Bhutan e Myanmar, tra natura e spiritualità

Travaso di emozioni dal misticismo tibetano in Bhutan ai templi dorati del Myanmar
Scritto da: ziorico45
bhutan e myanmar, tra natura e spiritualità
Partenza il: 01/10/2019
Ritorno il: 02/11/2019
Viaggiatori: 2
Spesa: 4000 €

VIAGGIO IN BHUTAN E MYANMAR ottobre 2019

Visitammo il Tibet nel 2013, e ne rimanemmo affascinati, dalla cultura, dalla religiosità, dalla natura incontaminata, anche se purtroppo, dopo l’occupazione da parte della Cina nel 1956, la conseguente fuga del Dalai Lama, tutto il Tibet cinese è stato colonizzato, la politica espansionistica di Pechino lo sta trasformando in un mondo completamente diverso dall’originale, con insediamenti, palazzi, strade e industrie.

Di conseguenza se vogliamo reimmergerci in quello che rimane del puro buddhismo tibetano, prima che l’inesorabile progresso se lo inghiotta, decidiamo di visitare il Bhutan. Gli dedicheremo solo 9 giorni, causa l’elevatissimo costo che una visita in Bhutan comporta. Il giovane ed amatissimo sovrano Jigme Khesar Namgyel, ha disposto di finanziare la scuola e la sanità con una tassa sull’ingresso dei turisti. Ogni giorno di soggiorno costa minimo 250 US$, (se si è almeno in 3, per 2 persone la tariffa è superiore) che comprende: vitto, alloggio, guida, autista e ingressi ai siti, il rimanente va allo stato. Le porte al turismo sono state aperte nel 1974. Il “progresso” viene assimilato a minuscole dosi.

Contattiamo 3 agenzie bhutanesi, poi scegliamo la “Gawaling tours and Tracks”, per organizzarci tour e procurarci il visto, che viene rilasciato solo dopo aver effettuato il bonifico a saldo. Con la Gawaling Tours pianifichiamo il programma, chiediamo loro di prenotarci i voli da Bangkok a Paro e ritorno, ma ci rispondono che ce ne dobbiamo occupare noi. Vi sono solo 2 compagnie aeree bhutanesi che collegano il Bhutan con il mondo esterno, riusciamo a prenotare con Bhutan Airways. Quindi 9 giorni in Bhutan e poi ce ne andremo a fare un giro in Myanmar (ex Birmania), per altre 3 settimane.

Si decolla con la Turkish da Bologna il 1° ottobre 2019, transitiamo a Istanbul, per la prima volta nel nuovo, immenso e moderno aeroporto Havalimani. Proseguiamo per Bangkok, giungiamo al mattino alle ore 7,30, ci sarebbe il tempo per andare a fare un giro in centro, ma siamo stanchi e fa caldo, ce ne andiamo in albergo per farci una bella nanna e riposare. A Bangkok ci siamo passati altre 2 volte, parecchi anni fa.

Giovedì 3-10-2019

Levataccia alle 3, shuttle alle 4 per l’aeroporto. Decollo alle 6,30, sul volo capito di fianco ad un ragazzo bhutanese che vive con la moglie ed una figlia di 9 anni a Perth in Australia, dove studia e lavora, ci facciamo una bella chiacchierata su Australia e Bhutan (purtroppo è tornato per il funerale della madre). E’ orgoglioso di decantarmi le virtù del suo paese: in cui è vietato fumare, non esistono semafori, non si usano sostanze chimiche in agricoltura, grande rispetto (secondo i dettami buddhisti) verso l’ambiente e gli animali

Suggestiva la parte finale del volo, quando il velivolo scende sotto le nuvole, che fortunatamente si diradano, vediamo alcune altissime cime innevate dell’Himalaya. Poi la parte finale della discesa, quando l’aereo si incunea in canaloni dove sembra che le estremità delle ali debbano sfiorare i boschi che coprono le montagne. Atterriamo nella assolata valle contornata dalle montagne. Bellissimi gli edifici dell’aeroporto in stile bhutanese, tutti vivacemente decorati. All’uscita del terminal ci sono ad accoglierci: Nima, la guida e Jimy l’autista, indossano entrambi il tradizionale”gho” una blusa incrociata davanti, alti polsini di un candido bianco risaltano, sotto una sottana che copre il ginocchio con calzettoni neri, constateremo successivamente che la maggior parte dei bhutanesi indossa costumi tradizionali quotidianamente. La stoffa è di cotone scozzese, le tinte comprendono il marrone, nero, rosso e beige.

Il programma prevede la visita di Paro al ritorno, quindi saliamo su una nuova e comoda berlina e ci dirigiamo verso nord-est direzione Thimphu, la capitale che dista una cinquantina di km. Dopo circa 5 km ci fermiamo a visitare il “Tamchhog Lhakhang”, un piccolo tempio privato risalente al XIV° secolo, costruito su un costone, che si raggiunge attraversando il Pa-Chu River su di un ponte tibetano, le cui fiancate sono completamente coperte da “bandiere di preghiera”. All’entrata nell’unica stanza vi sono innumerevoli minuscoli stupa di terracotta, posati dai fedeli per richiedere le grazie. Saliamo al piano superiore, le pareti della stanza sono dipinte, un bel mandala sul soffitto. Giungiamo nella capitale Thimphu, i nostri accompagnatori ci lasciano all’Hotel Bhutan, ci riposiamo un po’, alle 12 vengono a riprenderci, Visitiamo il National memorial Chorten, uno stupa costruito nel 1974 in memoria del terzo re Jigme Dorji Wangechuck, deceduto nel ’72, un vero gioiello di bellezza in stile tibetano, intonacato di immacolata calce bianca e ornamenti dorati, attorniato da un verde prato. Visitiamo l’interno, con figure di personaggi divini, diverse file di 7 ciotole colme d’acqua, rappresentano ciò che si offre all’ospite. All’esterno, sul lato sinistro vi è una costruzione che ospita alcune grandi ruote di preghiera, seduti sul pavimento sostano a tutte le ore i devoti fedeli.

Salendo sulla montagna, raggiungiamo il piazzale su cui è disposta la statua del Buddha Dordenma (Buddha del futuro) una enorme fusione in bronzo alta 50 metri, al cui interno ospita altre 150.000 copie in miniatura. Di recente costruzione. Seduto, in elegante postura del loto, dall’alto domina la città. Ci portano a visitare la “Jungshi Handmade Paper Factory“ una tradizionale cartiera, all’esterno vi è una grande vasca divisa in 3 parti, vengono immerse cortecce e fogliame di “daphne” una particolare pianta, lasciate a macerare, alcune donne nell’ultima vasca raccolgono la poltiglia, la strizzano e successivamente questa poltiglia viene cotta in un calderone con fuoco alla base. Molto interessanti all’interno le varie procedure, si raccolgono le fibre tramite delle reti di fini canne di bambù depositate in pile, sotto le presse viene tolta l’acqua, infine stese su delle lamiere inclinate all’interno delle quali un bruciatore emana calore, tra le fibre si notano fili d’erba verde. E’ una carta particolare, robusta, usata per copertine di libretti, buste e tanti altri pregevoli articoli. Passiamo a visitare un’altra bottega dove con degli arcaici telai alcune donne tessono pregevoli tessuti di seta decorata. Ci fermiamo al campo del tiro con l’arco (sport nazionale). Incredibile! dalla distanza di 120 metri, colpiscono un bersaglio alto circa un metro e largo una trentina di centimetri. Visitiamo un grande e coloratissimo mercato della frutta, verdura cereali. I nostri accompagnatori abitano in questa città, se ne tornano a casa. Noi passeggiamo per il centro, diamo un’occhiata ai negozi di artigianato. Come detto, il Bhutan è l’unica nazione in cui non esistono semafori, agli incroci ci sono i vigili a dirigere il traffico, ci fermiamo presso un incrocio centrale dove un vigile ci fa morir dal ridere gesticolando come in una rap dance. Ottima cena in albergo, ci servono il doppio del nostro fabbisogno. Chiediamo moderazione con le spezie, ma per quanto ci raccomandiamo, nella padella ne cadono sempre più del dovuto per il nostro palato.

Venerdì 4-10-2019

Si parte alle 9 direzione est, incontriamo un posto di controllo, dove viene richiesto il permesso per entrare nel Bhutan Centrale. Saliamo fino al DochuLa Pass (3140 mt). Peccato le nuvole ci nascondano l’orizzonte che comprende diverse cime superiori ai 6000 e 7000 metri. Su una collinetta a forma semisferica sono stati costruiti 108 piccoli “chorten” (piccole costruzioni che custodiscono reliquie e offerte) disposti in cerchi concentrici, sono cellette quadrate intonacate di colore bianco, con tetto di pietre grige. il complesso di chorten è stato costruito nel 2005 come atto di espiazione per la perdita di vite umane causato dallo sconfinamento di militari indipendentisti, la nostra guida ci dice che le armi usate in quel funesto scontro siano state sepolte all’interno di queste costruzioni. Saliamo sulla collina sovrastante, nel bosco sono situate alcune minuscole grotte in muratura con soffitto a volta, sono a disposizione di chi voglia sostare in meditazione. Ci fermiamo per un caffè in un locale, tipo rifugio di montagna. Il percorso scende e dopo circa una settantina di km da Thimphu raggiungiamo Punaka, cittadina all’inizio del Bhutan Centrale. La valle è ampiamente coltivata a riso, a terrazzamenti, di vari colori, quello più giallo è in fase di mietitura, quello più verde sta maturando. Lasciamo l’auto presso il villaggio Sopsokha, sulle cui pareti delle abitazioni sono dipinti grandi falli, incontriamo negozi che espongono falli in legno o plastica di tutte le dimensioni e colori. Si dice che il “bizzarro” monaco tibetano Drukpa Kunley, soprannominato“il folle Divino” nel 15° secolo predicasse in Bhutan che si potesse raggiungere l’illuminazione conducendo un’animata vita sessuale. Da quel tempo sulle facciate delle case vengono dipinti enormi falli, in fase eiaculativa, ai quali vengono attribuite facoltà fecondative e di salvaguardia dagli spiriti maligni. Percorrendo un seniero attraverso le risaie raggiungiamo su una collinetta il Chimi Lhakhang, tempio della fertilità, costruito nel 1500. Si dice che qui il monaco Drukpa Kunley abbia fulminato una diavolessa con il suo “magico fulmine di salvezza”. Viene tuttora conservato in questo monastero il fallo di legno con manico guarnito in argento, portato dal monaco fin qua dal Tibet. Le donne sterili si recano in questo tempio per ricevere la benedizione. Siamo in mezzo ai pellegrini in visita, ci invitano a chinare il capo, con 2 falli in legno ed un ramo biforcuto avvolti in un panno, ce li battono sul capo. Un monaco benedice una donna, le pone tra le braccia il famoso fallo in legno, la invita a fare 3 giri attorno al tempio in senso orario.

A dimostrazione della veridicità delle facoltà fecondative di questo luogo, un monaco ci mostra un libretto con foto di coppie con bambini, contiene anche una dedica di ringraziamento in italiano.

Nella valle di Punakha confluiscono i 2 fiumi “Mo Chhu” fiume Femmina e il “Pho Chhu” fiume Maschio, dando nome al fiume riunito “Puna Tsang Chhu”. Nel vertice della confluenza tra i 2 fiumi è stato edificato il magnifico Punakha Dzong. Sembra una costruzione fiabesca, sicuramente il più bello di tutto il Bhutan. Alte e imponenti mura bianche, elaborate decorazioni in legno di color oro, rosso e nero. Immenso, lambito sul frontale dalle acque del fiume. Vi si accede attraverso un elegante ponte coperto. Dzong significa fortezza, all’interno una parte è dedicata alle funzioni amministrative ed una parte è dedicata al culto religioso. Entrando ci soffermiamo nella parte laica, con ampi cortili, attorniati da possenti mura con finestre decorate.Visitiamo il tempio con grandi dipinti che descrivono tutta la vita del Buddha, dal giovane principe Sidharta, alla illuminazione, alla meditazione durata 6 anni, all’apostolato.

Lasciamo un po’ di cuore in questo magnifico edificio, anche se la parte più affascinante è sicuramente la vista esterna. Ci incamminiamo lungo le stradine che seguono il fiume, attraversiamo il fiume su un bellissimo e lungo ponte tibetano, tutto ricoperto di bandiere di preghiera, è talmente affascinante e suggestivo che tutti si fermano per foto, tanto che è difficoltoso il proseguire. Raggiungiamo l’auto e salendo su stradine sterrate, raggiungiamo su di una collina la casa della famiglia Tenzin Om, che ci ospiterà per la notte. Avevamo fatto richiesta alla agenzia di poter pernottare qualche notte in queste strutture, si tratta di una casa di agricoltori che offrono delle camere tipo B&B. Dalla casa si ha una ampia vista sulla valle e sulle spalle delle montagne circostanti. La pace regna sovrana. La casa esternamente è molto bella, in tipico stile bhutanese, di colore gialla, con decorazioni e disegni di animali mitologici. I telai delle finestre con aperture trifore. All’interno modesta, ma con caldi pavimenti in legno rosso, come in ogni dove ci sono le foto dei regnanti, da una trave del soffitto pendono i ritratti di tutti i 5 re di questa dinastia. Si entra scalzi. Unico disagio, i gabinetti sono all’esterno e poco accoglienti. Alla base della cena: riso rosso cotto al vapore, seguono altre ciotole con patate, varie verdure appena scottate, e della carne di maiale molto grassa. Tutta la carne cucinata in Bhutan proviene dall’India, in quanto la religione buddhista non consente di uccidere alcun animale. Le mucche donano il latte e l’uso del pellame dopo la morte naturale. Ci offrono mele, tè con burro, infine ci offrono dell’acquavite di riso. L’anziana signora serve i commensali. Nima e Jimy siedono sul ,pavimento. Oltre a noi 4, stasera ci sono altre 2 coppie di giovani e simpatici indiani, durante la cena e dopo passiamo una simpatica serata, parlando di viaggi e dei nostri paesi. Agli indiani e bangladesi non viene richiesto il visto e la tassa di soggiorno in Bhutan.

Sabato 5-10-2019

Punakha è situata a circa 1200 mt di altitudine, la temperatura è mite. La casa in cui abbiamo passato la notte è tutta contornata di vasi di fiori, bandiere di preghiera, c’è un caminetto dove ogni mattina vengono bruciate erbe verdi, il fumo che esala, è una offerta alle divinità. Ci sediamo su una panca a mirare la quieta valle, le risaie degradanti verso il fiume, hanno le linee di contorno molto morbide, il miscuglio cromatico, derivante dalla fase di maturazione del riso, che va dal verde al giallo oro, formano un quadro che gli occhi non si stancano di guardare. Colazione con pane, burro, marmellata, thè, frittata e mele. Salutiamo gli altri viaggiatori indiani. Si riparte seguendo il fiume direzione est, poi ci inoltriamo nelle montagne, con strade scavate nel fianco delle montagne e a strapiombo sul fondo, i parapetti quasi inesistenti. Il percorso è talmente tortuoso, che penso in Bhutan non conoscano i rettilinei! Poi prendiamo direzione sud per raggiungere la Phobjikha Valley. Saliamo ancora un poco, improvvisamente troviamo al centro della strada un grande stupa, attorniato come sempre da innumerevoli bandiere di preghiera. Da qui scendiamo ci incamminiamo giù verso la valle, ma comincia piovere. Continuiamo la discesa fino a raggiungere la cittadina di Gangtey, dove visitiamo il monastero Gangtey Goemba, siamo al terzo giorno di una settimana di preghiere e pellegrinaggi, incontriamo molti monaci e gente che percorre la “cora”, i giri attorno al tempio in senso orario pronunciando il mantra “Om mani padme hum”. Alcuni scorrono collane, tipo rosari, altri fanno girare le ruote di preghiera, sia quelle installate nelle cripte nei muri, sia quelle con impugnatura da tenere in mano. Entriamo nel tempio (senza scarpe e divieto di fotografare) sui tappeti che coprono l’intero pavimento, tanti fedeli seduti. Tutte le pareti affrescate con disegni raffiguranti la vita di Buddha, statue e altari. Dal soffitto pendono drappi di stoffa colorata. Nima ci spiega alcuni significati e le leggende descritte nei disegni. Un monaco seduto su un grande cuscino enuncia con una cantilena armoniosa il mantra senza fine, amplificato da altoparlanti sia all’interno che all’esterno. Ritrovarsi in questi ambienti, con questi odori, con questi canti, con questa gente in preghiera ti da una forte sensazione di estraniazione.

Ci incamminiamo per percorre a piedi un largo giro della valle. Attraversiamo prati, boschi, ruscelli, incontriamo mucche e cavalli al pascolo. Notiamo folti gruppi di alte bandiere bianche, vengono issate dai parenti dei defunti in modo che le preghiere portate dal vento rechino benefici nella vita ultraterrena. Raggiungiamo il Wangchut Lodge, un piccolo lodge fuori dal paese, con una ampia vetrata che da sulla magnifica valle. Ci troviamo a circa 2800 metri, fa freddo. Usciamo per una passeggiata, raggiungiamo il “Black-Necked Crane Centre” centro per la preservazione della gru dal collo nero, un piccolo museo con sala di proiezione, vediamo un documentario su questo animale. In una gabbia all’esterno si trova una gru, ha perso un’ala, quindi non può più volare. Acquistiamo una bottiglia da mezzo litro di vino “Takin” ce la beviamo a cena, aroma e sapore di un altro mondo!

Domenica 6-10-2019

Oggi trasferimento verso est, verso la regione del Bumthang. L’intero percorso su strade montane, con il fondo a tratti ottimo, altri pessimi, strada molto stretta ridossata a rocce con frane, dove ad ogni incrocio di veicoli sorgono difficoltà. Raggiungiamo il PeleLa Pass (mt 3420) ci fermiamo un attimo, appena il tempo di capire che non merita la sosta. Ora la strada scende. Ci fermiamo ad ammirare lo Chendebji Chorten, uno splendido stupa in stile nepalese. In pietre e malta bianche. Nima ci racconta che in questa zona vi sono 3 montagne attorno alle quali stazionavano degli spiriti demoniaci che impregnavano di energia negativa, per equilibrare o meglio sovvertire questi flussi con energia positiva fu costruito questo stupa. Troviamo parecchi fedeli in preghiera, ne vediamo alcuni esibirsi nelle prostrazioni, che in Bhutan contrariamente al Tibet non avevamo ancora visto. Raggiungiamo Trongsa, ci fermiamo per un tè ed uno snack dalla zia di Nima, il locale Dzong lo visiteremo al ritorno, oggi ci limitiamo a fotografarlo dall’esterno, maestoso si erge fra i boschi. Si risale fino a raggiungere il passo Yotong La Pass mt 3425. Ci fermiamo per qualche foto, anche se le nuvole riducono la visibilità. Da sopra un costone ci giungono delle voci e canti, sale del fumo, salgo per curiosare, un grande gruppo di persone, evidentemente alcune famiglie, ci sono pure 3 monaci con le tuniche amaranto, stanno pranzando seduti attorno a tanti tegami con diversi tipi di cibo, chiedo di poter riprendere la coloratissima scena, acconsentono e mi invitano a mangiare con loro, accetto, prendo del riso, alcune verdure, patate, evito i cibi con il rosso chilli. Insistono perché mi serva ulteriormente, mi chiedono se sono vegano, ridono quando mi siedo e anziché incrociare le gambe, le distendo. Poi mi offrono quello che loro chiamano “vine” ma che in effetti è un’acquavite distillato di riso, prima di versarmelo nella tazza, una ragazza mi chiede se sono cattolico, rispondo di non essere religioso, allora la ragazza alza le spalle, ne versa alcune gocce in un calice sotto ad una piccola statua su un altarino che loro hanno improvvisato, poi alcune gocce in un calice posto più in basso, infine me ne versa nella tazza, rimango ancora un po’ con loro quindi ringrazio e saluto, corrispondono calorosamente. Veramente amichevoli. Di fianco su un falò ardono rami e foglie verdi, bruciando rilasciano un gran fumo, che il vento trasporta in omaggio alle divinità. Oltre il passo ci troviamo nella regione centrale del Bumthang. Scendiamo nuovamente, fino a raggiungere Jakar. Facciamo un giro per la caratteristica cittadina, belle case decorate, qualche piccolo acquisto. Molto grande e molto bello il Wangcholing Resort. Facciata decorata, bel giardino, con rose e zigne in fiore, non mancano i gerani ai davanzali. Nell’ampia stanza troviamo una stufa a legna accesa ed un radiatore elettrico. Siamo sui 2500 mt di altitudine, fuori fa freddo ma all’interno c’è un confortevole calduccio. In tutti gli alberghi troviamo la connessione ad internet più o meno potente, ma da quando siamo in Bhutan la uso solo per poter parlare con i figli o inviare foto agli amici, ho deciso di non contaminarmi con alcuna notizia proveniente dall’occidente, niente notizie di cronaca, politiche né sportive, non chiedo neppure informazioni in azienda, ma stasera facciamo una eccezione, ci connettiamo per seguire la partita di nostro figlio, ci riusciamo solo in parte (vincono 4-3).

Lunedì 7-10-2019 Jakar

Guru Rimpoche, (Padmasambhava), considerato anche il Secondo Buddha. Secondo la mitologia buddhista, si dice fosse un santone capace di trasformarsi in 8 forme diverse, che abbia visitato il Bhutan a cavallo di una tigre (sua moglie trasformata in tigre). In diversi luoghi in cui si aggiravano spiriti maligni, Guru Rimpoche veniva, si ritirava in meditazione per poi convertire al buddhismo questi spiriti, oppure a fondare templi. Visitò la regione del Bumthang nel 746 d.C. Oggi visitiamo alcuni templi (Lhakhang) a lui dedicati.

Saliamo fino a raggiungere il costone dove si trova il Jakar Dzong (Castello dell’uccello bianco). Si dice che mentre si stava decidendo dove costruire questo castello, si alzò in volo un grande uccello bianco e si posò su questo costone, quindi si decise che quella era la sede giusta. Si era nel 1549. Di lassù si ha un’ampia vista sulla valle del Chokkor, solcata dal fiume Bumthang Chuu (chuu significa fiume). Su molti dei tetti delle case si può notare una macchia rossa, è il chilli, peperoncino rosso messo ad essiccare. Entriamo nella fortezza, ma si possono vedere solo alcuni cortili del lato amministrativo, passiamo nella ala religiosa, in un piccolo tempio è in corso una funzione religiosa, entriamo, possiamo sederci sul pavimento in disparte ed assistiamo. Su 2 file di tappeti sono seduti diversi monaci, alcuni dei quali bambini. Sei di sinistra e sei di destra reggono in mano la lunga impugnatura dei tamburi eretti, nell’altra mano reggono i percussori fatti da rami ricurvi della forma di una falce. Un officiante salmodia con voce gutturale i versi sacri, gli altri rispondono cantilenando e percuotendo i tamburi, un altro officiante rotea una bandiera. Fa uno strano effetto trovarsi in queste inusuali situazioni. Sei nato e vissuto troppo lontano per ritrovartici, questo è tutt’un’altro mondo!!

Lasciamo la fortezza per visitare il Jampey Lhakhang, costruito nel 659 dal re tibetano Songsten Gampo si dice che Guru Rimpoche lo abbia visitato, infatti viene raffigurato con varie sue statue. Ci incamminiamo a piedi attraverso terreni coltivati, ci fermiamo a salutare una signora che sta falciando l’erba, ci permette di fotografarla, salutiamo e ringraziamo con “cadincè”. Nima ci indica la pianta dell’hashish, che cresce liberamente ogni dove. Dopo una mezz’ora di cammino raggiungiamo lo splendido Kurjey Lhakhang, circondato dal verde, si compone di 3 templi, tutti armoniosi, in uno vi si trova la caverna dove Guru Rimpoche si fermò in meditazione, infatti è ovunque raffigurato con varie statue intercalate con quelle del Buddha e di altri maestri, tanti altari, innumerevoli statuine, tessuti colorati, colonne dipinte, si trovano sempre le 7 tazze colme d’acqua che rappresentano i doni che si offrono agli ospiti: acqua, riso, collane di fiori ed altro. Ci rechiamo a visitare il Tamshing Lhakhang, entriamo nel cortile, un gruppo di monaci sta provando le danze con tamburi per lo “tsechu” (festival) di domani. Scena molto pittoresca e suggestiva. Ci soffermiamo a guardare. Torneremo domani per assistere allo tsechu. (festival di danze)

Passiamo a visitare il superbo tempio Kencho Swm, di recente costruzione, all’interno è una esplosione di disegni e colori su tutte le pareti e colonne, saliamo sulla galleria che gira attorno a tutto il tempio, un vero peccato non si possa fotografare. Capita che a volte durante le visite ai templi i monaci ci offrono dell’acqua versata da un’anfora metallica sormontata da delle piume (bumpa), è acqua mista a zafferano, benedetta, ne beviamo un piccolo sorso, quindi ci passiamo le mani sui capelli per aprire la mente, sugli occhi, infine sul collo per liberare la voce. Visitiamo velocemente il tempio Karchung Dratshang. Oggi facciamo il pieno di templi.

Saliamo lungo strade di montagna, fino al piccolo Burning Lake, dove si dice che Guru Rimpoche si sia tuffato con una lampada in mano, quando riemerse la lampada fosse ancora accesa. Un corso d’acqua impetuoso scorre fra rocce, un luogo selvaggio.

Martedì 8-10-2019

Spioviggina e cielo grigio. Ci rechiamo al tempio Tamshing Lhakhang per assistere al festival (Tsechu) Nel primo cortile del tempio lastricato di grandi pietre squadrate vi sono grandi pozzanghere, piove a tratti, numeroso pubblico di turisti e cittadini locali, anche parecchi monaci. Entrano in campo 5 personaggi mascherati come dei clown, il loro spettacolo è divertente, uno di loro con una maschera nera e baffi color stoppa, ha legato in vita un grande fallo di legno che lo fa dondolare in ogni direzione, un altro personaggio indossa una maschera rossa con corna, si presume rappresenti un demone, un’altra maschera con viso bianco femminile. La rappresentazione è esplicitamente a tema sessuale, nelle varie forme. Successivamente si esibisce un gruppo di ragazze vestite elegantemente nel loro “kira” verde, danzano graziosamente in circolo cantando una delicata canzone. Seguono altre danze con maschere di draghi e animali, con costumi caratteristici dai colori vivaci. Pittoresco l’ultimo ballo cui assistiamo, quindici danzatori con maschere di animali, un corpettino sulle spalle ed un’ampia gonna a molti strati gialla, in mano reggono

Un bastoncino colorato. Si dice che Guru Rimpoche fosse solito convertire chi si opponeva al buddhismo praticando dei rituali cantando dei mantra ed infine eseguendo delle danze per conquistare il favore delle divinità e degli spiriti, da cui hanno origine I festival danzanti che spesso rappresentano le 8 manifestazioni che Guru Rimpoche era in grado di assumere.

Ce ne dobbiamo andare ci attende una lunga strada in cattive condizioni per tornare a Punakha, infatti piovendo i tratti sterrati sono veri pantani, ci sono anche colate di fango dalle pareti che occupano fortunatamente solo in parte la carreggiata. Smette di piovere, ma c’è da fare anche gli slalom fra le mucche che transitano. Giungiamo a Trongsa, visitiamo il Trongsa Dzong, robusta fortezza, entriamo nel tempio, non molto interessante, piuttosto spoglio.

Passiamo nei pressi di un campo di tiro con l’arco, ci fermiamo, alcuni arcieri disputano un torneo con archi tradizionali. Torniamo al negozietto della zia di Nima, le aveva ordinato una pizza telefonando, impasto di pizza con verdure, copertura di formaggio fuso, buona. Ripartiamo, i kilometri non sono molti, ma la media oraria bassina. Giungiamo a Punakha che è buio, ci dev’essere una festa poiché lungo la strada ci sono molte auto parcheggiate, nugoli di persone camminano, traffico rallentato. Prendiamo la strada sterrata piena di pozzanghere e fango che conduce alla family farm della famiglia Tenzin Om, dove avevamo pernottato alcuni giorni fa, per fare la salitina che porta alla casa, devono spingere, causa il fango che fa slittare le ruote. Cena con l’anziana nonna di casa, il nostro autista Jimy stasera lamenta mal di denti, Patrizia gli da della Tachipirina.

Mercoledì 9-10-2019 Thimphu

Oggi tempo variabile. Colazione e via verso Thimphu, questa parte di tracciato è molto migliore. Durante il viaggio, chiediamo a Nima di farci ascoltare alcune canzoni bhutanesi che ha sul cellulare, sono canzoni melodiose. Giungiamo nella capitale, ci rechiamo subito al sontuoso e splendente “Trashi Chhoe Dzong” ma raggiungerlo oggi è impresa ardua, è il terzo ed ultimo giorno del famoso festival di Thimphu che ha sede nelle adiacenze dello “Dzong”, decine di migliaia di persone si stanno dirigendo nella nostra stessa direzione.

Visitiamo la parte amministrativa, molto bella e ben tenuta, in questo settore del castello ha sede anche un ufficio del sovrano, che è stato incoronato qui nel 2008. Entriamo nel bellissimo tempio, sull’altare centrale una grande statua del Buddha, sul lato sinistro una piccola statua di Guru Rimpoche, sulla destra un’altra divinità. Ma il piatto forte di oggi è il Festival di Thimphu, ci spostiamo nella adiacente arena, procediamo tra una marea di gente in cammino, tutte le ragazze elegantissime nel tradizionale “kira”, gli uomini il “go”, ma come accade sempre quando visitano un palazzo o tempio importante gli uomini aggiungono un grande telo bianco, tipo sciarpa che passa sulla spalla sinistra e cade sulla gamba destra, direi tipo senatori romani. Si entra nella ampia arena con gradinate tutto intorno, è stracolma, il pubblico viene fatto entrare poco alla volta, molti spettatori siedono per terra, riusciamo a trovare spazio sui gradoni. Sono le ore 12, lo spettacolo è iniziato alle 10. La scena è occupata da 5 personaggi comici, di cui uno tiene in mano un fallo in legno scolpito e decorato, si direbbero dei capicomico, infatti dispongono di un microfono che usano per battute che fanno ridere il pubblico. Entrano nell’arena un gruppo di ragazze danzano e cantano una soave melodia, poi rientreranno in scena e danzeranno con un gruppo di ragazzi, anche loro in costume tradizionale. Ma l’ultimo spettacolo, il più spettacolare ed anche il più significativo, almeno per quanto abbiamo potuto capire: entrano a coppie i danzatori con corpetto sopra, ampia gonna a vari strati di colore giallo, sono scalzi, sul volto indossano una maschera che raffigura vari animali, entrano tutti, sono 20 danzatori, rappresentano i peccati e le virtù degli umani. Entra in campo un alto personaggio vestito di nero con ampia piuma sull’elmo, dovrebbe rappresentare colui che accompagna i morti cattivi all’inferno, infatti quando entra in scena un altro personaggio dal viso nero, rappresentante l’anima del uomo malvagio, cerca di scappare per sottrarsi all’inferno, viene rincorso e riportato al centro della scena, si lamenta, ma ormai il giudice lo ha condannato. Successivamente entra in scena un personaggio tutto vestito di bianco dalle sembianze femminili, è il traghettatore delle anime buone verso il paradiso. Dall’alto scende lungo la gradinata verso il centro dell’arena una grande statua di cartapesta sostenuta da 8 monaci, rappresenta il “signore della morte”, colui che giudica chi deve andare all’inferno e chi in paradiso. Ora la scena è veramente eccitante, entrano in campo suonatori, tutti i danzatori, che seguono la statua mentre percorre tutta l’arena. Una voce beffarda e sarcastica sovrasta ogni rumore, come ad ammonire e minacciare. Infine la statua risale in alto vicino al palco dove stanno i suonatori: le lunghe trombe, i tamburi i piatti che scandiscono i ritmi. A questo punto tutti i presenti si mettono in coda per poter passare sotto la statua del giudice, lasciare una offerta e proferire una preghiera, questa processione durerà fino al tramonto. Intanto nell’arena i danzatori ripetono i vari rituali già visti. Spettacolo sontuoso, sicuramente interessante, ma ora diventa ripetitivo, alle 15 usciamo in mezzo alla grande folla. Veniamo riaccompagnati all’hotel Bhutan. Usciamo per recarci al tourist market, una lunga fila di caratteristiche capanne in legno, acquistiamo 4 sciarpe e 2 quaderni di carta fatta a mano. Cena con ottima zuppa di zucca, riso, verdure scottate e patate leggermente piccanti, non ci facciamo mancare la nostra birra “Druk” (drago).

Giovedì 10-10-2019

Oggi ci attende il piatto forte di tutto il viaggio. Lasciamo alle ore 8 la capitale Thimphu, prendiamo direzione ovest verso Paro dove ha sede l’unico aeroporto internazionale. Lo oltrepassiamo per raggiungere la base di partenza per il trecking per il “ Taktshang Goemba” “Tiger’s Nest” nido della tigre, il monastero più famoso di tutto il Bhutan. Si parte dall’altitudine di 2500 metri, mentre il nostro obiettivo si trova a quota 3400.

La giornata è bellissima, il percorso facile, a parte qualche punto fangoso. Esiste un servizio di trasporto con muli, che porta fino alla caffetteria posta a circa metà percorso, parecchi viaggiatori ne approfittano. Siamo circondati da una miriade di turisti indiani, percorriamo parte della salita con una famiglia di indiani con cui intratteniamo una piacevole conversazione. La vista del monastero già dal basso è fantastica, abbarbicato su una alta roccia verticale, ci si chiede come sia stato possibile trasportare i materiali fino lassù? Man mano che si sale l’altitudine si fa sentire con la carenza di ossigeno che ti impone pause sempre più frequenti, fortunatamente ad ogni pausa si può godere di questo incantevole ed impareggiabile panorama himalayano. Arrivi ad un meraviglioso view point a livello del tempio, pensi di essere arrivato, ma a quel punto ti trovi di fronte una lunga e ripida scala che scende, per poi risalire ripidamente, una faticaccia!!!. Con grande sforzo dopo 3 ore di cammino raggiungiamo la mèta. Lasciamo zaini, apparecchiature fotografiche e telefoni in custodia, è severamente proibito fotografare. Ci togliamo le scarpe, a piedi nudi sulle rocce fredde cominciamo la visita degli 8 tempietti che costituiscono questo favoloso monastero. Si dice che Guru Rimpoche che, come abbiamo detto possedeva la facoltà di trasformarsi in 8 differenti aspetti, abbia trasformato sua moglie Yeshe Tshogyel in una tigre volante, cavalcandola raggiunse questo sito. Guru Rimpoche sconfisse e sottomise lo spirito maligno, che qui dimorava, quindi si ritirò in meditazione in una grotta per 3 mesi. A seguito di questi eventi venne edificato il monastero. Nella primo tempio che visitiamo vi è una porta dorata che racchiude la grotta dove si dice meditò Guru Rimpoche e dove dicono abbia lasciato l’impronta del proprio corpo, questa grotta viene aperta una volta all’anno. Tutti questi 8 templi venerano Guru Rimpoche, che viene raffigurato in tutte le 8 sembianze. I monaci ci offrono l’acqua mista a zafferano contenuta nella “bumpa” ci sottoponiamo al rituale, se ne beve un sorso, quindi si passano le mani sul capo, sugli occhi ed infine sulla gola. Vediamo una statua dorata di Buddha, della quale si dice sia stata donata da fedeli thailandesi per questo tempio, per poterla trasportare fino quassù fu smontata a pezzi, mentre la statua veniva trasportata cadde, cadendo parlò. Rimaniamo un’ora a visitare tutti i tempietti ed a mirare il panorama impareggiabile. Impieghiamo 2 ore per il ritorno, compresa la sosta alla caffetteria per un thè. Giungiamo al punto di partenza, c’è un mercatino, acquistiamo un braccialetto. Pernottamento presso l’hotel Khamsum, poco lontano dall’aeroporto. Ci chiedono cosa vogliamo per cena (solo vegetariana) e l’ora in cui vogliamo cenare. Sul banco della reception c’è un cartello che pubblicizza massaggi con pietre calde, io mi prenoto, dopo tanta fatica è riposante e ristoratore.

Venerdì 11-10-2019

Purtroppo tutta la notte orde di cani si sono scontrati abbaiando, ad un certo punto sono uscito sul balcone ed ho cacciato loro un urlo, ma che ha avuto un breve effetto, quindi abbiamo dormito pochissimo. I nostri accompagnatori ci lasciano all’aeroporto, saluti, lasciamo una mancia, ci ringraziamo vicendevolmente, siamo stati molto contenti della guida Nima e dell’autista Jimy. Persone estremamente gentili, competenti nel loro lavoro, ci chiedono di rilasciare una buona referenza su “Trip Advisor”, non mancheremo di farlo.

E’ ora di trarre un bilancio di questa breve esperienza bhutanese. Sicuramente la bellezza naturale delle montagne coperte di foreste, le valli attraversate da fiumi, le risaie, la bellezza dei tanti templi e monasteri, la serena religiosità, la bellezza delle danze cui abbiamo assistito nei magnifici festival, il grande rispetto per la natuta e gli animali, il 70% del suolo è coperto da foreste e verde. Si dice tanto del FIL (Felicità Interna Lorda) che viene anteposta al PIL, si dice che la felicità per i bhutanesi poggi su 4 pilastri: sviluppo sociale ed economico equo e sostenibile, salvaguardia delle tradizioni e cultura, tutela ambientale, garanzia di salute e giustizia. Buongoverno. Ma quello di cui mi sentirei di affermare senza timore di di essere smentito è l’altissimo livello di DDIL: Decoro e Dignità Interne Lorde. Nessuno ci ha mai chiesto qualcosa, gente sempre sorridente, in cerca di un contatto, molti parlano inglese, anche gli anziani. Un paese dove il fumo è fuorilegge.

Decolliamo con un po’ di tristezza. Ritorniamo all’hotel Residence di Bangkok.

Sabato 12-10-2019

Volo Bangkok Airwais fino a Yangoon, siamo in Myanmar. Siamo sprovvisti di visto, no problem pagando $ 50 a persona si ottiene in 30 secondi. Cambiamo in aeroporto. 1 € = 1688 Kyats, 1 $ = 1524 kyats. Prendiamo un taxi per raggiungere la città, allo “G Hotel” che avevamo prenotato da casa. Il taxi ci costa 15000 kyat= € 9. L’hotel è molto buono, depositiamo i bagagli e usciamo, il taxista ci aspetta, sono le ore 15,30 ci fiondiamo alla Shwedagon Pagoda, uno dei siti più sacri del buddhismo. Per entrare bisogna togliersi scarpe e calze. Alta 99 metri, ornata da 27 tonnellate di foglie d’oro, migliaia di diamanti e pietre preziose varie. E’ di una bellezza straordinaria. Tutto il complesso con decine e decine di templi decorati in stile, sale di preghiera. Poco prima del crepuscolo una processione compie 2 volte il giro della pagoda, fedeli in costume, donne in divisa, un Buddha dorato viene portato in processione, poi tutti i fedeli vanno a sedersi in una sala di preghiera e pregano ripetendo le preghiere di un monaco. Al sopraggiungere del buio si inizia ad accendere i ceri tutto attorno alla pagoda, rendendola particolarmente suggestiva. Migliaia di persone inginocchiate o sedute chinandosi pregano. Le ragazze sono bene abbigliate, hanno corpicini esili, fasciati nell’elegante lunga sottana e blusa. Notiamo che molte ragazze hanno in viso dei disegni eseguiti con una crema color giallo oro, “tanakha” (polvere ricavata da legno di tanakha), la notiamo anche su visi di bambini e di ragazzi, ci dicono sia un prodotto di bellezza, ma che difenda anche dal sole e dagli insetti. Il G Hotel offre cucina internazionale, ceniamo con un’ottima vellutata di asparagi e pollo cotto allo spiedo, ottimo. Ci offrono 2 bicchieri di vino rosso. Con l’aiuto di 2 gentilissime ragazze della reception, prenotiamo il bus per dopodomani per recarci a Kyaiktiyo per poi raggiungere la Golden Rock, prenotiamo anche, il “Golden Rock Hotel” sul monte.

Domenica 13-10-2019

In taxi ci facciamo accompagnare alla Chauk Htat Gyi Pagoda, dove sotto un capannone con struttura metallica, giace sdraiato sul fianco destro e con il capo appoggiato sul braccio destro, la magnifica statua di Buddha lunga 65 metri. La placida e serena espressione del viso irradia serenità. Facciamo il giro attorno alla statua, famiglie di fedeli seduti per terra consumano il pranzo. Donne che puliscono il pavimento, fedeli che prelevano acqua da delle vasche e la versano su piccole statue di Buddha o animali raffiguranti elefanti.Vi sono aree di preghiera gremite di donne. Fa molto caldo, penso attorno ai 35 gradi. Raggiungiamo il lago artificiale Kandawgyi, ci sediamo in riva all’acqua su una roccia all’ombra, la temperatura è sopportabile. Passeggiando nel parco vediamo una decoratissima costruzione a forma di nave, vi si sta festeggiando un matrimonio. Le auto in Myanmar guidano a destra, ma stranamente hanno il volante a destra. I Bus extraurbani, hanno la porta a sinistra, verso il centro della strada!! Un trasporto in taxi in città, varia da 3000 a 5000 kyat ( €1.8-3) Ci facciamo accompagnare alla Botatuang Paya (pagoda), mentre stiamo entrando si scatena un nubifragio, all’interno del tempio vi sono delle pensiline, ma che non proteggono completamente, scalzi camminiamo nell’acqua, con rischio di scivolare sui pavimenti marmorei. Entriamo nel tempio principale, ci inoltriamo e percorriamo il corridoio a zigzag le cui pareti sono completamente dorate, incassate nelle pareti si trovano teche contenenti lavori in oro tempestati di diamanti e pietre preziose. Ci sono molti altari con Buddha dorati, sale di preghiera con fedeli (la maggior parte donne) seduti sul pavimento, in preghiera. Fortunatamente smette di piovere, ora però fa caldo umido. Decidiamo di tornare a piedi verso l’hotel. Percorriamo strade povere, dove hanno sede misere capanne e strade completamente occupate al centro da gazebo che offrono cibo di strada. Capitiamo in un grande giardino, molto ben curato, gremito di gente, ci sediamo, delle ragazze chiedono di poter fare delle foto con Patrizia. Rientriamo, stasera cena con pizza, ottima!

Lunedì 14-10-2019

Ci costa 15000 kyat il taxi per condurci alla stazione dei bus, nella zona dell’aeroporto. Ci costa 9000 kyat ciascuno il tragitto in bus da Yangoon finino a Kyaiktiyo, circa 200 km di ottima strada pianeggiante, tra risaie e boschi, impieghiamo circa tre ore e mezza. Siamo gli unici turisti a bordo. Il bus ci lascia a Kinpun, scendiamo e subito ci rechiamo al capolinea dove partono grossi camion, sui cui cassoni sono predisposte delle panche che possono contenere una quarantina di persone. In un grande hangar sono disposti una decina di camion, in mezzo ai quali ci sono delle strutture metalliche con scale che permettono ai passeggeri di salire a livello dei cassoni. Costo 2000 kyat a testa. La strada che conduce alla Golden Rock è parecchio ripida, penso tra il 15 e 1l 20 % di pendenza, stretta con tornanti, in alcuni tratti è percorsa a senso unico alternato. Ci indicano di scendere a Kyaik Yoo, dove tra l’altro c’è la partenza di una moderna cabinovia. Dobbiamo proseguire a piedi per quindici minuti per raggiungere il Golden Rock Hotel, la prima parte è in discesa, poi una ripida salita e con i trolley a traino è dura, miracolosamente un ragazzo con un motorino si offre di accompagnarci, la valigia sul davanti il passeggero sul dietro, fa 2 viaggi e ci scarica di fronte all’hotel, ci chiede 4000 gli do 3000 kyat. Avevamo scelto questo hotel poiché diceva di trovarsi a mezzo miglio dalla vetta dove ha sede la pagoda, ma non è così. Lasciamo le valige, beviamo ed usciamo per salire, ci comunicano che per la vetta ci vogliono 40 minuti. Decidiamo di scendere fino a dove ci ha lasciato il camion, saliamo con la cabinovia, il ritorno in albergo lo faremo a piedi. Neppure la Lonely Planet sembra sia a conoscenza di questo impianto di cabinovia. La ragazza della reception intelligentemente ci offre una torcia per il rientro. Avremmo dovuto prenotare un hotel in cima, anche se molto più caro. Infatti al Golden Rock Hotel siamo i soli clienti, ci credo, è scomodissimo raggiungerlo!!! Arrivati sulla sommità, vediamo molte persone equipaggiate con grandi gerle di canne intrecciate, si offrono per il trasporto dei bagagli dei turisti che hanno prenotato l’hotel in cima. Incontriamo portantine costruite con canne di bambù, trasportano persone, vorremmo si trattasse di persone incapaci di camminare, ma non lo crediamo visto che offrono il servizio anche a noi!! Ora c’è da percorrere a piedi, ma in piano un altro paio di km di cui l’ultimo scalzi. Incontriamo un posto di controllo, come turisti veniamo selezionati per pagare, l’ingresso 10000 kyat a testa, i pellegrini non pagano. Inizia a piovere, raggiungiamo la sommità dove troviamo un ampio piazzale pavimentato, ospita vari templi, sale di preghiera gremite di pellegrini. Sul lato ovest possiamo ammirare il gigantesco masso dorato, un macigno sferico in precario equilibrio, sembra impossibile debba rimanere ancorato alla roccia sottostante. E’ stato coperto di lamine d’oro, sopra vi è stata installata una piccola pagoda tutta d’oro. Uno spettacolo inimmaginabile e altamente suggestivo. Si dice che in ogni pagoda vi sia una piccola reliquia di Buddha, in questo caso si dice ci sia un suo capello e che sia quello a tenere fermo il masso. Molto venerato e frequentatissimo come luogo sacro. Piove a tratti, ci ripariamo ma rimaniamo fino al tramonto. Continuano ad arrivare pellegrini che passeranno la notte in veglia. Iniziamo la discesa verso l’hotel che è giunto il buio, impieghiamo circa 20 minuti per raggiungerlo. A cena siamo solo noi con 2 camerieri e 2 ragazze che ci servono e osservano.

Martedì 15-10-2019

Paghiamo il conto ($75 per il pernottamento compresa colazione e $27 per la cena), in alcuni esercizi, se paghi con carta di credito ti addizionano una commissione del 3%. Non mi astengo dal dire loro quanto l’hotel sia bello ed accogliente ben inserito nella quiete del bosco, tuttavia molto scomodo da raggiungere, loro condividono. Ci informano che se scenderemo fino alla fermata del camion di ieri, pagheremo per il trasporto 10000 kyat per entrambi, ma esiste la possibilità, pagando 15000 (3 € in più) di telefonare alla partenza dei camion, di prenotare un passaggio in cabina. Praticamente un camion con solo autista in cabina si ferma davanti all’hotel ci fa salire con i bagaglio in cabina. Affare fatto. Ci godiamo la discesa ardita da montagne russe in prima fila. Scendiamo a Kinpun. Ci rechiamo alla stazione dei bus e prenotiamo il percorso fino a Bago, si parte alle ore 11, bus stracolmo, con tutti gli strapuntini occupati, usano anche degli sgabellini in plastica in mezzo al corridoio. Va lento, si ferma ogni 3×2!! Bago l’avevamo transitata all’andata. Poco prima dell’arrivo in città ci invitano a scendere, ci avvicinano 2 ragazzi con un “tuk tuk” offrendoci un passaggio per la città. Quello piu intraprendente di nome Piz (si pronuncia così) parla abbastanza francese anche se frammischiato all’inglese. Ci spiega che ci hanno fatto scendere fuori città per evitare una multa in quanto il bus era troppo pieno!! Ci portano al loro ufficio per prenotare il bus per domani, direzione nord, Lago Inle. Ci sono 2 opzioni, bus più economico che transita sulla statale, oppure bus express che percorre l’autostrada più a ovest, con poche fermate, quest’ultimo costa $ 25 contro 20 dell’altra scelta. Prenotiamo l’express, ma dovremo raggiungere in taxi la fermata del bus sull’autostrada al km 39 domani mattina. Raggiungiamo il bel Kanbawza Hinthar Hotel, ($ 32), depositiamo i bagagli, una rinfrescatina ed in tuk tuk partiamo alla visita dei siti più importanti che ci eravamo proposto di visitare a Bago. Biglietto cumulativo per entrare in tutti i siti 10000 kyat a testa. Bago fu capitale della Birmania meridionale, durante la dinastia Mom, dal 1287 al 1539. Successivamente tornò ad essere capitale dal 1740 al 1757. Visitiamo il palazzo reale “Kanbawzathadi Palace”, al cui interno ammiriamo un colonnato dorato di notevole eleganza e imponenza. La sfavillante sala del trono completamente rivestita d’oro abbaglia. Anche Bago ha la sua bellissima pagoda, la “Shwemawdaw Paya” alta 114 metri, molto meno ricca e frequentata della sorella di Yangoon, tuttavia di straordinaria bellezza e meritevole di accurata visita. Anche Bago ha il suo bel Buddha sdraiato (Shwethalyaung Buddha) lungo 55 mt, alto 16, un suggestivo colosso, sguardo sereno rivolto in avanti, mi soffermo ad apprezzare le fini decorazioni sui pannelli di sostegno. Questa enorme statua risale al X secolo, sparì inghiottita dalla giungla, fu rinvenuta durante i lavori per la costruzione della ferrovia nel 1880. Infine passiamo a vedere i 4 Buddha “Kyaik Pun Paya” alti 30 mt, seduti sui 4 lati di un cubo, mentre il sole sta tramontando. Ottima cena con riso, pesce e verdure fritte.

Mercoledì 16-10-2019

In taxi raggiungiamo un’area di sosta in prossimità di un’uscita al km 39 dell’autostrada. C’è altra gente in attesa, molti i bus che si fermano, con mezz’ora di ritardo, alle 10, arriva il nostro DNN Express, moderno, aria condizionata, viaggia sugli 80-90 km orari, pochissime soste. Procediamo verso nord sull’autostrada per circa 350 km, quindi usciamo e prendiamo direzione est, attraversiamo una zona montagnosa, con lunghi tratti di strada sterrata in manutenzione, traffico rallentato da pesanti camion, poi si ridiscende in pianura, la strada migliora. Attraversiamo foreste e campi coltivati a riso, granotuco, canna da zucchero, molte palme da banana. Innumerevoli spuntano in alto, sopra la foresta, le punte dorate delle pagode, piu o meno grandi e portali decorati. Il bus ci lascia alle porte della cittadina di Shwenyaung, c’è un taxi in attesa, evidentemente è questa la fermata. Concordiamo il prezzo, carichiamo i bagagli, un simpatico ragazzo ci spiega e consiglia cosa vedere e fare sul Lake Inle. Durante il percorso c’è da pagare anche l’ingresso alla zona del lago Inle, 15000 kyat a testa, validità 5 giorni. Giungiamo al “Inle Cottage Boutique Hotel” nella cittadina di Nyaung Shwe, sono ormai le ore 20, due gentili ragazze in abito tradizionale ci accolgono con salviette umide per rinfrescarci ed una spemuta d’arancia fresca, posiamo i bagagli e corriamo al piano superiore per cenare, il ristorante chiude alle 21. Pregevole la camera, tutta in legno, con rifiniture di pregio, tante piccole attenzioni: cioccolatini, profumi, pulitissimo. Tutti gli hotel in cui abbiamo soggiornato finora in Myanmar sono stai di ottima qualità, apprezzabile sopratutto l’estrema gentilezza del personale, ci circondano di mille attenzioni.

Giovedì 17-10-2019 Lago Inle

Inforchiamo 2 bici e partiamo per un giretto, raggiungiamo il fiume che scende verso sud per poi immettersi nel lago Inle, seguiamo stradine che passano fra casupole e abitazioni su palafitte, incontriamo barcaioli che ci propongono una gita in barca, donne che lavano, bambini con aquiloni auto-costruiti. Vediamo alcuni bufali interamente infangati. Le lunghe lance dispongono di un motore diesel dentro lo scafo, un lungo albero di trasmissione esce dalla poppa, tramite un cardano trasmette il moto all’elica inserita nel timone, quando viaggia al regime massimo solleva una grande scia e nuvola d’acqua. Il sentiero su cui stiamo procedendo ad un certo punto muore, vorremmo raggiungere il lago, ma ci rendiamo conto che essendo completamente attorniato da acquitrini, non esiste un sentiero o strada che lo costeggia, ritorniamo sulla strada principale e cerchiamo un varco, arriviamo al parcheggio del bellissimo “Inle Resort” lasciamo le bici ed entriamo nel magnifico ed ampio bosco nel quale sono disseminati i bungalow, c’è la piscina, vari laghetti, di cui uno completamente coperto da gigantesche ninfee, un pontile bar, un piccolo porticciolo riservato, un luogo idilliaco!!! Dopo aver percorso una ventina di km, rientriamo in l’hotel. Pomeriggio di riposo e chiamate. Prenotiamo per domani una escursione in barca che tocca i punti più interessanti del lago. Vorremmo allungare di altre 2 notti la nostra permanenza in questo resort, ma sono al completo, allora con Booking prenotiamo le prossime 2 notti all’hotel Hupin Inle Khaung Resort, ubicato sul lago.

Venerdì 18-10-2019

Peccato il cielo grigio, oggi fantastica gita in barca. Fortunatamente siamo 2 passeggeri per imbarcazione, quindi possiamo dettare i tempi e le pause delle visite a nostro piacere. Si salpa da un imbarcadero poco lontano dall’hotel, direzione sud sul fiume che scende verso il lago. Giungiamo al lago (largo 11 km, lungo 22), lo specchio d’acqua è costellato di cuscini di verdure e fiori, incontriamo i caratteristici pescatori “intha” pagaiano con una gamba, tenendo il terminale dell’impugnatura sottobraccio, poggiando l’altro piede sulla barca. Quando si avvicinano le barche coi turisti assumono una classica e spettacolare, quasi acrobatica postura, un braccio appoggiato sulla pagaia ben piantata sul fondo, una gamba appoggiata sulla barca, con l’altro braccio e l’altra gamba sollevano e reggono in alto la nassa conica costruita con strisce di canna di bambù, contornata da una rete, rimangono in quella posa per farsi fotografare, poi naturalmente chiedono un contributo. I pescatori osservano attentamente il basso fondale, tra le alghe notano il movimento del pesce, gettano la base della nassa sul fondo, poi con un ferro a diverse punte cercano di colpire il pesce. Altri barcaioli raccolgono grandi quantità di alghe scure. Navighiamo lungo canali costeggiati da orti galleggianti, in cui si coltivano pomodori, zucchine, broccoletti ed altro. Tantissime vecchie e diroccate abitazioni su palafitte costeggiano i canali, vediamo donne lavare i panni, ragazzi che si lavano o fanno il bagno. Il nostro barcaiolo ci conduce in visita ad un laboratorio dove fondono, laminano e costruiscono manufatti in argento, orecchini, braccialetti, collane e monili. Naturalmente questa è solo una dimostrazione delle lavorazioni tradizionali, annesso vi è una ampia esposizione di manufatti, acquistiamo qualche paio di graziosi orecchini. Ci spostiamo per visitare un laboratorio di tessitura. Sul retro vi è un grande bacino in cui viene coltivato il fiore di loto, il gambo del fiore ha piccoli canali dentro ognuno dei quali scorre un sottile filamento, una donna tagliando parti dal lungo gambo, estrae i filamenti, li attorciglia formando un filo che in seguito viene intessuto ai telai con cotone e seta, realizzano tessuti con armoniosi disegni, acquistiamo uno scialle di seta e fili di loto. Ci spostiamo, sosta al grande tempio Phang Daw Oo Pagoda, numerosi fedeli posano il cibo su grandi calici sotto l’altare, probabilmente per una benedizione, successivamente portano il cibo in mezzo ai commensali seduti sul pavimento dentro al tempio oppure nel cortile fuori. Come la maggior parte dei templi in Birmania, anche questo è sontuoso, con statue dorate. Poco lontano ha sede un ampio mercato con tutte le merci, dal cibo, all’abbigliamento, agli articoli da souvenir. Ci reimbarchiamo, visita al laboratorio dove confezionano le sigarette con foglie di tabacco, 4 donne accovacciate prendono una grande foglia, vi depongono tabacco triturato, da un lato posano un filtro che può essere aromatizzato all’anice, banana, menta o neutro, con l’aiuto di un bastoncino arrotolano la foglia, incollano l’ultimo lembo, due sforbiciate ai capi e via. Altra sosta in un laboratorio di tessitura dove 2 belle ragazze portano al collo gli anelli, come da tradizione delle “donne dal collo lungo”. Lungo trasferimento verso ovest lungo un canale fino a In Thein. All’arrivo, due motociclisti ci offrono il passaggio per salire sulle colline circostanti e visitare “Shwe Inn Thein Paya” un raggruppamento ravvicinato di 1054 caratteristici stupa dalla forma conica appuntita e tempietti, alcuni dorati, mi vien da dire: “uno scrigno di bellezza” veramente uno spettacolo. Risalgono al 17° e 18° secolo. Saliamo in cima ad una collina dalla quale si ha una splendida veduta sui templi, sulla valle ed il lago. Ritorno al lago e sosta al “Nga Phe Kyaung Monastery” altro tempio con tanti altari e statue dedicate al Bhudda ed altre divinità. Rientriamo alle ore 16, paghiamo il barcaiolo con la modica cifra di 22000 kyat (€ 13). siamo molto soddisfatti, giornata veramente intensa ed interessante.

Avevamo chiesto alla ragazza dell’hotel se poteva chiamarci un taxi, ma lei ci consiglia un tuk tuk, con costo di 3500 kyat per il trasferimento all’altro hotel, ma ha sbagliato hotel, effettivamente l’ Hu Pin dista parecchio, impieghiamo quasi un’ora di stretta strada per raggiungerlo, costo 15000!!!! Ma siccome la ragazza ci ha prenotato un taxi per domani per andare a visitare Kakku, chiediamo al ragazzo del tuk tuk di telefonare al hotel Inle Resort per avvisare di mandarci il taxi nel luogo giusto, cambia anche il prezzo, infatti dopo poco ci richiama la ragazza per confermarci la giusta segnalazione e l’aumento del costo. L’ Hu Pin Resort è un resort incantevole, con bungalow su palafitte, abbiamo il terrazzino sul lago, la camera ampia e armoniosa, sul letto una splendida zanzariera, sembra un baldacchino. Il giardino, i vialetti, la cascatella con ponticello, fiori profumati, siamo capitati proprio bene!! (costo $ 45 a notte, staremo 3 notti). Cena con pesce di lago, riso, verdure, buono, (spendiamo € 13 in due)!

Sabato 19-10-2019 visita a Kakku

Alle 9 partiamo, in linea d’aria, Kakku disterà circa 40 km, ma impiegheremo quasi 2 ore per raggiungerla, bisogna salire verso nord fino a Taunggyi, poi scendere verso sud est. Lo spettacolo che ci si presenta è superbo, ridossato sulla collina il complesso di 2478 stupa dalla punta affusolata, è stupefacente. Come sempre, ci togliamo scarpe e calze, (ingresso 5000 kyat cadauno). Ci inoltriamo nel viale principale mescolandoci con i tanti fedeli, notiamo gruppi di pellegrini dal caratteristico abbigliamento: completo blu scuro, le donne sul capo indossano un grande turbante dai colori vivaci, appartengono al gruppo etnico dei “pa-oh” che vive nella zona del lago. In fila ben allineati, la maggior parte di stupa hanno la base quadrata, sono piccoli templi, con una nicchia a forma di ingresso che accoglie una minuscola statua del Buddha, la parte soprastante un affusolato svettante cono, sulla cuspide come un caschetto in ferro battuto merlettato. Alcuni degli stupa sono in mattoni, altri in pietra, in calce, gli stucchi decorativi rappresentano divinità e animali mitologici. Ci sono gruppi di stupa dorati. Ve n’è uno grande, ci si entra, al centro una stele, poi un Buddha disteso supino sul letto di morte, ai lati gruppi di statue in preghiera. Come in tutti i templi Birmani, nella zona centrale, ci sono 4 Buddha, ognuno rivolto verso i 4 punti cardinali. Rimaniamo un paio d’ore sotto il sole cocente (scottandoci i piedi) a rigiraci in questo immenso labirinto, fra questi simboli di grande religiosità. Prendiamo la strada del ritorno, ci fermiamo a dare un’occhiata ad un altro sito, molto meno interessante, Kam Tree, un gruppo di stupa tutti dorati ed uguali, dalla valenza storica limitata. Ci fermiamo a Shwenyaung, presso una piccola agenzia per informarci e prenotare il bus per dopodomani, lunedì 21, per raggiungere Bagan, sappiamo di turisti che prendono il bus notturno per risparmiare un pernottamento. Prenotiamo quello che parte alle alle 8 da Nyaung Shwe, costo 15000 kyat a testa. Giungiamo all’hotel verso le 16, paghiamo il taxista, 60000 kyat (= € 36). Lo prenotiamo per venirci a prendere lunedi prossimo per condurci alla partenza del bus. C’è sole ci siediamo sulla veranda, ottimo relax, arriva una coppia di sposi, abito lungo in tulle rosa per lei, completo bianco per lui, come da noi il rituale delle foto copre uno spazio temporale ragguardevole, infatti migliaia di scatti sul pontile, sulle barche, seduti, in piedi… Ci pensa un vento improvviso impetuoso a farli scappare, subito seguito da un violento temporale torrenziale.

Domenica 20-10-2019 Lago Inle

Domenica, decidiamo di rilassarci. La sala della reception è l’unico luogo in cui ci si può connettere, dopo colazione ci fermiamo per leggere le notizie, parlare con l’Australia, visto che l’Europa dorme. Optiamo per un trekking. Saliamo la lunga scalinata che partendo dal resort conduce in cima alla collina dove ha sede un vecchio tempio, sul retro 2 grandi cobra accolgono nelle gigantesche fauci spalancate 2 statue del Buddha seduto, i 2 lunghi corpi dei cobra formano una piscina con dell’acqua. I templi buddisti Birmani si differenziano in modo sostanziale dai templi buddhisti tibetani (lhakhang). In Tibet hanno una loro struttura e architettura tradizionale, attorno ci sono bandiere di preghiera e tante ruote di preghiera. In Birmania sono pagode dorate, sono assenti bandiere e ruote. Scendiamo la collina per una stradina, proseguiamo per una strada laterale che passa attraverso caseggiati, canneti di bambù, coltivazioni di granoturco, incontriamo altre pagode. La stradina finisce contro un canale, dove ci sono diverse canoe ormeggiate, arrivano persone con borse, si mettono a caricare un grande fascio di grosse canne di bambu, mi inserisco nel passamano per caricarle, sorridono accettando il mio aiuto, c’è anche una donna, purtroppo non possiamo comunicare, sarebbe interessante chiedere l’utilizzo di questi materiali, dove abitano, cosa fanno? Alla fine mi offrono dell’acqua e mi ringraziano. Ripartono navigando verso il lago, mentre stanno arrivando altre barche. In un campo un signore accovacciato sta lavorando, mi avvicino, sta strappando a mano degli sterpi ed erbe, le risciacqua nell’acqua di un fosso, poi le depone in un mucchio, chissà cosa ne farà. Sorride mentre lo guardo. Pomeriggio di relax.

Lunedì 21-10-2019

Lasciamo a malincuore l’Hu Pin Resort, dove ci siamo trovati benissimo, non prima di aver salutato e ringraziato il direttore della struttura, la sera in cui giungemmo col tuk tuk, non crediamo ci abbia considerati molto, poi nei giorni successivi abbiamo avuto modo di entrare in confidenza ed intavolato piacevoli conversazioni. In taxi raggiungiamo il punto in cui dovrebbe prelevarci il mini bus a 16 posti della OK Express, ma non è il luogo giusto, dopo alcune peripezie, infine alle ore 10, anziché alle ore 8, ci caricano i bagagli sul tetto e si parte. Ci assegnano i 2 sedili subito dietro all’autista, mi compiaccio di questa attribuzione, ti permette di vedere davanti e di lato, ma ben presto cambio avviso, il conducente è un accanito masticatore di foglie di “betel”, una foglia verde che masticandola produce saliva rossa, vedo sulla portiera di sinistra in un contenitore una bottiglietta macchiata di rosso, avevo già visto in altre occasioni che i masticatori di betel quando non sono all’aperto, usano una bottiglia come sputacchiera. Ogni volta che vedo la mano sinistra dell’autista protendersi verso la bottiglietta, (e lo fa spessissimo) devo rivolgere lo sguardo da altra parte poiché il contenuto della bottiglietta trasparente non è un bèl vedere. Impieghiamo 7 ore di trasferimento in direzione ovest per raggiungere Bagan, importante sito turistico. Fa molto caldo, anche la vegetazione lo testimonia, vediamo palme da cocco, cactus. Mentre in taxi percorriamo la periferia, vediamo innumerevoli stupa in mattoni rossi spuntare in mezzo al verde. Raggiungiamo il Bagan Thande Hotel ($57), situato in un ampio giardino che confina sul fiume Irrawaddy chiamato anche Ayeyarwady, nella “Old Bagan” nucleo della zona archeologica, cinta dalle antiche mura.

Ci informiamo se ci sono dei collegamenti per il “Chin State” una regione a nord ovest, aperta da poco al turismo, ma non ce ne sono, bisogna affittare un taxi, ma per almeno 2 giorni e una notte, costa troppo, quindi rinunciamo, spenderemo più giorni a Bagan e Mandalay, prendendocela con molta calma.

Martedì 22-10-2019 Bagan

I sovrani di Bagan commissionarono la costruzione di molti templi buddhisti tra l’XI e XIII secolo, periodo in cui si convertirono al buddhismo therawada, a partire dal re Anawrahta e dai suoi discendenti, per oltre 2 secoli. Questi templi dovevano celebrare degnamente il Buddha. Dal 1287 iniziò il declino a seguito delle invasioni dei mongoli. Oggi nella piana di Bagan, nonostante alcuni terremoti, sopravvivono più di 3000 templi.

Come da accordi alle 9 ci troviamo un tuk tuk, che ci porterà a visitare alcuni templi. Sarà a nostra disposizione per lì’intera giornata al costo di 30000 kyat. Prima visita al magnifico tempio: Shwe zi Gone Paya. All’interno delle ampie mura, una imponente pagoda dorata paragonabile a quella di Yangoon, nei 4 punti cardinali di fronte alle gradinate della pagoda si trovano 4 templi che ospitano ognuno una statua in bronzo del Buddha alte 4 metri. Tutto il complesso è magnifico e scintillante. Delle donne vendono sottilissime lamine d’oro da applicare sulle statue. Ci rechiamo alla Gubyaukgyi, molto minore quindi alla Htilominio, un tempio alto 45 metri, e tante altri. All’interno di alcuni templi si possono ammirare affreschi molto ben conservati, nonostante alcuni siano stati trafugati. I più antichi di questi templi sono costruiti interamente in mattoni, altri hanno decorazioni in stucco, solo le più importanti hanno la parte superiore dorata. Rientriamo per il gran caldo dalle 12,30 per un paio d’ore, poi si riparte. Bellissima la Ananda Pahto, con il suo “hti” in stile indiano a forma di pannocchia tutta d’oro, alto 52 metri. E’ sicuramente uno dei templi più belli, meglio conservati e più venerati. Sui 4 lati nelle cripte si trovano 4 statue di Buddha in piedi alte 9 metri. Visitiamo anche un tempio che accoglie una lunga statua di Buddha disteso. Ormai le statue di Buddha di tutte le dimensioni ed in tutte le posture, ci escono dagli occhi. Peccato che i tanti mercanti abbiano circondato questi monumenti, addirittura stendono le merci a ridosso delle mura dei templi, qui sono insistenti, ti seguono e incalzano a comprare, un tantino fastidiosi. Terminiamo il giro salendo su un cumulo di terra e mattoni per goderci il tramonto, una nube nasconde parzialmente il sole, ma i colori sono vivaci.

Mercoledì 23-10-2019 Bagan

Sveglia alle 4,45, alle ore 5 passano a prenderci, ci conducono in aperta campagna dove ha sede un campo di decollo per mongolfiere. Ci offrono del caffè, ci danno istruzioni sul comportamento durante il volo, assistiamo alla spettacolare preparazione di questi giganteschi palloni. Le ampie ceste, che ospiteranno i 16 passeggeri più il pilota, vengono poggiate su un lato. Con due potentissimi ventilatori i palloni vengono gonfiati, durante questa fase, alcuni addetti entrano nel pallone per distenderlo, altri dall’esterno lo stirano tirando delle funi, quindi accendendo i bruciatori si scalda l’aria che mista ai gas di combustione del propano fa alzare i palloni. Saliamo in 4 in ognuno dei 4 scomparti, nel vano centrale ci sta il pilota con la bombola di propano. Lentamente la leggerezza del pallone rispetto all’atmosfera circostante vince la forza di gravità ed ha inizio la dolce ascesa.

A luglio avevamo dato una festa per il 40° anniversario di matrimonio, amici e parenti tra gli altri regali, ci regalarono un drone, altri raccolsero dei soldi, Patrizia ebbe la brillante idea di spendere quel regalo in un volo in mongolfiera. Non l’avevamo mai provato, ma l’idea è stata eccellente!!!! Iniziamo l’ascensione mentre il sole sta sorgendo, siamo nelle vicinanze del fiume che in questa zona si divide e forma ampie anse, lo spettacolo è grandioso, nel silenzio interrotto solo dall’intermittente accensione di uno dei 4 robusti bruciatori. Ci lasciamo trasportare fino a quota 2000 piedi= circa 600 metri, poi la leggera brezza ci spinge molto lentamente verso sud ovest. Infine il morbido atterraggio su un ampio greto sabbioso del fiume. Imbandiscono un tavolo, ci offrono un calice di spumante, un croissant, della frutta, ci consegnano un “diploma di volo”.

Veniamo riaccompagnati in hotel. Non la dimenticheremo questa suggestiva esperienza !

Usciamo nel pomeriggio per una passeggiata a piedi, ci sono dei templi qui entro le mura della città vecchia. Ci inoltriamo per una stradina che scende verso il fiume, ci troviamo ad attraversare un gruppo di capanne, dove vivono genti evidentemente povere, donne stanno lavando le scodelle, ci sono dei piccoli falò per cucinare, bambini che giocano a calcio, qualcuno ci saluta. Ormai sta facendo buio rientriamo, in un mercatino acquistiamo un paio di completi da donna, molto belli, ma talmente a buon mercato che non dureranno molto. Al ristorante dell’hotel cucinano molto bene il pesce, ne approfittiamo. Preferiamo cenare all’aperto, anche se fa caldo, all’interno l’aria condizionata è troppo fredda. All’interno durante la cena una signora suona uno strumento a corde, delle musiche melodiose. Alterna spettacolini di marionette.

Giovedì 24-10-2019

Noleggiamo 2 biciclette, partiamo per un giretto alle 8, giungiamo presso un tempio situato nella campagna, 2 ragazzi ci propongono di portarci su un vecchio tempio distrutto dal terremoto, ci assicurano che di lassù si ha una ottima vista panoramica su diversi templi sparpagliati, lasciamo le bici, piè pari saltiamo sulle 2 moto. Effettivamente si gode una bella vista, numerosi vecchi templi in mattoni spuntano nel verde del bosco. Facciamo un bel giro, fotografando i templi più caratteristici, ma senza entrare, di statue di Buddha siamo saturi. Ci fermiamo qua e la per piccoli acquisti, tra l’altro acquistiamo delle simpatiche marionette. Osserviamo un ragazzo che decora i polsi di una ragazza con eleganti disegni eseguiti con hennè nero. Alle 11,30 rientriamo la temperatura si fa troppo alta. Facciamo una passeggiata nella parte dell’hotel che costeggia il fiume. Prenotiamo un taxi per domani alle ore 4,30

Venerdì 25-10-2019 Trasferimento fluviale verso Mandalay

Salpiamo col battello della MGRG Express da Bagan alle ore 5,30. Purtroppo il cielo coperto, ci preclude la vista dell’alba sul fiume. Risaliamo per circa 170 km il fiume Ayeyarwady per raggiungere Mandalay, abbiamo scelto la via fluviale per poter vedere anche questa parte del Myanmar. Siamo circa 10 passeggeri, ci offrono la colazione, il pranzo e le banane fritte con sopra il miele. Si naviga in una zona poco popolata, il fiume spesso si divarica in vari canali. Incontriamo o superiamo parecchi natanti, dalle piccole barchette familiari e grandi cargo per trasporto merci. In tutto il percorso incontriamo solo 3 ponti. Navighiamo una decina d’ore. Sbarcati prendiamo un tuk tuk per raggiungere l’hotel Yadanarbon. Subito ci rendiamo conto di essere piombati in una rumorosa e caotica città, traffico intenso, rumore, strade intasate, per buona parte occupate da venditori di cibo e merci, percorriamo incroci nei cui angoli, donne cucinano quasi in mezzo alla carreggiata. L’hotel è ottimo, la camera ampia e bella.

Ci offrono un drink per oggi e per i giorni successivi sul tetto al 7° piano dove si trova una bella piscina, i cui bordi sembrano a strapiombo sul vuoto, (non vista vi è una barriera protettiva subito fuori dal bordo). Ne approfittiamo per goderci un po’ di riposo. Sembra che a Mandalay la temperatura sia più mite rispetto a Bagan.

Sabato 26-10-2019

Visto che abbiamo deciso di non andare a visitare il “Chin State” decidiamo di rimanere a Mandalay fino al 1° novembre giorno in cui avremo il volo di ritorno, quindi confermiamo la camera fino al 31-10. Con un tuk tuk raggiungiamo la base della Mandalay Hill, una collina alta 230 mt che domina la città. Prendiamo la scalinata meridionale alla cui entrata si trovano 2 enormi divinità guardiane rappresentate da 2 statue bianche per metà leoni e per metà grifoni. La scalinata completamente coperta da pensiline, si snoda su diverse rampe interrotte da templi e pagode, con superbe statue di Buddha, alcune notevoli, specialmente quelle che lo raffigurano in piedi. Sono 1729 i gradini da scalare, scalzi, l’ambiente poco pulito, con la presenza di vari cani randagi e tante tracce rosse di “betel”. Raggiungiamo la sommità, al centro un grande tempio con ampi colonnati ricoperti di vetri intagliati a mosaico dagli abbaglianti riflessi. Un ampio terrazzo a giro permette la visuale su tutta la città. Notiamo un recinto in cui sono disposti 2 enormi cobra in bronzo, col muso da cane e la fauci spalancate, foltissima folla a fotografarsi di fronte ai 2 cobra, le donne strofinano le banconote sulla testa dei cobra, per poi deporle nelle ampie teche trasparenti. Ci portiamo le calzature appresso, in questo modo possiamo scendere dal versante opposto, prima lungo una gradinata, poi lungo la strada che con tornanti scende giù. Passiamo a visitare altri 3 templi, 2 dei quali attorniati da centinaia di stupa bianchissimi a forma quadrata tutti allineati. Non sto a descriverli, sono tutti magnifici, con statue ed altari dorati, fedeli che si inchinano 3 volte per una breve preghiera. Sono uno più bello dell’altro, ma ormai ne abbiamo visti tanti che non riusciamo più a meravigliarci. Rientriamo in hotel, riposo, saliamo sul tetto, bagno in piscina, ristoratore, beviamo il drink più noccioline offertoci, si sta divinamente. Cena di pesce con spinaci, pomodorini, patate, salsina deliziosa. Intrattenimento con suonatore di xilofono in legno, seguito da un aggraziato spettacolo di belle marionette ed una graziosissima danzatrice.

Domenica 27-10-2019

In epoche passate la regione di Mandalay ha ospitato diverse capitali birmane dopo Bagan. I regnanti che si succedettero in quell’epoca, appena saliti al trono, fondavano una nuova capitale: la prima fu “Inwa” nel 1364, seguì “Taungoo” nel 1555, ancora “Inwa” nel 1636, eccetera. Mandalay fu scelta come sede dal re Mindon nel 1861, fu capitale per circa 25 anni. Nel 1885 gli inglesi invasero il regno, il re Thibaw fu deportato. La città subì delle trasformazioni, il palazzo reale fu adibito a residenza del governatore. All’epoca della seconda guerra mondiale nel 1945, il palazzo fu completamente distrutto da un incendio. Tutto quello che si può visitare oggi è stato ricostruito alla fine degli anni 90. Visitiamo il Mandalay Palace. Situato all’interno di un grande quadrato, contornato da mura e sull’esterno un grande fossato. Ci arriviamo con un tuk tuk, per strada facciamo sosta al famoso negozio Rocky, che espone oggetti di artigianato, pietre, lacche, marionette, sculture, prezzi alti, diamo un’occhiata e via. All’ingresso del perimetro del palazzo ci chiedono un passaporto come cauzione, siccome all’interno vi sono anche delle strutture militari vietate, si tengono il passaporto, ti rilasciano un cartellino, nel qual caso tu infrangi i divieti, possono fermarti. Dall’ingresso al palazzo si percorre circa un km di viale. Tutto il complesso è abbastanza modesto, a parte la sala del trono e quella dei ricevimenti. Saliamo sulla torre di guardia, mediante una scala a spirale, alta una trentina di metri, dall’alto si ha una ampia vista. Mentre ritorniamo all’uscita, un ragazzo ci accompagna, uno studente di 18 anni, abbiamo una conversazione con lui, ma come ci capita talvolta in Myanmar, di incontrare delle grosse difficoltà a capire, usano delle vocali strane, spesso dobbiamo farci scrivere le parole per capire.

Lunedì 28-10-2019

Ci accordiamo con il conducente di tuk tuk che conosciamo per l’intera giornata, 35000 kyat (=€ 20) Partiamo alle ore 9, ci fermiamo presso un negozio di pietre, sopratutto jada, vediamo belle cose, ma i prezzi sono molto alti. Ci dirigiamo ad Amarapura, distante circa mezz’ora. Amarapura fu la la penultima capitale del regno di Birmania, per circa 75 anni a partire dal 1783, nel 1857 il re Mindon fece smantellare i palazzi per trasferirli a 10 km a Mandalay. Prima sosta al Monastero Maha Ganayon Kyaung, vediamo tanti turisti assieparsi ai lati di una strada, dietro a catene che fungono da transenne, chiedo ad una guida cosa stiano aspettando, mi risponde che aspettano i monaci. Mentre tutti se ne stanno in attesa, noi ci inoltriamo dentro al monastero, sono circa un migliaio i monaci ospiti. Passeggiamo tra le casupole, vediamo i monaci mentre lavano e stendono i loro mantelli amaranto. Giunge l’ora della processione con rito della donazione, tutti i giorni verso le ore 11 i monaci si incamminano su 2 file, bambini e adulti, avanzano piano piano dirigendosi verso il refettorio, seri in volto, i fedeli ed i turisti porgono delle offerte in danaro o cibo, che poi tutto viene redistribuito. Ci trasferiamo a Inwa, che fu per 4 volte capitale del regno dal 1364. Visitiamo il Bagaya Kyaung, un austero monastero costruito completamente in legno scuro nel 1834. Si regge su 267 robusti tronchi di teak. Nella cripta centrale c’è un cartello che vieta l’ingresso alle donne!!! Diamo un’occhiata veloce ad un tempio in avanzato stato di decadimento. Visitiamo di seguito il monastero “Me Nu Oak” fu commissionato nel 1818 dalla regina Nanmadaw Me Nu moglie del sovrano Mindon Min. La struttura in mattoni e stucco è possente, di colore beige con sfumature nere che le conferiscono un aspetto severo e austero. Ci sediamo nel prato all’ombra, due monaci si avvicinano desiderosi di scambiare qualche frase. Ci dicono che in Myanmar ci sono circa 300 mila monaci, studiano tutta la vita, poi ci chiedono di noi. In tutto il Myanmar i monaci sono venerati, lungo le strade si incontrano dei gruppi di persone, che chiedono elemosine per i monaci agitando delle ciotole metalliche color argento, in taluni di questi presidi ci sono altoparlanti che amplificano musiche ad altissimo volume. Ci fermiamo a visitare i ruderi del tempio “Lay Htat Gyn” su di una piccola altura, rimane ben poco oltre al frontone ed un lato, il resto è tutto crollato. Ci sediamo e ci divertiamo a guardare alcune bimbe, accompagnano i visitatori, si fanno consegnare i telefonini e scattano foto alle ragazze, indicando loro dove posare, come girarsi, come appoggiare i gomiti, forniscono loro un ombrellino. Divertentissimo!!! Visitiamo la magnifica Jade Pagoda, completamente di giada, moderna, scintillante, elegantissima, uno scrigno di bellezza. Torniamo ad Amarapura per vedere il famoso “U-Bein Bridge”, un ponte pedonale interamente in legno di teak, lungo 1200 mt, il più lungo al mondo del suo genere, attraversa il lago, compie un ampio semicerchio, alto, purtroppo senza parapetti. Ma bellissimo, ci incamminiamo e lo percorriamo tutto, al ritorno essendo ormai sopraggiunta l’ora del tramonto, arrivano pullman di turisti, il traffico pedonale si intasa, è difficile procedere, molto pittoresco, nel lago i pescatori in piedi nelle poco profonde acque o con le piccole piroghe pescano. Il traffico stradale in Myanmar è alquanto caotico, sembra di capire che la precedenza ce l’ha chi arriva prima, chi ha più impudenza a mettere il muso del veicolo avanti, a volte negli incroci si verificano dei veri e propri ingorghi, ma nessuno si tocca, infine qualcuno deve cedere il passo e la matassa si dipana. Quando un veicolo deve girare a sinistra ad un incrocio, taglia la traiettoria andando contromano, se qualcuno arriva, rallenta, senza mandarsi a quel paese, magari col gesto delle corna. I clacson non riposano mai!

Martedì 29-10-2019

A piedi raggiungiamo il quartiere degli orafi, entriamo al “King Galon” un negozio di oreficeria, con annessa la vecchia bottega dove si laminava l’oro. I ragazzi con in braccio 2 mazze da 3 kg ciascuno, battono contro una roccia dei pani in cui sono inserite lamine d’oro, riescono a portarle allo spessore di 0,003 mm, passiamo nel negozio dove sono esposti orecchini, collane, braccialetti ed altro. Alcune donne lavorano le sottilissime lamine d’oro.

Raggiungiamo il “Jade Market”. Nel raggiungerlo notiamo centinaia di moto parcheggiate in varie file a lisca di pesce, impressionante la quantità. Entriamo nel rione del market, pagando 2500 kyat a testa. Da non crederci la sarabanda di gente ammassata. Seduti a dei banchetti stanno i mercanti di giada, i venditori mostrano le loro pietre grezze o lavorate, braccialetti, i compratori misurano e controllano mediante la luce di una torcia a pile, depongono le pietre lavorate su lamine di oro o argento, oppure le posizionano su anelli vuoti. Scartano subito se non sono interessati, oppure formulano una proposta di prezzo, ma notiamo che gli accordi sono pochi. Delle ragazze cinesi, hanno di fronte telefonini disposti su supporti, in modo da avere le mani libere, mostrano le pietre o i braccialetti e parlano con il loro broker, questi decidono e comunicano il da farsi. Ci divertiamo un mondo a girare fra questa marea di affaristi, ne troviamo qualcuno che parla inglese e ci facciamo spiegare questo bizzarro mercanteggio. Un ragazzo ci dice che viene al mercato tutti i giorni dalle 9 alle 14, oggi ha acquistato 3 pietre di giada verde, le ha pagate sui 100 $ l’una. Ci spiega che con la luce si definisce la jada gialla, grigia, verde, la qualità ed il valore. In mezzo a tutti questi “allibratori” si incontrano frequenti officinette dove vengono lavorate e lucidate con mole le pietre. Purtroppo incontriamo dei bidoni agli incroci dei vicoli, sporchi di saliva rossa, anche i fossetti di scolo sono rossi, sputano tutti saliva al betel!! Poi il flusso di scambi rallenta. Usciamo e raggiungiamo la “Mahamuni Pagoda” frequentatissima dai fedeli che vengono a venerare la statua d’oro di Buddha alta 4 metri, si sostiene risalga a 2000 anni fa. Splendente, ma la bocca non è bella. Vicino alla statua entrano gruppi di uomini per applicare le lamine d’oro, leggo che lo strato d’oro applicato sia di 15 centimetri.

Mercoledì 30-10-2019

A piedi raggiungiamo un negozio di artigianato e antiquariato, consigliato dalla Lonely Planet. Vediamo begli oggetti, acquistiamo 2 statuette in legno coperto d’oro. Il titolare ci chiede se vogliamo visitare un altro suo negozio, ci accompagna con la sua auto. Si chiama Tommy, un simpatico chiacchierone, ci racconta della sua vita. Più che un negozio si tratta di un immenso magazzino dove ha stipato migliaia di statue bronzee, in legno laccato oro, mobili, barche, si tratta di un collezionista a tutto raggio. Acquistiamo una statua di donna inginocchiata in preghiera, alta circa 30 cm. Dichiara sia datata oltre 80 anni. Ci chiede 400 $, gli offro 150 €, si lamenta ma ce la da. Mentre torniamo si ferma in un ristorante per fare colazione, noi accettiamo un cappuccino. Mentre ci riaccompagna all’hotel chiacchieriamo, lui è cattolico, risposato in quanto vedovo, ha 5 figli, il minore di 6 mesi. Parliamo della situazione economica politica, ci conferma quanto pensavamo, che la dittatura militare con relativa corruzione, ha mantenuto il paese nell’arretratezza per oltre 50 anni, ora in regime di democrazia, si aspettano investimenti dall’estero, con promozione del progresso. Si ferma durante il tragitto ad acquistare foglie di betel, ci dice che se non mastica diventa nervoso. Gli dico delle sputacchiere viste ieri al Jade Market, è d’accordo che sputare dovunque non è gradevole da vedere.

Giovedì 31-10-2019

Ultimo giorno, domani si parte per il ritorno.

Usciamo per ultimi acquisti, ma non troviamo niente di interessante. In questi giorni a Mandalay ogni sera siamo saliti sul tetto, fatto il bagno in piscina, peccato l’esagerata quantità di cloro, non permette di aprire gli occhi sott’acqua.

Questo viaggio in Myanmar è stato interessantissimo, abbiamo apprezzato gli innumerevoli templi, le pagode dorate, la bellezza naturale del Lago Inle, con tutte le pregevoli attività svolte dalle popolazioni locali. La estrema gentilezza della popolazione sorridente e disponibile. La pervadente spiritualità. La facilità di movimento. I prezzi abbordabili. Con la media di 45 $ a notte abbiamo soggiornato in alberghi più che decorosi. Cibo buono e pulito. Come sempre: un enorme grazie alla fortuna, che ci ha accompagnato senza mai dimenticarci in questa magnifica avventura.

Jèy-zù Myanmar

Riccardo e Patrizia

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Tsechu Thimphu

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Golden Rock monte Kyaiktiyo

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monaci danzanti

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pescatori sul lago Inle

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Kakku



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