Per la serie Scrittori per caso, questa settimana leggiamo la recensione di Lagi del libro-inchiesta Mezzanotte e cinque a Bhopal, di Dominique Lapierre e Javier Moro: la ricostruzione di una catastrofe ambientale in India rimasta impunita. “Non c’è niente da temere. Lo stabilimento di Bhopal sarà innocuo come una fabbrica di cioccolato”- assicurò il capo del progetto – “I molteplici sistemi di sicurezza di cui sono dotati gli impianti di questo genere permettono di tenere sotto controllo tutte le reazioni potenzialmente pericolose del Mic”. Ma la notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, una nube tossica si levò dagli impianti della Union Carbide. La gente correva come impazzita da ogni parte, con gli abiti strappati, i veli lacerati, in cerca di una boccata d’aria respirabile. Con i polmoni che stavano per scoppiare, alcuni si rotolarono a terra in preda ad atroci convulsioni.
“Dappertutto ci sono morti con la faccia verdastra accanto ad agonizzanti che vomitano un liquido giallastro, scossi dagli spasmi” .
Quegli impianti così sicuri, tanto decantati dalla Union Carbide, erano stati disattivati. Per risparmiare. Sarebbe costato troppo mantenerli efficienti. 7500 morti per esposizione diretta alla nube tossica, una stima delle vittime da 16.000 a 30.000, oltre 5.000 feriti, 200.000 le persone che riportarono gravi danni alla salute.
Bhopal, una catastrofe rimasta impunita. Leggere il libro di Dominique Lapierre e Javier Moro, “Mezzanotte e cinque a Bhopal”, ti fa venire i brividi. E’ il resoconto dettagliato di oltre 3 anni di indagini su una tragedia che non ha ad oggi un responsabile. Lo leggi come se fosse un thriller, ma è drammaticamente crudo e vero. La multinazionale americana Union Carbide ottenne nel 1969, dal ministero dell’agricoltura indiano, la licenza per produrre a Bhopal 5000 tonnellate di pesticidi all’anno. In particolare, lo stabilimento si impegnò nella produzione di un nuovo insetticida, conosciuto come Sevin, a base di isocianato di metile, un gas altamente pericoloso capace di violente reazioni chimiche al semplice contatto con una goccia d’acqua.
Molte famiglie, bisognose di lavoro, videro la Carbide come l’opportunità per uscire dalla miseria delle bidonville e si trasferirono in prossimità dello stabilimento. Ma la fabbrica fu costruita senza tenere conto del clima imprevedibile dell’India, le colture andavano a morire per troppa o poca acqua, di conseguenza i contadini non compravano i pesticidi. Per recuperare i soldi persi, la multinazionale americana decise di tagliare sulla sicurezza, abbassando la refrigerazione delle cisterne piene di isocianato di metile (la cui temperatura non doveva superare gli zero gradi) risparmiando così sull’elettricità (circa un centinaio delle vecchie lire al giorno…).
E il dramma si annunciò in una notte, in tutto il suo orrore, avvolgendo nel suo gas mortale migliaia di persone. Un disastro annunciato. Albert Einstein disse: “L’uomo e la sua sicurezza devono costituire la prima preoccupazione di ogni avventura tecnologica. Non lo dimenticate mai quando siete immersi nei vostri calcoli e nelle vostre equazioni”. La Union Carbide pensò solo al Dio denaro e al vile profitto.
Il libro è una storia vera: 380 pagine di drammi, meschinità, ma anche racconti di amore e solidarietà, di piccoli grandi eroi (come i medici che morirono nel tentativo di rianimare le vittime con la respirazione bocca a bocca); del matrimonio della piccola Padmini, dai grandi occhi a mandorla, raggiante di felicità, e del suo “principe” Dilip, che le faceva battere tanto il cuore; di Ganga Ram scampato alla lebbra e dedito alle cure dei più bisognosi; del coraggio di Suor Felicity; e decine di storie di straordinari piccoli protagonisti. Troverete centinaia di personaggi. Ma nessun responsabile. L’orrore più grande è che nessuno ha pagato per tutto questo.
Ho trovato su internet un’intervista a La Pierre, che sfoga la sua rabbia: “Non c’è un solo responsabile. E’ una cascata di responsabilità. Non c’è mai stato un processo in tribunale che abbia dichiarato un colpevole. Il presidente dell’Union Carbide, al tempo della catastrofe, ha ricevuto un mandato dall’Interpol per essere giudicato di fronte ad un tribunale indiano ma non si è presentato, e neppure noi siamo riusciti ad intervistarlo quando lo abbiamo cercato nella sua casa in Florida. Lo scandalo maggiore è che la Union Carbide ha dato al governo indiano, 5 anni dopo il disastro, 470 milioni di dollari garantendosi la totale impunità, ottenendo cioè che il governo indiano non accusasse il presidente della società di quanto era accaduto. Ben poco di quei soldi è in realtà arrivato alle vittime innocenti e alle persone di Bhopal!”.
Dal 1982, la metà dei diritti d’autore del libro vanno all’Associazione da lui fondata “Associazione per i bambini dei lebbrosi di Calcutta ONLUS”, trovate tutte le informazioni sul sito www.Cityofjoyaid.Org. Grazie ai soldi raccolti con il libro sono state costruite scuole e aiutati i più bisognosi. Se volete aiutare anche voi l’associazione (i doni ricevuti sono interamente destinati ai centri assistiti) potete partecipare con una donazione, o sostenerli con un’adozione a distanza.
“Tutto ciò che non viene donato va perduto” Proverbio indiano Lagi