Nomadizziamoci! Syusy scende in piazza con la yurta

Dal 18 al 21 dicembre, chi passerà da piazza Santo Stefano a Bologna potrà vedere (ed entrare dentro) una Yurta, tenda usata come abitazione dalle popolazioni nomadi dell'Asia centrale.
Turisti Per Caso.it, 11 Dic 2006
nomadizziamoci! syusy scende in piazza con la yurta
Dal 18 al 21 dicembre, chi passerà da piazza Santo Stefano a Bologna potrà vedere (ed entrare dentro) una Yurta, tenda usata come abitazione dalle popolazioni nomadi dell’Asia centrale. È una struttura auto-portante e completamente naturale molto grande: 9 metri di diametro! Ma, vi chiederete voi, cosa ci fa una tenda mongola in centro a Bologna sotto Natale? Cosa si sono inventati stavolta? Belle domande, per rispondere alle quali leggete l’articolo che segue, con un’intervista a Syusy, animatrice del nuovo progetto “Nomadizziamoci“. Vi anticipiamo solo una cosa: montare la yurta sarà una sfida e uno spasso, contemporaneamente, per cui bisogna coinvolgere più persone possibile. Tutti coloro che vogliono venire a darci una mano sono invitati il 18 mattina, dalle 11 in poi, in piazza Santo Stefano, con Syusy e la banda per caso.

Mettersi sempre in discussione è forse il modo migliore per progredire. È quello che dovremmo fare tutti noi che viviamo, o crediamo di vivere, nel mondo evoluto, caratterizzato da tecnologie all’avanguardia. Fermiamoci un attimo ad osservare come e dove vivono milioni di persone ad ogni latitudine dell’Asia e dell’Africa. Vivono secondo la cultura nomade in una struttura davvero eco-compatibile – una di quelle parole che noi “civilizzati” amiamo tanto, ma che effettivamente mettiamo poco in atto – che risponde al nome di Yurta (o Ger).

La tenda Yurta ha un’anima in legno, le sue pareti si chiudono a pantografo e sono tenute assieme da lacci (di pelo di cammello) e mai da chiodi. Ha una grande finestra centrale al colmo del tetto che consente l’uscita del fumo prodotto dalla caldaia interna e l’entrata della luce solare.

La coibentazione e l’impermeabilità della Yurta sono ottenute da legno, feltri, peli di cammello e intrecci ricavati dai budelli degli animali. Non è ancorata al suolo e può essere facilmente montata e smontata, quindi trasportata in ogni dove. Da 400.000 anni l’uomo vive in queste strutture rispettando in pieno l’ambiente, adattandosi alla natura e prendendo da essa tutto il meglio. La Yurta non è solo un oggetto, è anche un concetto: esprime al meglio la nostra permanenza precaria sul territorio che una volta usato, goduto, apprezzato poi viene lasciato com’era.

Syusy racconta Nomadizziamoci!

Samira: Allora Syusy, perché “nomadizziamoci”? Syusy: Sono sempre partita dall’idea di fare, costruire. Nel caso di questo progetto tutto è nato dall’esigenza di fare in modo che, come gruppo Per Caso, ci occupassimo del discorso ecologico, dell’ecocompatibilità. E pensavo che così come abbiamo fatto una barca avremmo potuto fare una casa ecocompatibile e dimostrare di poter sopravvivere se ci fosse un’eventualità catastrofica, come la fine del petrolio tutto d’un colpo.

Samira: Pensi anche a soluzioni come i pannelli solari e cose del genere? Syusy: L’idea era cercare di fare qualcosa sull’ecocompatibilità, su tutto quello che è energia alternativa, costruzione alternativa, per garantirci l’autosufficienza. Noi, come gruppo Per Caso, facciamo divulgazione e io penso che l’informazione da dare in questo momento non sia la vita della velina di turno, né la storia del calciatore, ma che non possiamo permetterci di finire come i dinosauri, che mentre una catastrofe li estingueva, probabilmente stavano ballando e guardando un reality show. Può darsi anche che la risposta giusta stia nell’ignorare completamente tutto ciò, ma cercare di fare qualcosa è nella mia natura: non riesco a stare ferma e pensare “quello che sarà sarà”.

Samira: Ma perché una proposta così radicale? Syusy: Perché mi sono chiesta fino a che punto, nelle condizioni attuali, potremmo garantirci autosufficienza. Se venissero a mancare gli oggetti per fare i pannelli solari, se venisse a mancare la possibilità di usare la tecnologia, come potremo renderci autosufficienti? Pensare che basta un hacker per far saltare il nostro sistema di comunicazioni… Invece ho visto in giro per il mondo posti dove l’autosufficienza è una tradizione, dove la gente da sempre vive adattata al proprio ambiente, trovando delle risposte ecocompatibili, basate su risorse rinnovabili. Adesso anche molte di queste popolazioni fanno ricorso alla tecnologia, che mostra il risvolto della medaglia: per esempio gli è stata portata la luce, ma se poi gli viene a mancare la benzina? È chiaro come si diventa dipendenti dal denaro.

Samira: Quindi credi che portare la tecnologia nei posti dove non c’è sia sbagliato? Syusy: Assolutamente sbagliato. Il messaggio di nomadizziamoci è proprio quello di cercare di prendere come modello uno stile di vita che si adatta all’ambiente, invece di cercare di adattare l’ambiente alle nostre esigenze. Attraverso l’esperienza che mi hanno fatto vivere Ayhan (e le poche persone che in Italia parlano della cultura centro asiatica) e con il viaggio in Asia centrale ho conosciuto la cultura nomade. Molta parte del mondo è ancora nomade o seminomade: dai beduini del deserto ai lapponi e gli indiani d’America, come anche nei nostri alpeggi. È una cultura che è rimasta ancorata all’economia che vive il territorio, che segue l’animale. È un’economia molto arcaica, ma molto pulita, rispetto a tutte le altre. Da quando l’uomo ha cominciato a rendersi agricoltore ha recintato la sua proprietà e questa logica è fuori dall’idea che la terra è di tutti e di nessuno: è di chi la percorre. Per la cultura nomade la terra è da percorrere, da raccogliere, per lasciarci gli animali, non da fare propria. Lo scontro tra queste due logiche nasconde lo scontro di civiltà. Credo che difendere, apprezzare, scoprire la vita dei nomadi sia molto interessante: si vede un modo di fare diverso, un adattamento al territorio molto raffinato, perché quello che i nomadi si portano dietro è estremamente pensato, è selezionato.

Samira: Per esempio? Syusy: A cominciare dalla tenda, la yurta. In Mongolia il 90% delle persone vive da nomade: le loro tende sono di legno e di feltro, sono smontabili e rimontabili in poco tempo, trasportabili coi cammelli. Queste tende permettono di vivere a temperature molto elevate e molto basse, in luoghi diversi: dai più ai meno 40°. I mongoli vivono così dai tempi del Neolitico. Questo vuol dire che sono meno invasivi, che c’è un altro approccio al territorio, che viene vissuto in modo ecocompatibile.

Samira: Parlaci ancora della yurta. Syusy: La yurta può essere dotata di pannelli fotovoltaici, parabole e diventare un’abitazione a tutti gli effetti che può permettere l’autosufficienza. È patrimonio dell’UNESCO, tra l’altro. Questo oggetto può rappresentare una mediazione con l’ambiente in modo ancora più pulito. Ho pensato a un progetto di divulgazione culturale e scientifica, per cui portiamo in giro la yurta, la arrediamo con gli oggetti della tradizione, la scaldiamo con una stufa a biomassa, la illuminiamo con un pannello fotovoltaico, ci trasportiamo con le macchine elettriche. Praticamente noi potremmo vivere così.

Samira: Ma le popolazioni nomadi avvertono gli stessi pericoli energetici che preoccupano noi? Syusy: No, piuttosto tendono a inurbarsi. Sono andata nel posto dove il figlio di Gengis Kaan aveva fondato la prima città della Mongolia, che non è più grande di un villaggio. Ho intervistato la sindaca di questo posto: alle spalle aveva un cartellone con la città ideale che vorrebbero fare, io le ho fatto gli auguri e sono andata via. La tenda resta nella storia della Mongolia.

Samira: Hai deciso di montare la yurta in piazza Santo Stefano nel periodo di Natale. Vorresti portare un messaggio nel centro di Bologna? Syusy: Questa tenda è partita dalla Cina ed è arrivata qui a Bologna, già questa è un’immagine folle. L’abbiamo montata a Ecomondo,la fiera sull’ecologia a Rimini. Montarla a Bologna per Natale è come fare un regalo alla città. Diverse persone contribuiranno alla realizzazione dell’evento: dall’università con Paola Bonora,docente di geografia, che porterà altri docenti a parlare all’interno della tenda della città, del clima. L’ENEA ci fornirà i pannelli fotovoltaici, con cui accenderemo una lampadina. È utile la collaborazione di tutti. Per il trasporto ho contattato Microvet, che è un’azienda di Imola che produce macchine elettriche, anche per il trasporto dei rifiuti. Come vedete c’è qualcuno che da tempo insiste sull’ecologia, vorrei che i cittadini si rendessero conto che queste cose esistono e vanno applicate: è nostro diritto chiedere di averle.

Samira: Parliamo ancora di quest’oggetto affascinante: la yurta. Syusy: Dunque, misura nove metri di diametro quindi ci sono sessanta metri quadrati di spazio occupabile. Si segue un modo di comportamento stabilito, al suo interno: ci si siede a terra dopo essere stati invitati ad entrare, le donne si mettono a destra e gli uomini a sinistra. Ci saranno degustazioni di the e sicuramente lo spirito giusto per fare festa. Ci saranno delle scolaresche in visita, ma tutti sono invitati a passare per visitarla. Proveremo il piacere di stare dentro a quest’oggetto.

Samira: Per quanti giorni la yurta sarà in piazza Santo Stefano? Syusy: dal 18 al 21 dicembre. Saremo in Piazza Santo Stefano il 18 mattina a montare la yurta, tutti i giorni ci ritroveremo al suo interno e il 21 dobbiamo smontarla e portarla a Ronzano, un piccolo comune qui vicino. Sarebbe bello formare un gruppo di persone che ci aiutino quando c’è da montare la tenda, proprio perché vive anche dell’aiuto e della collaborazione di tutti. In quei giorni raccoglieremo anche adesioni di volontariato per il festival della genetica, che le università riconosceranno agli studenti con crediti formativi.

Samira: Ma non si fa proprio nulla per uscire dalla dipendenza energetica attuale? Syusy: In verità ci sono alcune eccezioni. Per esempio il Brasile, dove faremo anche tappa per il progetto Darwin, entro l’anno si renderà indipendente dal punto di vista energetico, non solo perché ha delle risorse di petrolio, ma soprattutto perché investirà sulle biomasse. Esiste un processo di lavorazione della barbabietola da zucchero per estrarre l’alcool. Intelligentemente hanno cominciato a produrre automobili ibride, in modo che al distributore si ha la possibilità di scegliere tra alcool e benzina. Visto che l’alcool costa meno perché è tassato meno, sarà quello che avrà la meglio. È una cosa da fare domani anche in Italia! Samira: Almeno un anno fa è andato in onda su Report un servizio su quest’argomento ma non ha avuto alcuna risonanza. Syusy: Ribadisco: non vorrei che finissimo come i dinosauri che hanno ballato, hanno visto reality show e si sono messi scarpine alla moda fino all’ultimo giorno della loro esistenza. Moriremo, ma almeno siamone consapevoli. Per cui, se bisogna scegliere tra le tante cose da fare al mondo, ora ci sono delle priorità. In Italia siamo tremendamente indietro, siamo assolutamente periferici rispetto a come si muove il mondo, siamo la retroguardia: continuiamo a vivere come negli anni ’80 e ’90, come se non fosse cambiato niente. Bisogna che cambiamo mentalità, se non vogliamo soccombere.



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