Nascosta in un giardino verdissimo, c’è una delle ville più belle di Roma (ma forse non l’hai mai vista)
Una villa che fino a pochi anni fa versava nell’abbandono, ma il cui progetto di recupero ha il sapore antico del mecenatismo, con una destinazione d’uso completamente diversa dall’originale, e allo stesso tempo capace di preservarne la storia e l’identità. Villa Blanc è un gioiello dell’architettura eclettica che sorge nel cuore di Roma, circondata da un magnifico giardino e oggi accessibile al pubblico, sebbene in una forma “originale”. La sua è una storia particolare: venne infatti costruita per uno dei più importanti ministri del Regno d’Italia, e in appena un secolo di vita ha conosciuto splendore e decadenza, abbandono e recupero funzionale, un po’ come la Serra Moresca di Villa Torlonia, tornata a ospitare visitatori dopo aver superato, non tra poche difficoltà, decenni di abbandono e degrado.
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La storia di Villa Blanc, una residenza ‘illuminata’
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Alberto de Blanc era un nobiluomo della neonata Italia unitaria, che servì come Ministro degli Esteri nel governo Crespi tra il 1893 e il 1896. Il barone de Blanc non era un novellino: allievo del Cavour, ministro plenipotenziario, consigliere internazionale e arbitro delle controversie tra le potenze europee, vide la sua breve carriera politica arrestarsi con la battaglia di Adua del 1896, nella quale oltre 7000 italiani furono trucidati dalle truppe di Menelik II. Per i suoi soggiorni romani, anche dopo la fine dell’esperienza da ministro, il barone (scomparso a Torino nel 1904) scelse di affidare all’architetto Giacomo Boni la costruzione di una bella villa immersa nel verde. La zona scelta è quella oggi prospiciente Via Nomentana, non lontana dall’Aniene e a poche centinaia di metri dalla Basilica di Sant’Agnese fuori le Mura e da Villa Leopardi. Boni e de Blanc immaginarono insieme un complesso residenziale unico sulla scena architettonica romana, dominata da volumetrie spesso impegnative e che schiacciavano la prospettiva circostante. Villa Blanc è infatti il perfetto esempio dello stile eclettico molto in voga a cavallo tra XIX e XX secolo, prima dell’esplosione del fenomeno Liberty.
Le volumetrie dell’edificio risultano infatti particolarmente leggere, grazie al sapiente uso di vetrature, arcate in ferro, serre interne. Il gioco dei materiali, che alternano marmi chiari, mattonati e la presenza di forme spesso lontane una dall’altra – dallo stile vittoriano delle vetrate alla torre con bifore che ricorda un campanile romanico – rendono questa palazzina ancor più interessante allo sguardo.
Il progetto del Boni ha dunque la capacità – caso raro a Roma e non solo – di combinare e fondere con armonia elementi e stili artisticamente e cronologicamente lontani uno dall’altro. Il singolo dettaglio della Villa è funzionale alla narrazione dell’eclettismo architettonico e contribuisce a rendere l’edificio un unicum del panorama dell’Urbe. Tanta anche l’attenzione che architetto e committente posero ai materiali, impiegando cemento, ferro, travertino, legno, ceramiche invetriate e molto altro ancora.
Un restauro intelligente
Dopo la morte di Alberto de Blanc, la villa passa più volte di mano agli eredi, ma la sua è una storia ricca di colpi di scena. Fino al 1997, anno del definitivo acquisto che l’ha riportata agli antichi splendori, Villa Blanc è stata proprietà di società immobiliari, enti privati, persino dell’ambasciata tedesca di Roma. Nessuno dei progetti di recupero e valorizzazione, pur essendo presente un vincolo paesaggistico datato 1953, sembrano andare in porto. Un quarto di secolo fa la vendita definitiva alla LUISS – prestigioso ateneo privato romano – getta le basi per la rinascita di Villa Blanc, nel frattempo avvolta da erbacce, con pericoli di crolli, lontana parente dello splendido edificio che era fino a pochi decenni prima.
Acquistata per circa 3,5 milioni di euro, i lavori di restauro ne sono costati ben 25 milioni e si sono protratti dal 2011 al 2017. L’intento della ristrutturazione, promossa dall’archistar Paolo Portoghesi e portata avanti da Massimo Picciotto, è stato quello di recuperare rigorosamente il lavoro originario di Giacomo Boni, con particolare riferimento alla Scala delle cariatidi e la balaustra monumentale con le colonnine tortili.
L’attenzione maggiore è stata posta poi al Giardino d’inverno, considerato il più grande d’Europa, con le sue vetrate ad arco, i lampadari di cristallo e i soffitti a cassettoni ottagonali con rappresentazioni geometriche e naturalistiche. La sala, che ospita centinaia di posti riservati agli studenti per le lezioni, non è stata stravolta e l’arredamento, curato dalla Thonet, ha visto la scelta conservativa del design di Uwe Sommerlade e Marcel Breuer, per un intervento reversibile in qualsiasi momento e ispirato ai concetti della Bauhaus.