Golosi per caso: presentazione ufficiale
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La parola a Pat:
Quando ci hanno proposto questo lavoro noi un po’ siamo rimasti perplessi, perché pensavamo ci fossero molti libri su questo argomento, molte guide… Non volevamo fare qualcosa che già ci fosse, indulgere alla moda. In sostanza ammetto che ho partecipato a questa impresa soprattutto per fare rabbia a Syusy! Mi ha accusato per anni di andare in giro e di mangiare per il puro gusto di mangiare, portando a casa tre etti in più… Come un riflesso condizionato di golosità. Qui almeno c’è la dimostrazione che un modo di capire i posti spesso è quello di assaggiare le cose: vedi come fanno da mangiare, gli ingredienti che hanno e capisci la cultura, come sono i mercati, intuisci anche i riflessi culturali di una dominazione. Mangiare serve, oltre che essere gratificante! E Martino nel libro si lascia spesso andare, non tanto nel descrivere i prodotti che presenta con taglio professionale, ma nel descrivere le persone che il prodotto lo fanno. Ha fatto un giro vero lungo l’Italia, prendendo corriere, trenini e trattori. Io e la Syusy rispondiamo alle sue lettere, a volte insieme, a volte separatamente (quelle separate sono venute meglio!) raccontando le nostre esperienze a carattere gastronomico in giro per il mondo. L’anima del libro poi non mi azzardo a spiegarla, non l’ho capita nemmeno io!
Risponde Syusy:
Non trovare giustificazioni culturali, mangiare per te è stato sempre man-gia-re, combattere la pellagra dei tuoi avi! Scrivere un libro sul mangiare anche a me sembrava un po’ così… Perché ora c’è la moda del cibo, il dilemma della cucina, parlare di cibo da esperti e da degustatori di vino. Io rifiuto questo tipo di approccio, mi sembra poco essenziale e un po’ decadente, come dire, non abbiamo nient’altro e ci attacchiamo al cibo! Invece la cucina, il produrre prodotti, è cosa di grande concretezza: a volte si incontrano persone che hanno cambiato la propria vita per riportare il prodotto e il mangiar bene a basi molto più serie. Niente a che fare con il mondo patinato che si vede in televisione, il cibo per me (che forse sono stata ipernutrita da piccola e lo considero sempre con parsimonia…) è anti-glamour! La moda paga come riscontro economico, ad esempio mi fa molto piacere che il ristorante italiano oggi abbia battuto quello francese come prototipo della cucina europea in Giappone, ma quel che conta è la possibilità di salvare qualcosa di locale.
E poi, anche se oggi tutto è disponibile dappertutto, la cucina tipica di un posto si mangia lì! Puoi portarlo il the alla mela a Bologna, ma c’è la nebbia e nessun tappeto per terra, non è la stessa cosa! In Italia siamo fortunati: così come conserviamo innumerevoli opere d’arte, e per conoscerle e ammirarle bisogna venire qua… Abbiamo una delle cucine più varie del mondo, ogni 100 km cambiano gli ingredienti e i sapori.
Quello che dico sempre a Pat quando mi fa da mangiare è che per far uscire il gusto bisogna metterci cura, attenzione… La sua parte femminile!
E ora Martino:
L’aspetto della moda è quello più mediatico, superficiale e sciocco… Ma è lo scotto da pagare se qualcosa funziona e questo significa resurrezione di prodotti che erano morti, salvaguardia di specie di animali o piante destinate all’estinzione, recupero di una cultura millenaria, di stili di vita e identità. L’Italia ha un patrimonio gastronomico ricchissimo, unico al mondo.
Come descrivervi il mio viaggio, diciamo che ho girato in economia! Senza usare la macchina. In parte perché mi sarei perso a Casalecchio (ho un senso dell’orientamento inesistente…), ma soprattutto perché una mia macchina mi avrebbe isolato e allontanato dal territorio. Sono stato guidato moltissimo dalle persone che andavo a trovare, quindi sono stato dentro alle loro macchine: loro conoscevano le loro cavedagne e ognuno cercava di mostrarmi il meglio. Ho usato quindi treni (soprattutto linee secondarie) e corriere, che non sono proprio le regine delle autostrade… Mezzi di tutti i tipi, compreso qualche trattore sulle Alpi, qualche barca a Pantelleria , una 500 Giardinetta che non ci salivo da 40 anni in Abruzzo, e nel ricco nord est perfino una Porche! Ho girato un anno e mezzo, è chiaro che è più quello che manca che quello che c’è, ma è venuta fuori una bella panoramica. Ho incontrato tante persone e ho cercato di descrivere anche storie di vita, storie di laureati che sono tornati nelle valli di origine a fare i pecorai… Una domanda dalla professoressa Di Nallo: qual è il cibo che ti è piaciuto di più? Quello che ti ha più affascinato? Sono indeciso, diviso, ma alla fine dico il Bitto, un formaggio molto aristocratico. Ho avuto la fortuna di assaggiarlo invecchiato di 10 anni, mai avrei potuto comprarlo, anche per pudore, perché è troppo, è come comprare uno champagne raro! I fratelli Giappoli hanno delle cantine che sono una specie di palazzo sviluppato all’ingiù, questo formaggio lo girano ogni ora per 10 anni… Ma a prescindere dal trattamento preliminare c’è l’impatto col gusto… Ineffabile, senti gli anni passati a stagionare, sai cos’è il tempo, cogli proprio “Il buono del tempo”. Se mi avessero detto “questo qui l’hanno fatto ieri” non ci avrei creduto nemmeno sotto tortura. Ovviamente poi potrei fare il tecnico e dire che c’è l’aroma di vaniglia, dei fiori, è tutto vero.. . Però la cosa che per prima senti è la sensazione di mangiare un pezzettino di storia.