Bologna Magica
I PORTICI DI BOLOGNA COME NASCONO?
Bologna vive all’ombra dei suoi porticati, che la rendono unica al mondo, come una suggestiva ragnatela che ruota attorno ad un perno centrale: la Piazza Maggiore. Immaginiamo l’impressione che si potrebbe avere da una vista aerea della città! Un labirinto inestricabile attorno al foro centrale. Il pensiero va al mito di Arianna, che diventa per cabala fonetica Aracne, il ragno, la Penelope che tesse incessantemente la tela della sua anima e la disfa quando cala la Luna e sorge il Sole. Il portico diviene così l’anima pulsante, il talismano protettivo della città. La tela intricata dei portici diventa come una trama di merletto nel quale è scritta la sua storia, il suo mistero, la sua poesia.
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I portici sorgono a Bologna nel XII secolo, periodo storico che altrove equivale all’innalzamento delle grandi cattedrali gotiche. Essi ne sintetizzano completamente l’atmosfera e il significato, insieme alle torri, altro fenomeno legato a quel periodo. I portici nascono come estensione logica del chiostro conventuale, simbolicamente inteso come struttura quadrata attorno al cerchio del pozzo centrale, ovvero la comunicazione divina dal basso verso l’alto, e riassumono il valore laico di aggregazione; punto d’incontro della vita quotidiana cittadina e del suo continuo avvicendarsi. Tipico esempio d’architettura mista, ogni portico della città è diverso dall’altro, in un susseguirsi di differenti immagini che si rincorrono, si raggiungono e s’integrano l’una nell’altra, sintetizzando il gran lavorio dei loro costruttori, appartenenti alla Corporazione dei Maestri Muratori, il cui sigillo è impresso negli splendidi capitelli che adornano le colonne che li sostengono.
Appaiono allora sulla pietra i simboli di una conoscenza antica, che diventano un’impronta indelebile, che sfida il tempo e ancora oggi si mostra agli occhi dei passanti attenti sugli edifici della città. Spesso in essi troviamo mostri, elementi naturali e personaggi inquietanti, che esprimono concetti misteriosi, dove ogni segno è la firma di un pensiero – arricchito di miti, leggende, allegorie, simboli precristiani – che potrebbe essersi infiltrato nell’ambiente muratorio nel momento in cui, a Bologna, esso ebbe modo di entrare in contatto con il celebre Studio universitario. Questo, all’epoca, non essendo legato allo studio di Teologia, in mano invece alla Curia Romana, era libero dalle inibizioni del Concilio di Parigi che interdiceva lo studio della filosofia aristotelica di Avicenna e Averroè, intrisa di nozioni attinte dal bacino esoterico di derivazione orientale. Un riferimento allo stile gotico è confermato anche da un astrologo bolognese del XVII secolo, Ovidio Montalbani, che nel portico vide una caratteristica venusiana, nella necessità di accogliere caritatevolmente sotto le sue arcate i pellegrini e i poveri.
BOLOGNA E’ FEMMINA
Venere, la signora del Toro (emanazione zodiacale tradizionalmente connessa alla città di Bologna) tramanda la tradizione delle antiche divinità femminili, che divennero le muse ispiratrici del simbolismo esoterico attraverso il quale lo stile gotico fiorì. Quest’immagine è particolarmente evidente nelle grandi cattedrali, dove, ad esempio, i rosoni principali richiamano il simbolismo legato al femminile, come pure i labirinti contenuti all’interno e gli archi a sesto acuto. I rosoni evocano la rosa, la femminilità spiritualizzata, essi sono tradizionalmente orientati ad Ovest punto dove il sole, l’archetipo della divinità maschile, tramonta; i labirinti diventano un riferimento alla Grande Dea, l’eterna tessitrice che governa il destino umano; gli archi sembrano la riproduzione della caverna, il grande utero all’interno del quale ha luogo l’iniziazione, la morte apparente che dona il potere magico di risorgere. In questo contesto l’immagine di Venere si sovrappone al principio di Amore, l’energia attiva che muove l’uomo verso la conquista della Sapienza divina, detta anche Sophia. Ella diventa il ricettacolo all’interno del quale l’uomo può elevarsi verso l’immenso e l’infinito, ascesa che viene rappresentata architettonicamente dalle altissime guglie che coronano le grandi strutture gotiche. Queste guglie acquistano valenze maschili, trasformandosi in un simbolo di vita eterna. A Bologna, Venere si fa invece portico e torre, dilatazione dello stesso concetto, in cui la congiunzione alchemica tra femminile e maschile concreta la Grande Opera. Nei portici si può intravedere un altro aspetto legato al femminile e alla Luna, connotato dal vivere la propria attività quotidiana al riparo dalla prepotente luce solare, dove la giocosa fratellanza e la bonomia, che ha reso famoso in tutto il mondo il carattere dei suoi cittadini, si esprime al meglio.
E’ probabile che le motivazioni che spinsero il Comune a dotare la città di portici siano state dettate da ragioni meramente utilitaristiche: creare nuovi spazi sopraelevati, dove alloggiare il sempre crescente numero di studenti che la celebre Università richiamava da tutto il mondo; sviluppare la fervente attività artigianale che si svolgeva in città; proteggere i piani bassi delle abitazioni dalla malsana umidità e dalle immondizie che si accumulavano per le strade. A poco valse il decreto che impose di fare dipingere sui muri, nella parte inferiore, immagini sacre, in modo tale da impedire il deposito di rifiuti (…e la condanna dell’Inquisizione che sopravveniva nel momento in cui si passava indifferenti davanti ad esse). Nonostante lo stratagemma l’uso continuò e quando per vero rispetto alla religione fu promulgato un decreto che comandò di cancellarle, questo parve una vera e propria eresia! La disposizione comunale che prescrisse nel XIII secolo la costruzione di portici di fronte a tutte le case sul proprio suolo privato, dettò anche le geometrie alle quali attenersi, tra cui l’altezza minima della volta, che doveva essere di mt. 2,66 (equivalente a sette piedi bolognesi), in modo da consentire il passaggio di un uomo a cavallo; la larghezza minima della strada antistante il portico doveva essere almeno di mt. 3.80 (equivalente a 10 piedi bolognesi). Queste misure facevano parte di un piano regolatore mai rispettato, che favorì l’insorgere di un intricatissimo labirinto nelle vie del centro di Bologna, creando un percorso iniziatico, all’interno del quale perdersi idealmente, per ritrovarsi cambiati in cima ad una delle sue numerose torri. Il simbolo dell’ascesa verso il Cielo.
LA TORRE DEI TAROCCHI
Contemporanee all’edificazione dei portici, le torri sono un altro simbolo dell’epoca in cui sorse il gotico, che permettono di entrare nel misterioso mondo degli Arcani Maggiori dei Tarocchi, tra i quali appare la lamina sedicesima, la Torre appunto, che rappresenta un grandioso e sublime edificio. Essa è la prima struttura dei Tarocchi che si libra nell’aria, tesa a raggiungere l’immensità del cielo. Ambizione pura che viene punita dal raggio della potenza divina; la conseguenza è la distruzione, il crollo della torre stessa che permette di liberarsi da vecchi schemi e giungere all’acquisizione di nuovi poteri. Il potere della Torre si esprime a Bologna con l’innalzamento di centinaia di esse, facendola conoscere come Turrita, uno dei quattro epiteti della città.
Quattro come gli elementi dell’esoterismo occidentale: Turrita come pietra solida e Terra, di cui è araldo Saturno, il dio dell’inverno, che, col suo freddo rigore, comanda i ritmi del tempo e dell’agricoltura; Dotta e sapiente come il pensiero tagliente che si libra nell’Aria; Grassa e feconda come l’Acqua; Rossa come rosso è il colore delle tinte esterne delle abitazioni e delle tegole dei palazzi, legato all’energia del Fuoco. Un aneddoto curioso riguarda queste tegole di fuoco: nel Medioevo esse erano regolarmente firmate dai produttori ed era pure buon’usanza lasciarne alcune, alla fine del lavoro, davanti all’uscio di casa; una per poggiare il ginocchio davanti al focolare acceso e mescolare la polenta comodamente, l’altra da usare riscaldata dentro una pezza, per combattere i reumatismi!
Le alte strutture che contraddistinguono il panorama cittadino sono potenti mezzi di difesa, simbolo di grandezza e di durevolezza che sovrasta l’abitato medievale composto da miriadi di casette, molte delle quali ancora di paglia. Immaginiamo che impressione potevano suscitare queste sagitte sui cittadini! Una selva oscura che incombeva sugli umili. I simboli che si sovrappongono nell’immagine della Torre sono molteplici, tra cui quello che la vede ricollegabile alla Vergine Maria… La Torre d’avorio della Bibbia.
L’identificazione dell’immagine della Vergine con la Luna si realizza nel suo freddo umore tra le pietre delle torri e rinasce potente nelle numerose icone mariane che troviamo alloggiate sotto i portici. In ogni angolo compare una cappella, un segno votivo che, dal basso della terra, materia prima grezza e gloriosa, si sviluppa in senso ascensionale verso il raggiungimento alchemico del suo elemento complementare, il maschile, rappresentato dalla Torre. La torre diventa quindi un prezioso simbolo assiale di centralità, attorno al quale ruota il mondo manifesto con la sua caducità e le sue trasformazioni. Tutto si trasforma attorno alla Torre, ma essa resta immobile, per secoli, sopportando mutamenti ed eventi catastrofici che modificano il contesto d’appartenenza.
Tra tutte le strutture rimaste ricordiamo le due torri principali: la torre degli Asinelli e la torre Garisenda. L’Asinelli e la Garisenda diventano il simbolo di una città, la potenza di un luogo da sempre centro di grandi avvenimenti storico-culturali. La più alta, l’Asinelli coi suoi MT. 98 e 447 gradini, diventa l’albero maestro di quella nave ipotetica creata dalle mura della terza cinta della città. I 447 gradini sommati insieme danno come risultato 15 (4+4+7=15), numero che nei Tarocchi corrisponde al Diavolo, colui che secondo la leggenda innalzò in una sola notte l’intera torre. Essa fu carcere e celebre è la gabbia di ferro che era collocata al suo esterno per ospitare i ribelli, i traditori e i preti delinquenti; nella rocchetta alla base della torre vi trovarono sede soldati di guardia e botteghe d’artigiani. Vari furono gli incendi e i terremoti, di cui la cronaca dà notizia; ma la torre degli Asinelli è sopravvissuta, acquisendo sempre più valore e solidità. Diventò unità di misurazione lineare calcolata in base alla distanza tra i fori che avevano praticato gli edificatori per inserirvi le travi necessarie alla costruzione, fori ancora oggi visibili all’esterno. Fu anche utilizzata per esperimenti sulla forza della gravità, in base alle teorie di Isaac Newton.
BOLOGNA E DANTE ALIGHIERI
Poco distante dalla torre degli Asinelli si ha memoria di un’altra torre, che ora non è più, la torre della Magione, in Strada Maggiore. Singolare il destino di quest’edificio, che fu spostato dall’architetto Aristotele Fioravanti in una sola notte senza essere smontato, facendolo rullare sopra dei tronchi d’albero in uno scavo che raggiungeva le sue fondamenta. Oggi solo una lapide sita nell’angolo tra Via Malgrado e Strada Maggiore ricorda l’avvenimento, che rese famoso Fioravanti, il quale edificò chiese importanti fino in Russia, dove si dice importò la prima copia della Divina Commedia di Dante.
Il riferimento a Dante Alighieri induce a tornare alle nostre due torri, anzi alla Garisenda per l’esattezza. Su questa appare la celebre dicitura del sommo poeta: Qual pare a riguardar la Garisenda sotto il chinato quando un nuvol vada sovr’essa sì ch’ella in contrario penda…. Ciò rammenta che la torre venne anche utilizzata come uno strumento per verificare le condizioni meteorologiche a Bologna. Se le nuvole corrono verso ponente, rispetto la torre, pioggia sicura, mentre a Levante il tempo si fa incerto; nuvole che salgono confermano un cattivo auspicio, nuvole che scendono danno bel tempo.
La torre potrebbe evocare altri messaggi e divenire lo spartiacque tra due antiche logge iniziatiche, di cui una situata nella parte patrizia della città, Strada Maggiore, ed una nella parte plebea, San Felice, tra le quali correva all’epoca di Dante una forte diatriba. A questo proposito, nel De Vulgari Eloquentia Dante afferma l’esistenza a Bologna di due diversi modi di parlare, anche se di due lingue parlate a Bologna non si ha traccia storica. Forse si riferiva al tempo dei Longobardi, quando nel quartiere attorno a Santo Stefano si parlava appunto il longobardo; oppure sottintendeva a diverse espressioni dello stesso concetto, divulgato dalle associazioni segrete del tempo, di cui due erano collocate diametralmente opposte e la Garisenda ne rappresentava il perno centrale.
A quei tempi la torre Garisenda era più alta, fu abbassata nel XIV secolo e da allora misura 48 metri e qualche centimetro…..4+8= 12. Il numero della perfezione celeste, il numero delle porte della città che, come una corona di stelle, la custodiscono, come un prezioso scrigno.
A cura di Ernesto Fazioli http://imieicorsi.blogspot.com/