Namibia on the road 8

5000 km sulle strade della Namibia, alla scoperta degli spettacoli geologici, paesaggistici e naturalistici della "terra che gli dei crearono in un momento d'ira".
Scritto da: smokejumper
namibia on the road 8
Partenza il: 10/06/2011
Ritorno il: 26/06/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €
Ciao. Siamo Sergio e Pamela, di Como. Vi presentiamo il resoconto del nostro viaggio di 15 giorni in Namibia in self-drive (senza guida e con auto a noleggio), nella speranza che possa essere d’aiuto per chi vuole programmare una vacanza in questa terra stupenda. “La Terra che gli dei crearono in un momento d’ira”, la soprannominano alcuni, e davvero in questi spazi infiniti potrete vedere alcuni eccessi geologici, paesaggistici, naturalistici unici al mondo. E’ da qualche anno che abbiamo deciso di esplorare esempi di ecosistemi diversi, e per quel che riguarda la savana arida e il deserto, abbiamo preferito la Namibia, poiché, documentandoci, è risultato essere un Paese sicuro ma, allo stesso tempo, ricchissimo di cose da vedere e da fotografare.

Se siete interessati, potete vedere una selezione delle nostre foto qui: http://www.flickr.com/photos/sergiocanobbio/sets/72157627112252484/

Una menzione speciale, prima del resoconto vero e proprio, per gli organizzatori del viaggio: Alessandro ed Emanuele di Namibia-Travel, Granelli di Sabbia Web Tour Operator. Dopo aver contattato diverse agenzie sia in Italia che operanti direttamente in Namibia, ci siamo accorti che il servizio da loro offerto era quello che più si adattava alle nostre esigenze, e ad un prezzo assolutamente concorrenziale. Alessandro ed Emanuele vivono a Windhoek, e con loro il concetto di “viaggio su misura” acquista davvero il suo significato: abbiamo concordato tutti i dettagli insieme e si sono sempre dimostrati di una gentilezza e di una competenza rare. Consigliandoli, non faccio un favore a loro, ma a voi turisti per caso!

Da appassionati, i nostri viaggi hanno come elemento centrale la fotografia. Erano con noi:

– Due corpi macchina Nikon D80; – Obiettivo Nikkor 18-200 mm, F3.5-5.6 VR; – Obiettivo Sigma 10-20 mm, F4-5.6; – Obiettivo Nikkor 50 mm, F1.8 (mai usato); – Obiettivo Nikkor 70-300 mm, F4.5-5.6 VR; – Filtri vari (in particolare polarizzatori); – Cavalletto e controllo remoto.

Due note in base alla nostra esperienza: Per via delle strade sterrate, la polvere sarà una compagna di viaggio costante. Proteggete l’attrezzatura, anche avvolgendo le lenti che non utilizzate e le loro custodie in sacchetti di plastica tipo surgelati, e mettete in conto che dopo il viaggio andrà comunque ripulita a fondo. Noi ci siamo “accontentati” di un 300 mm, ma per la fotografia naturalistica, soprattutto al Parco Etosha, sarebbe preferibile (budget permettendo) dotarsi almeno di un 400 se volete fare foto davvero mozzafiato con un bel riempimento dell’inquadratura. Tenete conto che la luminosità non è praticamente mai un problema, nemmeno al pomeriggio o all’alba, quando basta alzare l’ISO. Non è quindi necessario procurarsi un obiettivo che apra a 2.8 o più, meglio investire in lunghezza focale.

Il racconto:

Assolutamente fuori budget il volo diretto dalla Germania su Windhoek operato da Air Namibia, optiamo per un Milano – Monaco (Francoforte al ritorno) – Johannesburg – Windhoek in code sharing Lufthansa – South African Airways. Il preventivo ottenuto tramite un’agenzia di viaggio nel Milanese è solo leggermente superiore a quello dei siti on-line, quindi acquistiamo i biglietti da loro poiché offrono la possibilità di annullare o spostare il volo (non si sa mai).

10 giugno

Partenza da Malpensa nel tardo pomeriggio e viaggio senza problemi. La coincidenza a Monaco è in un’ora e poco più, il volo intercontinentale è notturno su un A340 della South African. Finiamo nei posti centrali del blocco da quattro seggiolini centrale, normalmente una garanzia per un viaggio scomodo. Pazienza.

11 giugno

Arriviamo a Johannesburg e ci guardiamo un po’ in giro, abbiamo più di quattro ore di attesa. L’aeroporto Tambo è pieno di negozi, il tempo passa veloce. Partenza per Windhoek a mezzogiorno, finalmente si va in Namibia! Ad attenderci, dopo una coda piuttosto lunga ai banchi dell’immigrazione e dopo il ritiro bagagli, troviamo Alessandro di Namibia-Travel. Ci aiuta con il cambio del denaro e con il ritiro dell’auto. Guideremo una Honda CR-V 2×4 con cambio automatico, doppia ruota di scorta e, ovviamente, guida a sinistra. Ci tengo a sottolineare che, in base alla mia esperienza, NON è necessario un 4×4 per girare sulle strade namibiane. Abbiamo percorso più di 5300 km su strade B (asfaltate), C (secondarie principali, quasi sempre sterrate) e D (sterrate secondarie), senza mai avere problemi e nonostante il 2011 sia stato un anno eccezionalmente piovoso, che, a detta di molti, ha lasciato le strade più rovinate del solito. Il pianale alto è stato, invece, una gran comodità in più di un’occasione, più che altro per la nostra tranquillità nell’affrontare alcuni passaggi un po’ accidentati e per permetterci di tenere le velocità prossime a quelle dei limiti. Su molte C sterrate il limite è 100 km/h e con un po’ di accortezza si può tranquillamente viaggiare a tale velocità.

Alessandro ci guida per i 42 km che separano l’aeroporto da Windhoek e si ferma con noi alla Guesthouse “Terra Africa”, veramente molto carina. Ci consegna la “travel bag” contenente una guida personalizzata del tour, mappe, un navigatore satellitare in Italiano, una lampada frontale, burrocacao, una SIM namibiana per essere sempre in contatto con loro, e mille altre piccole cose. Anche da questo, si rinforza la sensazione di esserci rivolti alle persone giuste! Parliamo con Alessandro per quasi due ore ed entriamo ancor più nei dettagli del viaggio che stiamo per affrontare. Fondamentalmente, sarà un tour “classico” della Namibia in senso orario (partendo da Windhoek in direzione sud). Su mia insistenza, abbiamo inserito anche il Fish River Canyon: renderà il numero di chilometri decisamente più elevato, ma sembra che ne valga la pena…

La sera usciamo a cena in taxi (non ho voglia di mettermi alla guida sulla sinistra con il buio, in città e con la stanchezza del viaggio aereo alle spalle). Andiamo alla Joe’s Beerhouse, classica meta per turisti ma con un’atmosfera particolare e piatti deliziosi. Ci incontriamo con Elena e Daniele, due amici che rientreranno in Italia giusto il giorno dopo e che ci devono virtualmente passare il testimone. Siamo molto interessati al loro resoconto, sono passati per molti dei posti che toccheremo anche noi. Ci confermano che climaticamente il 2011 è un anno un po’ strano. Per via della pioggia la Namibia è più verde del solito, con erba più abbondante e più alta. Inoltre, nelle settimane precedenti il freddo è stato pungente (con neve!) e loro l’hanno un po’ patito. In effetti, la serata a Windhoek, a 1700 m di quota, è decisamente frizzante. Pernottamento: Terra Africa. Posto accogliente e gran gentilezza, 5/5.

12 giugno

Sveglia presto e breve visita della città, che, essendo domenica, appare molto tranquilla, quasi spopolata. Windhoek non offre attrattive memorabili, diamo un’occhiata alla chiesa luterana e alla zona commerciale pedonale (Post St. Mall). Compriamo qualche genere alimentare e una scorta d’acqua, poi partiamo verso la nostra prima meta, l’Anib Lodge ai margini del Kalahari, qualche decina di chilometri a est di Mariental. Il territorio è una savana cespugliata, che via via digrada in distese d’erba. E’ punteggiata da mozziconi di montagne ormai totalmente smantellate, a dimostrazione di quanto sia antica questa terra. Verso il Kalahari la savana si punteggia di sabbia rossa e di acacie spinose. La quasi totalità della Namibia (con l’eccezione del Nord tribale) è una nazione “privatizzata”, il cui territorio è diviso in immensi lotti (farms, per lo più di proprietà dei bianchi) di savana o di bushveld recintati e in cui sono allevati i bovini in modo estensivo. Lo scenario più usuale è quello di strade dritte e lunghe centinaia di chilometri con recinzioni infinite ai lati. Più Arizona che Africa… Gli alberi sono colonizzati dai giganteschi nidi delle colonie di uccelli tessitori, mentre al Lodge ci si avvicinano un cucciolo di springbok e un facocero “domestici”. Alle 15.30 partecipiamo ad un’escursione con i mezzi scoperti del Lodge. Ci guida Michelle, una poliziotta londinese che si è presa un anno sabbatico dal lavoro per fare la guida naturalistica in Namibia e che presto si stabilirà definitivamente lì: non sarà l’ultima persona che incontreremo ad aver compiuto una scelta di vita simile. Osserviamo da vicino i nidi di uccelli tessitori e poi procediamo per una “caccia” fotografica decisamente fortunata: springbok, alcelafi rossi, orici, zebre, struzzi, un elusivo aardwolf (Proteles cristatus, una piccola iena), una grossa tartaruga e cinque giraffe recentemente reintrodotte. Durante l’escursione conosciamo Anna e Alessandro, due simpatici Svizzeri di origine italiana che reincontreremo (senza mai accordarci preventivamente) Altre sei volte nei luoghi più impensati, come ad esempio a Solitaire, a Cape Cross o nel bel mezzo dell’Etosha. Pernottamento: Kalahari Anib Lodge. Curato e suggestivo, 5/5.

13 giugno

Procediamo verso sud lungo la B1 a 120km/h. Incrociamo due autovelox, ma eravamo stati avvertiti da Alessandro di non superare i limiti perché i controlli sono frequenti. Le multe, inoltre, benché non particolarmente salate, vanno pagate nella città capoluogo del distretto dove la contravvenzione è stata elevata, e questo potrebbe voler dire anche dover tornare indietro di 200 o 300 km, scompaginando la tabella di marcia. Lungo la strada osserviamo alcune famiglie di babbuini e diversi rapaci: aquile e falchi, oltre che avvoltoi, sono una vista frequente in tutta la Namibia. A Keetmanshop deviamo su C16 e poi C17 per andare a vedere la foresta di alberi faretra, rappresentanti molto particolari della famiglia degli Aloe. Abbiamo la fortuna di vederne alcuni in fiore: sono stupendi. Visitiamo anche il Giant’s Playground, una distesa di rocce e pietre che gli elementi hanno modellato in modo tale da sembrare disposti come i pezzi di Lego di un gigante giocherellone. Decisamente più interessante la foresta, ma nel Playground vediamo diversi scoiattoli di terra e una colonia di procavie del Capo (Procavia capensis), roditori che vivono presso le formazioni rocciose. Ripartiamo alla volta del Fish Rive Canyon, lungo la B4 e poi, su sterrato, sulle C12 e C37. La C12, nei primi chilometri, è piuttosto malconcia per via delle piogge. Mi viene da pensare che non ce la farò mai a guidare per migliaia di chilometri su strade sterrate in queste condizioni, ma ben presto il fondo si fa più regolare e i primi chilometri si riveleranno un’eccezione e non la regola. All’orizzonte crescono formazioni rocciose scolpite ed erose, e nel tardo pomeriggio arriviamo alla Canyon Roadhouse, dove pernotteremo. E’ un posto stranissimo, arredato sia dentro che all’esterno con auto e mezzi meccanici dei periodi più disparati, e con gadget “on the road”. Anche qui l’atmosfera è più da West americano che non da Africa. Ottima cena a base di selvaggina.

Pernottamento: Caňon Roadhouse. Eccentrico ma fascinoso, 4/5.

14 giugno

Il clima è al momento freddo e ventoso, caratterizzato da escursioni termiche particolarmente accentuate, ma questo non ci ferma dallo svegliarci prima dell’alba e dal visitare, con colazione al sacco, lo stupendo Fish River Canyon, davvero maestoso. Ci sbizzarriamo con mille fotografie, dalle panoramiche ai dettagli delle rocce erose dall’acqua. Alcuni coraggiosi stanno per intraprendere la discesa lungo il Fish River Canyon Trail, un sentiero della durata di 5 giorni in condizioni proibitive sul fondo del canyon stesso. Nell’estate australe il sentiero rimane chiuso, sul fondo le temperature possono passare i 50 gradi centigradi! Successivamente si parte alla volta di Luderitz, ai margini della Sperrgebiet o “zona proibita”: un’area di alcune decine di migliaia di chilometri quadrati di sabbia e rocce dove ancora oggi si estraggono i diamanti e dove è vietato l’accesso ai non addetti della Namdeb, l’azienda compartecipata tra governo namibiano e De Beers deputata all’estrazione delle gemme. Lungo la B4 il paesaggio cambia in continuazione, dalle colline cespugliose e pietrose vicino ai canyon, al “mare d’erba” gialla di Aus, fino alle prime dune e alla roccia viva e spazzata dal vento nei dintorni di Ludertiz. Sulla strada vediamo gli avvoltoi e un uccellaccio gigantesco che si chiama “Kori Bustard” (Ardeotis kori). Arriviamo all’albergo, il Nest Hotel, con un tempo meteorologico sorprendentemente mutato rispetto a quello dell’entroterra: nuvole basse, nebbia, persino pioggia. Sulla costa tale clima è frequente, a causa dell’influenza della corrente oceanica fredda del Benguela, che porta le acque di provenienza antartica davanti alla Namibia e fa condensare l’umidità atmosferica sulla costa, lasciando l’entroterra molto asciutto. Le nebbie che si formano per questo fenomeno sono state in passato causa di numerosi naufragi e concorrono a dare alla “Costa degli Scheletri” la sua nomea. In città acquistiamo il “pass speciale” per poter visitare la città fantasma di Kolmanskop fuori orario (normalmente è aperta solo al mattino). Ex cittadella mineraria, è stata abbandonata ed è diventata un’attrazione turistica: è l’unica parte di Sperrgebiet che è possibile visitare senza troppe difficoltà. La raggiungiamo (è a circa 10 km da Ludertiz, lungo la B4) e ci addentriamo tra le case abbandonate, nel regno della Namdeb. Il museo al pomeriggio è chiuso, in compenso abbiamo le case abbandonate e invase dalla sabbia tutte per noi! Assistiamo anche alla fine del turno per i lavoratori della Namdeb, che per uscire dalla zona diamantifera vengono quotidianamente passati ai raggi X uno per uno, in modo che non possano trafugare le pietre… Cena al ristorante dell’albergo. Decido di provare l’aragosta, che viene pescata in loco ed è piuttosto rinomata. Il costo è quasi europeo (quasi), circa 25 euro, ma una volta ordinata mi viene portato un piatto non con una, ma con 4 aragoste. Incredibile.

Pernottamento: Nest Hotel. Confortevole, 4/5.

15 giugno

Oggi ci attende una delle tappe di trasferimento più impegnative, più di 500 km quasi totalmente su sterrato per arrivare nella zona di Sesriem e delle magnifiche dune del Namib. Nonostante ciò, decidiamo di visitare brevemente la penisola a sud di Luderitz. Arriviamo in auto fino alla stazione baleniera abbandonata di Sturmvogel Bucht e osserviamo un tratto di costa decisamente degno del proprio nome “scheletrico”: i relitti arrugginiti dello scalo per le baleniere, rocce frastagliate, ossa di animali e mare grigio. Torniamo sui nostri passi nel paesaggio lunare creato dalla bassa marea e ripercorriamo la B4 fino ad Aus. Da lì ci addentriamo sulle C sterrate: C13 in direzione Helmeringhausen, C27 fino a Betta (dove ci riforniamo nuovamente di carburante) e poi fino a Sesriem. Nell’ultimo tratto, nella riserva del Namib-Rand, gli scenari si fanno più epici, con spazi aperti e montagne che sembrano usciti da quadri. Aumentano anche gli animali (springbok, orici, zebre, anche due volpi del deserto con le loro enormi orecchie). Ad un certo punto foriamo, ma a causa della strada sconnessa non ce ne accorgiamo se non dopo alcune decine di chilometri, quando lo pneumatico è completamente squarciato. Sostituisco la gomma con il sole ormai tramontato e ci imbattiamo anche in un branco di gnu a bordo strada. Alla fine, stravolti e con il buio, raggiungiamo il Namib Desert Lodge, veramente bello. Ciò che paga in termini di distanza da Sossusvlei (è a circa 50 km dall’entrata del Parco) compensa con la struttura e con la bellezza dei paraggi, in mezzo alle dune pietrificate.

A causa del contrattempo subìto, ci perdiamo l’inizio dell’eclissi totale di Luna prevista per la serata, ma riusciamo a fotografare le ultime fasi e, durante la totalità, la Via Lattea e la luna rossa insieme. Lo spettacolo ci lascia senza fiato, abbiamo l’occasione di vedere un’eclissi in uno dei posti con meno inquinamento luminoso sulla faccia della Terra.

Pernottamento: Namib Desert Lodge. Un posto speciale, 5/5.

16 giugno

Sveglia alle 5, i cancelli del Parco del Namib-Naukluft apriranno a Sesriem all’alba e vogliamo essere lì per poter sfruttare la magica luce del mattino per le nostre fotografie. Tutti i programmi pensati (tralasciare l’ascesa sull’abusata “Duna 45” per andare direttamente a Sossusvlei) vengono ben presto abbandonati. Lo scenario è talmente magnifico che, semplicemente, percorriamo con calma i circa 60 km tra i cancelli e Sossusvlei fotografando i diversi scenari che ci appaiono davanti, le dune rosse infiammate dall’alba con gli animali che brucano pacifici. Vediamo anche le mongolfiere e invidiamo un po’ chi si sta concedendo un’escursione di quel tipo, ma il prezzo (più di 400 Euro a persona) è decisamente fuori portata. Arriviamo al parcheggio per i 2×4 in fondo alla strada asfaltata. Qualcuno sostiene che con il pianale alto si possa arrivare anche al parcheggio 4×4 senza un fuoristrada, ma non ci azzardiamo. C’è un comodo servizio di navette scoperte e decidiamo di usare quello. I fatti dimostrano che abbiamo fatto bene, vediamo un paio di avventati 2×4 bloccati nella sabbia. Chiediamo all’autista della navetta di lasciarci prima a Deadvlei, ma lui non capisce e ci porta a Sossusvlei… Va bene lo stesso. Il pan (fondovalle salato) è allagato, una vista non usuale. Scaliamo la duna “Big Daddy” in un momento in cui non ci sono altri turisti e facciamo altre foto, la luce è ancora incantevole. Tornati al pan, e in attesa della navetta, reincontriamo Anna e Alessandro, gli Svizzeri. Torniamo insieme alle auto, ormai la luce è andata e saltiamo senza troppi rimpianti la visita a Deadvlei, abbiamo comunque visto degli scenari affascinanti e scattato decine di foto mozzafiato. Lungo la via del rientro, la nostra navetta si ferma anche a trainare un’auto insabbiata. Nel pomeriggio visitiamo il Sesriem Canyon, poi torniamo ad un belvedere lungo la strada per Sossusvlei per guardare le dune con la luce del tramonto. A me è sembrata meno bella di quella dell’alba, ma ho sentito anche di testimonianze in senso contrario. Credo dipenda molto dalla giornata e dal tempo meteorologico. Noi all’alba abbiamo trovato una giornata tersa e perfetta, mentre al tramonto si era accumulata un po’ di foschia. Scattiamo qualche foto e ci beviamo due bottiglie di sidro Savanna Dry comprate per l’occasione, poi corriamo verso l’uscita. L’ingresso e l’uscita nei parchi nazionali è regolata su alba e tramonto, e varia di giorno in giorno. Arriviamo ai cancelli senza patemi e rientriamo al Lodge. Incontriamo di nuovo gli Gnu della sera precedente, nello stesso punto.

Pernottamento: Namib Desert Lodge.

17 giugno

Giornata di trasferimento verso Swakopmund. Al mattino ce la prendiamo con calma, la sterrata è in buone condizioni e viaggiamo a 90-100 km/h costanti. Ci fermiamo a Solitaire, al panettiere, per una merenda mattutina. I passi sono spettacolari: in Namibia, per lo più, un “passo” non è la salita per un valico di montagna, ma la discesa per l’attraversamento della valle di un fiume. In questa zona il passo più scenografico è l’attraversamento del fiume Kuiseb (che si attraversa su un ponte e non guadando). Arriviamo a Walvis Bay e tagliamo il tavoliere brullo e sabbioso che la separa da Swakopmund, fermandoci alla Duna 7, una meta sfruttata turisticamente (niente di che, dopo Sossusvlei non può impressionarci più di quel tanto ed è pure piuttosto sporca). Giriamo sulla C28 e proseguiamo fino a che non avvistiamo le Welwitschie, le ancestrali piante del deserto a sviluppo orizzontale. Ne vediamo di varie dimensioni e osserviamo il brulicante ecosistema che gravita intorno alle loro fioriture. Sulla via del ritorno deviamo in una laterale per osservare il Moon Landscape, un paesaggio davvero “lunare”. Scopriamo che, in teoria, anche qui bisognerebbe dotarsi di permesso (a Swakopmund) per entrare. Il cancello è aperto, non c’è nessuno, non abbiamo voglia di fare avanti e indietro. Decidiamo di andare lo stesso e, in effetti, non incontriamo anima viva. In città provvediamo all’acquisto dello pneumatico che ci riporta ad avere due ruote di scorta, poi raggiungiamo il B&B “La Sirenetta”, gestito da una coppia amichevole e servizievole: lei è tedesca, lui, Fabio, italiano. Alla sera, cena al “Lighthouse Pub”, sicuramente turistico ma anche accogliente e con dell’ottimo pesce.

Pernottamento: La Sirenetta. Stile personale, gestito con grande attenzione, 4/5.

18 giugno

Mattinata di relax, rinunciamo alla classica escursione in catamarano al largo di Walvis Bay in favore di un giro per il centro di Swakopmund. L’escursione permetterebbe di vedere otarie, delfini e balene ed è sicuramente consigliata per chi non ha mai avuto modo di entrare in contatto con questi straordinari animali acquatici, ma a noi è già capitato in altri viaggi e per lavoro. Il centro di Swakopmund è un grande centro commerciale per turisti, in particolare sudafricani. Giriamo per negozi e facciamo qualche compera, ma non siamo particolarmente impressionati. In generale, le città ci trasmettono una sensazione di disagio sociale latente e di vaga insicurezza, al contrario della Namibia rurale (anche quella tribale).

A mezzogiorno ci spostiamo verso Walvis Bay per prendere parte ad un’escursione in 4×4 a Sandwich Harbour. La nostra guida è Ingo, della Pelican Tour. Passiamo per le saline, lungo la costa regno di sciacalli che si nutrono delle otarie morte al largo, nella corrente del Benguela ricca di cibo, e che le maree portano a riva. Osserviamo i fenicotteri che stazionano a grandi gruppi nelle acque dolci del fiume Kuiseb, quest’anno eccezionalmente arrivato al mare, mentre di solito sono nella laguna esterna. Successivamente, raggiungiamo le dune dove Ingo dà una dimostrazione dei limiti estremi che è possibile raggiungere con la guida fuoristrada. Siamo senza fiato, e il punto panoramico raggiunto, che permette di osservare deserto e oceano che si toccano, è stupendo. Sulla via del ritorno vediamo un elicottero e alcuni veicoli impegnati nelle riprese di un film: dovranno tagliare diversi metri di pellicola, poiché Ingo ha voluto a tutti i costi curiosare, finendo nel bel mezzo delle riprese!

A sera, cena da Erick’s a Swakopmund: buonissime le ostriche fresche, di cui la zona è una produttrice rinomata.

Pernottamento: La Sirenetta.

19 giugno

Si parte verso nord, lungo la Costa degli Scheletri e poi verso l’interno, nel Damaraland. Circa 20 km prima di Hentie’s Bay, finalmente vedo il tanto agognato relitto di nave da fotografare. In realtà riconosco il rugginoso peschereccio russo che, in mille foto, è ritratto alla fonda a Walvis Bay: probabilmente è stato portato ad arenarsi sulla costa per scopi prettamente turistici, ma fa niente, è decisamente evocativo. Ho anche il mio primo contatto con i venditori di gemme del Damaraland e, da bravo turista, mi faccio spennare per alcuni minerali. Ripartiamo e facciamo una deviazione a Cape Cross, 30 km oltre il bivio che dobbiamo imboccare per tornare nell’interno, per vedere le otarie. La colonia di otarie è l’ombra di quella che doveva essere qualche decennio fa: la caccia indiscriminata ha ridotto la popolazione locale da 300.000 a poche migliaia di individui ma, anche così, è uno spettacolo affascinante. Anche l’odore, benché pungente, non è terribile come alcuni dicono e la passerella in legno appositamente attrezzata consente di camminare nel bel mezzo della colonia. Torniamo sui nostri passi e prendiamo la C35 verso il Damaraland. I paesaggi variano ancora, non ci stanchiamo mai dei torrioni rocciosi e delle formazioni geologiche che dominano queste pianure infinite. Incrociamo varie bancarelle che vendono souvenir, per lo più gestite da donne Herero nei tradizionali costumi vittoriani. Ci fermiamo, più che altro perché vogliamo qualche ritratto delle venditrici. Nel pomeriggio raggiungiamo Twyfelfontein e visitiamo il sito delle incisioni rupestri, accompagnati da una guida del Parco a cui poi diamo anche un passaggio verso gli alloggi del personale, nonostante ci si sia posti la regola ferrea di non raccogliere autostoppisti. Ci rechiamo ad osservare anche le “Canne d’Organo”, bizzarre morfologie della roccia create dall’erosione, e la “Montagna Bruciata”, una zona di detriti lavici su cui non cresce nulla ma che quest’anno, per via delle piogge eccezionali, è addirittura colonizzata anch’essa da un po’ d’erba!

A sera, raggiungiamo il Camp Xaragu, l’unico campo tendato del nostro tour namibiano. E’ un’esperienza interessante, si dorme in una tenda spaziosa, senza elettricità, e il bagno è sul retro, racchiuso da una palizzata ma, di fatto, all’aperto. Bello. Purtroppo ci siamo attardati a Twyfelfontein ed essendo calato il sole non possiamo fare la doccia perché la temperatura è già scesa parecchio. Osserviamo la Via Lattea nella quiete di questo posto fuori dal mondo, e veniamo “adottati” da una gatta (prontamente ribattezzata “Damara”, visto dove ci troviamo) che ci terrà compagnia fino alla partenza.

Pernottamento: Camp Xaragu. Alternativo e da provare, anche se bisognerebbe spiegare agli anziani proprietari che l’apartheid è finito da un pezzo, 3.5/5.

20 giugno

Seguiamo la C43 in direzione Opuwo, nonostante al Camp Xaragu e alla stazione di rifornimento tutti ci abbiano detto che è in pessime condizioni. Ci consultiamo al telefono con Emanuele, lui ha avuto altri gruppi di turisti che sono passati di lì nei giorni precedenti e ci conferma che è stata sistemata. In effetti non riscontriamo nessun problema, la strada è perfettamente praticabile. Purtroppo non riusciamo a vedere i mitici elefanti del deserto, ma incrociamo e fotografiamo le zebre di montagna, con la livrea bianca e nera diversa da quella delle ben più comuni zebre di pianura. I villaggi tradizionali si fanno più frequenti, incrociamo diversi abitanti in costumi sia Herero che Himba. Le differenze tra il Sud delle ricche e immense farm e il Nord tribale si fanno sempre più nette, soprattutto dopo aver attraversato la “barriera veterinaria” che impedisce lo spostamento dei capi di bestiame dalle terre comuni settentrionali verso le zone dove si pratica la zootecnia commerciale e che, contestualmente, opera da autentico “valico di frontiera” tra queste due realtà così diverse. Arriviamo a Opuwo nel pomeriggio, non siamo più abituati alla folla e rimaniamo per un momento disorientati. Opuwo è un crogiuolo di razze e culture, per le strade ci sono persone ovunque (per lo più giovani) nei più disparati costumi. Ci rechiamo al supermercato per l’acquisto dei generi alimentari e di conforto che costituiranno il nostro dono per poter accedere ad un villaggio

Himba. Compriamo 5 Kg di farina di maizena, 3 vasetti di vaselina (usata dalle donne Himba per preparare l’impasto ocra con cui si cospargono il corpo), tabacco da pipa e fiammiferi. Successivamente ci spostiamo al Lodge, collocato nel rumoroso centro della città e un po’ malandato, ma l’unico in zona con un prezzo abbordabile.

Pernottamento: Ohakane Lodge. Trascurato e in un contesto chiassoso, ma con personale servizievole, 2/5.

21 giugno

Partenza alle 7.30 per le Epupa Falls, al confine con l’Angola. Per il viaggio tutti (guida turistica, personale del Lodge) danno come tempo di percorrenza circa tre ore e mezzo su strada disagevole, in realtà lo percorriamo in due ore e mezzo: la strada, anche in questo caso, è stata sistemata recentemente. Alle cascate troviamo ad attenderci John, la guida Himba amica di Emanuele con cui ci eravamo accordati per telefono in precedenza. Ci accompagna al belvedere sulle cascate, che sono mozzafiato e, per via dell’annata eccezionale, particolarmente ricche d’acqua. La cosa più interessante è osservare gli immensi Baobab in posizione precaria, alcuni abbarbicati alle rocce a strapiombo.

Successivamente ci rechiamo in un villaggio Himba. La regione è popolata (per quanto possa esserlo la Namibia), i 200 km da Opuwo sono stati un susseguirsi, rado ma continuo, di capanne, recinti, bestiame al pascolo e persone indaffarate. Ora, finalmente, possiamo osservare un nucleo familiare della tribù più caratteristica. Il contatto, benché si veda che i componenti del villaggio siano avvezzi al passaggio dei turisti, è comunque tra due mondi alieni tra loro e fonte di notevoli riflessioni.

Dopo la visita, torniamo alle Epupa e offriamo il pranzo alla nostra guida. Mangiamo su una veranda a picco sulle cascate, poi saliamo sulla collina che domina il luogo e scattiamo qualche altra fotografia. La collinetta dovrebbe essere sacra agli Himba, ma non vediamo traccia di particolarità. Converso con il ragazzo che custodisce il parcheggio, il discorso cade sull’eclissi della settimana precedente e, su sua richiesta, finisco con il disegnare nella sabbia lo schema dell’evento astronomico per spiegargli che è un fenomeno del tutto naturale. Nel suo clan gli era stato detto che era un segno di malaugurio e lui era un po’ spaventato all’idea. Rientriamo a Opuwo senza problemi.

Pernottamento: Ohakane Lodge.

22 giugno

Partenza di buon’ora in direzione del parco Etosha. Ci lasciamo alle spalle Opuwo su strade finalmente asfaltate e, ben presto, macinando chilometri sulla C35, ci lasciamo alle spalle anche la Namibia tribale, quella più autenticamente africana. Riattraversiamo la barriera di contenimento veterinario, dove mi viene richiesto di mostrare la patente internazionale… Almeno non l’ho fatta per niente.

Per strada vediamo diversi animali, tra cui alcuni facoceri e una giraffa, che bivacca placida in mezzo alla statale!

Arriviamo al Toshari Lodge verso mezzogiorno, con sorpresa scopriamo che, pur avendo circa 35 camere, in questi due giorni sarà tutto per noi. La struttura è molto bella e immersa nel verde, pranziamo e avremmo la tentazione di usare la piscina, ma il richiamo dell’Etosha è troppo forte e decidiamo di entrarci senza aspettare il giorno seguente. Ci rechiamo ai cancelli, dove sottoscriviamo le regole del parco, e poi al campeggio interno di Okaukuejo per regolarizzare il pagamento, anche per il giorno dopo. L’ultimo avvistamento interessante segnalato sull’apposito libro sono dei leoni alla pozza Sueda, qualche ora prima. E’ un po’ lontana, vista l’ora, ma ce la giochiamo. Di leoni non ne vediamo, ma avvistiamo animali in quantità: oltre agli onnipresenti springbok e zebre, vediamo sciacalli, gnu, vari rapaci, un gatto selvatico e un elefante solitario a bordo strada. Al tramonto chiudono i cancelli, voliamo verso l’uscita e lungo la strada asfaltata vediamo altri due elefanti nella luce del tramonto. La cena al Lodge è un po’ surreale, siamo da soli. Avendo solo due clienti anche il personale è rilassato, forse troppo.

Pernottamento: Toshari Inn Lodge, ottima struttura ma personale un po’ “sbragato”, 4/5.

23 giugno

Sveglia alle 5, vogliamo essere al parco all’alba, quando aprono i cancelli, per sfruttare la luce migliore e vedere gli animali all’abbeverata. La maggior parte degli animali si reca alle pozze d’acqua nelle prime ore del giorno e al crepuscolo, sono i momenti migliori per appostarsi. Quest’anno, a causa delle piogge intense, l’enorme Etosha pan è completamente allagato, ma molti animali sono abitudinari e tendono ad andare nelle pozze usuali, pur con una maggior disponibilità d’acqua. Seguiamo l’itinerario propostoci da Alessandro sulla mappa, toccando molte delle pozze più rinomate e cominciando da Gemsbokvlakte, Olifantsbad e Aus: sono pozze frequentate più al pomeriggio, ma siamo di strada. Vediamo, oltre agli animali più comuni già visti il giorno prima, branchi di kudu e impala. Lungo la strada possiamo osservare anche alcune antilopi “nane”, che quasi tutti chiamano Dik Dik ma che, in realtà, sono i più comuni steenbok. I Dik Dik, presenti nel Parco, sono più difficili da osservare. Ci dirigiamo poi verso il centro del parco, fino a Rietfontein, dove ci attende uno spettacolo meraviglioso: possiamo osservare in tutta tranquillità i comportamenti sociali di centinaia di zebre, numerosi kudu e una dozzina di giraffe.

Vaghiamo ancora per il parco, con spuntino al campeggio centrale (Halali), e poi ci dirigiamo verso altre pozze, inclusa la rinomata Goas. L’ora non è propizia, ma vediamo comunque diversi tipi di erbivori. Sulla via del rientro verso l’Andersson Gate possiamo osservare una famiglia di cinque elefanti, incluso un cucciolo dell’anno, e infine un maestoso rinoceronte nero. Non abbiamo visto felini, a parte un gatto selvatico, ma siamo comunque più che soddisfatti, specie per l’ultimo incontro.

Pernottamento: Toshari Inn Lodge.

24 giugno

L’aria è rinfrescata come nei giorni del nostro arrivo e il vento è a tratti gelido, pago la cena in veranda della sera prima con un principio di congestione che mi perseguiterà tutto il giorno.

Ci avviamo verso Windhoek e decidiamo di fermarci, lungo la strada, al “Cheetah Conservation Fund”, raggiungibile con una deviazione di 40 km da Otjiwarongo. E’ un centro di ricerca e di conservazione che si occupa della tutela, cura e reintroduzione dei ghepardi. Partiamo per un giro degli appezzamenti, dove trovano rifugio i ghepardi che per vari motivi non possono essere più rilasciati in natura o anche quelli, più elusivi, che sono solo in transito in attesa di essere liberati in aree idonee. Anche se in un contesto ben diverso da quello del parco Etosha, finalmente vediamo alcuni felini predatori in tutta la loro grazia.

Successivamente, procediamo verso sud e verso la capitale, saltando a piè pari i mercatini turistici di Okahandja: abbiamo già fatto diverse compere sulla costa e nel Nord tribale, e in più comincio ad avvertire i postumi della congestione che mi causano un po’ di febbre. Rientriamo al “Terra Africa”, che già ci aveva offerto ospitalità la prima sera. Ci incontriamo con il gentilissimo Emanuele di “Namibia-Travel” e gli rendiamo il navigatore satellitare. Una chiacchiera tira l’altra, in pratica compiamo un debriefing completo del viaggio. Già che ci siamo, gli chiediamo se organizzano anche viaggi in Botswana e Zambia: affermativo, quindi credo che saremo di nuovo loro clienti. Sono KO, optiamo per una cena da asporto che ci facciamo portare direttamente in camera e io crollo addormentato molto presto.

Pernottamento: Terra Africa.

25 giugno.

La notte di sonno ha avuto effetti miracolosi, sto di nuovo bene. Dopo una colazione abbondante lasciamo l’ottimo “Terra Africa” e ci dirigiamo all’aeroporto. Su consiglio di Alessandro ed Emanuele facciamo rifornimento di carburante a Windhoek, e meno male perché la pompa dell’aeroporto è vuota.

Riconsegniamo l’auto, prendono nota dello pneumatico sostituito poiché, avendo sottoscritto l’assicurazione, dovrebbero rifondermi la spesa sostenuta. Ultimi acquisti, con cui esauriamo il contante, poi partenza. Un 737 della South African ci conduce a Johannesburg, poi scopriamo che effettueremo il volo intercontinentale con il nuovo “bestione” a due piani della Lufthansa, l’Airbus A380. Abbiamo di nuovo dei biglietti con posti infami (centrali nel blocco centrale di seggiolini), ma stavolta riesco a farci spostare vicino al corridoio. L’aereo è pieno come un uovo, ma noi abbiamo il ricordo degli infiniti spazi della Namibia che ci accompagna nel rientro a casa. E’ stata una vacanza indimenticabile.



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