Sorrisi nella terra del Buddha

Siamo partiti alle volte del Myanmar senza quasi neppure conoscere esattamente quale fosse la sua posizione geografica. Arriviamo all’aeroporto e subito si fanno avanti delle posssibili guide: una di loro e Maun-chiu' che si rivelera' non solo il nostro autista, ma un vero risolutore. Ci accompagna subito al mercato dove semi-illegalmente si...
Scritto da: Daniela Borghini
sorrisi nella terra del buddha
Partenza il: 25/04/2001
Ritorno il: 09/05/2001
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Siamo partiti alle volte del Myanmar senza quasi neppure conoscere esattamente quale fosse la sua posizione geografica. Arriviamo all’aeroporto e subito si fanno avanti delle posssibili guide: una di loro e Maun-chiu’ che si rivelera’ non solo il nostro autista, ma un vero risolutore. Ci accompagna subito al mercato dove semi-illegalmente si cambiano i Fec, moneta non a corso legale che sei costretto a cambiare all’arrivo in Myanmar, in Khiat.

E cosi’ inizia il nostro viaggio. Subito si presenta davanti a noi la Swedagagan Paya di Yangoon, simbolo in assoluto del Buddismo Birmano. La fede che si respira in questo templio e’ qualcosa di contagiante; subito capiamo che per i Birmani la fede non e’ qualcosa da praticare passivamente la domenica, ma e’ parte integrante della loro vita quotidiana.

Ci trasferiamo verso Bago alla visita del Buddha sdraiato e poi ancora verso Tangoo. Poi ci inoltriamo verso lo Stato Shan e kalaw. Dopo aver miracolosomante saltato migliaia di ciclisti, donne e bambini ecco la deviazione fatale. Un rettilineo deserto ed arido si presenta davanti a noi, temperatura a bordo 50 gradi, polvere 4 cm sul corpo, 6 sulla macchina, mucche dal peso medio 5kg, non pazze ma esaurite si, all’orizzonte il nulla. Abbiamo pensato che Maun-chiu’ ci stesse rapendo, oppure che stavamo cercando l’orizzonte che aveva trovato grazie al suo flagrante e rossissimo betel. La macchina dalle antiche origini subiva continue percosse e Carlo dall’alto della sua esperienza spiegava a Maun-chiu’: candel, filter, testata fottut, radiator ko. Ma lui niente continuava a strombazzare a tutti mentre la strada si inerpica e la meta e’ ancora invisibile. Allora Maun-chiu pensa bene di farsi un pranzetto dove la famiglia ADAMS va in vacanza: noi per evitare l’epatita a, b, c, d, e, f, e qualcuna in fase di sperimentazione per oggi decidiamo di non mangiare. Ancora abbiamo il latte condensato che alla temperatura ambiente di 50 gradi e’ una vera manna.

Il giorno dopo si prospetta una giornata relax a kalaw un bel paese coloniale di montagna. Ma Maun-chiu’ propone un po’ di trekking e ci affida al capo trekking Chon-Chon. Lui e’ con le loro solite ciabattine infradito per cui, ci diciamo tra noi incoraggiandoci, non sara’ nulla di pesante. Intanto la strada si inerpica: io e carlo grondiamo di sudore, trasciniamo i piedi a fatica, mentre Chon Chon che evidentemente e’ uno pseudonimo di treno non ha un capello sudato e le sue ciabattine sembrano le migliori scarpe della North Face. La laboriosita’ dei Birmani e’ incredibile: riescono a coltivare il riso persino dove non c’e’ acqua, cedro, tabacco, pomodori si stendono nelle colline senza l’aiuto di un minimo attrezzo meccanico. Intanto noi cominciamo ad avere le visioni: un piatto di pasta, una coca, tutto andrebbe bene. Ma arriviamo al primo villaggio. Porci, galline. Bambini giocano liberamente tutti insieme. Ci invitano ad entrare, ma il vecchietto in preda ad una crisi di tubercolosi avanzata ci stimola un istinto di fuga incredibile. Poi colpiti dalla loro generosita’ immensa ci fermiamo a prendere un ustionante the e dopo ci dirigiamo al secondo villaggio. Ancora piu’ grande qui le famiglie vivono tutte insieme sempre allegramente malgrado la poverta’ sia evidente. Sono tutti sorridenti, facciamo le foto con qualche piccolo dono che gli abbiamo portato, accettato come se fosse il piu’ prezioso dei regali.

Il giorno dopo ci trasferiamo al Lake Inle uno splendido posto con le imbarcazioni degli Intha molto particolari che ci portano nei villaggi costruiti sul lago stesso. Qui tutti sono specializzati in un tipo di lavorazione: anche i bambini contribuiscono e per quanto ci appare ingiusto che bambini non piu’ grandi di 5-6 anni debbano lavorare lo fanno sempre con gioia contribuendo al lavoro della famiglia.

Il trasferimento Lake Inle- Mandalay e’ stato particolarmente duro per quanto il paesaggio e’ belllissimo passando prima tra i monti, poi in una pianura sterminata. Naturalmente due-tre volte abbiamo bucato con la macchina, ma i Birmani sono talmente abituati che il cambio ruota avviene nei tempi di un pit-stop della Ferrari. Arriviamo a Mandalay ed un monsone stile Discovery si abbatte su di noi. I Birmani sembravano contenti di un po’ di acqua finalmente, ma per noi trovare un albergo nel bel mezzo del monsone…

Comunque la vecchia citta’ di Amarapura e il ponte in tek sono davvero belli. Da non perdere le donazioni fatte ai monaci e il loro modo affascinante di accettare la donazione e mangiare in assoluto silenzio.

La sera maun-chiu ci vuole assolutamente invitare a casa sua dato che e’ di origine di Mandalay. Si comincia ad addentrare in un quartiere ghetto di mandalay e ci racconta che ha 2 madri, sette fratelli, ognuno ha tre figli minimo. Entriamo nella casupola che li contiene tutti e ci porgono due troni su cui seduti come coloro che vengono da un altro pianeta siamo oggetto di una attenta osservazione; mentre noi imbarazzatissimi fumiamo sigari peggio di Fidel Castro e beviamo birra come all’October fest (noi che non beviamo e non fumiamo). Il sudore sgorga a fiumi e piu’ sudiamo, piu’ beviamo, piu’ zanzare malariche ci mordono. Sono tutti iper-gentili con noi per cui non possiamo certo rifiutare la cena. Portiamo al tavolo la birra come l’unica cosa che ci puo’ inebriare a tal punto da poter mangiare. Ma appena la gelatina di porco con sopra le formiche e una sorta di alghe giungono al tavolo capiamo che neanche un mix esplosivo di gin e rum ci puo’ salvare. Io, Carlo e Maunc-chiu’ seduti al piccolissimo tavolo tutti gli altri in attesa del nostro primo boccone. E cosi un boccone dopo l’altro cercando di sbloccare il nostro intero apparato digestivo totalmente caput. Quando dopo notevoli sforzi termino il piatto mi sento risollevata come dopo un esame quando mio marito preso da un attacco di isterismo mi dice: “prendine un altro po’; non fare complimenti”. Ho pensato che il divorzio fosse troppo poco, che la pena capitale sarebbe stata molto piu’ equa. Poi la presenza dei bimbi mi ha fatto ritovare una calma apparente che solo in Birmania si puo’ davvero imparare e cosi’ via per Bagan.

Bagan forse e’ il posto piu’ bello della Birmania. Quando si alza la sbarra che ti consente di entrare in questa vasta pianura con oltre 4.000 stupa ti rendi conto che tutto cio’ che al di la’ fa parte di un altro mondo, un altro tempo. Sembra di fare un tuffo nel passato e il tramonto che rosseggia tutti i templi rende tutto quasi immagginario.

Ci trasferiamo poi a Pye dove e’ in corso una festa per la fine della meditazione e tutti sono vestiti piu’ colorati ed eleganti. Ritorniamo poi a Yangoon che ci appare diversa dopo avere visitato quasi tutta la Birmania del centro-sud. Il nostro viaggio e’ ormai terminato: abbiamo visto posti bellissimi, ma sopratutto abbiamo incontrato gente stupenda. Speriamo che trovino piu’ rispetto dei loro diritti, maggiore tutela della salute, ma al contempo speriamo che riescano a crescere senza occidentalizzarsi, senza correre verso il denaro, i sorprusi, la corruzione. Speriamo che i bambini continuino a sorridere ai turisti, che le donne continunino a cucinare il loro schifosissimo, ma birmano cibo. Noi dissentiamo l’idea di Aun Sun di isolare il Paese a discapito del governo, pensiamo invece che per sconfiggere Ne Win occorre che tutto il mondo sappia dei suoi sorprusi. Che il mondo intero si prodighi per aiutare questo popolo, senza uniformarlo ad esso. Good Bye Myanmar, non ti dimenticheremo!



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