Scrittori per caso: In Tibet. Un viaggio clandestino
“Il vero viaggio, il viaggio di scoperta e esplorazione è solo il viaggio a piedi”. Flaviano Bianchini, racconta in questo libro il suo viaggio coraggioso e affascinante dal monte sacro Kailash a Lhasa: 1500 Km, da ovest verso est, attraverso il Tibet. Centinaia e centinaia di chilometri percorsi a piedi e su mezzi di fortuna, nello zaino una tenda, alcuni libri e poco altro. Un viaggio intenso alla ricerca dell’anima del Tibet lungo i luoghi dove ha vissuto l’amico Palden Gyatso. Monaco tibetano costretto all’esilio dopo 33 anni di carcere e di tremende torture per aver pensato e parlato di un Tibet libero.
Bianchini segue i sentieri dei pellegrini tibetani diretti ai luoghi sacri e i sentieri che ancora oggi, come da secoli, percorrono i pastori nomadi, cercando di stare il più possibile lontano dai posti di blocco dei soldati cinesi perché viaggia al di fuori dei percorsi prestabiliti, e obbligatori, per i turisti. Chilometri e chilometri sugli altipiani e il lettore si ritrova ad accompagnare Bianchini lungo paesaggi incontaminati, sconfinati, villaggi solitari. E tra i tanti incontri rimane nel cuore la figura di Tenzingutu, giovane pellegrino con cui condividerà una parte del viaggio. Il ragazzo tibetano porta con sé una coperta, una caffettiera, foglie di tè, burro e farina d’orzo. Null’altro.
E come non ricordare il breve incontro con la donna di 74 anni: il volto pieno di rughe, bruciato da tanto sole e tanto vento, che si illumina per il dono di qualche sassolino. Perché i sassi, in Tibet possono acquistare un significato profondo.
Seguendo Bianchini in questo viaggio, sembra di sentire effettivamente l’odore di ginepro e del tè al burro di yak: il sapore del Tibet. E si impara la storia di questo paese da sempre in lotta per la difesa della sua libertà. Si incontrano e si conoscono i nomadi, i commercianti e i contadini del Tibet, che vivono senza elettricità e si comprende così che i cinesi non potranno mai distruggere la cultura tibetana e cancellarne lo spirito.
Il Dalai Lama, i monasteri, gli altipiani, l’Everest, che non si chiama Everest ma Chomolangma “la dea madre dell’universo”, gli sherpa, lo sfruttamento delle risorse minerarie e i gravi danni all’ambiente (come in America Latina), le nude panche su cui dormire, lo yak, i venditori ambulanti, il mantra “Om Mani Padm, Hum”, il vento del Shisha Pangma, il kora del monte Kailash, le nuove strade trafficate costruite dai cinesi, i dissidenti nelle carceri, l’ospitalità povera ma generosa, la bandiera del sole che sorge, “Rangzen!”…
Un viaggio dentro l’anima di un popolo, tra il popolo.
Uno zaino in spalla e la promessa di ritornare dall’amico Palden a raccontare cosa è rimasto del suo Tibet, lui che non ci può tornare. Emozionante, il desiderio che il viaggio non finisca mai. E per Flaviano Bianchini, in effetti è così: “Quanto a me, il mio viaggio non finisce qui perché, come diceva Bruce Chatwin, la vita stessa è un lungo viaggio da percorrere a piedi.”