Myanmar tra pagode e sorrisi 2

Paese da visitare in fretta, con paesaggi spettacolari, monumenti maestosi e persone gentili
Scritto da: Debora e Luca
myanmar tra pagode e sorrisi 2
Partenza il: 12/01/2017
Ritorno il: 28/01/2017
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €

GIOVEDì 12 GENNAIO

Si parte per la nostra prima vacanza invernale al caldo del Myanmar. La preparazione è sempre la stessa: diari dei viaggi dei vari siti (in primis Turisti per caso), acquisto cartina geografica e Lonely Planet alla libreria Gulliver di Verona (fornitissima). Stabilito il tragitto in linea di massima, contatto di qualche agenzia locale e infine la scelta, capitata su Teo Birmania per le ottime recensioni (che confermiamo). Voli Emirates Venezia-Dubai-Yangon. Questa volta arrivano con noi anche le valigie e all’uscita troviamo il ns. autista che ci attende per il primo passaggio in ufficio per conoscere il titolare e saldare il pagamento concordato. Breve sosta al Taw Win Garden Hotel.

Le cose in Myanmar cambiano velocemente e oggi non ci sono più problemi di cambio valute, sono accettati anche gli euro. Tutte le banconote devono comunque essere in ottimo stato, non spiegazzate. Con 800$ ci danno 1.078.400 kyatt cioè un pacco di soldi. Meglio quindi cambiarli strada facendo. L’autista sa che per gli italiani la Lonely detta legge e quindi ci porta alla Sule Pagoda e ci consiglia di fare l’itinerario a piedi per vedere i palazzi coloniali. In un’oretta facciamo tutto, compreso lo slalom tra le auto per attraversare le strade. Imperdibili sono le bancarelle dello street food sulla Mahabandoola Street. La Sule Pagoda ci attende con il primo sedicente volontario che aiuta i bambini orfani di tutto il Paese per chiederci la prima offerta. Alla Shwedagon tutt’altra dimensione: sicuramente più turisti ma più devozione, preghiera e incensi. Le luci della sera aumentano la potenza visiva dell’oro e tutti i colori si riscaldano. Alle 7 siamo distrutti, ci lasciamo portare ad un ristorante per turisti: Padon Mar. 2 birre, 2 pad thai un pollo e un fish curry per 24 $ perché eravamo affamati.

SABATO 14

Direzione Golden Rock con sosta al Taukkyan War Cemetry dove si trovano le tombe di 6.374 soldati caduti nelle campagne di Birmania durante la seconda guerra mondiale. A pochi km dall’uscita dell’area urbana della città, l’autista ci chiede se vogliamo fare una sosta al mercato dei villaggi, coperto e scoperto. Le nostre macchine fotografiche prendono vita come le marionette che incontreremo poi a Bagan e i piedi ci portano nei meandri di un mondo fatto di urla, contrattazioni e qualche benevola spinta perché loro sono di fretta, le donne fanno la spesa, noi facciamo gli unici turisti del mercato che si fermano “ogni tre per due” a curiosare. Di cose mai viste ce ne sono tante, dal cibo, ai fiori, alle spezie e ai semi. Solo sulla frutta abbiamo comunanza europea: mandarini, mele, pompelmi.

Sosta per pranzo in un giardino ombroso al Thuwunna Bomi Restaurant: fried noodles with chicken and water con 9700 Kyatts in due (ca. 7$)! Alle 14 l’autista ci molla alla stazione dei carri, sembra di essere al mercato delle grida, si contrattano i posti, quelli più fifoni davanti in cabina, i più avventurosi, come noi, per pochi spiccioli nel cassone sulle panchette di ferro. 25 minuti di risate e preghiere che il clacson funzioni sempre quando il carro taglia le curve e chiede spazio agli altri per farlo passare.

La Golden Rock è la principale meta di pellegrinaggio del popolo birmano buddistha, che sogna di vederla almeno una volta nella vita. Oggi sembrano tutti qua, accampati fin dal primo pomeriggio, sotto tende fatte di coperte colorate, sdraiati sopra le stuoie, alcuni già in preghiera, altri a fare filò con la famiglia. Sullo sfondo la roccia, enorme, sovrastata dalla stupa, in precario equilibrio, ricoperta di foglie d’oro e… bellissima. Solo gli uomini possono attraversare il piccolo ponte sospeso e appiccicare la propria foglia d’oro sul masso, le donne guardano. Intorno, candele e incensi. Turisti europei pochissimi, forse una decina in mezzo a migliaia di asiatici. Siamo così rari che i ruoli si capovolgono e loro chiedono a noi di fare le foto, una processione di giovani ragazzi e ragazze seduti accanto a noi abbracciati, le mamme e i papà ci mettono in braccio i loro bimbi per immortalarci insieme sui loro smartphone… noi che vestiamo in modo così strano! Già perché le ragazze sono bellissime nelle loro gonne lunghe con casacca colorata sempre abbinata, tutte taglia 40 (che fastidio!), qualche ragazzo porta ancora la “tovaglia birmana” che avvolge le gambe. Noi invece banalissimi jeans e t-shirt. Al tramonto assistiamo e anzi siamo coinvolti nel rito della contemporanea accensione di centinaia di candeline gialle che per tutto il pomeriggio un gruppo di religiosi ha preparato alla base del macigno che sostiene la roccia che sostiene la stupa! Chissà cosa celebrano; nessuno parla inglese quindi restiamo nell’ignoranza. Un’ignoranza comunque felice perché l’atmosfera è mistica e coinvolgente. Alle 19 il freddo è pungente e ci rifugiamo al Mountain Top Hotel per cena con lo stesso piatto del pranzo anche se meno saporito (31k in 2).

DOMENICA 15: SUNRISE ALLA GOLDEN ROCK

At 6:38 a.m. Alle 5:30 le trombette degli ambulanti iniziano a suonare in lontananza, dalla vetrata della ns. stanza i primi chiarori dell’alba. Il freddo è meno aspro della sera precedente, c’è solo una lieve frescura. I monaci sono tanti, in fila indiana con le loro litanie e le ciotole per le donazioni. Vivono solo di quelle e la gente sembra molto generosa nei loro confronti. I vecchi e i bambini sembrano quelli più “coinvolti”, sui giovani ho qualche perplessità: vederli con Samsung giganti e sigaretta in bocca non mi convince. Dalle tendopoli i fedeli si risvegliano, dicono le ultime preghiere, avvolgono le loro stuoie e si mettono sulla via del ritorno. Qui inizia per noi la vera avventura: da persone civili ci mettiamo in fila per salire sulla passerella e poi sul camion. In breve ci trasformiamo anche noi in selvaggi assalitori di camion per la sopravvivenza, cioè trovare un posto per scendere. E’ un vero assalto alla diligenza! Ci arrampichiamo sul camion in movimento mentre parcheggia. Da morire dal ridere. Alle 9 siamo al “ campo base” sani e salvi e l’autista ci preleva per il ritorno a Yangon. Lungo la strada facciamo due soste, una per vedere l’estrazione e la lavorazione della gomma e l’altra per assaggiare il pomelo, un frutto simile al pompelmo ma più dolce.

Alle 13 sosta al Hanthawaddy Restaurant di Bago, discreto pranzo a buffet per 20k e poi visita alla Archeological Zone che comprende diverse pagode e statue di Buddha (i nomi sono impronunciabili). E’ domenica quindi la zona è affollata. I due Buddha distesi sono enormi (55 e 76 metri) di lunghezza, colorati, sorridenti; in modo quasi blasfemo non li definirei immagini sacre quanto piuttosto riproduzioni da carri carnevaleschi. Con questo non voglio denigrare, ma anzi rilevare la loro infusione di allegria rispetto alla serietà dei simboli religiosi del cristianesimo. Alla fine ci toglieremo le scarpe 5/6 volte con relativo rito della pulizia dei piedi con salviette (portarsene una scorta). Alle 19, cotti a puntino, arriviamo in hotel compiendo l’impresa di attraversare la città il cui traffico è notevole anche nei giorni festivi. Cena al Shan Yae Yar, very good!

LUNEDì 16

5:30 hotel, 6:00 aeroporto, 7:15 volo per Bagan, 8:45 presentazione del nuovo autista e sosta al primo mercato. Ci legge nel pensiero e non ci dà orari: ci dice: “girate quanto volete, io vi aspetto all’ombra del grande albero”. Ci infiliamo nei corridoi sempre più stretti di questo market cittadino; in ogni posto del mondo c’è qualche particolarità. Qui vediamo ceste e distese interminabili di cipolle e scalogno: si dice che il Myanmar sia il più grande consumatore al mondo di cipolle! C’è anche una parte più turistica, dove gli ambulanti vorrebbero cucirci addosso i loro abiti, splendidi quelli delle donne, inguardabile il loungy per gli uomini. Qualche buon affare lo si fa, con il gong da appendere fuori dalla porta di casa, con le tele dipinte di sabbia raffiguranti i monaci. Poi si parte per la piana dei templi, se ne contano ca. 2000. L’autista è preparato, mi prende la Lonely e segna in ordine numerico tutti quelli che andremo a visitare seguendo quello che, secondo lui, è il percorso migliore. Noi ci fidiamo, a pelle, e lasciamo fare fino al tramonto. Ci uniamo anche noi nelle lodi di queste meraviglie con un unico rammarico. Tutti i templi visitati, e sono i più importanti, hanno la stupa in restauro, quindi l’immagine d’insieme è notevolmente rovinata. Prendiamo comunque spunto per foto interessanti da mostrare a qualche nostro architetto/ingegnere che fa la sicurezza nei cantieri. Le impalcature sono tutte fatte di canne di bamboo!

Pranzo e cena in locali per locali a mangiare Myanmar food spendendo 10.900 e 12.000 k, alias ca. 8 dollari in due.

MARTEDì 17

Alle 8:30 inizia il nuovo tour delle Pagode, numerate sulla Lonely. Ormai le salviette restano in macchina e ci teniamo i piedi impolverati. Partiamo con quelli di Old Bagan e terminiamo con quelli di New Bagan alternandoli con alcune soste. La prima al villaggio per una visita guidata, fatta ad hoc per turisti ma comunque da fare perché per loro è un modo di guadagnare qualcosa: la ragazza che passeggia con noi, la tessitrice di sciarpe, la nonna ultranovantenne che fuma il sigaro, quella che fa il portafoto in bamboo… Tutto fatto in casa dice lei, non ci crediamo del tutto, ma va bene ugualmente. La seconda sosta è al laboratorio di lacche, qui è tutto vero, i ragazzi e le ragazze lavorano quasi seduti per terra per tante ore, chi per colorare gli oggetti, chi per inciderli in modo magistrale. Il processo di lavorazione è spettacolare e la quantità di lavoro incide fortemente sul prezzo. Good quality good price. Il secondo tramonto di Bagan lo ammiriamo dalla barca, siamo solo noi e possiamo spostarci liberamente per cogliere scatti “artistici”. Dalle 17 alle 18 20$ per due persone, meritevole. Il finire di giornata invece… così così: l’autista ci chiede se vogliamo cenare con musica e danze tradizionali e “toppiamo” dicendo si. Si arriva alle 18:30, si cena alle 19 e finisce tutto alle 19:45. Nulla di strepitoso ma cibo buono per 20mila kyatt. Al Sunset Garden Restaurant per pranzo abbiamo speso di più (stessi piatti ma con acqua anziché birra) e sono servite quasi due ore. Lasciamo Bagan senza entusiasmo stellare, complici i lavori di restauro che coprono in pratica tutte le cupole delle pagode.

MERCOLEDì 18

Cambio autista e partenza per Monte Popa con sosta all’ultima pagoda prima di lasciare Bagan, la più bella, da cui si gode un panorama punteggiato di stupe, proprio da cartolina. Peccato che non abbiamo segnato il nome! Alle 10:30 inizia la salita a piedi nudi dei 770 scalini necessari per arrivare alla cima. Mito da sfatare: ogni 10 scalini c’è un ragazzo con il mocho che pulisce quindi ci si può andare in scioltezza. La sporcizia è gettata oltre le scale, sulla montagna e lì… è meglio non guardare. Le scimmie scorazzano ovunque ma sono intente solo a rubare cibo, incuranti del resto. Ancora una volta, in questo luogo sacro, ci viene da pensare a quanto è devoto questo popolo: nelle teche davanti alle statue del Buddha ci sono una gran quantità di banconote lasciate dai fedeli, anche quelli più poveri. Nelle nostre chiese non credo si raccolgano così tanti soldi. Significa che in loro c’è molta fiducia nell’utilizzo che ne viene fatto da parte dei monaci o uomini di culto. Scendiamo per mezzogiorno e per pranzo facciamo una sosta veloce sulla strada al Yangon Rest, (8000k in due ca. 5,5$). La strada per Mandalay è lunga e arriviamo in hotel alle 17, perdendo quindi tutto il pomeriggio. Interrompiamo le cene asiatiche con il Bistro 82 per un piatto di carne all’europea, dessert e cocktail per 47$.

GIOVEDì 19

Giornata spettacolare. Il viaggio “semi organizzato” con autista, come questo, può andare un po’ stretto a chi come noi è abituato alla libertà d’improvvisazione, ma di certo ha un pregio. Rispetto ai tempi e il programma che ci propone l’autista non perdiamo gli appuntamenti “orari” con i must della zona, che sono la colazione dei monaci al Maha Ganayon Kyaung ed il tramonto al U-Bein Bridge. Volendo infatti vedere tante cose bisogna conoscere bene anche le distanze ed i tempi necessari per percorrerle. Partiamo subito per Amarapura per una passeggiata nei pressi del ponte, sosta al laboratorio di tessitura della seta (Shwe Sin Taw) e poi alle 10 ci uniamo alle orde di turisti, così definite dalla Lonely, per vedere i monaci in fila indiana che ricevono il cibo per la colazione. Forse è poco rispettoso della loro privacy ma se lo si fa in silenzio e senza superare i limiti dell’invadenza, la trovo comunque un’esperienza da fare perché fa parte della tradizione, usi e costumi di questo Paese.

Ci spostiamo a Sagaing per salire alla Hill, da cui si gode di splendide vedute sulla vallata. L’Umin Thounzeh è un tempio buddhista noto per il colonnato a mezzaluna costituito da 45 statue di Buddha di un meraviglioso e rilassante colore verde chiaro al suo interno. Il secondo tempio è il Pon Nya Shin Paya, scintillante, luminoso e, inutile dirlo, dorato! Sosta per un pranzo veloce al Sagaing Hill Restaurant (10mila K ca. 7 euro in due) e alle due siamo a Inwa, dove attraversiamo il fiume con la barca e saliamo sul calesse. Qui i tempi sono importanti perché alle 16:30 bisogna tornare alla macchina per essere alle 17 al ponte per il tramonto. La nostra driver fa quattro soste, esattamente quelle identificate dalla Lonely: il bel monastero in tek sorretto da 267 tronchi in legno, la torre pendente Nanmyin, il monastero in mattoni rossi e la Yedanasimi Paya, passando attraverso piantagioni di banane. I cavalli non sono maltrattati e questo ci piace; sono agghindati in modo colorato e le ore scorrono in modo piacevole. Approdiamo a fine giornata al U-Bein Bridge, lo attraversiamo a piedi fino a metà, dove si può scendere sulla riva e lì ammiriamo uno degli ultimi più bei tramonti della nostra vita.

VENERDì 20

Confermiamo che noi siamo controcorrente; finora Mandalay e dintorni battono Bagan. Forse la varietà di templi e monasteri, stili diversi, alternanza con la visita a qualche laboratorio (marmo, seta, marionette, lamine d’oro, gioielleria), il fiume, il ponte, la collina, forse tutto messo insieme ci ha fatto apprezzare moltissimo questi due giorni.

La mattina la passiamo in città:

1) Mahamuni Paya dove giace seduto il Buddha di 4 metri, ricoperto nel corpo ma non nel volto da uno strato di 15 cm di lamine dorate, appiccicate dai fedeli uomini; le donne attendono fuori in preghiera, vedono da un’apertura il corpo del Buddha e il resto sui monitor appesi alle colonne.

2) Shwenandaw Kyaung un magnifico monastero costruito in tek famoso per i bassorilievi. Qualche piccolo monaco ed il loro maestro vi studiano ancora.

3) Kuthodaw Paya dove è custodito il libro più grande al mondo. Non si tratta in verità di un libro ma di 729 lastre di marmo a cui se ne aggiungono altre 1774 nella pagoda vicina, in cui sono scolpiti i 15 libri dei Tripitaka, le scritture buddhiste. Tutte le lastre sono inserite in piccoli stupa bianchi e vederli tutti in fila sotto il cielo azzurro è proprio un o spettacolo.

4) Mandalay Hill, la collina con vista sulla città a 230 metri con stupa dorate, Buddha illuminati, guglie bianche e colonnati a vetrini colorati. Se ci aggiungi il cielo blu e qualche monaca vestita di rosa componi l’arcobaleno.

Alle 14 l’autista ci consegna al barcaiolo con ordine di rientro per fine tramonto. In un’ora di lenta navigazione arriviamo a Mingun, dove ad attenderci, fatalità, c’è un ragazzo che parla bene italiano e che ci accompagna a spasso per il villaggio con le soste di rito:

1) Mingun Paya, incompiuta, doveva essere la più grande al mondo, a pianta quadrata, 70 metri per lato. La morte del re bloccò i lavori, i terremoti stanno facendo grandi danni aprendo profonde fessure nei mattoni rossi.

2) Mingun Bell, per anni la più grande campana sospesa al mondo

3) Hsinbyume Paya bianchissima, pulita perché ripassata a calce ogni due anni, davvero scenografica.

Alle 17 si rientra in barca riposando sulle scomode sdraio in bamboo. Cena da Unique Mandalay Rest. con tipico menù birmano, no spicy, come piace ai turisti che qui arrivano numerosi.

SABATO 21

8:30 – 14:30 Mandalay Kalaw con sosta solo per pranzo; 14:30 – 17:30 Aung Chan Tha Zedi (stupa luccicante), Market e monastero le attrazioni. Notte al Pine Hill Resort e cena al Thiri Gay Har Rest.

Giornata “bucata”, di solo trasferimento perché Kalaw è interessante solo se si partecipa ad un trekking guidato. Il nostro suggerimento è per due alternative:

1) stesso percorso ma con partenza alle 7 in modo da essere a Kalaw in tempo per escursione di tre ore al villaggio della tribù Pa’ò;

2) arrivare direttamente a Pindaya, visitare la grotta e dormire a Inle; è un po’ lunga ma si salta una notte inutile.

DOMENICA 22

8:30 – 10 Kalaw Pindawa con sosta al laboratorio degli ombrelli e lampade di carta e visita alla grotta. Ci vuole circa un’ora per fare il giro cercando di capire come si realizza una cosa del genere, credo davvero unica. Mille anfratti dove posare statue, grandi e piccole. Anche questa da vedere! In due ore siamo al lago e al nostro Myanmar Treasure Resort. Non vogliamo perdere tempo e quindi chiediamo subito al barcaiolo che da Nyaungshwe ci ha portati al Resort (ci si arriva in barca e non in macchina) di condurci a spasso tra i canali per vedere quello che non è in programma per domani. Le lance sono lunghe e filanti sull’acqua che riflette ogni piccolo filo d’erba verde galleggiante. Quando si arriva al primo villaggio sembra di sorvolare uno specchio. Tutto si riflette nitidamente: i pali delle palafitte, le colorate coperte distese, le barche a remi e pure i ragazzi birmani che lavano corpo e capelli nel lago. Ci spingiamo fino a In Phaw Khone, il villaggio specializzato nei laboratori di tessitura: seta e pianta dei fiori di loto. Artigiani veri, tutta lavorazione manuale con estrazione dei fili quasi uno a uno, fatti attorcigliare, creato il filo da tessere e portato sul telaio. Non ci si può meravigliare del costo delle sciarpe finite! Si rimane a bocca aperta anche nel laboratorio delle “lame”: coltelli, asce… con la signora che su una pedana rialzata arieggia il fuoco con uno “stantuffo” manuale mentre in tre forgiano la lama del pugnale.

Al rientro, al tramonto, arriva il protagonista, il pescatore che rema su una gamba sola con la cesta in mano. E’ vero, a volte sembra in posa per i turisti ma è altrettanto vero che questa resta un’attività e una modalità ancora in vigore al lago.

LUNEDì 23

8:30-14 laboratorio argento e tessitura; mercato del giorno a Intheim con visita alla splendida Shwe Inn Thein, complesso di 1.054 stupa; Phaung Daw Oo Paya, il sito più sacro dello Stato Shan, a due piani con 5 statue di Buddha; Nga Hpe Kyaung alias Jumping Cat Monastery, dove però non si vedono più i gatti saltanti. Dalle 15 alle 17 diversivo con giro in bici alla Red Mountain Estate, azienda vinicola a 30 minuti dal resort.

Mettendo insieme il pomeriggio di ieri e la mattina di oggi ne esce che per la visita al lago serve almeno un giorno intero, meglio uno e mezzo così si può comprendere anche la bici. La pagoda di Inthein è sfavillante come le altre con il Buddha illuminato da mille luci colorate. Scenografici da vedere i mille stupa di diversi materiali e dimensioni; dall’altra parte del ponte si sviluppa il mercato, che tocca Intheim il lunedì. Cercate di arrivare presto per godervi la passerella di uomini e donne di etnie diverse che portano le loro merci o comprano quello che manca al villaggio di origine. Alle 11:30 stanno già mettendo via tutto quindi fate rimandare a più tardi la visita ai laboratori e dirigetevi subito al villaggio. I laboratori sono molto interessanti, senza obbligo di acquisto; qui si vede il vero lavoro manuale, ante rivoluzione industriale.

A noi sarebbe piaciuto anche proseguire la visita gironzolando nei canali ma il barcaiolo non parla inglese e a gesti non riusciamo a farci capire quindi alle due ci riporta al resort. Ottima soluzione il giro alla Winery che si trova in collina con una eccellente vista sulla piana e sul lago con bouganville e vigne in ordinati filari. Il tramonto però lo fotografiamo dalla terrazza del resort con un pescatore che impreziosisce i nostri scatti.

MARTEDì 24

Alle 9:30 lasciamo a malincuore quest’oasi di pace per l’aeroporto con due nuove soste, una al mercato di Nyaungshwe e l’altra al monastero occupato da giovani monaci che studiano. Il nostro volo per Kyaingtong (Kengtung) parte alle 12:30 e dopo un paio di scali giunge a destinazione. Troviamo una cittadina molto ordinata, non certo un avamposto sulle montagne come, chissà perché, c’eravamo immaginati. Si sviluppa tutto intorno a un piccolo lago lungo il quale molti fanno jogging con gli auricolari nelle orecchie e lo smartphone al braccio. Noi ci beviamo una birretta con Freddie, la nostra guida, sotto una bouganville e ci sembra di essere a casa. Immaginiamo quindi che il motivo dell’assenza di turisti sia dovuto alla necessità di arrivare qui in aereo allungando così i tempi del tour classico. Nelle montagne intorno vivono 37 raggruppamenti di villaggi di diverse etnie, dette le tribù del “triangolo d’oro” (Myanmar Laos e Cina). Hotel e ristorante sono quelli indicati dalla Lonely, Princess Hotel e Golden Banyan, assolutamente dignitosi (7500 Kyatt per mangiare in due).

MERCOLEDì 25

Un’ora di macchina per iniziare la passeggiata in collina. Nulla di impegnativo bastano delle normali scarpe da ginnastica e un po’ di abitudine al trekking. La giornata è piena, il pranzo ce lo procura Freddie. Iniziamo con il primo incontro, le donne di etnia Akha, con i tipici copricapi fatti di medaglie d’argento e perline bianche. I denti e le labbra rosse a causa della poltiglia che mangiano e che si spalmano fanno un po’ impressione. Al primo villaggio, Nam Linn Kaung gli abitanti della Ann Tribe si organizzano per la festa appena ci vedono arrivare; in tre minuti li troviamo tutti sulla terrazza dove ci fanno accomodare, le ragazze vogliono venderci i loro manufatti, le nonne si impiastricciano i denti con il betel, i bambini tirano su con il naso e il charmain, cioè il capo villaggio (composto da 11 famiglie ma solo lui con 11 figli) imbraccia la chitarra e intona una canzone con i bimbi più grandi. Prima di partire abbiamo comprato sapone da bucato e cracker per i bambini che poi la guida ha distribuito durante la giornata. Con 4000 kyatt (ca. 3$) abbiamo fatto felici parecchie persone. Noi avevamo portato delle t-shirt che abbiamo distribuito nei villaggi più lontani dalla città; anche queste ricevute con grandi sorrisi. In uno di questi villaggi, al Pha Kyaw, arriviamo durante il pranzo ed il baratto del cibo tra due confinanti della stessa etnia. Qui ci offrono the e noccioline tostate, nessuna vendita di artigianato. L’ultimo villaggio più vicino alla città è circondato da splendide risaie illuminate dai raggi del sole delle quattro del pomeriggio. Qui vive la Palung Tribe, con le donne che portano abiti neri e cinture d’argento e bambo: più ce ne sono più è ricca la famiglia. La differenza sta anche nella religione: qui siamo tornati al buddhismo, al primo villaggio erano cristiani battisti, al secondo veneravano gli spiriti. Queste particolari vesti stanno per essere abbandonate, le giovani non indossano più questi abiti, i motorini girano in mezzo a maiali e galline che sono gli unici a non avere il cellulare! Ecco perché tutti dicono; fare in fretta a venire in Myanmar per vedere le antiche tradizioni perché tra pochi anni la modernità avrà totalmente soppiantato queste antiche culture. La cittadina di Kengtung invece è già “avanzata”: negozi di souvenirs non se ne vedono ma abbondano le vendite di telefoni con relativa connessione internet. La tradizione rimane nello street food: seduti su bassissime panche, con padelle di olio bollente, cuociono di tutto: spiedino di uova, di salsiccia, di trippa e di pesce. Riempiono piccoli sacchetti di plastica con il cibo, il condimento, il chili e poi lo mangiano per strada con le mani. JJJ

GIOVEDì 26

Dalle 8 alle 9.30 ci dedichiamo al market, poi di nuovo ai villaggi. Il mercato non ci entusiasma, non è sicuramente turistico, è un luogo d’incontro e d’affari, con scambi vivaci tra chi vende e chi compra. Non è certamente il migliore visto in Myanmar per soggetti fotografici (il numero 1 resta Intheim al lago Inle) ma è di sicuro vero, proprio perché incurante dei turisti (pochi) che girano. Alle 8 del mattino vedere gente che beve brodo, mangia zampe di gallina, arrotola vermicelli o noodles sulla forchetta, tutto condito da manciate di chili è una dura prova per il nostro stomaco. Chissà loro cosa penserebbero dei nostri cappuccini e brioches! Poche le donne ancora con uso degli articolati turbanti in testa , nessuno ormai usa le “loungy”, le lunghe gonne da uomo e da donna che invece abbiamo visto in tutte le altre città del Myanmar.

I villaggi che visitiamo oggi non offrono artigianato o costumi locali, ma solo grandi sorrisi e ospitalità. Gli abitanti sono tutti lavoratori della campagna, uomini e donne, quindi, a metà mattina si trovano nelle piantagioni di riso e i bambini a scuola. Nel villaggio Pan Soan della Wa Tribe stanno costruendo una nuova casa. I lavori si fermano al nostro arrivo perché, in ordine, si presentano l’insegnante, il carpentiere, l’ingegnere ed il ministro della Chiesa Battista. E’ l’occasione per allestire la tavolata per la pausa thè; in un lampo si materializzano 7/8 panchette altre 3 cm da terra su cui, con qualche difficoltà, ci dobbiamo sedere (nonostante ci riteniamo dei buoni sportivi!) ed il bicchiere di bevanda bollente. A questo punto arriva il nonno, un super sorridente 88enne, con un milione di rughe in faccia, che si siede accanto alla guida e comincia a chiedere un sacco di cose su di noi; vuole anche sapere quante ore di volo servono per venire dall’Italia. Fantastico!

L’altra sosta veramente interessante è quella alla congregazione delle sorelle di Maria Bambina, un gruppo di 7 suore che curano i malati di lebbra e raccolgono persone dai villaggi vicini dando loro lavoro e alloggi. Suon Natalina è la fotografia della felicità e dell’orgoglio nel mostrarci le stanze dell’infermeria, del dormitorio per i bambini, la cucina e il suo grande orto, con lo stagno dove vivono i pesci. Impossibile non lasciare un ringraziamento per quello che fa e una donazione per riuscire a continuare a farlo. Impossibile anche non pensare che questa sia la vera carità cristiana predicata da Gesù e non le nostre ricche e opulente chiese che forse producono bene “spirituale” a pochi ma non bene “materiale” a chi ne ha bisogno. Cafè 21 è un piccolo locale, pulito, con sicura influenza occidentale, in cui è piacevole fare una sosta per un milkshake chocolate nel pomeriggio e azzardare un hamburger con patatine la sera. Eravamo al limite della sopportazione di rice and noodles!

VENERDì 27

Ultime due ore a Kengtung da trascorrere con l’ultima divertente visita ad una Aku Tribe, le donne con la pipa. Appena Luca fa capire di voler provare a fumare si scatenano, circondandolo con tabacco e accendini per fumare la pipa di bamboo. Anche la guida si mette a fotografarli. Purtroppo queste scenette si ripeteranno ancora per pochi anni perché quando scompariranno le ultime poche decine di queste minute vecchiette i villaggi si trasformeranno, con le nuove generazioni che vestiranno abiti “normali”, conducendo una “normale” vita di laboriosità montana e rurale. Alle 15:00 arrivo a Yangon Airport. Ci facciamo portare subito alla Swedagon per rivederla con la luce del giorno. Oggi è più affollata con più turisti rispetto ai fedeli. Io l’ho preferita decisamente al tramonto, con le fiamme delle candele, i fumi degli incensi e le voci che piano piano si abbassano.

Oggi è il capodanno cinese e quindi preferiamo prenotare per cena al Shan Yoe Yar per non rischiare. In effetti c’è molta gente; la scelta ci soddisfa anche questa volta.

SABATO 28

Le ultime ore prima di andare in aeroporto sono di solito sonnacchiose e un po’ lente, si va pigramente verso la fine della vacanza, si pensa a cosa si è visto e a come si sono vissuti gli ultimi 15 giorni, a cosa si poteva fare in modo diverso. Questa volta le cose cambiano, forse perché abbiamo parecchie ore a disposizione e completiamo i must di Yangon. Qui infatti torniamo alla vita moderna e quindi alle visite più che agli incontri. Dalle 9 alle 15 vediamo: il Market, Saint Mary Cathedral, la Botataung Paya (l’unica pagoda in cui si entra nella stupa attraversando un corridoio rivestito d’oro), i due Buddha, uno disteso e uno seduto, entrambi spettacolari ( Chaukhtatgyi Paya e Ngahtatgyi Paya), poco pubblicizzati ma, secondo noi, bellissimi.

Ed eccoci a fine viaggio, a fare il bilancio, a confrontarci su cosa ci è piaciuto di più e di meno. Strada facendo avevamo già capito che non avremmo messo il Myanmar al nostro top dei circa 30 Paesi visitati al mondo. Questo non vuol certo dire che non sia un Paese che non vale la pena di visitare, anzi occorre farlo velocemente! Le splendide location resteranno tali, salvo terremoti distruttivi: la Swedagon sarà sempre il fulcro di Yangon, la stupa dorata che lascia abbagliati arrivando dall’ingresso sud; le cupole di Bagan resteranno magiche nel rossore del tramonto, così come si tingerà sempre di nero l ponte U-Beong ad Amarapura in quell’ora del pomeriggio. Anche le case del Lago Inle continueranno a riflettersi nelle sue acque ed i pescatori prepareranno le loro ceste per la pesca remando su una gamba. I calessi colorati condurranno i turisti a spasso per Inwa tra risate e bacchettate ai cavalli; i monaci e le monache cammineranno ovunque per il Paese chiedendo donazioni e cibo da portare nei loro monasteri ed i fedeli devoti buddisti passeranno le giornate in festa in preghiera nei loro luoghi sacri per eccellenza, Golden Rock e Monte Popa.

Perché allora andare velocemente? Le persone cambiano e la modernità avanza a ritmi incredibili; questo porterà certo benefici per la popolazione, forse anche maggiore ricchezza, a scapito delle tradizioni, di usi, costumi e linguaggi che, nell’arco della prossima generazione, non esisteranno più. Ce ne siamo resi conto nei tre giorni a Kengtung, girando per i villaggi, dove già i ragazzi hanno abbandonato i bellissimi laungy, le lunghe gonne che rendono così affascinanti le donne birmane. Le tribù manterranno la loro vita nei villaggi, continueranno a lavorare la terra ma le donne non indosseranno più i meravigliosi copricapi a pendagli in argento, non fumeranno più la pipa in bambù e non staranno più ore accovacciate a pochi cm da terra. I lavori manuali che abbiamo visto qui sono davvero unici e ci hanno affascinato: le foglie dorate per i devoti da appiccicare alle statue dei Buddha, battute per 8 ore per renderle sottilissime, la carta di bambù per le lampade ed i ventagli, lo stantuffo manuale di una donna a 2 metri da terra per mantenere vivo il fuoco sul quale veniva forgiato il metallo, il battere incessante per la polvere da sparo, il setaccio del riso e la fermentazione per la produzione di whisky, la sega gigante mossa da 2 uomini, uno a terra uno sulla pedana rialzata per tagliare le assi di tek con cui costruire le barche al lago Inle e l’intaglio del legno per gli ombrelli di carta. Quando i macchinari sostituiranno queste manualità?

Su una cosa concordiamo con tutti: la gentilezza, i sorrisi e la cordialità del popolo birmano non sono secondi a nessuno.

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Shwedagon paya yangon

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U bein bridge amarapura

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Donna della akha tribe myanmar

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Hsinbyume paya mingun

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Golden rock



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