Scrittori per Caso: La città della gioia

Turisti Per Caso.it, 11 Dic 2006
scrittori per caso: la città della gioia
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Scrittori per caso è l’iniziativa dedicata ai nostri utenti che, dopo avere letto un libro (o visto un film), vogliono cimentarsi nella sua recensione. È un modo per condividere con gli altri il piacere (o il dispiacere) e le impressioni che la lettura ha donato loro. Oggi proponiamo la recensione di Mariella del libro di Dominique Lapierre “La Città della Gioia”. Un altro libro dello stesso autore era stato recensito qualche settimana fa da un altro utente, Lagi. Si trattava di “Mezzanotte e cinque a Bhopal”. A quanto pare Lapierre è uno scrittore apprezzato dai nostri amici turisti per caso. Se non lo conoscete, è una buona occasione per scoprirlo. Poi magari, se decidete di leggerlo, mandateci il vostro giudizio. Per essere i prossimi scrittori per caso basta mandare una mail nel Posta e Risposta col testo della recensione. Nell’oggetto scrivete “Scrittori per caso”. In redazione leggiamo tutte le proposte e pubblichiamo le più interessanti. Buona lettura!

La città della gioia

Per uno strano giro di giostra, ogni qual volta entro in una libreria o, più spesso, quando mi accosto ad una bancarella di libri a buon mercato, il mio sguardo si posa su titoli all’apparenza “neutri” che, però, inevitabilmente, mi riconducono alla più misteriosa e martoriata delle terre: l’India.

Qualche tempo fa, di Dominique Lapierre, lessi “Mezzanotte e Cinque a Bhopal”. Un romanzo d’inchiesta anche quello. Stesso autore e medesimo scenario: la povertà estrema, gli abusi, la meditazione, lo sfruttamento, e l’amore invincibile per la vita.

Ignoravo cosa potesse essere “la Città della Gioia”. Pensavo di trovarvi gli stessi sentimenti positivi che, talvolta, permeano la nostra esistenza, tutto sommato, benestante.

Non immaginavo che i fiori che nascono tra le rocce hanno profumi e colori più inebrianti e radiosi. Ero ancorata agli stereotipi classici dei fiori nei giardini; delle rocce tra le rocce; del divertimento nei luna park e del dolore negli ospedali o nelle camere ardenti. Come se tutto potesse essere concepito in scomparti a tenuta stagna. Senza possibilità d’infiltrazioni e di cesellature ulteriori o, meglio, di scardinamenti delle categorie precostituite.

Le scatole entro cui, inesorabilmente, siamo abituati a riporre ogni sensazione ed ogni cosa. Directory, sottodirectory, cartelle, sottocartelle e poi file e ancora file.

Arrivata alla fine di un libro che non ho divorato d’un fiato, mi sento un po’ diversa. Con ogni pagina ho sedimentato un po’ di più le difficoltà della vita; ho conosciuto un po’ i quartieri più impervi di Calcutta; ho viaggiato sui risciò, definiti spesso “uomini cavallo”.

Grazie alle descrizioni così puntuali dell’autore, ho quasi vissuto nello slum di Calcutta, concepito come la Città della Gioia… Ed ho compreso, infine, che i diseredati del mondo sono molto più capaci di sorridere di molti altri che dovrebbero poter essere felici.

Ho appreso il valore della solidarietà di molti personaggi, piccoli e grandi: madre Teresa di Calcutta, padre Lambert (il missionario francese che abbandona tutto per trasferirsi in India e vivere tra i poveri, da povero). E poi, ancora, il giovane e ricco medico di Miami, che sente il richiamo dei disperati e non riesce a turarsi gli orecchi. Per arrivare, infine, ad Hasari, “l’uomo risciò” le cui gesta sono segnate, fino all’ultimo respiro, dal ciclo dei monsoni e dai ritmi scadenzati della tradizione.

Durante questa lettura, la fame, la malattia, le inondazioni, la siccità delle bidonville di Calcutta hanno schiaffeggiato più volte la mia esistenza agiata. Soprattutto, regalandomi numerose gemme di saggezza, tra cui il proverbio indiano, per il quale “tutto ciò che non viene donato va perduto”.

Mariella Capparelli



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