Racconto etnico: KHALED
di Fabio Lentini
Uno strano turbamento raggelò i suoi pensieri quasi a preludergli l’idea della fine. Con fare agitato, ordinò ai cammelli di accovacciarsi e, nel momento in cui stava per sedersi, si volse di scatto scrutando nervosamente tra la sabbia. L’aria si era fatta pesante ed un fitto pulviscolo lo stringeva tenacemente a sé. Un alone di terrore attraversò i suoi occhi che, affaticati, continuavano a ferirsi nel vento. Non poteva abbandonare il ragazzo. Il piccolo Hamid gli era stato affidato dalla madre affinché lo portasse a Toumbouctou dove avrebbe raggiunto il fratello. Adesso era il solo che potesse aiutarlo.
– «Hamiiiiiiid!- gridò a squarciagola con la voce assopita di vento – Hamiiiiiiid!» insistette ben sapendo che non avrebbe potuto sentirlo.
L’urlo del cielo si era fatto più roco prendendo a falciare le dune e rendendo impossibile i respiri. Khaled avrebbe dovuto ripararsi tra i cammelli sperando nella misericordia di Allah ma non riusciva a piegarsi all’idea di dover perdere il ragazzo.
– «Sono io il suo tutore!» ripeteva tra sé e sé mentre la sabbia gli attanagliava la gola.
Vanamente cercò di allontanarla ma il mulinello roteava vicino trasformando le dune in marosi bui ed opprimenti. Impalpabili scie di polvere cominciarono a inondargli le labbra, strenuamente difese da un sottile lembo dello shèsh ( tipico turbante dei nomadi del Sahara ) e lo spasmo di uno sporco respiro tracimò gli argini dei suoi polmoni. Una tosse convulsa echeggiò lungo i bronchi schiaffeggiandoli di coliche violente mentre i pensieri anelavano a un fresco rivolo d’aria. Per lunghi, interminabili istanti dosò sapientemente il fiato poi, quando i polmoni furono di nuovo pieni, aprì la bocca prendendo coraggiosamente a gridare.
– «Hamiiiiiiid!».
Quell’urlo inatteso parve attirare il vortice che, irritato, prese a frustarlo con livore. Le vesti si sollevarono rabbiosamente e minute lame di sabbia si scagliarono ferocemente sul suo corpo. Le piccole fessure degli occhi si addensarono di una fitta tendina che lo rese completamente cieco. Deciso a proseguire, Khaled avanzò nella notte brandendo le braccia all’altezza dei ginocchi.
– «Hamiiiiiiid!» farfugliò, stremato, cedendo a un rabbioso schiaffo di vento.
Il soffio del demonio continuò ad infierire sollevando una duna che rotolò sul suo corpo immergendolo improvvisamente nel silenzio.
Furono i lamenti di un animale, la cui testa ferita sporgeva sorprendentemente dalla sabbia, a richiamare la carovana. Per un caso fortuito, quei nomadi si trovavano nei paraggi quando il turbine si era appena diradato. Incuriositi dai suoi richiami, lo avevano liberato scoprendo miracolosamente il vecchio. Sotto di lui, giaceva riverso il ragazzo che, già da tempo, si era accovacciato oltre il cammello. Sdraiati uno sull’altro, si erano protetti a vicenda ritagliando dell’aria che la tempesta non aveva violato.
Quando un rivolo d’acqua scivolò sul suo volto, Khaled lo guardò sorridendo e una lacrima di gioia gli carezzò l’occhio che l’inferno gli aveva risparmiato. Erano ancora insieme, cullati dalla benevola mano di Allah.
Fabio Lentini
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