Mozambico e non solo

Cronaca di un viaggio dal Malawi, attraverso il Mozambico, alla Tanzania L’Africa ha mille e più volti differenti, Sandro ed io volevamo conoscerne uno nuovo, diverso da quello dei parchi naturali, dei paesaggi, delle etnie, degli animali, così è nata l’idea di questo viaggio che ha inizio in Malawi e che, attraversando il Mozambico...
Scritto da: dabi
mozambico e non solo
Partenza il: 19/08/2008
Ritorno il: 12/09/2008
Viaggiatori: in coppia
Cronaca di un viaggio dal Malawi, attraverso il Mozambico, alla Tanzania L’Africa ha mille e più volti differenti, Sandro ed io volevamo conoscerne uno nuovo, diverso da quello dei parchi naturali, dei paesaggi, delle etnie, degli animali, così è nata l’idea di questo viaggio che ha inizio in Malawi e che, attraversando il Mozambico settentrionale, termina nel sud della Tanzania.

L’itinerario tocca tre Nazioni, ma la distanza percorsa non supera i 2.500 km diluiti in 4 settimane. Abbiamo viaggiato in prevalenza via terra, con lentezza, utilizzando svariati mezzi e, ad esclusione di alcune soste in paradisi per turisti, ci siamo calati nelle diverse realtà locali, vivendo esperienze veraci ed indimenticabili anche se, in alcuni casi, piuttosto faticose.

La progettazione dell’intero viaggio è stata molto laboriosa, tutto si è giocato sugli incastri dovendo tener conto che la motonave Ilala che attraversa il Lago Malawi da sud a nord viaggia una sola volta la settimana (venerdì), che il treno che collega le cittadine di Cuamba e Nampula c’è a giorni alterni, vale a dire tre volte la settimana (mercoledì – venerdì – domenica) e che, infine, il breve volo per Dar es Salaam (Tanzania) è operato da Lam Mozambique il martedì, giovedì, sabato.

Una volta definite le varie tappe ci siamo posti il problema di come concretizzare il tutto ad un costo abbordabile.

Escluse le proposte, a prezzi – per noi – elevati, di Harmattan (il solo operatore italiano che, insieme ad un altro grande nome, ha in catalogo un tour simile) e di Makomo Safaris, loro referente locale, che – ne immagino la ragione – ha quotato il viaggio ad un costo addirittura maggiore, mi rivolgo, dopo svariate ricerche, a tre diverse agenzie locali (1 con sede in Malawi, 1 in Mozambico, 1 in Tanzania) ognuna delle quali si occuperà di organizzare una porzione di itinerario lasciando, tuttavia, scoperta la prenotazione del treno (i biglietti sono acquistabili presso la stazione di Cuamba solo un giorno prima, a patto che il treno arrivi dalla direzione opposta) e di un alloggio riservato direttamente per e-mail, prenotazione che ci ha lasciato dubbiosi fino al nostro arrivo a Cuamba in quanto alle varie richieste di conferma sono seguiti solo inviti all’iscrizione ad una chat per cuori solitari. Non abbiamo mai capito se si è trattato di spam o di qualche traffico particolare di uno degli impiegati dell’albergo.

Dopo mesi di coordinamento del lavoro svolto dalle tre agenzie e delle conseguenti modifiche per lo spostamento di un giorno, per ben tre volte, del volo dal Mozambico alla Tanzania, finalmente si parte tenendo però le dita incrociate affinché motonave, treno e aereo siano operativi nei giorni stabiliti e non si guastino come spesso accade.

19 agosto 08 – martedì Ormai è tutto pronto, i bagagli sono chiusi, siamo impazienti ed insofferenti, la nostra casa ci sta stretta ed anche se il volo KLM per Amsterdam parte da Malpensa nel pomeriggio ci avviamo verso l’aeroporto già dalla tarda mattinata ritenendo che sia meglio ingannare l’attesa curiosando nei negozi e duty free dello scalo milanese. Il volo per l’Olanda parte puntuale, seguono poi, durante la notte, il volo per Nairobi ed infine quello per Lilongwe, capitale del Malawi.

20 agosto 08 – mercoledì E’ sempre emozionante, ma anche rassicurante, trovare in aeroporto chi sta aspettando proprio te con un cartello che riporta a caratteri cubitali l’ormai consueto DANIELLA x 2 (si, con due elle, gli africani non concepiscono il mio nome scritto con una sola elle).

L’agenzia malawiana ha uno sportello anche in aeroporto, facciamo due chiacchiere con uno degli impiegati, non più di due a causa del nostro inglese alquanto primitivo, ritiriamo i documenti di viaggio (voucher, cartine, un papiro di consigli vari) poi a bordo di un minibus nuovo fiammante, in un paio d’ore, raggiungiamo Senga Bay, sul Lago Malawi.

Il lago Malawi (noto anche come Nyasa o Niassa) è il terzo lago del continente africano in ordine di grandezza, dopo il Lago Victoria e il Lago Tanganyka, e il nono più grande del mondo. È il più a sud fra i laghi della Grande Rift Valley. Con i suoi 550 km di lunghezza, 75 km di larghezza e 700 m di profondità in alcuni punti, costituisce gran parte del confine fra Malawi e Mozambico e in parte tocca la Tanzania.

Nelle sue acque blu nuotano più di 500 specie di pesci, di cui più di 350 sono endemiche del lago. Ospita anche un terzo delle specie di ciclidi (pesce d’acqua dolce) conosciute, compreso il coloratissimo mbuna.

Fra le altre specie animali presenti nel lago si possono citare i coccodrilli e una vasta popolazione di aquile pescatrici.

Il Safari Beach Lodge è molto grazioso, i pochi bungalow sono arroccati su una serie di collinette che offrono begli scorci del lago, completano l’insieme un giardino curatissimo con una piccola piscina, poco più sotto una breve scalinata permette di raggiungere una spiaggetta delimitata da enormi massi di granito.

Dopo aver preso possesso dell’alloggio assegnato ci trasferiamo in spiaggia, piazzandoci sui lettini collocati all’ombra di alcuni imponenti alberi, ci facciamo catturare dalla bellezza del panorama e ci divertiamo a seguire le evoluzioni di scimmiette e scoiattoli che qui abbondano.

Il sole tramonta presto, alle 19 abbiamo già cenato, cerchiamo di tirar tardi (si fa per dire!), ma la stanchezza post viaggio ha il sopravvento, alle 20 siamo già nel mondo dei sogni.

Come sempre, quando torniamo in Africa, siamo ben contenti di regolare il nostro orologio biologico adattandoci senza fatica ai ritmi solari di queste latitudini.

21 agosto 08 – giovedì Rigenerati da 10 ore di sonno ininterrotto, gustiamo la prima colazione africana stando seduti in giardino tra scimmie giocherellone che si avvicinano incuriosite, ma che al minimo nostro movimento fuggono veloci.

In compagnia di un paio di ragazzi del luogo visitiamo il vicino villaggio di pescatori.

Le piroghe in legno, ben allineate sulla spiaggia, sono già rientrate dalla pesca, gli uomini hanno scaricato il “bottino” (poca roba, in realtà!) e diviso il pesce in base alle diverse tipologie: i crostacei vengono sparsi sulla sabbia, i pesci più grandi, tagliati a tranci, vengono posti a seccare adagiati su stuoie di cannette sollevate da terra, quelli più piccoli vengono subito fritti per essere poi venduti al mercato.

Nonostante gli scarti del pesce già pulito, nell’area aleggia soltanto un buon profumo di frittura anche se immaginiamo che l’olio utilizzato non sia dei migliori.

Qui, tra gli adulti, nessuno bada a noi, ognuno continua la propria attività, compresa quella di rammendare le reti, lanciando solo un furtivo sguardo incuriosito o un mezzo sorriso o un fugace saluto.

Rispettando l’operosità e la dignità di queste persone ce ne andiamo in punta di piedi senza scattare le decine di fotografie alle immagini che l’occhio invece ha scorto e riposto nella memoria.

Il villaggio è piccolo e raccolto, benché isolato e costituito da un insieme di povere capanne di fango con il tetto di paglia comprende una minuscola zona “commerciale”, attorno a cui ruota la micro economia locale, che ospita un “ristorantino” (una tettoia con un paio di tavoli e panche rudimentali dove i pescatori al termine di una lunga giornata di lavoro bevono un tè o mangiano un boccone) oltre ad un “panettiere”, vale a dire un ripiano con poche pagnottelle, un “ortolano” che espone, come fossero opere d’arte, un mucchietto di pomodori, quattro carotine e altrettante cipolle. Attraversando il villaggio, sono tanti i bambini che si materializzano circondandoci quasi con timore, è evidente che qui passano pochi turisti. I più arditi si avvicinano, ci prendono per mano, ci toccano e – raggiunto l’obiettivo di un contatto fisico con questi strani esseri tanto pallidi – se ne vanno, subito dopo, raggianti.

Ne abbiamo appesi diversi per ciascuna mano, ognuno si accontenta anche di un solo dito, sono contagiata dalla gioia mista a stupore che i bambini esprimono.

Mi diverto nell’osservare alcuni di essi che, dopo aver passato entrambe le manine sulle mie braccia e gambe, sono increduli e delusi nel constatare che sulle loro estremità non c’è traccia del mio bianco. Una bimba particolarmente audace e non convinta del mio colore decide di “assaggiarmi” a piccoli ed innocui morsi, un’altra, dopo aver strofinato le mani sul mio avambraccio e, forse, certa di aver prelevato l’”impasto” bianco di cui crede che io sia fatta lo spalma sul suo faccino proprio come si farebbe con una crema per il viso.

Qui, a differenza di altri luoghi, dove il passaggio di turisti ha lasciato il segno, nessuno chiede soldi, matite o caramelle, la nostra presenza è solo un avvenimento, un momento di curiosità, un gioco, una scoperta. Per noi la spontaneità di questo incontro è motivo di divertimento e di emozione.

Ci salutiamo sulle note di una filastrocca africana improvvisata per noi e, commossi, proseguiamo l’escursione camminando parallelamente al lago sino a raggiungere una grande insenatura che racchiude una bella spiaggia di sabbia chiara delimitata da grossi massi di granito.

Lungo il sentiero osserviamo bellissimi uccelli colorati e babbuini che saltano con incredibile agilità, di albero in albero, da un ramo all’altro, arrivando a toccare terra a tempo di record per poi risalire lungo un tronco altrettanto velocemente.

Tra la vegetazione spiccano baobab, banani, manghi, alberi salsiccia e numerose specie di piante e alberi che non conosciamo.

Attraversiamo zone con piccole lagune contornate da canneti incontrando solo qualche solitaria capanna. Ovunque, sul terreno, sono disseminati giganteschi massi di granito rotolati sin qui chissà quando e chissà come, forse milioni di anni fa e bloccatisi in posizioni che all’apparenza sembrano precarie, pare, infatti, che debbano caderti addosso da un momento all’altro.

Superiamo alcune belle spiaggette di sabbia dove le onde del lago, oggi un po’ agitato, si infrangono rumorosamente esattamente come quelle del mare.

La camminata termina dopo circa 3 ore, rientriamo al lodge molto soddisfatti degli incontri spontanei con gli abitanti e appagati dalla bellezza, varietà e abbondanza di vegetazione e uccelli.

Oziamo per il resto della giornata, trasferendoci dalla spiaggia al giardino ed, infine, sulla terrazza panoramica che si affaccia sul lago. Siamo in silenzio, in contemplazione ed in attesa del tramonto quando sentiamo un gran vociare, proviene da una barca carica di persone e merci; attratti dal rumore anche gli abitanti del villaggio di pescatori accorrono sulla spiaggia.

Con il passare del tempo è evidente che l’imbarcazione ha un problema, nonostante i vari tentativi non c’è verso di farla ripartire. Cala il buio ed alla luce di due torce alcuni uomini mettono mano al motore mentre i passeggeri sbarcano raggiungendo la riva, bagnandosi fino alla vita, ognuno con il proprio carico di mercanzia sulla testa.

Lo sbarco, accompagnato da schiamazzi e risate, dura a lungo, dalla nostra postazione elevata assistiamo alle scene più incredibili e una cosa ci colpisce più d’ogni altra: il grande senso di rassegnazione che accompagna i “naufraghi” e la spontanea solidarietà da parte degli abitanti del villaggio.

La spiaggia si accende di fuochi e per diverse ore sentiremo l’eco delle voci, delle risate, dei canti di chi si appresta a trascorrere la notte sotto le stelle.

Sorridiamo compiaciuti al pensiero che il piccolo ristorante del villaggio questa sera, quasi certamente, ha registrato il tutto esaurito.

22 agosto 08 – venerdì Al nostro risveglio la barca è ripartita, proviamo sollievo per gli occupanti che hanno potuto riprendere il viaggio.

Le sorprese continuano, in bagno, sul bordo del lavabo, troviamo le impronte delle manine di una scimmietta. Ci guardiamo attorno e ne scorgiamo parecchie un po’ ovunque: sui rami degli alberi, sulle staccionate di legno, sui massi, alcune, per nulla intimorite dalla nostra presenza, fanno la spola tra il bagno, la veranda e le cime degli alberi, non ci si stanca davvero mai di osservare questi simpatici animali mentre si spostano agili e veloci.

In questo luogo abbiamo abbandonato la frenesia cui la vita quotidiana e cittadina ci costringe, abbiamo passato ore in totale inattività semplicemente osservando la natura, le persone, gli animali, ci siamo rigenerati, ma la preoccupazione di oggi, rivolta alla motonave Ilala, ci riscuote dallo stato di benessere in cui ci troviamo, ci chiediamo fin dal mattino se arriverà, non c’è modo di saperlo in anticipo se non quando la si vede sul lago all’orizzonte.

Lasciamo il lodge poco dopo mezzogiorno, ci accompagna il manager, un giovane olandese biondo in compagnia della moglie malawiana in attesa di un bimbo. E’ un piacere incontrare una coppia mista in un Paese dove il divario tra bianco e nero è ancora enorme sebbene la segregazione razziale sia stata abolita e dove, purtroppo, spesso il bianco rappresenta ancora il “bwana” (padrone).

In circa un’ora raggiungiamo il porto di Chipoka, ci accomodiamo sulle lunghe panche di cemento collocate sotto una tettoia tra persone che per ingannare l’attesa dormono, mangiano, bivaccano o si muovono al ritmo della musica diffusa, ad alto volume, da un altoparlante mentre le immagini di un video trasmettono una sorta di musical.

Nessuna notizia dell’Ilala, per 2 ore non succede nulla, secondo gli orari pubblicati su una tabella dovrebbe essere già arrivata, ma sappiamo che spesso è in ritardo, cerchiamo, quindi, di non allarmarci più di tanto e finché le persone, come noi in attesa, non danno segno di impazienza facciamo altrettanto. Tiriamo, però, un sospiro di sollievo quando all’orizzonte compare un punto nero: è fatta! l’Ilala, anche se in ritardo, c’è ed il nostro viaggio può proseguire come da programma. Il primo spauracchio è superato! Ci spostiamo sulla banchina, dove, oltre ad una moltitudine di persone in attesa, c’è una troupe di documentaristi schierata a filmare, registrare e fotografare l’ingresso in porto della motonave e le successive operazioni di sbarco di uomini e scarico manuale delle merci più svariate.

Ci facciamo largo tra la folla di passeggeri appena sbarcati, persone in attesa di imbarcarsi e curiosi, mentre una schiera di venditori propone a gran voce frittelle, pannocchie di mais arrostite, pesce fritto ed altre cibarie.

Siamo a bordo e dal ponte superiore possiamo continuare ad osservare quanto succede sulla banchina per un’ora buona prima del suono della sirena che annuncia l’imminente partenza, a quel punto cessa ogni attività, si lasciano gli ormeggi e si salpa tra i saluti di chi rimane a terra. La motonave Ilala è una vecchia imbarcazione da 620 tonnellate, gestita dal Lake Malawi Service, che fornisce collegamenti essenziali alle comunità che vivono sulle sponde del lago.

Ogni settimana la motonave attraversa l’intero lago viaggiando pigramente ad una velocità di 10 nodi.

Il ponte inferiore è adibito al trasporto di persone (circa 400) e di merci sopportando un carico di 100 tonnellate.

Il ponte superiore ospita, oltre ad un ristorante, 6 cabine destinate ai soli passeggeri che viaggiano in prima classe, poche persone che dispongono di un intero piano sovrastato da un ponte panoramico con un baretto e qualche panca.

L’Ilala non è una nave lussuosa, anzi tutt’altro, le cabine – con bagno in comune – sono modestissime, lo stesso dicasi per il ristorante, ma il divario tra chi viaggia in prima classe e chi sul ponte inferiore è abissale, ci sentiamo, per questo, a disagio ogni volta che, dagli imbocchi delle scale, scorgiamo le persone ammassate.

Lasciamo la costa del Malawi ammirando uno spettacolare tramonto e, mentre osserviamo la superficie del lago che si accende di lucine scintillanti e dorate, non possiamo che essere d’accordo con l’esploratore Livingstone che lo soprannominò “il lago delle stelle”.

Il ponte superiore è semivuoto, oltre a noi ci sono pochi altri passeggeri e la troupe di documentaristi impegnata a riprendere qualsiasi scena ed immagine. Dal piano di sotto provengono le voci concitate di un uomo ed una donna, pensiamo dapprima ad un litigio, poi, allo scoppio di un applauso, realizzando che si tratta di una recita, facciamo una riflessione sulla fantasia, la creatività molto sviluppata e l’arte di divertirsi con nulla anche in una situazione di disagio: sul ponte inferiore è davvero poco lo spazio condiviso da molti.

Ci addormentiamo accompagnati da una serie di canti malinconici o, forse, è il nostro senso di colpa che fa assumere alle note un’intonazione triste, infatti, anche se siamo avvolti in lenzuola non fresche di bucato che hanno già ospitato altri corpi e gli scarafaggi hanno fatto la loro comparsa, siamo sicuramente molto meglio accomodati degli inquilini del piano inferiore.

Durante la notte veniamo svegliati dal suono della sirena che annuncia la prima sosta, la motonave ormeggia al largo. Le scialuppe, calate in acqua, partono cariche di persone e merci (compresi polli vivi, materassi, coperte, mobili e viveri di ogni genere) che vengono scaricate sulla costa per poi fare ritorno piene di altrettanta merce ed umanità.

I documentaristi non smettono di filmare ed anche noi non perdiamo un solo attimo delle operazioni di sbarco/imbarco.

I passeggeri dall’Ilala si gettano, con un salto, sulle barche e, viceversa, dalle barche le persone si issano sulla motonave non trascurando mai il proprio carico. Un’ondata allontana una delle imbarcazioni proprio nell’attimo in cui un uomo sta compiendo il salto, rabbrividiamo nel vederlo cadere in acqua, ma senza drammi o scene di panico viene prontamente ripescato.

Le piccole barche affollate che fanno la spola tra l’Ilala e la costa ci portano con il pensiero ad altre imbarcazioni che lasciano clandestinamente i porti africani trasportando centinaia di persone, stipate come animali, in fuga da violenze, miserie, conflitti e atrocità, viaggi che, purtroppo, non di rado, si concludono tragicamente.

In questo contesto la similitudine sta solo nell’affollamento delle barche, la “traversata” qui dura solo pochi minuti dopo di che c’è chi – sbarcato – torna alla propria abitazione e chi – imbarcato – prosegue il viaggio a bordo dell’Ilala.

Dopo due ore di sosta, la sirena annuncia la nuova partenza, torniamo in cabina e, incuranti degli scarafaggi, ci riaddormentiamo.

Rumori di ferraglia e scricchiolii sinistri ci destano improvvisamente, impieghiamo qualche secondo per realizzare che ci troviamo nel bel mezzo di una bufera che solleva onde altissime facendoci ballare in maniera impressionante ed inaspettata.

Abbiamo voluto un viaggio verace che prevedesse l’utilizzo di svariati mezzi locali? Bene! Eccoci servita anche la possibilità di naufragare durante una burrasca.

Scherzi a parte, non temiamo di affondare, però siamo costretti per diverse ore all’immobilità, scongiuriamo il “mal di mare” stando sdraiati e sorridiamo al pensiero di quanto sarebbe grottesco raccontare di averne sofferto durante la traversata di un lago. Tra un sobbalzo e l’altro ci addormentiamo senza, pertanto, poter stabilire come, dove, quando la bufera è cessata.

23 agosto 08 – sabato Il risveglio ed il nuovo giorno, oltre la quiete, ci riservano i bellissimi paesaggi della costa mozambicana, diverse altre soste con relativi sbarchi/imbarchi e lo spettacolo dell’attività ancora più serrata dei documentaristi che, dopo aver calato in acqua un gommone, effettuano riprese subacquee, a pelo d’acqua, esterne e da ogni altra angolazione possibile.

Ci chiediamo chissà quando e chissà quale canale televisivo trasmetterà la straordinaria raccolta di immagini, scene e suoni che, per puro caso, abbiamo avuto il privilegio di condividere ed assaporare insieme alla dinamica, efficiente ed attrezzata squadra di tecnici.

Solo durante le soste è consentito ai passeggeri del ponte inferiore salire all’ultimo piano che, numerosi, affollano il bar facendo incetta di bibite, biscotti e di quel poco altro che si trova esposto sugli scaffali.

Non ci sorprende che la bibita più gettonata sia la Coca Cola dopo aver constatato con amarezza che costa la metà di meno rispetto ad una bottiglietta d’acqua.

E’ scandalosa la politica adottata dalla multinazionale per diffonderne il consumo anche nei Paesi più poveri del Mondo.

Dal canto nostro, continuiamo, sempre più determinati, a sostenerne il boicottaggio.

Alle 17, dopo 25 ore di navigazione, sbarchiamo a Cobue. Mentre raggiungiamo terra, a bordo di un gommone, l’Ilala, ancorata al largo, con i colori del tramonto che fanno da sfondo, è un’immagine tanto bella da sembrare un quadro.

Raggiunta la spiaggia, ci accomodiamo ad un tavolino di quello che sembra (è quasi buio e non c’è illuminazione) un piccolo emporio. Attendiamo qui il funzionario doganale impegnato sulla motonave a controllare i documenti di chi sbarca.

Le pratiche per l’ottenimento del visto non ci risparmiano momenti di tensione, inoltre, vanno decisamente per le lunghe: il funzionario è sin troppo petulante, il buio quasi totale poi non favorisce la corretta compilazione della modulistica che dobbiamo riscrivere più volte, ripaghiamo la tassa di ingresso in Mozambico, nonostante sull’Ilala, alla precedente fermata, un diverso addetto al controllo avesse già applicato sui passaporti un bollo adesivo, timbrato, comprovante il nostro assolvimento e, per finire, siamo costretti a rinunciare ad un resto di 14 USD che, guarda caso, il tanto “solerte” doganiere non possiede. Non male il primo approccio con il Mozambico! Da Cobue, in gommone, ci trasferiamo presso la Manda Wilderness Reserve correndo e sobbalzando a velocità sostenuta sull’acqua del lago nera come l’inchiostro. Con il buio totale che, per noi, è privo di riferimenti, la notte africana è inquietante, mi aggrappo ad un sostegno e mi concentro sul cielo stellato per non lasciare spazio al timore che mi assale. Lo spettacolo di migliaia di stelle e della via lattea mi calma un poco, ma i 30 minuti che impieghiamo per raggiungere Nkwichi lodge sembrano interminabili e mi rilasso solo quando mettiamo di nuovo piede a terra.

Chi ci riceve ci accompagna alla nostra abitazione (Tuya), ma siamo in ritardassimo, gli altri ospiti stanno aspettando noi per la cena, abbiamo, quindi, giusto il tempo di lavarci le mani, raggiungiamo poi velocemente la terrazza che ospita la sala da pranzo con un unico grande tavolo per i commensali. Proviamo molto imbarazzo per l’attesa imposta agli ospiti, per il nostro aspetto “stropicciato” (indossiamo gli stessi abiti da due giorni con i quali abbiamo anche dormito) e, come se non bastasse, tra inglesi ed americani che non fanno alcuno sforzo per scandire meglio le parole, abbiamo serie difficoltà di comprensione e comunicazione. Per tante ragioni, la stanchezza in primis, non vediamo l’ora di ritirarci nella nostra “capanna”.

24 agosto 08 – domenica Alla luce del sole, il sospetto di trovarci in un luogo da sogno si trasforma in certezza. L’abitazione Tuya che già ieri sera ci era apparsa enorme e splendida si rivela in tutti i suoi dettagli. Si tratta di una “capanna” circolare che ingloba alcuni massi di pietra che costituiscono un elemento decorativo di grande effetto. Il tetto, dalla forma di V rovesciata, è un’altissima struttura di legno rivestita di paglia.

Lungo le pareti perimetrali di cannette numerose le aperture che fungono da porte e finestre tutte senza vetri. I materiali utilizzati sono pietra, legno, canne di bambù e paglia.

Un locale spazioso e ben arieggiato racchiude il bagno (con water ed un ampio lavabo), ma il punto forte di questa bellissima sistemazione è la vasca da bagno scavata nella roccia che si trova all’esterno, nel giardino privato, in cima ad una breve scalinata ricavata tra i massi.

La doccia pende al di sopra della vasca dal ramo di un albero. E’ davvero fantastico lavarsi all’aperto, al riparo da sguardi indiscreti e con il cinguettare degli uccelli, unico suono che rompe il totale silenzio.

Se l’interno della nostra abitazione ci lascia senza parole, l’esterno ci “stende”… la prima cosa che notiamo è la sabbia bianca finissima, fatti pochi passi, al di là di una serie di cespugli, compare una lunga spiaggia accecante, dalla forma di mezzaluna, lambita dall’acqua del lago trasparentissima e turchese. Qua e là in acqua ed anche sulla spiaggia, come sculture, alcune formazioni granitiche modellate dal vento fanno bella mostra di sé. Siamo increduli, ci chiediamo se tutto ciò sia reale, se davvero questo è un lago e dove sta l’inghippo… forse l’acqua è gelida? non ci si può bagnare? è infestata dai coccodrilli? c’è la bilharzia? e mille altre domande, perché questo lago dai colori maldiviani ornato da graniti che ricordano quelli seychellesi sembra troppo bello per essere reale.

La natura però riesce ancora una volta a sorprenderci, questo angolo di paradiso è autentico, non nasconde alcuna insidia, la temperatura dell’acqua è gradevole e mettendo la testa sotto si possono ammirare i tanti pesci colorati per cui il Lago Malawi è famoso.

Dopo aver esplorato la spiaggia in lungo ed in largo, facciamo colazione e prendiamo accordi con una guida locale per una camminata che prevede la salita ad un belvedere ed al ritorno, costeggiando il lago, la sosta presso il baobab più vecchio della zona.

Fa molto caldo e la salita, anche se non eccessivamente lunga, si rivela impegnativa, ma il panorama che si gode dall’alto ci ripaga della fatica. La superficie del lago ha sfumature incredibili ed è disseminata di tanti isolotti di granito, nonostante il caldo rabbrividisco al pensiero della corsa sfrenata, della scorsa notte, in gommone, tra le molte insidie affioranti. Lungo la costa si susseguono spiagge e calette che come piccole falci di luna bianchissime spiccano tra l’azzurro dell’acqua ed il verde della vegetazione.

Scendiamo fino a raggiungere una bella ed ampia radura che ospita il vecchio (si dice di 2.000 anni) e gigantesco baobab il cui tronco ha una circonferenza di 29 metri.

L’area circostante è disabitata, ma la guida ci informa che sono numerosi i riti propiziatori che si compiono attorno a questo albero colossale e che le persone affrontano un lungo viaggio, una sorta di pellegrinaggio, per raggiungerlo perchè considerato sacro.

Forse, e magari a torto, non crediamo che il baobab abbia il potere di compiere miracoli però siamo indubbiamente impressionati ed affascinati dalla sua imponenza.

Compiendo l’intero giro attorno alle radici ed osservando la corteccia del tronco notiamo che in alcuni punti pare roccia, in altri ricorda la pelle viva e rugosa di un elefante, non c’è dubbio sul fascino di questo “vecchio saggio” che reclama rispetto e che sembra stanco, i suoi frutti, infatti, sono meno numerosi rispetto a quelli prodotti da alberi più giovani, ma pare che goda ancora di buona salute e questo ci conforta.

Proseguiamo l’escursione avvicinandoci ad una serie di lagune dall’acqua cristallina contornate da belle formazioni di granito e canneti, in una di queste un piccolo coccodrillo che stava disteso su una roccia crogiolandosi al sole, al nostro passaggio, scivola furtivamente in acqua.

La guida ci rassicura garantendo che nel tratto d’acqua antistante il lodge, durante il giorno, possiamo nuotare tranquilli, invitandoci, invece, ad evitare bagni notturni, cosa che già non rientrava nei nostri programmi. Ma chi esce dal riparo della zanzariera, di notte, in una “capanna” tutta aperta? di avventurarsi oltre non se ne parla proprio: i coccodrilli dovranno continuare a cibarsi d’altro! Torniamo accaldati al lodge, ma molto soddisfatti per la bella passeggiata. Trascorriamo il resto della giornata in acqua, al sole ad asciugare, all’ombra, a digerire il pranzo, spaparanzati sulle amache e così via in un alternarsi di “attività” all’insegna del relax.

L’aperitivo collettivo sulla spiaggia, all’ora del tramonto, attorno ad un falò e la cena servita sempre sulla spiaggia sono, per noi, un supplizio. Siamo impressionati dalla quantità di alcolici e superalcolici che i “british”, donne comprese, ingurgitano a stomaco vuoto, non riusciamo poi a seguire le conversazioni che si intrecciano tra l’uno e l’altro gruppo di ospiti. Ci rammarichiamo del nostro spiccato senso del dovere, nonostante fosse una delle opzioni previste e proposteci, non ci pareva carino – visto che tutti hanno acconsentito alla cena in spiaggia – fare gli asociali scegliendo di farci servire il pasto nel salottino all’esterno della nostra abitazione. Sacrificio inutile perché, comunque, il risultato è lo stesso: non comprendiamo nulla e, per lo sforzo immane praticato per afferrare qualche brandello di discorso, finiamo con il non parlare neppure tra noi. Terribile! E’ la prima volta che ci capita – tra persone che parlano inglese – di essere così tanto in difficoltà.

Della serata ricordiamo con particolare emozione solo quando – tra l’aperitivo e la cena – ci siamo staccati dal gruppo e, nel buio totale, il cielo ci ha regalato lo spettacolo della Croce del Sud, la leggendaria costellazione tanto cara ai naviganti ed ai viaggiatori, insieme a migliaia di altre stelle e alla magnificenza della via lattea.

Un brivido mi percorre la schiena e non è l’effetto della brezza serale, spesso anche le forti emozioni mi fanno venire la pelle d’oca.

Dopo cena, per la seconda volta, siamo i primi a lasciare l’allegra brigata ben felici di rintanarci nella nostra reggia.

25 agosto 08 – lunedì Trascorriamo l’intera mattinata in spiaggia e facendo snorkelling, è davvero sorprendente la quantità e varietà di pesci colorati che si possono osservare già in pochi centimetri d’acqua. Avvicinandosi agli scogli c’è tutto un pullulare di vita e di colori, questo lago è fantastico, non ha proprio nulla da invidiare alle più belle e famose mete balneari della costa mozambicana e dell’Oceano Indiano.

Poco prima di mezzogiorno lasciamo la spiaggia, di corsa chiudiamo i bagagli e facciamo un’amara scoperta: dai nostri marsupi (chiusi con un lucchetto in una apposita cassetta) mancano diverse banconote. Facendo un rapido inventario delle poche spese sostenute fino ad ora possiamo stabilire con certezza che qualcuno ha “prelevato” 450 USD e 250 Euro.

Siamo allibiti, arrabbiati e preoccupati perché, nel caso non riuscissimo a prendere il treno, dovremmo ripiegare su un costoso trasferimento in auto, qui siamo in una zona remota del Mozambico, non c’è alcuna possibilità, per diversi giorni, di incrociare una banca, potremmo, insomma, trovarci nei guai per mancanza di denaro contante.

Lasciamo Nkwichi Lodge in uno stato di totale stordimento, neppure l’ora di navigazione fino a Cobue, a bordo di una barca a motore, attraverso paesaggi da cartolina, riesce a distoglierci dal pensiero di quanto accaduto.

Ci domandiamo mille volte dove e quando è avvenuto il furto, ma ogni volta la risposta è inequivocabile: Nkwichi Lodge è l’unico luogo, da quando siamo partiti dall’Italia, dove ci siamo tolti di dosso i marsupi.

I marsupi, insieme ai documenti, erano custoditi in una massiccia cassetta di legno chiusa da un lucchetto, la cui chiave stava in una tasca dello zaino che abbiamo lasciato in camera solo durante l’ora dell’aperitivo e della cena consumati in spiaggia a pochi passi dal nostro alloggio.

Qualcuno è entrato in camera con l’intenzione di frugare tra le nostre cose, trovata – tra il mazzo di chiavi di casa e dell’auto – la chiave del lucchetto, potendoci tenere d’occhio perché in spiaggia sono state accese diverse torce, indisturbato ha sfilato dai marsupi e dalle diverse mazzette solo alcune banconote, ha chiuso il lucchetto e riposto le chiavi dileguandosi poi con il malloppo.

Ci chiediamo anche chi possa essere stato, ma è difficile stabilirlo, forse non uno degli altri ospiti del lodge perché gli ultimi ad arrivare nel luogo del ritrovo – attorno al falò – siamo stati noi. Sulla spiaggia mancava solo uno dei tre manager bianchi che ci ha raggiunto al termine dell’aperitivo… potrebbe essere lui il colpevole come pure chi entra ed esce dalle abitazioni per le pulizie o per consegnare la biancheria pulita, indubbiamente qualcuno che sa bene come muoversi e che conosce il luogo. Siamo, comunque, più propensi per la prima ipotesi, ma – ovviamente – si tratta solo di congetture.

Con amarezza ci diciamo: “visto? Un difetto c’era in quel posto tanto perfetto da non sembrare vero!”.

Pare che, da quando abbiamo messo piede in Mozambico, tutto sia molto più complicato, provo una certa inquietudine anche se generalmente non sono particolarmente ansiosa e neppure superstiziosa.

Sbarcati a Cobue, che alla luce del giorno somma alla tettoia di paglia dell’emporio che già conosciamo qualche altra sparuta capanna ed una chiesa semi-diroccata, ci attende un giovane ragazzo accompagnato da un “meccanico” (questo è quanto ci racconta, ma in seguito avremo modo di dubitarne) che con un’auto 4×4 ci prende in carico per il trasferimento a Lichinga.

Nel bagagliaio prende posto anche una giovane donna, poco più che un’adolescente, con un bimbo di pochi mesi che piange solo quando tento di accarezzargli la testolina ricciuta, per il resto del viaggio mamma e piccolo sono silenziosi, come se non ci fossero, malgrado lo spazio molto ristretto e la scomodità. Ancora una volta prendo atto dell’elevato spirito di sopportazione che possiedono gli africani.

Il viaggio dura quasi sei ore su strada prevalentemente sterrata, spesso accidentata, che dopo una serie di ripidi saliscendi corre in una vasta pianura attraversando il bush e piccoli villaggi dove il colore della terra e quello delle capanne con il tetto di paglia si fondono in una continuità cromatica interrotta solo dalle macchie rossastre di meravigliose buganvillee come se un pittore si fosse sbizzarrito a dare pennellate di un unico colore, qua e là, su un fondo ocra.

La strada si affaccia più volte sul Lago Malawi regalandoci begli scorci panoramici.

A Metangula, all’ora del tramonto, piccola cittadina che giorni fa abbiamo visto durante una sosta della motonave Ilala, una fila di imponenti baobab si tinge di calde tonalità regalandoci una delle più belle immagini di questo viaggio.

Poco prima di raggiungere la strada asfaltata foriamo un pneumatico ed è in questa occasione che dubitiamo di colui che ci è stato presentato in qualità di meccanico. Autista e compare si dileguano mentre il volontario di un’associazione, passato per caso, si ferma e sostituisce la gomma buca con quella di scorta.

Percorriamo l’ultimo tratto di strada che ci separa da Lichinga al buio, forse anche ad una velocità un po’ troppo sostenuta, ma siamo sull’asfalto, confidiamo ormai nel fatto di essere vicini alla meta, teniamo, quindi, a freno la nostra preoccupazione.

L’autista ci scarica all’hotel Girassol informandoci che domani mattina, per un impegno imprevisto, dovrà tornare a Cobue e che del nostro trasferimento a Cuamba si occuperà un collega. Non erano questi gli accordi, ma protestare non serve, il driver ci assicura che è tutto a posto e che non dobbiamo temere nulla… speriamo! L’hotel Girassol è di tipo internazionale, senza eccessivo sfarzo, lindo e confortevole.

Siamo parecchio stanchi, per cenare scegliamo il ristorante dell’hotel che ha un’ottima cucina.

Dopo aver gustato la zuppa di verdure ed un boccone di pesce grigliato devo abbandonare la sala ristorante e precipitarmi in camera sorretta da Sandro, non mi sento bene, ho una nausea violenta e mi gira tutto, ho l’impressione di dover cadere a terra da un momento all’altro e, come se non bastasse, ho un mal di testa da primato, evidentemente la combinazione mal di testa / stanchezza / tensione per il furto subito è una miscela esplosiva.

Mi lascio travolgere da una crisi di pianto poi, sfinita, mi addormento.

26 agosto 08 – martedì Il lungo sonno ha spazzato via il mio malessere, mi gusto la colazione abbondante e ottima sentendomi rinata.

Dall’hotel spedisco una mail a Nkwichi Lodge ed all’agenzia che si è occupata di organizzare quella parte di viaggio per denunciare il furto anche se, ormai, non mi aspetto nulla.

Dopo aver atteso per quasi 2 ore il secondo driver ed aver anche pensato di essere stati bidonati ed abbandonati qui, alle 10 finalmente lasciamo Lichinga diretti a Cuamba, dove domani – se Dio vorrà / Inshallah! – prenderemo il treno diretto a Nampula.

Il viaggio ci impegna per oltre 5 ore, percorriamo circa 300 km attraversando un paesaggio collinare che alterna bush a ordinati villaggi, bananeti, boschi di alberi di mango ed eucalipti oltre a piccoli appezzamenti coltivati, montagne e inselberg (massi di granito vulcanico che raggiungono anche i 1000 m di altezza).

Cuamba, con le strade polverose ed i viali alberati, rappresenta per noi un traguardo, fin qui siamo arrivati e, riferendomi ai mezzi di trasporto, è filato tutto liscio, ora dobbiamo solo attendere l’arrivo del treno e procurarci i biglietti.

La prenotazione presso l’hotel Vision 2000 risulta confermata, smettiamo, quindi, di interrogarci sugli inviti ad iscriversi alla chat per cuori solitari anche se decadenza e sporcizia di questa struttura, al costo esorbitante di 75 USD a notte senza colazione, ci lasciano interdetti e tanto valeva scegliere una sistemazione di fascia e prezzo inferiori.

La camera è piccola, squallida, sporca, soffocante, le lenzuola sono già state usate.

Il bagno, lurido, è sconcertante: il piatto doccia presenta diversi strati di incrostazioni di calcare e sporcizia ed una ricca collezione di peli di varie lunghezze e colori, il lavabo ha lo stesso aspetto del piatto doccia con l’aggiunga di residui di sapone e dentifricio, ma il pezzo forte è rappresentato dal water con sedile in finta pelle imbottito e di colore rosso. Nonostante il disappunto perché sarebbe da folli pensare di lavarsi in questo tugurio, alla vista del sedile rosso imbottito scoppiamo a ridere.

Poco importa, tanto – se tutto va bene – alle 4 di domani mattina lasceremo questa stamberga molto mal gestita da una donna nord europea.

Dopo un paio d’ore d’attesa e di incertezza, abbiamo la conferma dei biglietti del treno, possiamo, pertanto, svincolarci dall’autista che prima di andarsene ci prova chiedendoci la bellezza di 650 USD per il trasferimento odierno.

Prendiamo atto che questa pratica, in Mozambico, è ormai una costante: anche alla reception dell’albergo, pagato il conto per la stanza ed i biglietti del treno, abbiamo dovuto rinunciare al resto perché ne erano sprovvisti.

Questo tipo ha però calcato un po’ la mano, va bene che siamo turisti e che – secondo i canoni africani – siamo ricchi, ma 650 USD per 300 km quando abbiamo già pagato ogni servizio all’agenzia è una cifra davvero improponibile ed improbabile. Fatichiamo non poco a convincere il furbetto, ma, alla fine, rassegnato, si congeda mentre noi scuotiamo la testa pensando a quanto sia alterato il suo senso della misura risultando perfino ridicolo con una richiesta così esorbitante.

Andiamo in sopralluogo alla stazione del treno, individuati i vagoni di seconda classe ci diciamo che questa notte, nonostante l’affollamento ed il buio, dovremmo facilmente orientarci: il treno parte alle 5 del mattino! Il viale che fiancheggia la ferrovia è occupato da venditori ambulanti, curiosiamo un po’ tra i banchi e le merci esposte in vendita acquistando bottiglie di acqua, biscotti e cracker per il viaggio che affronteremo domani.

L’hotel Vision 2000 ha un ristorante, ma nel dubbio che sia gestito come le camere preferiamo evitarlo scegliendone uno poco lontano, con tavoli all’aperto, dove gustiamo ottimi gamberi alla griglia. Poi, senza neppure spogliarci, andiamo a dormire per qualche ora.

27 agosto 08 – mercoledì Sveglia alle 4, in pochi minuti siamo pronti, lasciato l’albergo ci incamminiamo verso la stazione.

La polvere che aleggia nell’aria e la luce color arancio diffusa da una serie di lampioni creano un surreale effetto “nebbia in Val Padana” quasi inquietante allo stesso modo.

Conosciamo la strada ed anche se svoltiamo in una laterale non illuminata raggiungiamo i binari senza problemi.

Ci sono già molte persone ma non la ressa che ci aspettavamo o meglio, per il momento, in prossimità delle carrozze di 2^ classe ci si muove abbastanza agevolmente mentre attorno a quelle di 3^ classe c’è più folla.

Il comboi, così è chiamato il treno, non ha luci, i vagoni sono immersi nell’oscurità, prendiamo posto in uno scompartimento di 2^ classe vuoto, non abbiamo neppure il tempo di metterci comodi che un addetto al controllo, dotato di torcia, ci chiede i biglietti e ci invita a seguirlo in un altro scompartimento già occupato da 3 persone e relativo ingombrante bagaglio.

Siamo un po’ contrariati per lo spostamento non sapendo che i posti sono già preassegnati, cosa che scopriremo solo più tardi controllando i nostri biglietti alla luce del giorno.

La nostra insoddisfazione deriva non tanto dal fatto che ci sono 6 posti e che in tanti dovremo viaggiare, ci spiace solo di non aver accesso al finestrino: questo treno è famoso per essere il più importante mercato viaggiante di tutta l’Africa ed abbiamo paura di perderci lo “spettacolo”. Timore che si rivelerà infondato perché, a differenza della 3^ classe che straborda di persone stipate insieme a montagne di merci, nei vagoni di seconda ciascuno ha il proprio posto (6 passeggeri ogni scompartimento), i corridoi finestrati sono sgomberi, avremo, quindi, comunque una “finestra” sul mondo delle contrattazioni e degli affari.

Alle 5, puntualissimo ed a strattoni, il treno lascia la stazione di Cuamba diretto a Nampula che dista 330 km, d’ora in avanti e fino alla stazione di arrivo nessuno più salirà o scenderà. Le soste previste lungo l’intero tragitto sono fatte solo allo scopo di dar luogo ai commerci.

Durante ciascuna fermata, ogni 15 minuti circa, i binari vengono invasi da fiumi di persone che si accostano al treno e che, strillando, propongono verdura, frutta, tuberi, legumi, semi, granaglie, uova, galline (vive), cibo cotto, spiedini di pesce fritto, boccali di acqua, sigarette sfuse, canna da zucchero e molto altro ancora.

Le contrattazioni si svolgono rapide ed avvengono attraverso i finestrini, in pochi minuti passano di mano in mano banconote sporche e stropicciate in cambio di sacchi di patate, pomodori, mazzi di carote che paiono bouquet, fasci di teste d’aglio ed ogni altro tipo di alimento proposto. I commerci continuano fino alla partenza del treno con donne, bambini o uomini che, a piedi nudi, incuranti delle pietre aguzze, lo rincorrono nel tentativo di sbarazzarsi, anche abbassando il prezzo, dell’ultimo cesto di cipolle o sacco di patate ed è una vittoria che si legge nei loro sguardi raggianti quando ci riescono.

C’è però anche chi non conclude alcuna vendita come il padre con due bimbi dall’aria avvilita che non abbiamo il coraggio di fotografare. Quando il treno riparte, l’uomo, immobile sulla banchina della stazione, ha in mano ancora i suoi 4 pesci infilati in uno stecco, il suo sguardo triste ci tocca il cuore e ci fa venire il magone.

Il treno è vecchio e vissuto, a molti finestrini mancano i vetri così che alle 5 del mattino c’è un freddo pungente e dopo le 11 fa un caldo esagerato. I rivestimenti dei sedili sono strappati ed il bagno, accanto al nostro scompartimento, in un punto ha il pavimento sfondato, sotto si vedono scorrere le traversine, la porta non si chiude e, con il passare delle ore, la puzza di latrina si diffonde ammorbando l’aria.

Con la luce del giorno mettiamo a fuoco dettagli che al buio ci erano sfuggiti quali colonie di scarafaggi e lo sporco che ricopre le pareti, il pavimento ed i pochi vetri ancora esistenti, ma nonostante tutto siamo comodi, abbiamo sufficiente spazio per muoverci a nostro piacimento e, rispetto a chi viaggia in terza classe, ci consideriamo privilegiati.

Volendo potremmo anche usufruire del servizio ristorante collocato in una carrozza (attrezzata con una serie di tavoli e panche di legno che un tempo erano colorati d’azzurro e che ora ne conservano solo qualche traccia) raggiungibile dal nostro vagone attraverso un passaggio “volante”, tuttavia l’assenza di acqua e l’odore penetrante di gabinetto ci scoraggiano anche se, bisogna ammetterlo, i piatti che vediamo sfilare hanno un bell’aspetto.

Il passaggio del treno è un avvenimento, lungo il percorso, spesso, gruppi di bimbi lo rincorrono salutando festosi i passeggeri affacciati ai finestrini.

I nostri compagni di viaggio, una donna in compagnia della figlia Sonia, bella adolescente dai lineamenti molto delicati, e due uomini, sono molto cordiali, ci coinvolgono nelle discussioni e, ad ogni fermata, condividono l’entusiasmo per aver concluso piccoli affari spiegandoci, nel contempo, che ogni zona è rinomata per questo o quel prodotto e che, pertanto, è meglio acquistare i pomodori in prossimità del tal villaggio, le banane nella tal altra zona, la manioca qui, le arance là e così via, riempiendo, con il passare del tempo, lo scompartimento di ogni genere di alimento ad eccezione delle galline vive che in seconda classe non sono ammesse.

Durante le soste, di cui abbiamo perso il conto, stiamo incollati ai finestrini del corridoio sporgendoci per osservare curiosi e divertiti chi vende, chi compra e le scene più incredibili, compreso chi per un attimo si blocca stupito nel vederci perché questo non è un treno per turisti. Notiamo, inoltre, che tutto il commercio si svolge con la massima serietà ed onestà, non c’è mai nessuno che non riceve un resto o, ancora peggio, che – dopo aver pagato – non riceve la merce trattata e neppure il contrario cioè nessuno che non paga dopo avere già riposto nello scompartimento quanto acquistato.

Quando il treno, dopo ogni fermata, riparte, torniamo ai nostri posti raggianti per ciò che abbiamo visto, io prendo appunti su un quadernetto per cercare di fissare tanti ricordi ed immagini che temo, con il tempo, di dimenticare.

I compagni di viaggio mi chiedono perché e cosa scrivo ed alla risposta “perché voglio ricordare anche tra molti anni tutti i particolari di questa giornata per noi tanto insolita, ma speciale” si riempiono d’orgoglio al pensiero che anche loro entreranno a far parte della mia piccola e personale cronaca.

Le prime 8/9 ore di viaggio ci vedono presi da quanto accade ad ogni sosta e scorrono veloci.

Dalle 13 in poi il caldo è opprimente, la stanchezza si fa sentire, non ci schiodiamo quasi più dal sedile, la testa spesso ciondola dal sonno, ma gli scossoni ci scuotono destandoci, vediamo, nei frammenti di lucidità, scorrere panorami bellissimi con imponenti formazioni rocciose (Inselberg) dalle forme stranissime: alcune sono perfetti coni aguzzi, altre arrotondate come panettoni, altre ancora mostrano enormi caverne e somigliano a gigantesche teste con le bocche spalancate, ma siamo esausti al punto tale da non avere energie neppure per scattare una fotografia, immagazziniamo le immagini in un angolino della mente tra uno scossone e l’altro, tra una veglia ed un sonnellino.

Dopo 11 ore intense in tutti i sensi, alle 16 il treno entra in stazione a Nampula. La folla assiepata lungo i binari ci mette un po’ d’ansia, ma scendere dal treno, dopo aver aiutato i nostri compagni a scaricare tutta la merce acquistata, e farci largo attraverso lo sbarramento umano è più facile di quel che sembra, ne usciamo indenni. Ci allontaniamo velocemente dalla ressa incamminandoci alla ricerca dell’hotel prenotato che troviamo con facilità dopo aver chiesto indicazioni. L’Hotel Girassol si affaccia su una piazza alberata ed offre una bella vista sulla immacolata cattedrale de Nossa Senhora de Fatima.

In genere non facciamo faville per gli alberghi di tipo internazionale, ma dopo il pernottamento presso lo squallido alloggio di Cuamba e la giornata passata in treno siamo lerci da far schifo, per cui una comoda suite con la biancheria che profuma di bucato ed un bagno accessoriato di tutto punto ci procurano un piacere indescrivibile.

Dopo diverse passate, sotto la doccia, di sapone e shampoo ed un cambio di abiti puliti pare che metà della stanchezza sia scivolata via insieme allo sporco.

A chiusura di una lunga ma meravigliosa giornata ricca di volti, colori e di emozioni gustiamo dell’ottimo pesce in un ristorantino all’aperto.

Prima di rientrare in hotel facciamo quattro passi ed in una linda e moderna pasticceria acquistiamo alcuni dolci, provando tenerezza per la commessa che ci avvisa che a quest’ora alcuni prodotti sono scontati.

28 agosto 08 – giovedì Alle 9, puntuale, arriva il driver che si occuperà del nostro trasferimento a Ilha de Moçambique.

La strada è asfaltata, per nulla trafficata, si snoda attraverso piccoli villaggi, rigogliose piantagioni e gli ormai “soliti” spettacolari Inselberg sino a raggiungere la costa.

Scorgere all’orizzonte i colori dell’Oceano Indiano è fonte di emozione. Siamo partiti dal cuore dell’Africa, viaggiando per molti giorni con diversi mezzi riuscendo, quasi incredibilmente, a rispettare la tabella di marcia imbroccando tutte le coincidenze che per varie ragioni avrebbero potuto saltare, ed ora, in prossimità della costa, siamo felici per aver raggiunto un importante traguardo.

In un paio d’ore, dopo aver attraversato lo stretto ponte, lungo 3 km, che la unisce alla terraferma, eccoci ad Ilha.

La prima cosa che ci colpisce è la luce intensa, quasi abbagliante, che esalta i colori, ci innamoriamo fin da subito di questo luogo.

L’autista ci “deposita” presso l’hotel O Escondidinho, incantevole struttura ricavata dal restauro di un edificio coloniale, risalente al XIX secolo, con un bel loggiato adibito a ristorante che si affaccia su un giardino curatissimo e una invitante piscina.

Gli ambienti interni sono ricchi di particolari architettonici di pregio quali ampie scalinate, saloni, ballatoi con le originali balaustre a colonnine, senza dubbio una bella ed elegante dimora con spaziose stanze luminose dagli alti soffitti, con arredi d’epoca sapientemente miscelati con raffinati oggetti d’artigianato locale.

Dopo giorni di viaggio senza sosta vogliamo gustarci questa bella sistemazione, decidiamo, quindi, di cominciare dal ristorante ordinando insalata di aragosta e calamari (lula) alla griglia, scoprendo, per la delizia dei nostri palati, che non solo ogni pietanza è ottima, ma anche ben presentata ed è sempre accompagnata da riso e patate fritte.

Aggiudichiamo anche al ristorante il massimo dei voti: questa struttura è decisamente perfetta in ogni senso.

Dopo il lauto pasto, durante le ore più calde, ci concediamo una pausa nel giardino ombreggiato.

Ilha de Moçambique, lunga 3 km e larga nel punto massimo 500 m, presenta due distinte facce con caratteristiche totalmente differenti: la Cidade de pedra e la Cidade de makuti.

La prima, la più antica, localizzata nella parte settentrionale dell’isola, è costituita da edifici d’epoca coloniale perlopiù in rovina fatta eccezione per taluni già oggetto di ristrutturazioni ben eseguite.

La seconda, più popolata, occupa l’altra metà dell’isola ed è un agglomerato di povere capanne con il tetto di paglia (makuti), addossate una all’altra, interrate nell’area di scavo da cui sono stati estratti i blocchi utilizzati in passato per la costruzione della Cidade de pedra.

Accompagnati da una guida, un giovane ragazzo del luogo, visitiamo l’intera isola soffermandoci ad ammirare le diverse architetture degli edifici che recano evidenti tracce dell’antico splendore, le fortezze, le piazze, le chiese, la moschea, il piccolo cimitero islamico ombreggiato da splendidi alberi di frangipane. Passeggiamo per le viuzze lastricate di Ilha assaporando la sua atmosfera rilassata e un po’ decadente e osservando le scene di vita quotidiana che hanno luogo nelle due diverse “città”. In particolare siamo attratti dall’attività di alcuni pescatori intenti a scaricare dalle barche il pesce appena pescato e ad aggiustare le reti.

La maggior quantità di pesce viene trasferita in enormi ceste e parte subito per la città di Nampula mentre una piccola parte è destinata al consumo locale, infatti nelle vie tutte attorno al porticciolo non è raro incontrare persone che si dirigono verso casa ciascuna con il mano il proprio “mazzetto” di pescato.

Dopo aver appreso che il pesce viene trasportato a Nampula quotidianamente supponiamo che l’autista che ci ha condotto sin qui, quando è diretto in città per prelevare turisti non viaggi a vuoto, probabilmente, come molti, nel bagagliaio dell’auto trasporta un carico di pesce, ci spieghiamo così il forte odore ed il liquame di cui s’è impregnato il nostro zaino. Proseguendo il giro visitiamo l’ospedale costituito da una serie di padiglioni risalenti alla fine dell’800.

Ci si stringe il cuore nel constatare lo stato di degrado e di abbandono in cui versa. Gli edifici sono in prevalenza inutilizzati fatti salvi i padiglioni che ospitano la radiologia, la maternità ed un reparto di degenza.

L’organico ospedaliero è composto in tutto da 18 persone: 3 medici, 5 infermieri e 10 ausiliari.

Proviamo una profonda amarezza pensando a quanto materiale si scarta nei nostri ospedali perché considerato obsoleto o anche solo per incuria mentre qui sarebbe utilissimo. Il bucato (divise e lenzuola) steso all’aperto ed esposto alla polvere è un insieme di macchie che fa a pugni con i termini “sterilità” e “disinfezione”. I parenti di alcuni ricoverati bivaccano all’aperto.

La visita ci fa molto riflettere, promettiamo a noi stessi di pensare, e non solo, a questo ospedale anche una volta tornati a casa.

La giornata termina con uno spettacolare tramonto che rimiriamo dall’imbocco del ponte che collega l’isola al Continente.

La notte poi cala velocemente e con essa Ilha si anima ancor più: adulti e bambini ormai liberi dagli impegni lavorativi e scolastici (la scuola è articolata in più turni giornalieri e le lezioni si svolgono fino al tardo pomeriggio) si riversano nei vicoli e nelle piazze.

29 agosto 08 – venerdì Tralasciamo le uscite in barca che ci vengono proposte e che con l’alternarsi delle maree, qui molto accentuate, possono richiedere tempi lunghi e, talvolta, l’impossibilità a sbarcare sulle minuscole e poco distanti isole di Goa e Sena.

Decidiamo, in alternativa, di bighellonare per le viuzze della Cidade de pedra curiosando all’interno dei portoni, attraverso le finestre spalancate, tra i ruderi delle case più fatiscenti e nei cortili che ci regalano singolari spaccati di vita quotidiana, pregevoli architetture ed i sorrisi delle persone.

Un edificio particolarmente bello ospita l’unica banca dell’isola il cui interno con gli arredi in legno massiccio di oltre un secolo fa, perfettamente conservati, è una meraviglia.

La mia attrazione per i ponti ci porta alla ricerca del vecchio molo, adesso diroccato, che si rivela un buon soggetto per alcuni scatti fotografici.

L’oceano, ora in fase di bassa marea, ha scoperto chilometri di fondale, ci fermiamo su una spiaggia ad osservare le barche reclinate sulle secche e alcune donne che, piegate in due, raccolgono molluschi, i colori di queste immagini sono così vividi da sembrare irreali per noi abituati quasi esclusivamente alle tinte smorte delle nostre estati afose e degli inverni nebbiosi e cupi.

Verso mezzogiorno la calura ci fa optare per un tuffo in piscina, poi, rigenerati, andiamo a pranzo al Reliquias, grazioso ristorantino con tavoli disposti sotto un pergolato e con vista mare. Il pesce è squisito, si mangia bene, ma il ristorante di O Escondidinho si aggiudica, a pieno titolo, la pole position.

Nel pomeriggio torniamo a visitare la parte meridionale di Ilha soffermandoci ad ammirare una chiesina bianca edificata su una striscia di terra che si protende verso il mare, le barchette colorate ormeggiate nell’antistante specchio d’acqua e le altissime palme che sembrano la “pennellata” finale di questo magnifico dipinto. Proseguendo troviamo una fila di casette colorate e di nuovo gli alberi di frangipane in fiore del cimitero islamico, poi l’isolotto con la fortezza che in passato recludeva schiere di schiavi ed, infine, ci “scontriamo” con la disinvoltura degli abitanti della Cidade de makuti che, sulla spiaggia e tra gli scogli, si accovacciano per fare i loro bisogni senza neppure celarsi, cosa che ci imbarazza, ci fa riporre la macchina fotografica e girare lo sguardo altrove.

Per i nostri canoni non si tratta di una buona usanza e neppure di un bel vedere, ma dopo il “tour” tra le capanne ammassate e gli stretti vicoli con un’alta concentrazione di persone (e galline!) il cui stile di vita non è diverso da quello di centinaia d’anni fa, non ce la sentiamo di provare disgusto o disprezzo. Certamente qualche decennio addietro succedeva la stessa cosa anche nelle nostre campagne.

Completiamo il giro di Ilha percorrendo l’altro lato, quello occidentale, e per ammirare il tramonto scegliamo una panchina piazzata sotto lo sguardo immobile della statua che raffigura l’esploratore portoghese Vasco da Gama che sbarcò qui alla fine del XV secolo.

30 agosto 08 – sabato Lasciamo Ilha, diretti a Pemba, con un minibus ed un diverso driver aggiungendo così un altro tassello al mosaico di questo articolato viaggio.

Condividiamo le 6 ore di trasferta con una coppia di milanesi conosciuta nei giorni scorsi e con un duetto padre/figlio dal temperamento molto avventuroso il cui obiettivo è quello di esplorare, con mezzi di fortuna, le disabitate isole Quirimbas del nord.

Trascuriamo il panorama a favore di interessanti conversazioni con i compagni di viaggio.

Ci fermiamo solo un paio di volte: la prima per fotografare dall’alto di un ponte un ampio fiume che ci regala tante belle scene di vita africana; la seconda sosta è, invece, puramente fisiologica e che, dopo aver provato un bagno pubblico mozambicano, ci fornisce nuovi e divertenti spunti di discussione perché nel settore femminile le turche sono appaiate, cioè potrebbe capitare di fare pipì in compagnia, mentre dagli ometti ci sono diverse combinazioni di poggiapiedi e buchi a seconda del bisogno corporale del momento. Insomma c’è da discutere per diverso tempo! Raggiunto il residence Reggio Emilia, di proprietà di un lui italiano (ma và!?) e di una lei mozambicana, struttura semplice, comoda e pulita, non perdiamo altro tempo che quello per depositare i bagagli e andiamo subito a fare quattro passi in spiaggia scoprendo che l’ampia baia di Wimbi ha davvero la sabbia bianca promessa dalla guida Lonely Planet ed è anche orlata da un fitto palmeto, ma, ahimè, ci sono troppe costruzioni a ridosso del mare nonché troppa folla che, insieme, sottraggono gran parte della bellezza al luogo.

Una volta compreso che non è qui che vogliamo trascorrere l’intera giornata di domani prendiamo accordi con un taxista per spostarci di una trentina di chilometri così da poter visitare una località meno turistica.

La giornata termina con una cena in buona compagnia presso il ristorante Delicia dove gustiamo ottimi gamberoni (camarao) accompagnati da riso e patate.

31 agosto 08 – domenica La strada per Mecufi, circa 30 km a sud di Pemba, è una pista di terra rossa che attraversa ordinati villaggi di casette con il tetto di paglia e zone molto vegetate con ombrosi manghi, euforbie, eucalipti e diversi altri alberi, qua e là spiccano numerosi e imponenti baobab.

La pista termina in un luogo spettacolare i cui colori predominanti sono il bianco ed il turchese nelle sue molteplici sfumature. Qui, un fiume che attraversa una spiaggia sfocia in mare. La bassa marea ha, inoltre, scoperto un’ampia fascia di sabbia e formato una immensa laguna entro la quale emergono lingue e banchi sabbiosi. Guadiamo il fiume immergendoci fino alla vita e sfidando la forte corrente, poi costeggiando la laguna proseguiamo, camminando sulla sabbia ancora umida, fino a raggiungere la lontana spiaggia ed il mare ritiratosi di molto. Non esitiamo un attimo a lanciarci contro le onde dell’oceano ed a fare così il nostro primo bagno di stagione in acqua salata dalla temperatura gradevole e vi sguazziamo a lungo.

Nel renderci conto che la marea sta salendo in maniera visibile e per timore di restare intrappolati tra l’oceano ed il fiume facciamo ritorno al punto di partenza sfidando di nuovo la corrente di quest’ultimo che, ora, è ancora più impetuosa.

Ci incamminiamo poi verso la chilometrica spiaggia che si estende a destra della laguna.

La lunga passeggiata ci regala la quiete di un luogo privo di insediamenti dove la natura non è stata avara nel distribuire bellezze quali le palme che orlano la sabbia bianca, le onde dell’oceano che si infrangono in lontananza, le pozze d’acqua scoperte dalla bassa marea pullulanti di vita e gli isolati gruppi di mangrovie che sembrano messi lì apposta per dare il tocco finale ad un paesaggio già splendido.

Ci auguriamo che i tentacoli del turismo invasivo dei villaggi turistici e dei tour operator non arrivino a deturpare questa porzione di paradiso incontaminato dove le poche persone che si incontrano ti sorridono e ti salutano per il semplice gusto di farlo senza chiedere nulla oppure proseguono le loro attività quali battere i polipi appena pescati, raccogliere conchiglie e molluschi, pescare o remare una piroga incuranti della tua presenza.

Lasciamo Mecufi a malincuore, purtroppo il tempo è tiranno ed è ora di tornare sui nostri passi.

Prima di rientrare a Pemba facciamo una sosta a Murrèbuè, altra graziosa località con una stretta spiaggia di sabbia candida delimitata da un cordone di dune e da una lunghissima fila di alberi che la ombreggiano.

Ci indirizziamo dapprima verso la parte settentrionale della spiaggia sedendoci sulla sabbia ad ammirare i bellissimi colori del mare, esploriamo poi anche la parte meridionale fronteggiata da verdissimi “isolotti” di mangrovie.

Ci soffermiamo ad osservare l’attività che si svolge attorno alle barchette dai colori vivaci e ci lasciamo contagiare dall’allegria di un gruppo di giovani ragazze vocianti e ridenti che si tuffano in acqua, cantano, ballano e giocano godendosi la giornata festiva così come tante altre persone e famiglie del luogo che affollano, con vivacità, questo lato della spiaggia.

Siamo anche molto fortunati nell’assistere ad una esibizione spontanea di Capoeira.

Le ombre si allungano, i colori si accendono, è quasi l’ora del tramonto e dobbiamo tornare, siamo molto soddisfatti di quanto visto oggi e non abbiamo rimpianti per aver trascurato la più nota e mondana Pemba.

Ceniamo ancora una volta presso il ristorante Delicia dove il pesce è sempre squisito. In seguito, per il dolce, ci trasferiamo al Nautilus, bel locale sulla spiaggia.

Salutiamo, infine, Martina e Maurizio con i quali abbiamo piacevolmente condiviso il breve soggiorno a Pemba, domani noi ci sposteremo ancora più a nord mentre loro faranno graduale ritorno verso sud.

1 settembre 08 – lunedì Lasciamo il residence Reggio Emilia in taxi diretti in aeroporto, fermandoci qualche minuto presso l’agenzia che ha organizzato questa seconda parte di viaggio per ritirare alcuni documenti e per il rimborso di un servizio annullato.

Il taxista, con il quale avevamo concordato in precedenza sia il percorso che la tariffa, chiede un supplemento… ci risiamo! Discutiamo abbastanza animatamente, il conducente insiste, ma non paghiamo un centesimo in più di quanto pattuito, ci lascia in malo modo, ma poco importa, dimentichiamo presto l’ “incidente” concentrandoci sulla nostra prossima meta ovvero l’Archipèlago das Quirimbas.

L’Archipèlago das Quirimbas comprende circa una ventina fra isole e isolette sparpagliate nelle acque turchesi che si estendono per un tratto di circa 400 km lungo la linea costiera tra Pemba e il Rio Rovuma. Alcune non hanno l’acqua potabile e sono disabitate, mentre altre hanno una storia lunga quanto la stessa esistenza dell’arcipelago.

In tutto l’arcipelago si possono ammirare bellezze naturali mozzafiato, con emozionanti chiazze di soffice sabbia bianca circondate da luccicanti acque azzurro-turchese che si alternano alle chiazze verdi delle isole ricoperte di vegetazione, e orlate in parte da mangrovie.

Dense foreste di mangrovie collegano molte isole fra loro e con la terraferma, e solo gli abili capitani dei dhow sono in grado di navigare attraverso gli intricati canali aperti nel periodo della presenza portoghese.

Oggi molte delle isole meridionali, tra cui Ibo, Quirimba, Matemo e Rolas, fanno parte del Parque Nacional das Quirimbas che comprende anche una vasta zona della fascia costiera prospiciente.

Oltre che per la sua bellezza naturale incontaminata, l’arcipelago è anche conosciuto per i siti adatti alle immersioni, fra i quali sono considerati particolarmente buoni quelli che si trovano nei pressi di Quilaluia, Vamizi e Rongui.

Raggiungiamo Ibo, in meno di 30’, con un piccolo aereo variopinto che in totale ospita 5 passeggeri.

Purtroppo il sole è coperto da una coltre di nuvole, la vista dall’alto è penalizzata, vediamo distintamente, lungo la costa e attorno alle isole, le secche createsi per effetto della bassa marea, le fitte foreste di mangrovie e le spiagge, ma le tinte sono smorzate, non riusciamo a cogliere le varie sfumature di colore della vegetazione e, soprattutto, del mare: un vero peccato! L’aeroporto di Ibo è il più piccino che ci sia mai capitato di vedere, fa tenerezza, è poco più di una tettoia, sulla sua facciata campeggia a caratteri cubitali la scritta: IBO.

Ci attende un autista con una bella jeep scoperta, come quelle che si usano nei Parchi durante i safari. Anche questo personaggio non esita a chiederci soldi per il trasferimento da qui alla guest house Cinco Portas che noi abbiamo già pagato all’agenzia. Evvai con un’altra discussione, 2 che “ci provano” nell’arco della stessa giornata e nel giro di poche ore ci fanno perdere la pazienza, lasciamo, comunque, a bocca asciutta anche questo secondo furbetto.

La guest house Cinco Portas è una struttura modesta, ma graziosa, con camere di diverso tipo (alcune con bagno in comune, altre con servizi privati ed una suite con terrazzino), la nostra è piccola, ma carina ed ha all’interno un “box” contenente una spaziosa doccia ed il water, ci sarebbe spazio a sufficienza anche per un lavabo, ma – considerati i lavori in corso – pensiamo che si provvederà alla carenza in un futuro abbastanza prossimo, in ogni caso non è un grosso disagio usarne uno di quelli posti all’esterno.

I punti forti di questa sistemazione sono: • il rigoglioso giardino con un pergolato all’ombra del quale si consumano i pasti, • la coreografica piscina affacciata sul mare che anche qui è impraticabile per via dell’effetto delle maree, • l’ottima cucina la cui gestione è affidata alla bella e simpatica Isaura, giovane donna mozambicana molto efficiente e mamma di Sammy, un adorabile “bambolotto” di 14 mesi che sono ben felice di “adottare” mentre la madre spadella.

Come sempre, quando ci spostiamo in una nuova località, siamo smaniosi di andare a scoprirla e Ibo non costituisce un’eccezione. Usciamo, quindi, quasi subito percorrendo le sue tranquille stradine dove si allineano i resti di antiche dimore, ora in rovina, dalle architetture più elaborate e raffinate rispetto a quelle delle case di Ilha. Gli edifici, qui, hanno ampi portici, belle inferriate e portoni massicci.

Visitiamo, percorrendone i camminamenti, una splendida fortezza bianca affacciata sul mare che, in questo momento, con la bassa marea, si è ritirato tanto da non riuscire a vederlo neppure all’orizzonte.

I colori sfumati, le secche e le barchette di legno reclinate come relitti abbandonati conferiscono al paesaggio un che di surreale, affascinante e inquietante al tempo stesso, regalandoci, altresì, ottimi soggetti per le fotografie.

Verso mezzogiorno il sole è cocente, naturalmente – per la legge di Murphy – il cielo è rimasto velato solo per un tempo sufficiente ad impedirci di avere una bella e soddisfacente visione durante il breve volo aprendosi subito dopo il nostro atterraggio. Interrompiamo la passeggiata per il troppo caldo, siamo disidratati al punto tale da accusare malore. Ci rifugiamo all’ombra dopo aver preso un integratore di sali minerali avendo anche l’accortezza di bere molta acqua.

Per pranzo, Isaura “scodella” ottimi gamberoni, patate ed insalatona mista che gustiamo seduti al bancone della cucina a vista allestita in un angolo del giardino.

Trascorriamo il resto della giornata all’ombra, giocando con il socievole Sammy senza trascurare un tonificante e lungo bagno in piscina.

Se con il pranzo Isaura si è aggiudicata un ottimo punteggio, con la cena, a base di aragosta, insalata di patate e sfiziose salsine, ha totalizzato il massimo dei voti. Davvero strabiliante! La squisita cena è accompagnata dallo spettacolo di un tramonto favoloso, il più bello tra tutti di questo viaggio, i cui colori si riflettono, su più livelli, nell’acqua della piscina e, più sotto, sulla superficie piatta del mare. Non è un caso che un fotografo professionista si sia fiondato qui dal vicino e lussuoso Ibo Island Lodge (con una vista meno pittoresca) e stia scattando foto a raffica con più macchine fotografiche ed obiettivi diversi.

2 settembre 08 – martedì Dedichiamo la mattinata ad una visita più approfondita di Ibo passeggiando senza una meta precisa lungo le sue stradine, gli ampi viali alberati, ammirando belle case ristrutturate e altre in rovina con colonnati, portici ed eleganti ringhiere in ferro.

Qui l’aria decadente è la stessa di Ilha, ma è tutto più aperto, le piazze sono vaste, le vie più larghe e gli ampi giardini hanno aiuole delimitate da “sassi” di corallo e conchiglie di colore bianco. Gustiamo l’atmosfera sonnacchiosa e rilassata di Ibo con i suoi abitanti che ci sorridono e salutano, con gli alberi di frangipane che diffondono la loro fragranza, le donne dal viso dipinto di bianco, i pescatori in pausa dopo le fatiche della pesca in apnea, gli studenti che si recano a scuola e gli artigiani che non sono assillanti.

Torniamo alla fortezza che, con le cupole bianche ed il mare azzurro, sullo sfondo, nella fase di alta marea, ricorda una classica immagine greca.

Visitiamo, in seguito, un’altra fortezza, più piccola e costruita utilizzando blocchi di pietra, una chiesa e l’interno di alcuni edifici in rovina, ora invasi dai rampicanti, immaginandone, da quel che resta, lo splendore del passato.

Pranziamo da Arquipelago, bar ristorante finanziato e realizzato dal Governo allo scopo di incentivare le attività dell’isola. Il locale è gestito da un gruppo di ragazzi del luogo che svolgono egregiamente il loro compito, mangiamo, infatti, molto bene spendendo poco (calamari alla griglia, riso e salsa di pomodoro leggermente piccante).

Accomodati all’aperto osserviamo i mutamenti di colore che il fondale, ora scoperto dalla bassa marea, subisce per effetto dei giochi di luce e ombra generati dal veloce passaggio di nuvole. Altro fenomeno, questo, molto affascinante.

Durante le ore più calde ci concediamo un po’ di relax all’ombra ed un tuffo in piscina. Nel tardo pomeriggio ci incamminiamo verso l’estremità dell’isola che ospita un faro e, seduti su un muretto, attendiamo il calar del sole e la sua esplosione di colori.

La cena, confezionata da Isaura, è un altro elemento degno di nota della giornata.

3 settembre 08 – mercoledì Ci confermano che il trasferimento in barca a Guludo, sulla costa, più a nord, quasi al confine con la Tanzania, avverrà nel primo pomeriggio con il montare della marea.

Impegniamo parte della mattinata andando alla ricerca di un curioso cartello che, il giorno del nostro arrivo, avevamo notato sulla strada poco prima di raggiungere il centro abitato.

Non dobbiamo cercare a lungo, eccolo, in prossimità di una spiaggia, riporta il disegno di un uomo accovacciato, barrato dal simbolo di divieto e, nella parte inferiore, la scritta “proibido defecar nesta zona!”. Per noi la “vignetta” è decisamente fonte di ilarità, scattiamo alcune fotografie a ricordo di questa amenità.

Dopo aver percorso nuove viuzze ammirando diversi altri edifici più o meno in rovina ed avendo esaurito tutte le nostre curiosità su Ibo, ci rifugiamo in piscina e ce la godiamo fino alle 14,30 quando una persona dello Staff di Guludo lodge ci prende in carico per lo spostamento.

Prendiamo posto su un gommone insieme a 4 turisti spagnoli tenendoci saldi poiché, lasciato lo specchio d’acqua racchiuso in una baia protetta, siamo ben presto in mare aperto con onde che scuotono la potente e robusta imbarcazione come fosse un guscio di noce.

La giornata è tersa, i colori vividi, vediamo sfilare in lontananza alcune isole che si materializzano sotto forma di linee di sabbia candida sovrastate dal verde delle palme e circondate dal mare che dal colore blu profondo sfuma fino al turchese. Per chi conosce le Maldive lo spettacolo è lo stesso! Ci avviciniamo poi alla costa e lo scenario non cambia: sabbia bianchissima in primo piano e vegetazione sullo sfondo. Non mancano, come in ogni luogo paradisiaco che si rispetti, svettanti palme ed un mare decisamente invitante.

Sbarchiamo, dopo poco meno di un’ora di “galoppo” sulle onde, su una spiaggia che apparentemente sembra deserta, il lodge non si vede.

Superato un argine di sabbia e la vegetazione compare un’ampia tettoia di paglia che funge da salotto, ristorante, reception.

Con un briefing ci vengono fornite notizie sul lodge, sulle attività, sui progetti finanziati con parte degli introiti e sulla costruzione di ogni singolo elemento della struttura nel pieno rispetto dell’ambiente e mediante l’utilizzo di materiali e mano d’opera locali. In particolare si sottolinea l’importanza della scelta di non utilizzare energia elettrica ed acqua corrente, orientamento, quest’ultimo, che comunque non toglie nulla al comfort perché ci si può fare una doccia, con acqua calda, quando se ne sente la necessità anche più volte al giorno, inoltre c’è acqua a sufficienza per sciacquarsi le mani, il viso e per lavare i denti ed ogni mattina viene ritirata la biancheria personale sporca per essere riconsegnata pulita la sera dello stesso giorno.

L’approvvigionamento d’acqua avviene manualmente. Due volte al giorno una cisterna soprastante la doccia viene rifornita d’acqua calda; più volte nell’arco della giornata viene riempita una tanica posta a fianco del lavabo, lo stesso avviene con le bottiglie contenenti acqua potabile posizionate su uno scrittoio all’interno dell’abitazione di ciascun ospite. L’illuminazione è assicurata da lanterne a paraffina ed ogni ospite viene dotato di una torcia che si carica ruotando una manovella. Mi è difficile spiegare nei minimi particolari il sistema di pulizia del water anche questo senza acqua corrente. Molto grossolanamente: un condotto aspira e separa i rifiuti organici solidi dai liquidi smaltendoli attraverso un altro condotto dall’aspetto di un grosso comignolo, in pratica vengono dissolti senza l’impiego di tecnologia o macchinari sofisticati, ma per aspirazione prodotta in modo del tutto naturale. Una cosa, anche se pare inspiegabile, è certa: il water, con un foro molto più ampio e profondo rispetto a quello di un water tradizionale, non è mai sporco, non ci sono ristagni sul fondo e non aleggiano cattivi odori.

Terminata la “lezione” teorica ci accompagnano alla nostra abitazione contrassegnata dal simbolo del delfino che – sotto forma di mosaico – decora la pavimentazione della enorme veranda.

L’alloggio è una spaziosa “tenda” di circa 30 mq di superficie collocata al centro di una piattaforma rialzata da terra da un paio di gradini.

Un’ampia ed alta struttura, a doppia falda e rivestita di paglia, ombreggia la tenda e lo spazio esterno dove trovano posto un salottino e due amache doppie.

La tenda è in sostanza un’enorme zanzariera con le 4 pareti costituite da una rete fitta e trasparente che non permette ad insetti e ad altri animali di introdursi all’interno.

Poco distante, un riparo di cannette ospita l’elegante bagno con wc e lavabo, a fianco di quest’ultimo è posizionata una tanica ricoperta di paglia dalla quale fuoriesce un “tubo” (una canna di bambù) che eroga acqua semplicemente staccandolo dal supporto cui è appoggiato e abbassandolo.

In un diverso riparo, molto spazioso, è collocata la doccia che con un altro sistema “primitivo” assolve alle nostre necessità: una sorta di maniglia attaccata all’estremità di una corda abbassa o alza, a seconda della sua posizione, un braccio con un doccino (mezzo guscio di cocco), che ci ricorda il lungo collo di una giraffa, da cui l’acqua calda sgorga subito dopo. Naturalmente, considerato che la zanzariera trasparente della nostra abitazione ci espone agli sguardi altrui ed anche le strutture che contengono il locale bagno e la doccia hanno un passaggio aperto, la privacy è garantita da adeguata distanza tra un alloggio e l’altro e dalla vegetazione che racchiude ogni unità abitativa.

Anche l’accesso alla spiaggia è esclusivo. Un passaggio tra la macchia e pochi gradini permettono di raggiungere il mare.

Il sole tramonta poco dopo le 5, la giornata, purtroppo, è quasi terminata. Raggiungiamo il ristorante percorrendo un tratto di spiaggia anziché i viottoli interni, il tavolo che ci viene assegnato è in un angolo appartato, posizionato direttamente sulla sabbia ed illuminato solo da lanterne.

Uno squarcio tra i cespugli ci permette di vedere il mare sulla cui superficie si specchiano i bagliori di migliaia di stelle. Anche i poco inclini al romanticismo non potrebbero provare indifferenza in un simile contesto.

Il nostro senso di appagamento raggiunge l’apice quando, da sotto la zanzariera, con la testa appoggiata sul cuscino, sentiamo la brezza marina, il rumore della risacca e ci addormentiamo contando le stelle.

4 settembre 08 – giovedì In questa stagione, nel Canale di Mozambico, stazionano le balene (megattere) che sono giunte sin qui per partorire e svezzare i cuccioli.

Potevamo, forse, lasciarci sfuggire l’opportunità di uscire in barca per andare alla loro ricerca? Ovviamente, no! Ed eccoci, quindi, seduti a cavalcioni ed aggrappati alle maniglie (come se fossimo in moto) su una imbarcazione a motore in compagnia di Nieves e Tomas (2 degli spagnoli), una biologa marina attrezzata di schede per la registrazione degli avvistamenti e un paio di ragazzi al timone.

Dopo esserci spinti parecchio al largo, cavalcando le onde a tutta velocità, rallentiamo l’andatura e osserviamo con la massima concentrazione il mare in attesa di un segnale che indichi la presenza delle balene.

Siamo fortunati, non dobbiamo attendere a lungo per il primo avvistamento cui ne seguono diversi altri.

Non riusciamo, però, a quantificare quante ne vediamo esattamente perché le balene compaiono per pochi secondi, si inabissano spostandosi velocemente per poi riemergere anche parecchio tempo dopo ed in un punto molto distante da quello della prima apparizione.

Non capiamo, quindi, se quelle che vediamo sono sempre le stesse o se sono ogni volta diverse, ma poco importa, ciascun avvistamento è sempre molto emozionante. Siamo poi impressionati dalle dimensioni, le megattere sono gigantesche, più di quel che si può immaginare, lo stesso vale per i piccoli che affiancano sempre la madre. E’ una grande emozione vedere i corpi lucidi con le pinne dorsali appaiate, gli alti sbuffi d’acqua oppure, nel silenzio totale, scrutare per lunghi minuti la superficie del mare increspata dalle onde e individuare all’improvviso una macchia scura che conferma la presenza di un grosso esemplare.

La scena più bella ce la regala una balena che emerge a non più di 5 metri dalla barca offrendoci lo spettacolo del suo dorso visto di fronte, si immerge poi passando sotto di noi. Pur non vedendola riusciamo, osservando la scia d’acqua spostata, a seguirne il movimento a lungo. Siamo impressionati dalla mole d’acqua movimentata e dal lungo strascico cosa che neppure una grossa imbarcazione riuscirebbe a eguagliare. Il mare ha trasparenza e colori straordinari, spesso la barca, in movimento, è preceduta da branchi di piccoli pesci volanti. Sono, queste, immagini che non riusciamo a catturare con l’obiettivo, ma che si imprimono indelebilmente nella nostra memoria insieme a quella dell’ultima balena sul cui dorso lucido si riflette la luce del sole.

Dopo diverse ore, trascorse senza che ce ne rendessimo conto, con quest’ultima meravigliosa immagine stampata negli occhi, salutiamo le balene e, lasciato questo tratto di mare, torniamo lentamente verso la spiaggia del lodge scrutando ancora tra le onde a “caccia” di altri esemplari.

Passando a fianco di Rolas Island già pregustiamo il piacere di domani, la lingua di sabbia bianchissima che si insinua nel turchese dell’acqua limpida lascia presagire un’altra indimenticabile giornata.

Mentre pranziamo, dal nostro angolino appartato, possiamo bearci dei colori dell’oceano e della distesa di sabbia scoperta dalla bassa marea.

Nel pomeriggio visitiamo il vicino villaggio interessato da diversi progetti promossi e finanziati dallo Staff di Guludo lodge.

L’accoglienza che ci riservano soprattutto i bambini è disarmante. La visita è allietata, per tutto il tempo, da un codazzo di piccoli e vivaci “ammiratori” che ci tendono le manine e fanno a gara per aggiudicarsi quello che considerano un importante obiettivo, vale a dire aggrapparsi alle nostre mani/braccia/gambe/vestiti e restarci incollati sino a che non vengono spintonati e spodestati da altri compagni di gioco.

Non riusciamo a concentrarci sulle argomentazioni sicuramente molto interessanti che una persona dello Staff ci sta illustrando, ma poco male, questi piccoli meritano la nostra attenzione, lasciamo, pertanto, che siano loro a condurre il gioco arrendendoci al festoso e commovente “assalto”.

Le giornate, in Africa, sembrano sempre troppo corte, il sole sta già tramontando quando lasciamo il villaggio e salutiamo i nostri nuovi piccoli amici.

Si ripete poi il rito della cena sotto le stelle e la magnifica sensazione di addormentarsi cullati dalla brezza e dal rumore sommesso del mare.

5 settembre 08 – venerdì Ancora in compagnia dei simpatici Nieves e Tomas e di nuovo a “cavallo”, sfidando l’oceano oggi più agitato, con una scorta di acqua, cibo, maschere, boccagli e tutto l’occorrente per trascorrere la giornata su un’isola disabitata, partiamo alla volta di Rolas Island.

Durante la traversata la barca corre veloce, inevitabilmente veniamo investiti da continui spruzzi d’acqua, in particolare la mia postazione è quella che viene maggiormente colpita e, nel giro di poco, mi ritrovo completamente fradicia ed infreddolita.

Avvicinandoci all’isola il mare è calmo, ha sfumature che passano dal blu al turchese, dall’azzurro tenue alla trasparenza totale.

Sbarchiamo su una larga lingua di sabbia finissima, dal colore bianco abbagliante, siamo sopraffatti da tanta bellezza e dalla “violenza” dei colori.

Esclusa la possibilità di vedere i giganteschi granchi del cocco, che durante il giorno stanno rintanati, ci concediamo lunghi bagni in mare, godendoci poi la spiaggia, le calette delimitate da piccoli scogli e lo snorkelling al largo, tra miriadi di pesci colorati, sopra 3 enormi funghi di corallo.

La bassa marea ha scoperto, nel frattempo, sul lato occidentale dell’isola, una lunga e sottile striscia di sabbia che si insinua, per circa un chilometro, nell’acqua limpidissima. La percorriamo sino a che la sua estremità si perde nel mare.

Da ogni prospettiva questo lembo di terra affiorante, con il bianco della sabbia ed il turchese dell’acqua che la circonda, costituisce uno spettacolo naturale che difficilmente potremo dimenticare ed è tutto a nostro esclusivo beneficio.

Tornando verso la spiaggia, quando la brezza si placa, sentiamo sulla pelle i caldi raggi del sole, d’istinto ci muoviamo rigirandoci spesso perché, fermandosi anche solo per pochi secondi, si ha la netta sensazione di cuocere.

Pranziamo all’ombra di un riparo improvvisato dallo Staff con 4 pali di legno ed un telo di cotone bianco, ammirando affascinati la marea che sale visibilmente e ricopre la “nostra” lingua di sabbia sino a inghiottirla del tutto.

Verso le 15,30, “cavalcando” e sfidando in pole position (i posti a sedere sulla barca sono disposti su due file appaiate e ci si siede, a cavalcioni, uno dietro l’altro) per l’ultima volta la potenza dell’oceano, torniamo al lodge.

Prima del tramonto e della totale oscurità ci resta il tempo per fare una passeggiata sulla spiaggia (lunga in totale 12 km).

Raggiunto un fitto palmeto torniamo lentamente sui nostri passi fissando nella memoria le ultime immagini di questo paradiso con i colori del tramonto che si riflettono sul bagnasciuga invaso da centinaia e centinaia di granchi dal bel colore rosato che, al nostro passaggio, corrono veloci e buffi con quella particolare andatura che li contraddistingue.

Per la nostra ultima serata di permanenza al lodge il Manager ha dato disposizioni al cuoco di congedarci con una cena all’italiana a base di bruschette e tagliatelle caserecce con granchio: siamo commossi per la delicatezza.

Unito alla gratitudine c’è anche il nostro massimo impegno per far sì che i simpaticissimi ragazzi che portano in tavola i piatti presentandoli di volta in volta li chiamino nel modo corretto… “bruscetta” non si può proprio sentire! Il passo da lì agli “spagetti” ed altre stramberie sulle pietanze italiane è breve, nasce così un divertente scambio culturale (con tanto di foglio e matita per prendere appunti) sui diversi modi di dire con relative prove di pronuncia. Come spesso accade, in situazioni simili, gli “allievi” migliori non siamo né Sandro né io.

6 settembre 08 – sabato Alle 6,30 lasciamo Guludo con un fuoristrada per fare ritorno a Pemba dove termina il nostro itinerario in terra mozambicana.

Percorriamo una stretta pista sterrata con un paesaggio che alterna colline, bush e piccoli villaggi.

Superata la cittadina di Macomia, imbocchiamo una strada asfaltata attraversando agglomerati di capanne ombreggiati da bellissimi palmeti e alberi di mango. A nostro parere questi ultimi sono i villaggi più belli visti sino ad ora.

In prossimità di Pemba svettano alti ed imponenti Inselberg. Anche l’ultimo trasferimento via terra si è rivelato, paesaggisticamente parlando, molto piacevole.

Dopo circa 4 ore di viaggio, giunti a Pemba, un agente di polizia intima l’alt al nostro driver, segue poi il ritiro della patente con la contestazione d’aver superato il limite di velocità (non viaggiavamo a più di 70 km/ora).

La discussione va per le lunghe, il driver chiede di soprassedere alla contravvenzione sostenendo d’aver fretta di accompagnarci in aeroporto, l’agente è irremovibile, ci lascia liberi di andare, ma la patente resta in “ostaggio” nelle sue mani.

Poco più avanti, se non è sfiga questa… un altro agente ci blocca, chiede patente e libretto e qui sbianchiamo tutti, non sappiamo se ridere o piangere, durante tutto il viaggio, sulle strade del Mozambico, non s’è visto un solo agente, per di più, questo è l’autista più corretto e prudente tra i diversi che abbiamo avuto, non possiamo credere a tanta sfortuna, siamo dispiaciuti tanto quanto lui.

Altra discussione che si protrae a lungo, poi, finalmente, il rilascio e la corsa in aeroporto dove non mancano altri momenti di tensione.

Perdiamo parecchio tempo al check-in per la riemissione dei biglietti aerei dopo aver pagato un supplemento a causa dell’aumento delle tasse aeroportuali. Qui non vale la regola che, a biglietto emesso, si è al riparo da qualsiasi incremento intervenuto successivamente.

Al metal detector un petulante funzionario apre e fruga, con un piacere perverso che gli si legge in faccia, nei bagagli di tutti i passeggeri in cerca di chissà che. Non trovando, come è ovvio, nulla di irregolare piuttosto che niente “sequestra” accendini e altri gadget di poco conto.

E’ la prima volta che, nonostante la sua indiscutibile bellezza, lasciamo un Paese africano con un certo sollievo. Non siamo in grado di stabilire se è una costante o se siamo stati particolarmente sfortunati, ma, in Mozambico, troppo spesso, abbiamo avuto la consapevolezza di essere considerati “polli da spennare”, aspetto che, purtroppo, ci ha accompagnato per tutto il nostro soggiorno. Sorvoliamo la costa mozambicana e le Isole Quirimbas, con il sole, ci regalano un meraviglioso spettacolo di colori. Superato il fiume Ruvuma che segna il naturale confine con la Tanzania, riconosciamo, subito dopo, Zanzibar. Atterriamo, infine, a Dar es Salaam dove ci attende un incaricato dell’agenzia che ha organizzato la terza ed ultima parte del nostro viaggio.

Raggiunto l’hotel Southern Sun (ex Holiday Inn) decidiamo che, per oggi, non abbiamo voglia d’altro che di una doccia, un pisolino a bordo piscina e di una buona cena: servizi che troviamo senza dover uscire.

7 settembre 08 – domenica Usciti dall’albergo ci incamminiamo verso il mare costeggiandolo sino a raggiungere il porto dove sono ormeggiati pescherecci colorati ed i traghetti che collegano la città a Zanzibar.

Nelle vicinanze visitiamo un grande mercato del pesce brulicante di persone ed in pieno fermento.

Proseguiamo la nostra passeggiata tra la miscellanea di edifici coloniali e strutture decisamente moderne cogliendo contrasti molto suggestivi quali carretti stracolmi di banane che si specchiano nelle pareti vetrate dei grattacieli.

Visitiamo un paio di chiese gremite di fedeli che, tirati a lustro e con gli abiti migliori, partecipano alle funzioni domenicali. Assistiamo anche alle prove di canto di un gruppo gospel.

Dar non sembra particolarmente attraente, i negozi oggi – giorno festivo – sono chiusi, esauriamo ben presto la nostra curiosità. Decidiamo, quindi, di passare il pomeriggio in hotel godendoci la frescura del giardino ombreggiato ed i comodi lettini che sono disposti tutto attorno alla piscina.

Non avevamo in programma di passare due notti a Dar, inizialmente saremmo dovuti arrivare qui oggi, ma il cambio operativo del volo Lam Mozambique ci ha imposto una variazione dell’ultima ora e questa sosta forzata.

Da domani l’itinerario è invariato e prosegue come preventivato: si vola nella Selous Game Reserve! Cena e a nanna presto sognando il gran finale tra gli animali della savana.

8 settembre 08 – lunedì Sveglia alle 6 e trasferimento in aeroporto.

Controllando i biglietti aerei scopro che il volo di rientro a Dar dell’11.9.08 è stato prenotato per il mattino anziché a fine giornata come da accordi presi con l’agenzia. Questa variazione è molto penalizzante in quanto ci preclude la possibilità, come era nostro desiderio, di passare un’intera giornata all’interno della Selous Game Reserve costringendoci, invece, ad una nuova e indesiderata sosta a Dar.

Chiediamo all’incaricato dell’agenzia di provvedere alla rettifica nel rispetto di quanto a suo tempo pattuito.

Il tipo, giunti in aeroporto, si attiva subito, ma la compagnia aerea, dopo alcune verifiche, ci comunica che l’ultimo volo del pomeriggio è al completo. La nostra inquietudine cresce.

Seguono diversi scambi di telefonate tra l’incaricato dell’agenzia e gli uffici della stessa, ci promettono di risolvere il problema, ma ci salutiamo senza nessuna certezza e con i biglietti recanti ancora gli estremi del volo del mattino.

Ancora frastornati da quanto accaduto prendiamo posto su un piccolo aereo (12 posti) che dopo 30’ di volo atterra all’interno della Riserva su una pista di terra battuta che taglia la savana.

Con una superficie approssimativa di 45.000 kmq la Selous Game Reserve copre il 5% di tutta l’area della Tanzania. E’ la più grande riserva del continente e l’area protetta più vasta del Paese, seguita a ruota dagli estesi ecosistemi del Ruaha National Park e del Serengeti. E’ aperta al turismo soltanto la parte a nord del fiume Rufiji, mentre vaste zone a sud sono adibite alla caccia.

Una delle principali attrattive della riserva è forse il selvaggio fiume Rufiji che ha il più grande bacino di raccolta d’acqua dell’Africa occidentale. Dalla sua sorgente sugli altopiani il fiume si snoda per 250 km attraverso la Selous fino al mare, in cui sfocia con un delta che si trova al di fuori dei confini della riserva e si espande lungo la costa di fronte a Mafia.

Siamo nel nostro ambiente, questa è l’Africa che più amiamo (quella degli animali), respiriamo fin da subito aria di “casa”.

Un uomo cordiale, a bordo di una jeep scoperta, aspetta noi, attendiamo solo qualche minuto, l’aeroplanino riparte, subito dopo attraversiamo la pista d’atterraggio e ci dirigiamo verso Rufiji River camp che dista solo 1 km.

In un così breve tragitto vediamo babbuini, impala, un piccolo gruppo di elefanti in movimento ed un secondo branco con due esemplari che, all’ombra di un boschetto, dormono mentre altri tutto attorno vegliano sul loro sonno.

Poco dopo l’ingresso al campo troviamo, nei pressi di un grosso baobab, il piccolo ufficio dove ci registriamo e ci vengono date alcune informazioni preliminari.

L’intera struttura, molto bella, è stata realizzata sulla sommità di una falesia che si affaccia sul fiume di cui il campo porta il nome. Comprende una zona pranzo/relax/salotto collocata sotto un’enorme tettoia di paglia, una piscina e due distinti settori con una ventina di tende in totale allineate e distanziate tra loro.

Il nostro alloggio non è al momento disponibile, ci chiedono di pazientare qualche minuto e di accomodarci dove vogliamo.

Scegliamo di sederci sulle canoe di legno trasformate in panche e collocate a pochi metri dal dirupo. Ci immergiamo subito nel “documentario” che ha luogo sul fiume sottostante popolato da oziosi ippopotami e sulle isole di sabbia affioranti ricoperte di uccelli e pellicani le cui sagome si riflettono nell’acqua.

Binocolo alla mano osserviamo enormi coccodrilli che sonnecchiano con la spaventosa bocca spalancata, stormi d’uccelli che si alzano in volo e rumorosi ippopotami che ruotano le orecchie in quel particolare modo che li contraddistingue e che a noi risulta sempre buffo.

Il campo è meta prediletta di simpaticissime scimmiette (Velvet monkey) con gli esemplari maschi dai testicoli di colore azzurro. Tenerissima la scena regalataci da una femmina che tiene in braccio un cuccioletto di pochi giorni dai “capelli” ancora appiccicati al capo cullandolo come facciamo noi umani con un neonato.

Tempo una mezz’ora ci accompagnano alla nostra tenda, l’ultima del settore denominato Hippo.

E’ molto bella e spaziosa, include un ampio bagno in muratura ed una panoramica veranda.

Come dicevo, la nostra abitazione chiude la fila, poco oltre un cartello invita a non superare quel limite.

Non passa molto tempo per comprendere le ragioni del divieto.

Un rumore di rami spezzati attira la nostra attenzione, a non più di 5-6 metri di distanza vediamo sfilare una famigliola di elefanti, con i piccoli, diretta al fiume ad abbeverarsi. Oltre il limite imposto dal segnale c’è un sentiero scavato nella falesia dal frequente passaggio di elefanti, sentiero utilizzato anche dagli ippopotami (erbivori) che, dopo il tramonto, lasciano il fiume in cerca di cibo per farvi poi ritorno alle prime luci dell’alba.

Per non aver ancora iniziato le attività di safari le premesse sono più che stimolanti, senza dubbio in quest’area gli animali abbondano.

In attesa dell’ora di pranzo e del safari pomeridiano facciamo un bagnetto in piscina.

Possiamo partecipare a 2 attività giornaliere a scelta tra: game drive (tradizionale safari in jeep scoperta), walking safari (safari a piedi), boat safari (safari in barca) oppure si può optare per un full day game drive (safari per l’intera giornata con pranzo pic-nic).

Dopo un ottimo pasto ed il relax all’ombra, alle 16, eccitati come due ragazzini davanti ad un pacco dono da scartare, usciamo dal campo alla ricerca degli animali.

I primi che incontriamo sono impala, seguono poi alcune giraffe, un eland (la più grossa delle antilopi) in fuga, una coppia di zebre, facoceri, un bellissimo gruppo di 7 giraffe, ancora zebre e di nuovo giraffe che si materializzano ovunque. Ci è chiaro fin da subito che questa è la riserva africana che ne ospita il maggior numero ed ecco spiegato anche il logo di Rufiji River camp che raffigura il muso di una giraffa.

Siamo incantati dalla bellezza e varietà degli ambienti che attraversiamo. Qui oltre a diversi elementi quali savane, bush, boschi di acacie, palmeti, alberi di mopane, boschetti che ricordano quelli montani, baobab e alberi di ogni genere, ci sono molte lagune, laghi ed il fiume che gira quasi su sé stesso con le sue numerose anse; in concreto tanti specchi d’acqua che costituiscono la meta prediletta di uccelli, di coccodrilli che nuotano furtivi e di tutti gli animali che, più o meno timorosi, in rapporto al loro grado gerarchico, vi si avvicinano per bere.

La magia di un tramonto infuocato è un po’ offuscata dalle tse-tse flies che compaiono a frotte al calar del sole.

La battaglia contro le fameliche mosche è sempre persa ne esco con una serie di punture, due delle quali si espandono in maniera vistosa e fastidiosa: anche questa è Africa! Un corposo branco di bufali che fugge veloce al nostro passaggio sollevando una nube di polvere chiude il carosello di immagini di questa prima meravigliosa giornata di safari.

9 settembre 08 – martedì “Full day safari” è la nostra scelta unanime e indubbia per la seconda giornata di permanenza nella Riserva. Non ci sono itinerari e programmi predeterminati, tutto sarà improvvisato al momento a seconda degli animali che avvisteremo e delle scene che vorremo osservare per un tempo più o meno lungo.

Avendo l’intera giornata a disposizione potremo perlustrare un’area più ampia spingendoci parecchio più distante rispetto a ieri.

Come abbiamo capito fin da subito, gli animali abbondano, inoltre, questa immensa area naturalistica non ha nulla da invidiare ai parchi africani più famosi: qui ritroviamo le savane del Serengeti N.P. (Nord Tanzania), diversi paesaggi del Queen Elizabeth N.P. (Uganda), altri ancora che si possono paragonare ad alcune zone del South Luangwa N.P. (Zambia). E’ davvero inaspettata la varietà di ambienti che si possono ammirare.

Aprono la nostra “caccia” fotografica due ippopotami che, nonostante il sole già alto, sono ancora a zonzo fuori dall’acqua. A seguire, impala disseminati ovunque, un piccolo branco di elefanti e le sempre numerose giraffe che trovano nelle acacie spinose il loro cibo preferito.

Non dobbiamo attendere molto per incontrare il primo felino: una leonessa che, infastidita dalla nostra presenza, lascia il suo nascondiglio dietro un cespuglio allontanandosi.

Fatto, questo, piuttosto insolito poiché generalmente i leoni si lasciano avvicinare restando impassibili.

Non tentiamo di seguirla, lasciamo che si dilegui perdendola di vista ben presto.

Raggiunta una vasta radura verdeggiante che si affaccia sul fiume, troviamo, all’ombra di un frondoso albero di mogano, un’altra leonessa, accovacciata. Al suo fianco notiamo i resti di una zebra, poco distante c’è l’intero gruppo di leoni che ha partecipato al “banchetto”, ne contiamo in totale 13: 1 maschio, 4 femmine, 8 cuccioli.

Tutti respirano affannosamente (cacciare e cibarsi richiede un grande dispendio di energie), molti dormono con la pancia all’aria, a guardarli sembrano grossi micioni paciosi che viene voglia di stropicciare. Tenero il cucciolo che, supino, sonnecchia con una delle tozze zampe poggiata sopra un occhio.

La verde spianata brulica di animali: impala, zebre, gnu, giraffe si muovono e bevono indisturbati. E’ evidente che i felini hanno cacciato da poco, sono sazi e per diverse ore non faranno altro sforzo che quello di dormire stiracchiandosi e cambiando posizione ogni tanto.

Lasciamo questa scena bucolica per raggiungere il Lago Manze, altro bacino d’acqua con belle vedute panoramiche, contornato da un fitto palmeto dove abbondano ippopotami, uccelli e coccodrilli che si allineano sulla riva sabbiosa e scivolano in acqua rapidi e silenziosi all’avvicinarsi della jeep.

La superficie del lago dal bel colore azzurro apparentemente sembra immobile e priva di insidie, quasi invitante, ma osservando meglio i dettagli vi si scorgono le ombre, più che la sagoma, di numerosi coccodrilli e, qualche volta, emerge solo la curva superiore degli occhi o la cresta del dorso.

Non sarebbe saggio avventurarsi a piedi in prossimità dell’acqua, il coccodrillo si mimetizza fin troppo bene, non fa distinzione tra carne animale e carne umana, è, inoltre, velocissimo, ma nonostante la fama di gran cattivo è un rettile dal fascino atavico: osservarlo risulta molto appagante, ovviamente tenendosi a debita distanza.

All’ora di pranzo ci si allontana dal lago per sostare all’ombra di un grande baobab, in uno spiazzo molto aperto che la guida ha perlustrato a fondo, compiendo più giri, per escludere la presenza di felini ed altri animali pericolosi. Viene allestita una tavolata, si pranza, si scambiano impressioni con i compagni di safari e la guida, il contesto è molto suggestivo, il cibo buono, ma a noi sembra di perdere tempo… gli animali ci stanno aspettando! Si riparte, la fauna è sempre molta e varia, le giraffe, in particolare, abbondano anche oggi. Tranne il leopardo abbiamo visto tutte le specie compreso un nutrito numero di manguste.

A metà del pomeriggio il sole è cocente, c’è aria di stanca, gli animali si dimostrano infastiditi dal gran caldo, li si vede, infatti, totalmente inattivi, radunati a gruppi all’ombra degli alberi.

Foriamo un pneumatico, per noi è una consuetudine, non sarebbe Africa se non capitasse almeno una volta nel corso di ogni viaggio. Scendendo dalla jeep ci rendiamo conto di quanto siano violenti i raggi del sole, tempo pochi minuti la ruota viene prontamente sostituita ed è un sollievo ripartire e tornare a beneficiare dell’aria prodotta dal movimento dell’automezzo anche se, in alcuni tratti, l’aria è così calda da far pensare di aver puntato addosso un asciugacapelli. Ripassando dal luogo dove i leoni hanno cacciato li ritroviamo spostati di qualche metro, giusto i pochi passi necessari per seguire l’ombra e garantirsi così la frescura.

Ci fermiamo nuovamente ad osservarli e per altri scatti fotografici. Un cucciolo si sposta dal proprio giaciglio e, attraversandoci la strada, raggiunge la madre.

Il leoncino si concede ad una accurata pulizia che la madre effettua a colpi di lingua, senza trascurare alcun dettaglio. Terminata la “toelettatura” si passa alle coccole che la leonessa dispensa con generosità arrivando ad abbracciare il piccolo leone con una delle sue poderose zampe. Se si pensa alla crudezza della cattura di una preda e del suo sventramento, pare quasi impossibile che gli stessi pericolosi arti possano riservare tanta tenerezza.

Ci riteniamo molto fortunati per aver appena assistito ad una singolare sequenza di effusioni, tanto dolce da intenerire anche i più duri di cuore.

In prossimità del lago un grosso branco composto da gnu e zebre si compatta. Essendo ormai trascorse diverse ore dalla caccia dei leoni, gli animali tornano ad essere guardinghi e si dimostrano timorosi nell’avvicinarsi all’acqua: l’abbeverata, in presenza di felini, è un momento di totale vulnerabilità.

Sarebbe bello poter osservare la scena a lungo, gli erbivori sono buffi nella loro indecisione, scattano per un nonnulla spostandosi a distanza di sicurezza per poi ricomporre le file e tornare cautamente in prossimità dell’acqua. Questo può avvenire più volte e non è detto che dopo diversi tentativi finiscano con l’abbeverarsi. Non abbiamo, purtroppo, tempo a sufficienza per assistere all’epilogo che potrebbe tradursi in una ritirata oppure in una bevuta collettiva, siamo molto distanti dal campo, dobbiamo lasciare la scena.

Anche se ne siamo dispiaciuti non possiamo proprio lamentarci, la giornata è stata ricchissima di emozioni.

Sulla via del ritorno, senza però più fermarci, con i colori del tramonto che rendono ogni cosa ancora più suggestiva, incrociamo altri branchi di zebre, gnu, impala e le immancabili giraffe.

Giunti al campo, dalla nostra postazione preferita, assistiamo all’ultimo atto del sole che cala all’orizzonte mentre i suoi colori infuocati si riflettono nell’acqua del fiume.

10 settembre 08 – mercoledì Pur potendo partecipare ad un “walking safari” optiamo anche per questa mattinata di uscire con una jeep scoperta.

Sappiamo, per aver già provato l’esperienza, che durante i safari a piedi si vedono pochi animali e, per ovvie ragioni, ci si tiene ad una ragionevole distanza.

E’ molto appagante il contatto diretto con la natura, interessante leggere nelle impronte e negli escrementi le abitudini di questa o quella specie, si imparano poi molte cose sulle piante, ma, avendo pochi giorni a disposizione, preferiamo fare il “pieno” di animali.

La nostra scelta è, ben presto, premiata da un nuovo gruppo di leoni: 5 cuccioli, 4 femmine ed un maschio più maturo e con una criniera più folta rispetto a quello avvistato ieri.

Il leone si allontana per andare ad accovacciarsi poco distante scegliendo una postazione più defilata ma che gli permetta di tenere d’occhio il suo “harem” ed anche noi senza essere troppo visibile.

Le leonesse alternano stati di veglia al sonno. E’ evidente che hanno necessità di cibarsi e, quando non cedono al sonno, scrutano il territorio circostante alla ricerca di una possibile preda.

Il silenzio e la nostra concentrazione sono totali, sappiamo bene che basta pochissimo per animare improvvisamente la scena.

E’ impressionante come le leonesse, pur guardando in direzioni diverse, al minimo rumore o odore, che noi neppure percepiamo, si girino contemporaneamente verso uno stesso punto.

Una leonessa in agguato ci mostra il dorso, ha i muscoli pronti allo scatto, riusciamo a misurarne la potenza, di fronte – quasi nascosti dalla vegetazione – passano alcuni impala ignari del pericolo.

Sono attimi intensi, tratteniamo il respiro, altre due femmine si schierano e sono pronte all’attacco quando, improvvisamente, un impala, fiutata la presenza dei felini, dà l’allarme, l’intero gruppo di antilopi fugge velocissimo e la caccia sfuma.

Sostiamo presso i leoni ancora per qualche tempo, poi togliamo il disturbo.

Proseguendo la nostra “caccia” ci fermiamo in prossimità del fiume per osservare un’altra bellissima sequenza: in primo piano, immobile, un grosso coccodrillo, più oltre, su una lingua di sabbia che si protende nell’acqua, stazionano molti ippopotami adulti e piccini, tra loro svolazzano diversi aironi bianchi posandosi e spostandosi da un bestione all’altro per il piacere dei piccoli ippopotami che sembrano gradire parecchio il gioco. Ogni tanto qualche esemplare entra in acqua assottigliando il gruppo e quando, infine, la jeep riparte, il rumore fa sì che anche gli ultimi rimasti si dispongano in fila indiana per poi tuffarsi uno dopo l’altro velocemente. Torniamo a cercare la famiglia di leoni già vista ieri. Troviamo le ossa della zebra ormai completamente spolpate ed i corpi dei felini addormentati, che oggi hanno una respirazione più regolare, sparsi tutto attorno, come in un campo di battaglia. Nulla riscuote i leoni dal profondo sonno, ci divertiamo ad osservare le pose ridicole di alcuni, come quella del grosso maschio che giace supino con le 4 zampe sollevate per aria e che a tutto fa pensare tranne che si tratti di un animale molto feroce: senza dubbio quando il leone dorme perde tutta la propria regalità e dignità! La situazione è tanto tranquilla e controllabile che anche le giraffe, guardinghe fino all’eccesso, osano accostarsi all’acqua del lago abbassandosi a bere. Possiamo così abbracciare con un solo sguardo un magnifico poster che raffigura il terreno disseminato di corpi inerti dei leoni ed in secondo piano lo specchio d’acqua con le giraffe piegate a bere sulle lunghe zampe anteriori mescolate a gruppi di zebre.

Proseguendo nell’esplorazione della riserva incontriamo sempre nuovi e numerosi branchi di animali tra i quali spiccano una femmina di kudu con il piccolo, perfetta miniatura di un esemplare adulto con le stesse simpatiche grandi orecchie a sventola “foderate” di rosa e gli stessi “ricami” bianchi sul corpo.

Forare un pneumatico è una cosa ricorrente sulle piste africane ed eccoci di nuovo fermi mentre la guida armeggia con chiavi, cric e ruota di scorta.

La sosta imprevista somma ritardo a quello già cumulato, siamo ancora lontanissimi dal campo e ormai non ci resta che correre, ma nonostante tutto la guida ci regala ancora un paio di fermate e l’opportunità di osservare un grosso branco di bufali che ci attraversa la strada correndo veloce, come un fiume in piena, sollevando un gran polverone e poi il piccolo di una giraffa che, goffo con il suo passo incerto, corre davanti a noi per qualche centinaio di metri fermandosi, infine, incuriosito ad osservarci. Accantono in un angolo della memoria anche l’immagine di questa tenerissima, perfetta miniatura che sembra fatta di peluche con il suo morbido manto maculato e la crinierina dal pelo rossiccio e arruffato tanto da sembrare “infeltrita”.

L’istinto irrazionale, in presenza di animali così belli e teneri, ci spingerebbe ad avvicinarli ed accarezzarli, la ragione – per fortuna – ci impedisce di commettere sciocchezze.

Ci sono momenti durante i quali siamo circondati da animali e scenari differenti che non si sa più dove e cosa guardare nel timore di perdersi momenti ed azioni importanti ed irripetibili.

Branchi di animali in corsa in spazi illimitati, impala che punteggiano praterie verdeggianti brucandone l’erbetta, antilopi e varie altre specie animali le cui figure si riflettono nei tanti specchi d’acqua, coccodrilli che si crogiolano al sole con le fauci spalancate o che si intravedono a pelo d’acqua, uccelli di svariate dimensioni e colori, queste le ultime immagini che si succedono prima di rientrare al campo, scorrendo come un film al rallentatore, tanto belle e struggenti da far male al cuore perché ci ricordano che tra poche decine di ore dovremo lasciare l’Africa.

Giunti al campo ci comunicano che l’agenzia ha risolto il problema del volo, ci consegnano i nuovi biglietti aerei confermando che lasceremo la Selous Game Riserve domani, alle 15,30, con l’ultimo volo del pomeriggio. Siamo raggianti per la buona notizia che si traduce in una nuova giornata tra gli animali.

Accediamo per ultimi al ristorante, gli altri ospiti hanno finito di pranzare già da un pezzo, ci riteniamo molto fortunati per aver potuto, anche se non si è trattato di una scelta deliberata, protrarre più a lungo il safari.

Quale attività pomeridiana scegliamo di uscire in barca navigando sul fiume fino all’ora del tramonto, escursione che permette di osservare ancora più da vicino soprattutto ippopotami, coccodrilli, uccelli e di ammirare le rive che offrono paesaggi differenti e variabili tra alte falesie, spiagge sabbiose, boschetti di palme e intricata vegetazione.

Le immagini più significative riguardano un carnoso lucertolone verde a macchie gialle di oltre un metro di lunghezza che sta abbarbicato su una roccia, un’intera parete verticale della falesia crivellata da centinaia di buchi (nidi) ed altrettanti uccelletti dal bel colore verde brillante che vi entrano ed escono a raffica centrando con precisione ognuno il proprio nido, un ramo con una fila degli stessi uccellini disposti ordinatamente come tanti soldatini ed, infine, un elefante di cui si vede sbucare tra la vegetazione, come fosse affacciato ad una finestra, solo il bel faccione che ci regala una minacciosa sventolata d’orecchie ed un poderoso barrito mentre la palla del sole rosso fuoco ormai basso sta tramontando alle sue spalle.

Dopo aver assistito allo spettacolo del tramonto sbarchiamo sulla riva sabbiosa, è ormai quasi buio, ci affrettiamo a raggiungere la sicurezza del campo posto sopra la falesia percorrendo un ripido sentiero con il cuore in gola, stiamo correndo anche se in salita poiché questa è l’ora in cui gli ippopotami escono dall’acqua alla ricerca di cibo.

11 settembre 08 – giovedì Per congedarci dalla Selous Game Reserve scegliamo di partecipare ad un game drive ed il regalo più bello di queste ultime ore di safari lo riceviamo dalle giraffe.

L’episodio ha luogo nei pressi di una laguna. Una giraffa, dalla riva opposta rispetto a quella dove ci troviamo entra in acqua e si arresta in prossimità di un cespuglio per cibarsi, davanti a noi due giovani giraffine si scambiano effusioni, assistiamo allo strofinamento del muso di una lungo il collo dell’altra e viceversa, all’incrociarsi dei lunghi colli, ad una sorta di danza che vede i due esemplari immobili nelle stesse pose, con le teste girate nella medesima direzione o piegate in modo identico, anche le lunghe zampe, in certi momenti, sono divaricate allo stesso modo. La magnifica sequenza si protrae per diversi minuti, sebbene ci troviamo molto vicini, le giraffe non sono turbate dalla nostra silenziosa presenza. Tutto attorno ci sono diversi altri esemplari che quasi non notiamo tanto siamo presi a seguire il gioco dei due giovani animali.

L’incantesimo si spezza quando la giraffa che sta nel mezzo della laguna si avvicina e scaccia senza troppi complimenti le due protagoniste del singolare “show” mettendole in fuga.

Pensavamo, dopo un emozionante incontro ravvicinato e prolungato con un gruppo di giraffe del South Luangwa N.P., di aver visto la più bella scena regalataci da questi eleganti animali e di non poter assistere a niente di più emozionante, ma la natura riesce ad offrirci sempre nuovi e grandi spettacoli ed eccoci a sommare alle già tante splendide sequenze anche quest’ultima che è senza dubbio la più bella.

Cambiamo luogo, per diverso tempo non incontriamo un solo animale, poi in una vasta pianura erbosa si intrecciano branchi di gnu, zebre, kudu, antilopi, giraffe, è splendido vederli correre liberi, siamo circondati da animali in movimento, scatta, per noi, quella molla che solo chi ha provato le stesse esperienze può comprendere: si tratta della sensazione di trovarsi dentro il documentario, si ha, inoltre, l’impressione di riuscire a misurare il totale senso di libertà degli animali ed a percepirne in modo tangibile la bellezza come se davvero si potesse toccarla con mano.

Costeggiamo, in seguito, un bellissimo lago attorno al quale la vegetazione è molto rigogliosa, nelle vicinanze pascola un cospicuo numero di impala.

Proseguendo il safari, avvistiamo per la prima volta una coppia di alcelafi (Hartebeest) sommiamo così al nostro “carniere” una diversa specie di antilope mai vista prima d’ora. Incontriamo poi un paio di elefanti e ancora molte giraffe che, questa mattina, mi ero prefissa di contare ma mi sono persa alla numero 35, direi che – a occhio e croce – potremmo aver tranquillamente raddoppiato.

Al riparo di un albero dalle fronde basse, che ci fa pensare ad una capanna, troviamo un’enorme giraffa seduta a terra con la testa reclinata, sulle prime pensiamo stia dormendo, ma osservandola meglio ci rendiamo conto che è morta e quando la guida ci spiega che si è spenta in modo naturale perché molto vecchia riusciamo ad accettare con naturalezza l’evento anche se triste.

Facciamo una deviazione per passare un’ultima volta dal gruppo di leoni che si è cibato della zebra cacciata giorni fa: i cuccioli, inconsapevoli, posano per bellissimi scatti fotografici, una femmina mentre si “lava” leccandosi da cima a fondo ci regala una sequenza da rivista patinata, il maschio – tanto per non smentirsi – dorme alla grande, le altre femmine, indecise sul da farsi, alternano tentativi di caccia poco convincenti a sonnellini.

Esattamente dove facciamo una sosta “caffè” vediamo guizzar via un serpentello nero e finissimo, evito di chiedere alla guida se si tratta di un esemplare velenoso… preferisco non sapere! Una interminabile fila indiana di gnu mescolati a zebre chiude il sipario, anche per oggi il tempo a disposizione è abbondantemente scaduto, torniamo veloci al campo per l’ultima volta.

Pranziamo, ci diamo una rinfrescata, chiudiamo i bagagli, spendiamo gli ultimi minuti a nostra disposizione seduti sulla solita panchetta osservando quel che succede giù al fiume e sulle isole sabbiose mentre la malinconia per il distacco da tutto ciò si fa già strada.

Solo 1 km per raggiungere l’airstrip, non abbiamo neppure il tempo di dare un ultimo sguardo attorno, un piccolo aereo sta già atterrando sulla pista di terra, tra le diverse persone in attesa chiamano solo noi, siamo gli unici passeggeri di quel volo. Il pilota sorridente ci invita a salire e ad accomodarci dove preferiamo. Scopriamo, in questo modo, che l’agenzia pur di tener fede al programma concordato ha organizzato questo trasferimento con una diversa compagnia aerea esclusivamente per noi: davvero grandi! Decollando, vediamo una coppia di elefanti che si allontana dalla pista e con quest’ultima immagine africana impressa nel cuore è difficile trattenere le lacrime: è già nostalgia! Trascorriamo qualche ora “parcheggiati” presso il lussuoso Movenpick hotel di Dar es Salaam, segue la corsa in aeroporto, infine, alle 22,50, il volo KLM per l’Europa ci separa ancora una volta dalla “nostra” amata Africa.

Ringraziamenti: Un grazie particolare alla Signora Fabiana C. Che mi ha fornito un valido indirizzo e suggerimenti determinanti per la realizzazione del viaggio.

Una nota di merito alle tre agenzie locali che, ciascuna per la propria parte, con incastri perfetti, facendo un ottimo “gioco di squadra”, hanno organizzato l’intero viaggio rispettando gli accordi e provvedendo prontamente alle variazioni resesi necessarie a seguito del cambio operativo (per 3 volte) del volo Pemba-Dar es Salaam. Una lode aggiuntiva all’agenzia tanzaniana per il volo “su misura”.

Ringrazio, inoltre, Giorgio M. Per la sempre attenta e scrupolosa ricerca nonché prenotazione dei voli intercontinentali.

Malgrado tutto grazie anche a Rocco L.: buona parte dell’itinerario è una sua vecchia proposta.



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