Namibia: itinerario di emozioni

NAMIBIA: itinerario di emozioni in un ambiente primordialeVIAGGIO IN NAMIBIA - BOTSWANA - ZIMBAWE dal 14 giugno ’07 al 6 luglio ‘07 PARTECIPANTI : 5 VOLI PRENOTATI COMPAGNIA AEREA: LUFTHANSA – SOUTH AFRICA AIR LINE VENEZIA - FRANCOFORTE FRANCOFORTE - JOHANNESBURG JOHANNESBURG -...
Scritto da: carlottaben
namibia: itinerario di emozioni
Partenza il: 14/06/2007
Ritorno il: 27/06/2007
Viaggiatori: fino a 6
NAMIBIA: itinerario di emozioni in un ambiente primordiale

VIAGGIO IN NAMIBIA – BOTSWANA – ZIMBAWE dal 14 giugno ’07 al 6 luglio ‘07 PARTECIPANTI : 5 VOLI PRENOTATI COMPAGNIA AEREA: LUFTHANSA – SOUTH AFRICA AIR LINE VENEZIA – FRANCOFORTE FRANCOFORTE – JOHANNESBURG JOHANNESBURG – WINDHOEK

WINDHOEK – JOHANNESBURG JOAHNNESBURG – MONACO MONACO – VENEZIA

Pernottamenti Windhoek Steiner Pension 15/06 Palmwag Lodge 16 – 17 /07 Ohakane Lodge 18 – 19 /07 Omarunga Lodge 20 – 21 /07 Hobatere Lodge 22 /07 Okaukuejo Camp 23 / 07 Namutoni Camp 24 / 07 Ndhovu Lodge 25 – 26 /07

CONSIGLI – fornirsi di torcia elettrica e di bussola – arrivare a destinazione prima del tramonto del sole – rispettare il limite di 60 km orari sulle strade sterrate che sono la maggior parte – richiedere la fornitura di una seconda ruota di scorta – copertura completa dell’assicurazione (collision damage waiver- theft loss waiver in caso di danni al veicolo o furto) – controllare che i documenti dell’auto siano completi 1° GIORNO venerdì 14 giugno da Venezia a Francoforte – a Johannesburg – a Windhoek Partenza da Venezia per Frankfurt alle ore 14,30. Partenza per Johannesburg alle ore 20,45.

L’attesa all’aeroporto di Francoforte è abbastanza noiosa: seduti al Kuffler & Bucher ci si diverte a guardare il campionario umano di viaggiatori che cammina avanti e indietro, tanto per rompere la monotonia del forzato far nulla.

2° GIORNO sabato 15 giugno arrivo a Windhoek Arrivo in perfetto orario a WINDHOEK. Purtroppo la mia valigia non è arrivata. Devo aspettare più di un’ora per la denuncia del bagaglio smarrito, molti viaggiatori in fila silenziosa condividono la mia stessa sorte. Gli addetti non sembrano molto svegli, ma in compenso trattano le persone il cui bagaglio non è arrivato a destinazione con una supponenza estrema: indossano una divisa e questo basta per sentirsi investiti di autorità.

Sbrigate le pratiche di routine, abbastanza pessimista sul ritrovamento della mia valigia, mi unisco ai miei amici fuori dell’aeroporto, dove ci attende una referente della Namibian Travel Connection con l’auto che sarà il nostro fondamentale mezzo di trasporto durante il nostro viaggio in terra d’Africa.

Walter, il nuovo componente del gruppo, nel frattempo è già alla guida della sua auto noleggiata presso l’agenzia Avis dell’aeroporto.

Arriviamo all’agenzia per la consegna ufficiale dell’auto e per prendere accordi circa il rilascio dell’auto che avverrà in Botswana e precisamente a Maun.

Raggiungiamo la pensione STEINER , dove abbiamo pernottato anche lo scorso anno, depositiamo il bagaglio, naturalmente chi ce l’ha, e si parte a piedi per una visita della città.

Mi sembra di essere ritornata a casa: percorriamo le strade già conosciute dove l’ architettura moderna si mescola con edifici in stile bavarese a ricordo del periodo in cui la Namibia è stato possedimento tedesco. I negozi sono ben forniti con articoli di ogni genere: qui faccio il primo acquisto, una tovaglia con i colori che mi ricordano il deserto del Namib.

Il sole tramonta verso le 17,30 e poco dopo scende la sera, ci affrettiamo a tornare alla pensione prima del buio serale. Scopro con infinita contentezza che il bagaglio nel frattempo mi è stato recapitato: mi devo ricredere dei miei pregiudizi iniziali, non avrei mai immaginato tanta solerzia in così breve tempo.

La valigia si presenta ancora nel perfetto stato di impacchettamento con una plastica trasparente rosa fatto da me eseguire all’aeroporto di Venezia per sicurezza, sembra un’opera d’arte di Christo che è un peccato sciupare.

Ceniamo da Joe’s Beerhouse, nostra vecchia conoscenza: il locale molto conosciuto in città e frequentato dagli autoctoni si articola attorno ad una grande sala, il mobilio è in stile etnico con numerosi trofei di caccia appesi alle pareti, a ricordo del periodo coloniale. Secondo le nostre abitudini serali è presto, tuttavia troviamo posto con difficoltà. Mangiamo dell’ottima carne alla griglia in una atmosfera di completa allegria.

3° GIORNO domenica 16 giugno da Windhoek a Palmwag nel Damaraland – 580 km Da Windhoek viaggiamo in direzione nord verso Okahandja, da qui proseguiamo verso Otjiwarongo sulla B1. Da Otjiwarongo seguiamo la C38 fino ad Outjo, dopodiché sulla C40 raggiungiamo Palmwag passando per kamanjab e attraversando il Grootberg Pass.

La strada è asfaltata, ma abbastanza monotona. Non siamo ancora entrati nell’Africa vera.

Da una parte e dall’altra ci accompagna il paesaggio del predeserto: il bush con la tipica acacia africana e piante grasse a cespuglio. All’orizzonte si innalzano montagne spoglie di alberi, punteggiate da piccola vegetazione che le colora a bande rosse, verdi o gialle.

Il cielo è particolarmente terso e la giornata è calda, ma non afosa. Gli ultimi 140 km sono in strada sterrata: finalmente l’Africa che era entrata a tal punto nei nostri ricordi da farci ritornare anche quest’anno. Ci sembra di essere ritornati a casa . Arriviamo a destinazione verso le 4 p.M.

Il lodge è immerso in una riserva di palme; come nelle altre strutture, la tipologia si ripete: un corpo centrale, la club house, dove si consumano i pasti e, sparse nella riserva, i bungalows distanziati l’uno dall’altro, in muratura con tetto di paglia o tende che si erigono da una struttura di cemento, in consonanza con l’ambiente circostante, per ridurre al minimo l’impatto ambientale. Siamo un po’ stanchi del viaggio, tuttavia la bellezza discreta del luogo ci galvanizza , siamo ormai in prossimità del tramonto, uno spettacolare tramonto africano: la natura intorno si colora di una luce surreale, prima di un rosa dai toni smorzati fino a diventare rossastra calandosi sul paesaggio circostante. In lontananza si intravedono giraffe, kudù e zebre e struzzi. Un incontro sempre emozionante è con l’orice, una specie di grande antilope fornita di due corna sottili che sa accontentarsi di cibo povero. Per poter vivere in zone predesertiche, è dotato di un sistema di raffreddamento del cervello che lo protegge quando la temperatura corporea supera i 40°.

Consumiamo la cena al lume di candela in una atmosfera rilassante a cui non siamo abituati nella prosaica vita frenetica di tutti i giorni, sempre a rincorrere qualcosa .

4° GIORNO domenica 17 giugno Dintorni di Palmwag Da Palmwag raggiungiamo la Skeleton Coast fino a Torra Bay. Partiamo verso le 7. Il panorama muta continuamente: da una zona pianeggiante dove il bush ora si dirada ora si infittisce, si passa attraverso montagne desertiche e selvagge fino ad arrivare a vaste distese di dune di sabbia e a canyons incisi dal letto di un antico fiume nella roccia vulcanica. Sulle pendici delle montagne crescono piccole piante, in particolare licheni che rappresentano un mirabile esempio di adattamento ad un ambiente in cui la sopravvivenza non è facile.

Qui non piove quasi mai e l’escursione termica tra il dì e la notte è molto sensibile .

La vegetazione sfrutta l’umidità portata dalle dense nebbie mattutine: in questo tratto di costa scorre la corrente fredda del Benguela proviente da sud e che devia alla latitudine dell’Angola per inserirsi nel complesso sistema subequatoriale atlantico. L’incontro delle correnti fredde antartiche e l’aria calda proveniente dalla fascia equatoriale determina le nebbie che continuano ad essere causa di naufragi . Skeleton Coast, infatti, deve il suo nome ai relitti di imbarcazioni ormai insabbiati e inghiottiti dalle acque gelide dell’Atlantico. Nonostante il nome sinistro, la zona è ricca di muschi e licheni di color verde, arancio o neri che, come per incanto, spuntano dalle fessure dei feldspati e il mare abbonda di pesce in quanto la corrente del Benguela porta una grossa quantità di plancton.

Le dune si presentano con caratteristiche assai diverse rispetto alle dune rosse del Namib. La loro colorazione è mutevole, ora sono di un chiarore lunare, ora la parte superiore si presenta come polverizzata di una sabbia scura su un sottofondo chiaro che traspare con evidenza. Ai piedi delle dune, nella parte meno battuta dal vento, cespugli ed arbusti si alzano coraggiosamente sfidando le dure leggi della vita. Il vento le modella in forme varie, più prominenti sullo sfondo, più basse in prossimità dell’oceano: si fermano ad una certa distanza dal mare lasciando spazio ad un ampio tratto di fascia costiera pianeggiante. Il silenzio è grandioso e a perdita d’occhio non c’è presenza umana. In riva all’oceano c’è uno stabilimento balneare abbandonato, data la stagione invernale. Ci fermiamo per consumare un lunch abbastanza frugale. In questa immensità contornata dall’oceano e dalle dune ci si sente piccolissimi e fragili. Le onde dell’oceano interrompono la loro corsa fragorosamente sulla sabbia della costa, soggetta a continui rimodellamenti. Al ritorno il caldo si fa pesante.

Nelle prime ore del pomeriggio si riparte per una escursione all’interno della riserva di Palmwag, organizzata dal lodge. Il ranger è simpatico e disponibile, ci porta in jeep in posti per noi altrimenti irraggiungibili. Dopo un percorso attraverso sentieri scoscesi avvista un rinoceronte seminascosto da cespugli di piante grasse, con l’occhio avvezzo a guardare lontano e a distinguere qualsiasi sagoma si profili in lontananza. Scendiamo dalla vettura e in fila, senza fiatare, ci avviciniamo per quanto possibile all’animale: la nostra guida ci spiega che il rinoceronte non gode di buona vista, ma in compenso la natura l’ha dotato di olfatto e udito ottimi .

Si tratta di un esemplare adulto dal quale restiamo a debita distanza. Continuiamo l’escursione e arriviamo in una radura punteggiata da cespugli e da rari alberi, mentre all’orizzonte i rossi tavolati caratteristici del Damaraland fanno da contorno alla scena: un luogo dall’aspetto così desolato ha in serbo per noi una sorpresa eccezionale.

Incontriamo un branco di “elefanti del deserto”, costituito da due famiglie con tre piccoli. Gli elefanti del deserto che vivono nel Damaraland sono di dimensioni ridotte rispetto agli altri fratelli africani e costituiscono un esempio di adattamento alle terre aride, in grado di sopravvivere fino a tre giorni senza acqua. Si tratta di esemplari che si sono abituati a vivere in un contesto semidesertico quando l’Etosha è stato chiuso con recinto.

Secondo una tradizione del luogo, chi per primo avvista un nuovo nato, dà il suo nome a tutto il gruppo.

5° GIORNO lunedì 18 giugno da Palmwag ad Opuwo nel Kaokoland – 230 km Partenza verso nord per Opuwo, città principale del Kaokoland, passando per Sesfontein.

Questa parte della Namibia offre una natura particolarmente selvaggia, di solitudine e di scenari spettacolari. La regione prevalentemente montuosa si presenta variamente articolata: montagne solitarie e desertiche lasciano spazio a forme più arrotondate che si prolungano verso la fascia pianeggiante che circonda la strada, come se fossero zampe di elefante; splendide vallate che interrompono la continuità delle montagne rendono la vista continuamente varia. La strada non è larga e presenta un andamento ad andirivieni su e giù, attraverso le colline.

Sesfontein è un villaggio polveroso di capanne abitate da donne herero affaccendate, con i tipici costumi tedesco-vittoriani e da bambini che giocano. I pochi uomini che si intravedono non sembrano giovani e si riposano seduti accanto alla capanna.- c’è da dire che non è facile dare l’età alle persone perché la spettanza di vita è abbastanza breve se paragonata alla nostra e quindi la vita si consuma più in fretta. Inoltre, la maggior parte non conosce la data della propria nascita. Questa caratteristica è comune a molte parti dell’Africa, ricordo che in Etiopia mi è stata data una spiegazione dura di questo fatto: la mortalità infantile è molto alta soprattutto nei primi tre anni di vita, per cui la madre impone un nome al proprio figlio solo se riesce a superare questo periodo critico per la sopravvivenza; in caso sfortunato se qualche malattia se lo prende, è come se fosse morto “Nessuno”.

Devo dire che nelle cittadine ho potuto constatare che in Namibia è attiva un’azione di prevenzione di malattie infantili attraverso vaccinazione: lo si legge nei manifesti pubblicitari in prossimità dei centri abitati e anche nelle bacheche dei supermercati.

Prendiamo la strada per Opuwo: il luogo è particolarmente selvaggio, la vegetazione muta continuamente. Un bosco di baobab giganteschi costeggia la strada per un buon tratto, ci fermiamo per osservarli da vicino. Il tronco ha un diametro enorme e la corteccia che si presenta di un colore grigiastro sembra di cemento. Se un esemplare di queste dimensioni supera i 2000 anni di età, non posso fare a meno di pensare quanti avvenimenti storici e di quale entità ha vissuto.

Cominciano a profilarsi i primi villaggi abitati dagli Himba,costituiti da semplici capanne di rami e paglia rivestiti di sterco animale. Gli Himba , in origine una parte della etnia degli Herero di origine Bantu, che negli ultimi decenni dell’800, si rifugiarono nel sud dell’Angola, varcando il fiume Kunene, portandosi le mandrie di bovini e ovini, sotto la spinta di altri popoli.

Per la loro natura pacifica, si sottomisero alle tribù boscimane che abitavano in questa parte dell’Angola pregandole di ricevere in cambio delle terre da pascolo. Da qui il nome di Ova-Himba, ossia coloro che chiedono. Persi i contatti con il nucleo di origine, gli Herero, che rimasero in patria, e lontani da ogni interferenza europea, mantennero intatta la lingua e le tradizioni.

Le donne che presentano un portamento fiero ricordano nei lineamenti dolci e aggraziati le popolazioni nilotiche, hanno una cura particolare della bellezza del loro corpo che sono solite spalmare con un impasto di ocra e burro per mantenere la pelle morbida e proteggersi dalle punture di insetti e dai raggi del sole che picchia anche d’inverno nel suo passaggio diurno.

Alcune sono di rara bellezza: quello che colpisce particolarmente è la grazia ancestrale della loro andatura nel procedere.

Incontriamo numerosi allevamenti di bestiame allo stato libero: il numero di bestie possedute stabilisce la gerarchia sociale.

Nel primo pomeriggio arriviamo ad Opuwo, dove ci fermiamo nella banca locale per cambiare un po’ di denaro. Si avvicinano donne e bambini per offrirci la loro misera merce. Qualcuno è insistente e petulante, qualche altro se ne sta silenzioso davanti a noi con la mercanzia in mano.

Raggiungiamo l’Ohakane lodge, in centro del paese. All’esterno si presenta con un’alta muraglia, sulla cui sommità si stendono fili elettrici, senz’altro non a scopo ornamentale. Entriamo nel cortile con qualche esitazione e perplessità: un guardiano di colore è al cancello. Nella parte interna del lodge si riceve una impressione completamente diversa; balza subito agli occhi l’amenità del luogo: attorno ad una piscina centrale sono disposte le stanze. Da una parte la club house in parte coperta dal tetto di paglia e in parte all’aperto sotto due alberi che si aprono ad ombrello.

Si torna a piedi nella cittadina. Il campionario umano che si offre alla nostra vista è dei più vari: è costituito per la quasi totalità da neri di diverse etnie che si distinguono nettamente per il colore più o meno scuro della pelle, per le fattezze del corpo, alto e slanciato oppure tozzo e basso, e per i vestimenti. Troviamo donne Herero nei loro costumi variopinti: di solito una gonna arricciata in vita che scende fino a terra ed un copricapo costituito da un fazzoletto abbinato ai colori vivaci del vestito che copre una parte della fronte, terminando con due pronunciate punte laterali.

Gruppi di donne Himba sono ferme ai lati polverosi della strada: ognuna porta sulla schiena un fagottino dal quale spunta la testa di un infante che dorme noncurante della vita che si svolge intorno o si gode dall’alto lo spettacolo quotidiano. Non ho mai visto bambini piangere in questo paese, sicuramente sono di indole docile, giocano con “giocattoli”costruiti da loro con materiali che noi non prendiamo più in considerazione con una fantasia e creatività che la società consumistica ha ucciso. L’abbigliamento femminile è semplice: una gonnellina di pelle di capra, collane e bracciali di metallo, corde intrecciate, pezzi di legno e semi. Le donne sposate portano acconciature elaborate: i capelli sono divisi in sottili trecce spalmate di ocra rossa e grasso che scendono fino alle spalle. Le ragazze portano i capelli rasati eccetto che nella parte centrale del capo da dove scende una treccia fino alla fronte. Il fascino di queste donne dalla figura snella e dai lineamenti dolci e volitivi, fiere nel loro incedere, mi ricorda dei versi di un antico canto dei pastori herero e dei loro discendenti himba con cui si rivolgevano all’onnipotente dio dell’ordine cosmico : “ Tu, nostro antenato, lasciami essere felice, lasciami gioire, lasciami trovare ancora il miele e le radici perché io possa parlare bene di te”. A cena incontriamo una troupe di Giapponesi forniti di un apparato fotografico professionale: la padrona del lodge ci dice che stanno effettuando un servizio sulla cultura himba.

6° GIORNO martedì 19 giugno dintorni di Opuwo Partiamo per visitare i dintorni di Opuwo. Prima di uscire dalla cittadina tipicamente africana, entriamo nel mercato della carne che si svolge di mattina. Ci sono varie baracche dove si vende prevalentemente carne di agnello o di capra di recente sgozzati e scuoiati. La carne ancora fresca è appesa ad un palo e un macellaio la divide in pezzi più o meno grandi per venderla.

In altre capanne si appronta un fuoco con una pentola, dove verrà cotta la carne .

Teste di capra in gran numero sono accatastate in un punto del mercato per terra. In una specie di recinto due maiali si abbuffano con le interiora degli animali appena uccisi. La polvere e la sporcizia che regna in questo mercato è grande. Abbandoniamo il centro abitato e ci dirigiamo verso Etanga.

La strada contrassegnata sulla carta con una linea tratteggiata, come strada da percorrere solo con 4×4, ci appare più agevole di qualche altra già percorsa. La zona appare abbastanza ricca di vegetazione, costituita prevalentemente da acacie africane. Il fondo sabbioso e i vari greti asciutti di fiumi che attraversiamo, testimoniano che si tratta di una vasta pianura alluvionale. All’orizzonte montagne aride fanno da contorno: è un territorio di natura selvaggia, lontana per noi nel tempo e confinata nei ricordi delle fiabe, di solitudine e di scenari immensi in cui l’occhio spazia e la mente sgombra dalle ansie e dal rincorrere di ogni giorno, può recuperare la sua naturale dimensione umana e ricaricare l’anima. Il paesaggio varia continuamente. Lungo un fiume nel cui letto scorre ancora l’acqua delle piogge primaverili, crescono rigogliose le palme. Ci fermiamo per raccoglierne i semi. Ai lati in lontananza si stendono montagne di forme diverse: ora si tratta di tavolati nettamente squadrati, ora il profilo si addolcisce in colline che sembrano rincorrersi l’una con l’altra sormontandosi. Queste immensità di spazi sono a volte interrotte da figure umane che sembrano camminare verso il nulla, e da qualche macilenta mucca che staziona nel mezzo della carreggiata o da uno struzzo solitario che agita il suo pennacchio nero sulla testa. Lungo strada facciamo qualche sosta per scattare delle foto: all’improvviso, come per incanto, appaiono bambini che chiedono sweets.

Non lontano dalla strada si intravedono parecchi villaggi himba: qualche donna himba ferma sul ciglio della strada ci chiede un passaggio, la nostra auto è al completo, ma Walter si ferma puntualmente. Alcune lapidi che si erigono malamente da terra o tumuli di sasso indicano che si tratta di un cimitero. Le lapidi riportano il nome del defunto con la data di nascita e di morte: l’età media è di 30 anni, solo per pochi la speranza di vita si è allungata. Il cimitero non è delimitato da alcuna recinzione, quasi a testimoniare che tra la vita e la morte non c’è separazione. Ritorniamo al lodge nelle prime ore del pomeriggio, dove consumiamo sotto gli alberi il pasto: riposante restare fuori. Più tardi ritorniamo nel centro del paese per fare rifornimento di acqua e di frutta per i giorni seguenti.

7° GIORNO mercoledì 20 giugno da Opuwo alle Epupa falls – 200 km La strada è abbastanza agevole soprattutto nella prima parte del percorso; la zona circostante si presenta montuosa e arida. Nel secondo tratto parecchi dossi e avvallamenti in corrispondenza del letto di un fiume rendono il viaggio più movimentato. Qui la natura diventa particolarmente rigogliosa: alte palme svettano superbe, sovrastando gli alberi circostanti. Verso mezzogiorno raggiungiamo le Epupa Falls. Già in lontananza, prima di arrivare al nostro lodge, ci rendiamo conto che si tratta di un angolo di paradiso in terra. Omarunga Camp Epupa è un campo tendato, situato sulla riva del fiume Kunene che segna il confine politico con l’Angola e a pochi passi dalle cascate. Una decina di tende arredate con gusto essenziale, ma confortevoli immerse nella verde ombra degli alberi Makalani si confondono con la natura circostante. Il contrasto è notevole tra la prolifica vegetazione lungo il fiume e l’aridità della zona circostante. Dalla mia tenda scorgo la corrente del fiume che scorre vorticosamente verso le cascate: mi suggerisce l’idea del tempo che fugge. Lo scenario è spettacolare, si ode nella quiete del luogo, in lontananza, lo”sciabordio” dell’acqua che salta nel vuoto per riprendere la sua corsa più a valle.

Nel pomeriggio partecipiamo al sundowner drive con altri ospiti del lodge. Un driver esperto ci porta su una altura dalla quale si domina la caduta dell’acqua in tutta la sua maestosità, nel momento più suggestivo della giornata. Le cascate sono formate da diversi bracci del fiume Kunene che si trova costretto in questo punto a superare una serie di salti , attraverso dei canyon stretti, il più profondo dei quali è di 35 m, punteggiati di palme e di baobab.

I raggi rossastri del sole che sta scendendo frettolosamente dietro le montagne dell’Angola accompagna il nostro aperitivo serale.

8° GIORNO giovedì 21 giugno visita ad un villaggio himba La mattinata è dedicata ad una visita presso un villaggio Himba. La guida che ci accompagna è un giovane himba che mostra con orgogliosa ostentazione il distintivo di accompagnatore conseguito dopo un percorso di formazione scolastica. Facciamo sosta presso un villaggio: ci sono solo donne con bambini e qualche anziano, gli uomini, dediti all’allevamento del bestiame si spostano con gli animali alla ricerca di pascolo. Le donne sono sedute a terra all’esterno delle capanne a cupola dove dormono, intente a spalmarsi l’ocra rossa mescolata a burro che conferisce loro quel caratteristico colorito: fanno questo sia per proteggere la pelle sia come vezzo; nel corso della loro vita non ricorrono mai all’acqua per lavarsi. Le ragazze in età fertile portano sul capo un pezzetto di pelle di capra per attirare l’attenzione maschile.

I bambini si distinguono per un codino centrale che scende all’indietro, mentre le bambine portano due piccole trecce che scendono verso la fronte. La guida ci spiega le usanze alle quali questa etnia è rimasta legata nel corso dei decenni rinsaldando la propria identità. E’ praticata la poligamia: un uomo può avere due mogli, la prima viene scelta dai genitori ai quali deve obbedire, sin dalla tenera età; la seconda da lui stesso.

Il marito con due mogli deve concedersi alternandosi di notte per non creare gelosie.

Gli Himba sono adoratori del fuoco; all’ interno del kraal, il villaggio, esiste un’area sacra dove viene acceso l’omulilo gwoshilongo o fuoco sacro formato da un ceppo di molane che resta sempre acceso, dal quale si possono trarre auspici: questa area non può essere varcata, pena la certezza di sventure sul trasgressore.

Il vestito da sposa di una donna himba consiste in una specie di sottana corta fatta di striscioline di pelle sulle quali sono cucite delle conchiglie. Qualsiasi monile che la donna indossa, collane, bracciali e cavigliere, viene trattato con l’ocra rossa e il burro, così come la pelle di capra stretta in vita: corpo, capelli, ornamenti assumono lo stesso colore, legati insieme da un’antica cosmesi. Da una parte è allestita una “bottega”: oggetti della vita quotidiana himba e piccole chincaglierie fabbricate appositamente per i turisti, fanno bella mostra di sé appesi ai rami spogli di un albero. Sono attirata da un utensile per me bellissimo che compro, si tratta di un secchiello di legno di canfora che viene utilizzato per la mungitura del bestiame: l’odore acre di latte che si sprigiona dalla parte interna del recipiente è temperato dal profumo del legno chiaro all’esterno.

La vita degli himba inizia ogni mattina con una cerimonia tribale: l’offerta del latte agli antenati. Il latte munto dalle donne viene portato dai bambini, maschi e femmine, nei secchi di legno in processione al capo del villaggio che li attende vicino al fuoco sacro. Il capo sorseggia un po’ di latte da tutti i secchi; solo a questo punto anche gli altri componenti del gruppo possono consumare il latte in una colazione collettiva. I vincoli tribali sono rinsaldati da questa usanza che si ripete quotidianamente e segna l’ inizio per tutti di una nuova giornata all’insegna di buoni auspici. Visitiamo un cimitero himba non lontano dal villaggio. L’attenzione viene attirata, in particolare, da due tombe che presentano una lapide con un recinto che delimita la sepoltura, al quale sono appesi parecchi bucrani. La guida ci spiega che appartenevano agli animali uccisi in occasione del banchetto funebre del defunto a cui sono invitati anche i villaggi vicini, mentre i componenti della famiglia del morto ne rimangono esclusi. Il numero di capi uccisi è un simbolo di gerarchia sociale. La tomba maschile è contraddistinta da bucrani con le corna rivolte verso il cielo, quella femminile presenta le corna rivolte verso la terra. Il corpo del defunto maschio viene avvolto in una pelle di bue sacrificato per l’evento. Nella struttura sociale degli himba la donna gode della stessa dignità del maschio; gli uomini comandano formalmente, ma di fatto sono le donne a regolare l’organizzazione della vita, che si fonda su un equilibrio tra sistema patriarcale e matriarcale.

Ascoltiamo con interesse i racconti della nostra guida sui riti di questa etnia che non si è lasciata contaminare dalle influenze occidentali. Il rito di sepoltura viene compiuto il giorno stesso della morte di una persona. Altre tombe presentano solo un tumulo di terra ricoperto da grosse pietre per impedire alle mucche di calpestarlo. Un trattamento particolare viene riservato ai bambini morti: solo questi vengono sepolti all’interno del kraal, nel villaggio, con una tumulazione piana.

Lungo la strada, per fare ritorno al lodge alberi di mopane, non molto alti, ancora forniti di una chioma verde, nonostante la stagione, fanno da contrasto con il colore ocra del suolo . Nel primo pomeriggio ripartiamo con la stessa guida da noi prenotata per una escursione a piedi lungo il fiume Kunene. Fa molto caldo e a tratti il sentiero è completamente al sole. La vegetazione è lussureggiante: alte palme e piante tipiche della foresta pluviale crescono rigogliose . Davanti a noi le montagne angolane dai contorni addolciti dal sole e dal vento fanno da cornice a questo angolo di paradiso; ai nostri piedi scorre il fiume che prima di arrivare alle cascate si divide in alcuni bracci separati tra loro da isolotti. Alle nostre spalle lo scenario cambia: i colori dominanti sono il giallo e il marron che contrastano con il verde della vegetazione e l’intenso azzurro del cielo.

La guida ci indica tracce di scimmie sul terreno, ma non ne avvistiamo alcuna. Sulla strada del ritorno scorgiamo un coccodrillo nelle acque del fiume, vicino a riva: nuota, senza farsi notare se non da una vista acuta e abituata al mimetismo degli animali, completamente ricoperto dalla corrente, solo gli occhi sporgenti dalla testa si vedono distintamente. Molestato dai rumori, inverte la direzione di marcia allontanandosi. Nelle vicinanza del lodge alcune donne sciacquano i panni nelle vasche di acqua che il fiume forma in prossimità di rocce affioranti prima del grande salto; altri ragazzi locali bagnano i loro corpi asciutti e longilinei immergendosi nell’ acqua che trasforma la vita in questo panorama desertico a poca distanza.

Prima del tramonto raggiungiamo la stessa postazione della sera precedente per partecipare al fantastico sunset sulle cascate. Dalla sommità rocciosa si ammira il mutare dei colori e i loro giochi di contrasti sul paesaggio circostante. Provo delle sensazioni e delle emozioni che percepisco in modo diverso a distanza di un giorno. Sono convinta che “ il viaggio” sentito come esperienza sempre nuova e autentica, al di là delle mode effimere, arricchisca la nostra dimensione umana se impariamo ad ascoltare i messaggi del nostro corpo, a riconoscere le sensazioni che cambiano, ad esporci alle sollecitazioni esterne di una realtà nuova, senza paura. Questo esercizio permette di entrare in sintonia con un mondo diverso dal nostro e di arricchire l’anima nella ricerca dell’assoluto connaturata all’uomo.

9° GIORNO venerdì 22 giugno da Epupa falls a Kamanjab – Hobatere lodge 380 km Lasciamo il nostro campo di mattina presto diretti a Kamanjab. Ci attende un viaggio abbastanza impegnativo di 380 km, solo in parte asfaltati. Nel primo pomeriggio arriviamo all’Hobatere lodge, dove passeremo la notte. Il lodge, situato a una sessantina di km a nord di Kamanjab, al confine occidentale del Parco Etosha, presenta subito all’ingresso del gate un paesaggio vario: ampie radure si alternano a boschetti di mopane e di acacie africane e ad alture rocciose. Il corpo centrale del lodge dista una quindicina di km dalla strada. Lungo il percorso incontriamo giraffe, zebre ed antilopi. Dopo la sistemazione nei bungalows facciamo un giro a piedi nei dintorni prossimi al nostro edificio: poco distante si trova una piscina e una pozza d’acqua dove gli animali che arrivano ad abbeverarsi si possono osservare al riparo di una staccionata rialzata.

Facciamo conoscenza con una famiglia di italiani composta da padre, madre e quattro gemelle di nove anni. Anche loro sono viaggiatori del mondo free lance e percorrono parte del tragitto che noi abbiamo seguito lo scorso anno: ci chiedono informazioni sulle loro tappe prossime.

Alla sera dopo cena partecipiamo ad un night drive organizzato dal lodge: nulla di eccezionale per quanto riguarda l’avvistamento di animali. Il freddo è pungente e cerchiamo di coprirci alla meno peggio sotto le ruvide e pesanti coperte che ci sono state consegnate; la jeep è completamente scoperta. Alla luce potente di una torcia avvistiamo tre african walkers, quasi dei gatti selvatici che il driver magnifica come animali estremamente rari per cui possiamo considerarci particolarmente fortunati. A noi, però, rimangono parecchie perplessità sulla nostra fortuna confermate, nei giorni seguenti, dai numerosi incontri con questo genere di felino. 10° GIORNO sabato 23 giugno da kamanjab al Parco nazionale Etosha –da Hobatere lodge a Okaukuejo Rest Camp 340 km L’indomani mattina, dopo colazione, si riparte con qualche rammarico di dover lasciare una riserva particolarmente allettante sotto il profilo della morfologia del territorio, con un’unica pecca per la conduzione del lodge: sia a cena che a colazione il cibo è stato particolarmente misurato.

Uscendo dall’Hobatere, un magnifico esemplare di leopardo ci attraversa la strada scendendo da un’altura che costeggia la strada e si apposta sotto il bush troppo vicino alla nostra auto da costringere Emilio ad una retromarcia per permettere ad Anna di scattare delle foto e per riprenderlo con la videocamera. Viviamo un momento di sconcerto per il casuale e raro incontro:si tratta di un esemplare giovane.

Questa volta la fortuna ci ha veramente baciati in fronte di prima mattina: scrutiamo a lungo il felino, fronteggiandoci a vicenda, finché, stanco di sentirsi osservato, riattraversa la strada risalendo il pendio roccioso dalla stessa parte da cui era venuto. A questo punto il gattone fa inconsapevolmente sfoggio della bellezza del suo corpo massiccio, fornito di un manto dorato e punteggiato da centinaia di macchie nere. L’incontro inaspettato ci rende euforici per il restante giorno.

Procediamo verso sud sulla C40 fino ad Outjo, dove ci fermiamo per fare rifornimento di viveri. La cittadina, punto di passaggio per i turisti diretti all’Etosha dall’ingresso meridionale, appare subito simpatica, la gente è tranquilla e composta. Al supermercato ben fornito regalo un sacchetto di caramelle a due bambini che le stavano comprando: ci ringraziano in modo esageratamente ossequioso. Intanto, Anna e Walter che sono rimasti in macchina, hanno fatto acquisti da un ragazzo locale che vende portachiavi ricavati da semi di palma da lui incisi con particolare abilità. Il lavoro si ispira allo stile di vita locale e riflette la bellezza del paesaggio forte ed elegante: dalla parte interna del seme di colore chiaro risaltano animali e paesaggi africani sull’involucro esterno di un marrone caldo. Anch’io ne voglio comprare qualcuno, purtroppo gli sono rimasti soltanto due piccoli oggetti, sicuramente non si attendeva tanta domanda in quella giornata.

Raggiungiamo l’Etosha nel primo pomeriggio, passando attraverso l’Anderson gate arriviamo ad Okaukuejo.

Questo territorio che supera i 22.000 kmq nella Namibia settentrionale ci è familiare, lo scorso anno l’abbiamo girato in lungo e in largo, non tralasciando alcun angolo. La sua distesa è prevalentemente piatta, presenta delle ondulazioni solo nella parte occidentale, in prossimità del villaggio di Namutoni. Al centro si estende il Pan, la vasta depressione arida, formatasi un milione di anni fa probabilmente dal corso del fiume Kunene che ora scorre a nord del paese segnando il confine con l’Angola. Dopo la stagione delle piogge, questo luogo asciutto si trasforma in un immenso acquitrino che attira animali di ogni genere. Dopo la sistemazione nel bungalow assegnatoci, cominciamo il nostro safari dando la precedenza ai percorsi che conducono alle pozze d’acqua: molte di queste si presentano quasi asciutte o completamente aride, segno che le piogge quest’anno non sono state abbondanti, come già ci era stato preannunciato. Avvistiamo parecchi animali: antilopi saltanti, gnù, kudu, orici, elefanti, giraffe.

Rientriamo al campo al tramonto prima che i cancelli chiudano. La nostra sistemazione è nella parte vecchia del campo in un lodge abbastanza carente, mentre Walter, più fortunato, ha la stanza ubicata nella parte in ristrutturazione. Non vediamo tanti ospiti, per lo più campeggiatori, come lo scorso anno perché il villaggio è tutto un cantiere aperto in occasione del centenario di nascita dell’Etosha.

Alla sera consumiamo all’aperto davanti allo chalet un’ottima cena, facendo nostra una tradizione locale, il braii, che per l’uomo primitivo rappresentava una ricompensa per le fatiche sopportate nel bush, a caccia di animali.

Il bungalow ha in dotazione stoviglie e posate per quattro persone: mandiamo Robertina dai nostri vicini di casa per recuperare il necessario per un coperto. Per ricambiare la gentilezza ricevuta, andiamo tutti con un bicchiere in mano e una bottiglia di vino per brindare insieme. Si tratta di una coppia di marito e moglie sudafricani in vacanza. Quando lui apprende che siamo italiani, comincia a raccontarci la storia della sua vita e delle sue origini siciliane. Dell’Italia porta ancora il ricordo nel nome: Fioravante. Appare contento di averci incontrato e soprattutto di dialogare con me e Anna.

Interrompiamo la conversazione all’ultima chiamata di Emilio che la carne è pronta.

Cena ottima: le t-bone comprate al market di Outijo si rivelano particolarmente gustose e le verdure crude, dopo giorni di astinenza per ovvi motivi, sono apprezzate da tutti.

Alla sera, di corsa, alla pozza artificiale illuminata durante la notte: una ventina di elefanti dopo essersi abbondantemente abbeverati se ne tornano indietro da dove erano venuti. La lentezza dei passi pesanti e la maestosità della mole dei corpi richiama alla mente una migrazione di biblica memoria.

11° GIORNO domenica24 giugno Parco nazionale Etosha da Okaukuejo a Namutoni – 170 km Partiamo di buonora per Namutoni, situato nella parte est della riserva.

Ciò che incanta sempre è la distesa sconfinata degli spazi, in cui i colori contrastanti della vegetazione si mescolano, acquistando sfumature diverse esaltate dalla luce del giorno. Lungo strada, seguendo piste in terra battuta, cerchiamo di raggiungere le varie pozze segnate sulla mappa che ho conservato dello scorso anno, alla ricerca di gruppi di elefanti e di altri erbivori in continuo movimento. Lo spostamento è abbastanza monotono: non si può uscire dall’abitacolo dell’auto se non nelle poche aree consentite. Nel primo pomeriggio, dopo la consumazione di un pasto frugale, seguiamo l’esempio di alcune auto ferme lungo il bordo della strada. Ad una trentina di metri da noi, in una radura, alcuni leoni sono accovacciati sotto alberi di acacia. Il leone maschio se ne sta da solo quasi in solitudine pretesa, mentre due leonesse con i cuccioli si riposano all’ombra, poco lontano.

Non mostrano segni di movimento, decidiamo di arrivare a Namutoni per la sistemazione, con il preciso intento di tornare più tardi nello stesso luogo dove abbiamo sostato un po’ di tempo nella speranza delusa che il gruppo di felini si avvicinasse alla strada o comunque si muovesse.

A Namutoni troviamo piena attività di lavori in svolgimento: i chalet che abbiamo lasciato lo scorso anno sono in fase di rinnovamento e trasformazione, per la maggior parte sono diventati camere doppie.

Ognuno è preceduto da una specie di vestibolo costituito da una alta palizzata, da cui si accede attraverso una porta a vetri alla stanza arredata con un gusto da far invidia a qualsiasi architetto europeo. I letti singoli sono forniti di una testiera in pelle marron scuro, con cui contrastano i piumini lisci e candidi, come le pareti, che poggiano sopra di essi. Sopra i letti, appesi al muro, due ceste tipicamente locali, racchiuse in una larga cornice di legno scuro. Di fronte alla parete di entrata sul lato corto della stanza, il muro lascia due aperture laterali: una è chiusa da un vetro e l’altra per ora si presenta completamente libera; da qui si accede alla stanza da bagno. Sulla destra una grande vasca confina con la porta a vetri, in corrispondenza della parete interna due lavabi molto larghi poggiano su una struttura in muratura molto essenziale. Il bagno dà verso l’esterno attraverso una porta a vetri, dove una palizzata crea uno spazio ad emiciclo in consonanza con quello antistante la porta d’ingresso. Il pavimento della stanza è in cemento trattato, mentre quello del bagno in Godiamo della fortuna di essere i primi ospiti di questa struttura talmente nuova che non ha ancora l’ allacciamento dell’acqua calda: i 100 anni dell’Etosha si festeggiano alla grande.

Alla sera consumiamo la cena al ristorante. Anche quest’anno la waterhole illuminata di notte non ci riserva grandi sorprese: solo qualche uccello arriva per l’abbeverata notturna.

12° GIORNO lunedì 25 giugno dal parco nazionale Etosha a Caprivi strip – 620 km Da Namutoni si viaggia per 36 km sulla C38, dopodiché si prosegue verso sud sulla B1 fino a Tsumeb. Nella ricca cittadina mineraria facciamo una sosta programmata già dall’Italia in un negozio da noi scoperto lo scorso anno seguendo le indicazioni della Lonely planet, Handcraftscentre, gestito da una simpatica signora tedesca. Qui si trovano parecchi oggetti di artigianato locale, ma le cose più interessanti sono, a nostro avviso, le tovaglie coloratissime con dipinti gli animali africani. Si tratta di lavori commissionati dalla signora tedesca a donne del luogo: li trovo bellissimi.

Entriamo anche in un negozio gestito da tedeschi già visitato lo scorso anno: Emilio e Walter comprano due cappelli, mentre io degli aghi di istrice. La cittadina, famosa per l’industria estrattiva che dà lavoro ai suoi abitanti, gode di un certo benessere ben visibile percorrendo la via principale: la presenza di alcune banche in un breve tratto di strada, un giardino pubblico ben tenuto, persone curate nell’abbigliamento ci parla di una zona ricca della Namibia, a differenza di altre parti.

Riprendiamo il nostro viaggio proseguendo sulla C42 fino a Grootfontein e poi continuando in direzione nord per Rundu. Prima di arrivare a Rundu, ci fermiamo attirati dagli oggetti che un locale offre in mostra nella sua povera bancarella: si tratta di jeeps, elicotteri, aerei da lui costruiti con mirabile perizia in legno.

Mentre siamo lì a guardare, appare la moglie con uno stuolo di bambini di tutte le età che ci circondano: i più grandi ci chiedono penne e quaderni, i più piccoli sweets. Paghi dei nostri acquisti, arriviamo al Ndhovu Safari lodge verso le 5 p.M. Il campo si trova nel Caprivi Strip, quella contestata striscia di terra lunga 480 km e larga che si incunea tra la Botswana, l’Angola e lo Zambia e deve il suo nome al cancelliere tedesco, il conte Caprivi, che alla fine dell’800 ottenne la cessione dalla Gran Bretagna, quando la Namibia era colonia tedesca. Il paesaggio è prevalentemente piatto ad eccezione di qualche bassa altura coperta di vegetazione. La vicinanza di grandi fiumi come l’Okawango e il Kwando,che incontreremo in Botswana con il nome di Chobe, rende questa parte del paese particolarmente ricca di vegetazione.

La luce del giorno si sta affievolendo, il sole è in fase calante. La struttura è costruita ai bordi del fiume Okawango. Da una piattaforma in legno che si protende verso il fiume avvistiamo un gruppo di ippopotami che si sollazzano su un isolotto in mezzo al fiume. L’ambiente, lontano dalle mete più turistiche, dà l’immagine di un’Africa inaspettata, la flora e la fauna appaiono intorno rigogliose e abbondanti per la presenza d’acqua, davanti al nostro campo al di là del fiume si estende la Caprivi riserve. Questa parte della Namibia, lungo il confine con la Botswana, è conosciuta come terra dei Boscimani o uomini del bush, antichi abitanti nomadi dell’Africa, organizzati in tribù che si spostavano continuamente alla ricerca di animali da cacciare e di piante commestibili. Anche se alcuni gruppi hanno mantenuto quasi immutate alcune abitudini di vita, non praticano più il nomadismo e hanno scelto forme di vita stanziale.

Prima di cena facciamo conoscenza con due tedeschi, marito e moglie, ospiti del campo. Lui è ingegnere meccanico di Aachen, che lavora per la cooperazione internazionale. Ci spiega che il prossimo progetto in atto consiste nell’insegnare un lavoro agli ultimi bushmen in Namibia.

Sono qui in vacanza, conoscono bene l’Africa, ora vengono dallo Zambia. A cena si unisce a noi il manager del lodge, un sudafricano di Città del Capo e un aiutante che vive al campo da tre mesi.

La serata è piacevolissima: i due tedeschi conoscono bene l’Italia, in particolare il Tirolo, parecchie città del Veneto e il lago di Garda. Ci parlano molto bene dello Zambia, sia sotto il profilo della stabilità politica e della natura: pensiamo subito che potrebbe rientrare nelle nostre future mete. 13° GIORNO martedì 26 giugno Caprivi strip Di buonora, come al solito, si parte per un safari drive accompagnati dall’aiutante del manager all’interno di una riserva governativa. Il luogo è particolarmente ameno con una grande varietà di fauna. Avvistiamo antilopi, elefanti, ippopotami, facoceri e zebre. Seguiamo il fiume Okawango in alcuni bracci paralleli al corso principale, dove si impaluda. Al pomeriggio, ci riposiamo dopo un pasto veloce consumato al campo, beandoci della vista del fiume. Gli ippopotami dormono tranquilli sull’isola antistante le nostre tende. Tutta la notte hanno pesantemente rumoreggiato, chiamandosi. Ad un certo punto della notte sono stata presa dal panico, perché li ho sentiti particolarmente vicini sull’erba antistante le nostre tende; l’indomani mattina quello che poteva essere un incubo notturno si è rivelato nella sua nuda realtà: l’erba intorno alle tende da noi occupate era stata strappata. Esperienza africana indimenticabile che mi ha tenuto abbastanza desta . Verso le 5 del pomeriggio facciamo una gita in barca accompagnati dal padrone. Lungo il fiume passiamo vicino agli ippopotami che sguazzano divertiti in mezzo all’acqua. Credo che questa sia l’ora più bella e affascinante della giornata soprattutto per i colori e la luce, “ l’ora che volge il disio ai naviganti e intenerisce il core”.

La mente è sgombra da ogni pensiero e si lascia guidare dallo sguardo che si riempie di meraviglie: su un isolotto in mezzo al fiume due ragazzi approdano con una canoa. Uno taglia le canne palustri che poi ordina in fasci, l’altro pesca, entrando nelle acque del fiume, noncurante degli ippopotami che si sollazzano a pochi metri di distanza. Lo scenario è unico. Avvistiamo da lontano sulla riva opposta un bufalo: ci avviciniamo. Stava per accingersi a bere in un tratto del fiume dove la costa si presenta bassa e sabbiosa. Si sente disturbato e ci sfida con uno sguardo torvo, pronto all’attacco. E’un bestione, uno dei cinque big games. Non l’avevo mai visto così da vicino. Proseguiamo la nostra gita scorrendo lentamente sulle acque del fiume, due varani grossi e lunghi si riscaldano sulle rocce al sole. Fanno un tutt’uno con le pietre circostanti che nessuno di noi se ne sarebbe accorto senza l’indicazione dell’occhio esperto della guida.

Il sole sta scendendo, come sempre in fretta, lo skyline si presenta netto e definito da una luce che colora il cielo a fasce, dal violetto al rosa e all’azzurro sfumato. Chiediamo alla guida, nonché gestore del campo, se ha bisogno di lavoratori presso il logde: noi siamo disposti ad offrire le nostre braccia no charge, Sulla via del ritorno, incontriamo un coccodrillo steso tranquillamente a riva, sulla sabbia ancora calda. In lontananza un gruppo di elefanti è in spostamento nella Caprivi reserve che occupa la stretta fascia della Namibia, delimitata per un tratto dal fiume Okawango, prima di entrare in Botswana.

Rientriamo per la cena, soddisfatti e appagati dalle visioni offerte gratuitamente dalla natura.

14° GIORNO mercoledì 27 giugno da Caprivi Strip a Maun in Botswana Arriviamo in poco tempo al confine tra Namibia e Botswana , al posto di controllo sbrighiamo la burocrazia dovuta e ripartiamo diretti a Maun.

Il viaggio prosegue : vedi Botswana



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