inservienti, speriamo sia servito (mmmh!).
Sesto giorno Si sale nuovamente in minivan e si parte alla volta di Fianarantsoa, considerata la capitale del sud per la sua importanza economica. Qui si coltivano riso, caffè e viti; molto sviluppato l’artigianato di legno e rafia venduto in piccoli mercati. Qui si trovano anche le caratteristiche tovaglie ricamate ad intaglio dalle donne del paese, decisamente belle anche se il tessuto è povero. Da qui parte l’unico treno del Madagascar (ovviamente d’epoca) che collega Fianarantsoa a Manakara, lungo un percorso molto romantico di circa 80 km reso ancora più caratteristico dalla modesta velocità del mezzo(circa 20 km all’ora), che comprese le tante fermate ha una durata di circa 8 ore. Andiamo a visitare un laboratorio di lavorazione ad intaglio del legno: quanta pazienza per incastrare tra loro piccolissimi pezzi di legno a creare meravigliosi paesaggi e perfetti animali! I bambini ci vengono incontro e ci chiedono regali: provette di profumi e saponette per le mamme, penne e quaderni per la scuola, persino un pallone da calcio in cuoio per giocare; a dir il vero avevamo lanciato una sfida per un “partitone” ma per fortuna che si è fatto tardi e non c’è stato il tempo, altrimenti mi sa che ci rifilavano una lezione memorabile. Alcuni di questi ragazzi ci portano a visitare un laboratorio attraverso strani vicoli della città , tanto che ad un certo punto ci guardavamo intorno con il timore che da li a poco ci avrebbero rapinato, ma dopo poco ecco una casa dove nel retro, in uno stretto corridoio al buio, lavoravano diverse persone intenti a intagliare oggetti di legno; poco dopo ci fanno visitare una stanza con l’esposizione di oggetti artistici finiti e qui facciamo un po’ di acquisti, felici di aver acquistato da chi produce ed ha veramente bisogno di soldi per vivere, non come alcuni negozi dove solitamente le guide portano i turisti. E poi vogliono fare le foto insieme a noi e ridono contenti: tutti hanno i foglietti con il loro nome ed indirizzo e sperano che, una volta tornati in Italia, ci ricordiamo di loro prima di tornare alla vita quotidiana spedendo una copia delle fotografie scattate.
Settimo giorno Oggi raggiungiamo Ranohira passando per Ihosy e Betsileo (Antaimoro). La prima tappa è la visita al laboratorio di produzione della famosa carta Antaimoro, assimilabile alla carta di riso, ottenibile dalle foglie di un albero autoctono poste a macerare nell’acqua e seguite da una lavorazione ben precisa che le porta a diventare oggetti di ogni tipo. Negli anni questo prodotto è divenuto una delle più importanti e caratteristiche creazioni dell’artigianato malgascio. La seconda e ultima tappa della giornata è il Parco Anja, famoso per i lemuri Catta e i camaleonti giganti. Ne abbiamo visti diversi anche noi attraversando la foresta: i lemuri si sono avvicinati senza troppa paura e li abbiamo potuti osservare bene. Sono animaletti grandi quanto delle piccole scimmie e hanno una coda lunghissima, ma quando ci avviciniamo troppo, in un attimo spariscono tutti. Risaliamo nuovamente nel pullman e procediamo verso Ranohira. Nel bel mezzo del cammin di nostra vita il minivan all’improvviso si ferma: panico generale per il motore surriscaldato a circa 140 Km dalla destinazione, alle nove di sera e lungo una strada buia e deserta. Fantastico! Per fortuna tutto si risolve nel giro di poche decine di minuti… Meno male! Arriviamo all’albergo sani e salvi dove ormai non ci attendevano più.
Ottavo giorno Intera giornata dedicata al Parco Nazionale “Isalo”, considerato uno dei più importanti ed affascinanti del Paese per le sue formazioni rocciose e per i grandi canyon attraversati da piccoli corsi d’acqua, oltre che per le piscine naturali formatesi con l’erosione del tempo. Veniamo accompagnati da una nuova guida in un percorso di trekking della durata complessiva di circa 8 ore che ci riferiscono particolarmente impegnativo per la distanza e le alte temperature sotto le quali dovremo camminare; perciò decidiamo di suddividerlo in due parti in modo da dare la possibilità a tutti di partecipare decidendo, a metà percorso, se continuare o rientrare in albergo. Martina e Viviana, le solite pigrone, scelgono l’alternativa nr.3: un’intera giornata a fare niente passeggiando per il villaggio alla scoperta di un piccolo centro massaggi del quale hanno approfittato e che hanno consigliato agli sportivi per sciogliere i muscoli nel dopo-trekking. Lejla e i ragazzi sono invece partiti la mattina presto per raggiungere la “Regina dell’Isalo” e la piscina naturale “Azzurra” con le relative cascate, dove hanno fatto il bagno. Nonostante il caldo si faceva sentire la lunga passeggiata ci ha permesso di vedere tante piante e animali fra cui oltre ai lemuri catta e fulvi, abbiamo avuto la fortuna di vedere da molto vicino gli unici due lemuri sifaka bianchi dell’immenso parco. Molto rinfrescante il bagno alla piscina azzurra; brrrr che fredda l’acqua! Nono giorno Ci mettiamo in viaggio ancora una volta con il nostro mitico minivan per raggiungere prima Tulear, dove faremo una breve sosta per visitare il mercato delle conchiglie, e poi Ifaty, dove visiteremo il Parco delle tartarughe “Sokake”. Percorriamo circa 200 Km attraverso piccoli villaggi nati durante gli anni settanta a seguito della scoperta dei giacimenti di pietre preziose e zaffiri. Per curiosità ci fermiamo presso un rivenditore mussulmano di pietre che ci accoglie in un salone arredato con divani in pelle, una grande scrivania di legno ed un tavolino di cristallo. Senz’altro l’impressione che vuole dare è di lussuosa ricchezza: a noi sembra più un povero arricchito anche un po’ losco, vista la serie di muscolosi e aitanti ragazzotti che gli girano intorno (body guard o gigolò?). Poco prima di Tulear (che dista 30 Km da Ifaty) ci fermiamo per una visita ad un grazioso parco (Arboretum) che ospita tante piante endemiche del sud, dove vediamo anche il piccolo lemure Microcebus murinus e anche qui c’è una piacevole sorpresa: un bel recinto con tante stupende A. Radiata giusto come “antipasto” della scorpacciata che ci faremo il giorno successivo al Sokake. Arriviamo a Tulear, città situata a sud-ovest dell’isola, all’altezza del Tropico del Capricorno, e visitiamo il particolare mercato delle conchiglie. Ne troviamo di tutti i tipi, colori e dimensioni, grezze o lavorate a creare oggetti e paesaggi. Filippo ne rimane affascinato e ne fa scorta: che siano arrivate integre dentro la valigia fino in Puglia? Riconosciamo anche alcuni piccoli serpenti e qualche coccodrillo imbalsamato in vendita, sistemati vicino ad un paio di carapaci di tartaruga marina, lucidati e pronti per qualche turista. Proseguiamo verso Ifaty, cittadina di pescatori e sede di una delle barriere coralline più belle al mondo, estesa per circa 300 Km. Pensavamo si trattasse di pochi minuti di viaggio ma la strada nazionale n°9 è un disastro ed essendo sul mare, con il forte vento sembrava una vera tempesta di sabbia che accumulava cumuli sulla strada; poco dopo infatti c’è il primo insabbiamento che con la spinta di tutti riusciamo ad uscirne, ma dopo poco, nei pressi di un piccolo villaggio di pescatori il minivan è definitivamente bloccato. In pochi minuti quasi tutto il villaggio viene a vedere la situazione, compresi due maiali neri ma per fortuna che c’è campo per il cellulare per chiamare soccorsi all’albergo che ci invia una vecchia ma robusta Jeep a salvarci. Poi la guida ci dice che le buche sulla strada le fanno i pescatori per chiedere soldi a chi aiuta ad uscire da queste specie di “sabbie mobili”. Nonostante il forte ritardo riusciamo a sistemarci in albergo e ci prepariamo alla giornata di domani nuovamente dedicata al fantastico mondo delle tartarughe con la visita al parco “Sokake”.
Decimo giorno A Ifaty alloggiamo in un bel resort (Hotel Bamboo) a ridosso di una incantevole spiaggia poco distante dalla famosa foresta spinosa caratterizzata dalle presenza di una moltitudine di specie vegetali per lo più endemiche che hanno sviluppato meccanismi di adattamento a lunghi periodi di siccità tra cui diverse specie di Baobab. Per andare al parco scegliamo un mezzo di trasporto molto spartano e caratteristico: due carri trainati da due coppie di zebu; splendida idea se non fosse che gli zubu hanno la diarrea… Nel bel mezzo di questa foresta sorge il Parco “Sokake”. Questo è, infatti, l’habitat naturale di due specie di tartarughe: la Pyxis Aracnoides e l’ Astrochelys radiata. La prima è chiamata dai locali Kapidolo, o tartaruga fantasma, in quanto la si rinviene spesso vicino i luoghi di sepoltura delle tribù locali. E’ una specie difficile da osservare e studiare allo stato naturale per via delle piccole dimensioni (15/16 cm) e dalle abitudini legate al clima estremo che induce questi animali ad essere attivi solo durante la stagione delle piogge; è quindi, indispensabile, per il futuro di questa specie, l’allevamento in un centro specializzato in loco. Qui sono allevate e riprodotte con successo sia le tre sottospecie geografiche di Pixys (P. Arachnoides arachnoides, P. Arachnoides brygooi e P.Arachnoides oblonga) sia le A. Radiata di cui il Parco dispone di numerosi esemplari di cui alcuni sono animali confiscati. Ovviamente il centro è dedicato soprattutto alle A. Radiata, con tanti recinti dedicati e suddivisi in base alle esigenze di riproduzione e di età. Da poco tempo, il Centro ha la possibilità di incubare alcune uova in 6 incubatrici artificiali alimentate da pannelli fotovoltaici; in questa fase iniziale le incubatrici sono regolate a temperature diverse al fine di studiare i parametri più favorevoli alla schiusa mentre altre sono lasciate incubare nel terreno. Mentre la Pixys planicauda, vista nel Centro Durrel, vive sulla costa centro occidentale del Madagascar in una fascia costiera ristretta tra Morondava e Belo Tsiribihina, le tre sottospecie di Pixys Arachnoides, invece, vivono sulla fascia costiera meridionale a nord di Tulear (P. A. Brygooi), a sud di Tulear (P. A. Arachnoides) e nell’estrema parte meridionale fino a Taolagnaro (P. A. Oblonga). Siccome le nostre visite ai due centri (Angonoka e Sokake) è stata in qualche modo privilegiata e favorita dal fatto che eravamo li con l’intenzione di collaborare, quindi ci è stato permesso di entrare all’interno dei recinti, avvicinarsi moltissimo e fare foto e video incredibili, ma la cosa più bella era sicuramente la situazione di euforia che si creava e che faceva si che sembravamo tutti dei bambini nel paese delle meraviglie.
Undicesimo giorno Ancora un ennesimo volo interno per raggiungere nuovamente Tana, punto cruciale per gli spostamenti all’interno dell’isola in quanto punto nevralgico nei trasporti. Arriviamo nella prima mattinata, e dopo una breve sosta in albergo saliamo in un minivan procuratoci dall’Agenzia Viaggi malgascia cui ci siamo affidati come contropartita per alcuni piccoli contrattempi che avrebbero potuto evitarci. Visitiamo la città nei suoi punti fondamentali: il belvedere sopra la collina, il centro, l’ex Palazzo della Regina, l’attuale Sede degli Uffici del Primo Ministro. Giriamo in lungo ed in largo, sempre felici ed allegri dentro il nostro pulmino. La sera in quattro decidono di andare a mangiare nel locale più “in” della città, dove un famoso cuoco serve ottimi e sofisticati piatti in una delicata e tranquilla atmosfera franco/coloniale; alla fine il conto è di sole 30 euro a testa.
Dodicesimo giorno Il volo è previsto per il primo pomeriggio quindi la mattina ci facciamo accompagnare in un grandissimo mercatino dedicato solo ai souvenir turistici, dove si notavano gli effetti della recente crisi politica; in pratica senza turisti. Qui tutti hanno fatto il pieno di regali fino al possibile da trasportare, visto che i prezzi erano veramente bassi specialmente dopo lunghe trattative. Dopodiché si parte per un breve volo della durata di poco più di un ora per raggiungere l’isola turistica di Nosy-Be. Ci trasferiamo in albergo, un residence semplice e un po’ spartano ma vicino al mare ed in buona posizione.
Tredicesimo giorno Finalmente il mare! Antananarivo è stata solo una meta di passaggio per poterci imbarcare nel volo che ci avrebbe portato a Nosy Be, isola verde raggiungibile via cielo o via mare. Si trova a circa 15 km dalla costa nord-ovest del Madagascar, nelle calde acque del Canale di Mozambico, fa parte di un arcipelago formato da diverse isole di dimensioni diverse che si estendono per una lunghezza di 30 Km ed una larghezza di 19 Km. Nosy Be è definita anche l’isola dei profumi per l’abbondanza delle piante che vi si possono trovare: lichi, ylang ylang, mango, ananas, banane. Noi ci siamo sistemati un po’ fuori dalle classiche mete turistiche, in un residence appena fuori dal centro di un piccolo paese limitrofo a La Ville, di nome Ambatoloaka, dove è possibile toccare con mano la vita degli abitanti dell’isola. Nei giorni in cui siamo rimasti abbiamo preferito non fare mare nel senso classico con lunghi pomeriggi al sole ma abbiamo deciso per un paio di escursioni in barca alla scoperta di alcune isole abitate solo da indigeni, lemuri ed altri animali. La prima escursione ci vede partire di buona mattina verso lisola di Nosy-Komba, dove caratteristiche sono le lavorazioni artigianali che abbiamo trovato: tipiche maschere di legno derivate dalla più classica cultura africana, manufatti eseguiti utilizzando semi di piante grandi come meloni, tovaglie ricamate ad intaglio o dipinte con immagini di tartarughe marine, lemuri e camaleonti. Seguendo la nostra guida durante la prima escursione ci siamo fermati a dar da mangiare ai lemuri alcuni pezzetti di banana: quei piccoli delinquenti di lemuri con le loro zampette si sono dimostrati straordinariamente veloci nel prendere il pezzetto di frutta offerto, portarselo alla bocca, riallungare la zampa per riceverne ancora… E poi ancora… E poi ancora! In cambio si sedevano sulle nostre spalle e si lasciavano fotografare tranquilli: abbiamo dei bellissimi primo-piano. E sorpresa: tartarughe! In piccoli recinti erano alloggiate un po’ di belle Astrochelys radiata, una Geochelone gigantea e alcune Kinixis belliana nogueyi. Poco prima di pranzo risaliamo in barca per dirigerci nella vicina isola di Nosy-Tanikely dove ci tuffiamo subito per fare snorkeling e dopo un buon pranzo ci rilassiamo in spiaggia.
Quattordicesimo giorno Il penultimo giorno abbiamo visitato l’affascinate isola Nosy-Irania dove con la bassa marea si unisce con un’altra isoletta a fianco tramite una lingua di sabbia bianchissima. Qui prima di un buonissimo pranzo organizzato dall’equipaggio della barca ci immergiamo per una bella nuotata per fare snorkeling e vedere un po’ di bellissimi pesci e stelle marine di tutti i colori. Purtroppo delle tartarughe marine che solitamente frequentano l’isola, neppure l’ombra, solo l’avvistamento di una piccolissima probabilmente di pochi giorni. Breve visita al piccolo villaggio di pescatori e si riparte per il ritorno . Il vento che spinge alle spalle crea un po’ di onda che al momento di scendere dalla barca fa si che un’onda “birichina” travolge Ago che fa fare il bagno alla sua fotocamera!
Quindicesimo giorno Mattinata libera dove bivacchiamo fra spiaggia e valigie da riuscire a chiudere, molti per riuscirci regalano indumenti e oggetti agli abitanti di alcune capanne adiacenti al residence, in attesa della partenza per il pomeriggio per Tana. Arrivati in capitale verso sera tardi, il volo è previsto per l’1,30 quindi non alloggiamo in albergo. Qualcuno decide per un ultima puntata in città per consumare un ultimo pasto malgascio.
Sedicesimo giorno Attendiamo il nostro volo, partenza prevista alle ore 1:30 di notte. Bivacchiamo in aeroporto velati da quel po’ di malinconia tipica della fine dei viaggi: abbiamo passato insieme tante giornate, a volte allegre e a volte più faticose, in alcune occasioni ci siamo dovuti sopportare a vicenda ma molto più spesso abbiamo fatto squadra. In conclusione una bella vacanza, senza dubbio senza le comodità dei turisti classici ma piuttosto molto “turisti fai da te… Ahi ahi ahi!” e forse anche questo ha contribuito a fare del nostro viaggio una divertente ed indimenticabile avventura! Ciao Ciao Madagascar!
Diciassettesimo giorno E’ da poco passato mezzogiorno e siamo finalmente in Italia. Dopo un breve scalo a Parigi abbiamo preso l’ultimo volo previsto, giunto all’aeroporto di Bologna in perfetto orario. Saluti veloci e una promessa: organizzare presto un ritrovo per scambiarci foto e impressioni.