A Kind of Magic: Miami e le Keys

Alla ricerca dell'estate a Miami e alle isole Keys
Scritto da: Mesarthim
a kind of magic: miami e le keys
Partenza il: 13/03/2010
Ritorno il: 21/03/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €
Sabato 13 – Milano – Miami Esasperati da un inverno lento e testardo che non vuole proprio andarsene progettiamo una fuga verso il caldo e come rondini marzoline migriamo verso le assolate lande della Magic City, Miami. Insieme con mio marito prenotiamo tutto in anticipo su internet, dal volo (Delta) all’auto (Thrifty) e i vari hotel sulla base delle tappe pianificate. Partiamo quindi da una Milano ancora stretta nella morsa del freddo e barattiamo i suoi 5 gradi con i ben più piacevoli 17 di Miami. Certo, vista la meta si poteva sperare in qualche grado di generosità in più, ma a parte l’aria pungente non c’è di che lamentarsi. Arriviamo a Miami alle 22, con circa un’ora di ritardo (colpa del volo interno Atlanta-Miami), attendiamo con fiducia per 45 faticosi minuti che qualcuno si degni di restituirci il bagaglio, una volta recuperato il maltolto ci avventuriamo alla scoperta dei banchi del car-rental. Dopo qualche giro a vuoto chiediamo e scopriamo che per arrivarci bisogna prendere l’apposito bus che passa appena fuori dell’aeroporto. Passerà quasi un’altra ora prima di poterci finalmente sedere sull’auto che ci accompagnerà lungo le american way e, ancor prima, verso l’agognato letto. Pernottiamo al Best Wern Airport Inn, non vicinissimo all’aeroporto, ma pulito e buono come qualità prezzo. Domenica 14 – Everglades National Park e Naples Sveglia presto, colazione abbondante e subito in strada. Ci affidiamo al navigatore satellitare (indispensabile) e scivoliamo nell’aria fresca di Miami lungo il Tamiami trail, la strada statale che attraversa il parco nazionale delle Everglades. La ns prima tappa è la Shark Valley; da qui prendiamo il trenino/navetta che percorre un anello di una ventina di km e suggerisce l’idea della natura di questo mastodontico parco (il primo per grandezza degli USA). Già stando nei pressi del visitor centre si possono vedere animali di ogni sorta: alligatori, aironi, anhinga, avvoltoi e altri uccelli di varie specie. Siamo in piena stagione secca, per questo motivo non troviamo né insetti né umidità, anzi il mix aria e navetta fa venire fin quasi freddo, ciò nonostante la guida ci ricorda che siamo circondati da paludi e che qui d’estate i mosquito non lasciano tregua a chi osa avventurarsi nel parco. L’erba è gialla e secca, molte mangrovie sono senza foglie, tuttavia anche in questa stagione le tinte di verde abbondano, ora luccicando sulle ninfee degli stagni, ora sfolgorando dalle mangrovie che esplodono un po’ ovunque. Ci sono molti modi per girare le Everglades, a piedi, in bici, in kayak; gli airboat e tutte quelle imbarcazioni che schizzano a pelo d’acqua sono proibiti nel parco, per via del rumore e dei danni che provocano alla flora e alla fauna. Per chi vuole, una corsa su questi bolidi è comunque disponibile appena fuori dai confini del parco; da parte nostra decidiamo di accogliere l’invito ambientalista della guida Lonely Planet e di rinunciare a quest’esperienza. Non rinunciamo invece a cogliere la sfida che si presenta di fronte a un piatto di cosce di rana e alligatore; più che il piatto (unto e fritto) è da provare il locale: Joanie’s Blue Crab Cafe lungo il Tamiami Trail, stuzzicantissimo assaggio di vita USA, musica country inclusa. Proseguiamo il viaggio fino a Naples, ridente cittadina che si affaccia sul golfo del Messico. Da questa parte della costa il tramonto si spegne nell’oceano e noi decidiamo di goderci questo spettacolo sulla spiaggia di perla grigia della città. Mentre il buio si infittisce passeggiamo per le fresche strade del paese; qui non manca nulla dei simboli della Florida: palme, ville sontuose, gente elegante e tanti tanti anziani. Dopo una semplice cena guadagniamo in fretta il letto, purtroppo quello che manca è il mitico caldo della Florida. E si sente. Lunedì 15 – Naples – Tavernier La sveglia oggi arriva con calma, facciamo una frugale colazione nella verandina della camera al Lemon Tree Inn, motel carino in ottima posizione, quindi facciamo rotta verso le Keys. Man mano che ci si avvicina alla zona delle Keys la vegetazione cambia veste, le distese d’erba lasciano il posto via via ad ampie nursery dove crescono piante d’ogni tipo, quindi si ergono muri di mangrovie che stringono sempre più la strada, finché quasi all’improvviso ogni pianta scompare e ai lati ritrovi soltanto acqua: da un lato oceano Atlantico e dall’altro il golfo del Messico. Sono questi i tratti indubbiamente più affascinanti della Highway n.1, punti in cui l’autostrada corre sopra un tappeto azzurro dai confini invisibili. Spettacolare! Arriviamo al John Pennekamp Coral Reef State Park a Key Largo, dove ci aspetta il clou della giornata odierna: snorkeling nella terza barriera corallina più grande del mondo. Armati di muta e un po’ di coraggio (il clima non è l’ideale per un tuffo) ci immergiamo in questo mondo nuovo. Anche se i fondali non sono coloratissimi i pesci sono veramente stupendi, variopinti, fosforescenti. Consiglio l’esperienza, compresa di muta assolutamente indispensabile. La temperatura dell’acqua dichiarata era 20°, ma sospetto fosse una stima piuttosto generosa. Decisamente soddisfatti ci ritiriamo a Tavenier dove abbiamo prenotato il Coconut Palm Inn, grazioso lodge a bordo spiaggia. Non fosse per il vento freddo ozieremmo volentieri sulle amache sotto le palme sulla spiaggia del lodge, ma il tempo e l’ora ci dicono che è il caso di andare a cena e poi a dormire. Martedì 16 – Tavernier – Key West Rotolando verso sud ci dirigiamo verso il top delle Keys, il miglio numero zero: Key West. Ondeggiamo pigramente lungo la Highway 1, l’oceano Atlantico e il Golfo del Messico fanno capolino alternandosi a cuscini di mangrovie e palme, le lunghe carezze azzurre azzurre si alternano a cittadine colorate, sparse per la strada come balocchi riposti a caso. Facciamo una prima tappa al Seven Mile Bridge, vecchio ponte interrotto dove ci sgranchiamo le gambe sotto il vento e il sole, quindi sostiamo al Bahia Honda State Park, famoso per la sua spiaggia di sabbia bianca. Il mare è cristallino, ma sia per l’aria fresca che per le numerose alghe rinunciamo all’agognato tuffo. L’ultima tappa prima dell’arrivo è il National Key Deer Refuge a Big Pine, dove vive una specie particolare di cervo, molto piccolo con la coda a forma di puzzola. Prima di avventurarci tra le case dei residenti alla ricerca dei socievoli Key Deer ci dedichiamo alla cerca del No Name Pub, locale che si trova nella isola omonima, ossia la No Name Key. Se volete trovarlo con più facilità di quanto abbiamo fatto noi andate al visitor centre del Key Deer Refuge dove il simpatico ranger ve lo consiglierà senza che voi dobbiate chiedere nulla. Dopo l’abbondante pizza del pub e la gustosa birra scivoliamo lentamente fra le viuzze e ci imbattiamo nei tenerissimi cervi riuscendo persino a vedere due cuccioli. La sera è tutta per Key West, la più pazza, piratesca e scatenata delle Keys. Ogni sera qui è uso festeggiare il tramonto, persino in giornate sfortunatamente nuvolose come quella di oggi. Artisti di strada, acrobati, bancarelle e artigiani si danno appuntamento a Mallory Square dove insieme a frotte di turisti onorano la quotidiana, allegra ricorrenza. Salutato il sole, la gente si riversa nei locali e nelle stradine di questa deliziosa cittadina trasformandola in una Las Vegas caraibica. Mercoledì 17 – Key West – Miami Il S.Patrick day inizia in perfetto stile anglosassone: piove a dirotto. Accettiamo a malincuore il responso meteorologico e muniti di giacche ci andiamo a procacciare una buona colazione francese al Banana Cafe. Mentre l’acqua non accenna a smettere passeggiamo per le strade deserte di Key West, giriamo intorno alla casa di Hemingway e al faro, quindi giungiamo al punto più a sud di tutti gli Stati Uniti dove osserviamo il rito della fila per le foto. Prima di lasciare la cittadina facciamo un’altra doverosa tappa: il cimitero. Ebbene sì, il turismo ferma anche qui; non fosse per le suggestive lapidi che sbucano disordinatamente tra l’erba verde e le palme, lo è certamente per alcuni singolari epitaffi lasciati da qualche burlone, il più famoso dei quali cita: I told you I was sick (te l’avevo detto che ero malato). La fortuna però non è proprio dalla ns parte e, nonostante la meritoria visita, non riusciamo a trovare la famigerata lapide. Risaliamo la Highway 1 alla volta di Miami, la pioggia ci insegue fino ai confini della Magic City per poi lasciarci appena prima di raggiungere il Dadeland Mall, centro commerciale cui facciamo tappa prima di parcheggiarci in hotel. A Miami dove staremo per il resto della vacanza dormiamo all’Hotel Cardozo, a South Beach. L’albergo è in stile art decò, carino, non particolarmente a buon mercato, ma consigliabile vista l’ottima posizione sull’Ocean Drive. Quando giungiamo in hotel io sono in riserva d’energia. Il vento di questi giorni mi ha procurato un odioso mal di gola, cui ora si aggiunge un triste mal di testa. Non ci resta che un semplice, onesto hamburger al Eleventh Street Diner e un po’ di riposo. San Patrizio spero non si offenda. Giovedì 18 – Miami Primo giorno di visita alla Magic City: le previsioni di nubi ci spingono a dare la priorità a Downtown e little Havana. Utilizziamo il gratuito metromover per raggiungere il financial district. Circondati da giganti di cristallo giriamo con la testa all’insù, se non fosse per le palme e le strade assolutamente vuote (qui ci si muove soltanto in auto) parrebbe di stare a New York,. Riprendiamo il metromover e scendiamo sulla Sw 8th St; camminando verso ovest i grattacieli scompaiono all’improvviso e senza fretta il panorama si sveste delle icone americane e si fa via via più latino, spuntano insegne colorate, i negozi prendono a parlare spagnolo, fioriscono ovunque rivendite di sigari; ormai non c’è più dubbio, siamo arrivati in Calle Ocho, il cuore pulsante di Little Havana. Consumiamo il nostro pranzo al ristorante cubano El Cristo ascoltando i sempre ottimi consigli della Lonely Planet, scopriamo anche il piacevole caffè cubano, un espresso italiano zuccherato, un concentrato momento di estasi dopo tanti sciacquoni americani. Mentre le nuvole si raggruppano e qualche goccia di pioggia sfugge al loro controllo rientriamo verso Downtown e riprendiamo l’auto. Attraversiamo il Design District, un intreccio di vie zeppe di gallerie d’arte e negozi di mobili, quindi passiamo a dare uno sguardo alla povertà di Little Haiti. Anche qui le case lampeggiano di colori e la gente pare indolente e tranquilla, tuttavia il quartiere ha l’aria più squallida di Little Havana e non ce la sentiamo di affrontare le vie a piedi. Sotto un cielo ormai completamente tappezzato di nubi ci fermiamo a Bel Harbour a North Beach dove ci aspetta una spiaggia bella e sconfinata, ma fredda e deserta. Cuba ci tiene compagnia anche a cena, al Puerto Sague, ristorante economico, ridanciano e molto buono. Venerdì 19 – Miami Il secondo giorno nella Magic City lo immoliamo ai lussi e al chiasso di South Beach. L’unica parentesi seria del giorno sarà la visita all’Holocaust Memorial, toccante memoriale all’olocausto. Per il resto passiamo la giornata abbandonandoci allo spensierato shopping e people watching in Lincoln Road, passeggiando attraverso Washington e Collins Ave, nuotando nella folla della Ocean Drive, sostando agli onnipresenti negozi di souvenir. Tutta la gente che visita Miami si concentra in questa fetta di terra, dividendosi tra la larghissima e bellissima spiaggia e le animate vie di South Beach. Da notare resta il tentativo di andare in spiaggia, finito prematuramente causa improvvise e insistenti nuvole. Ci rifaremo a cena al Grillfish, dove mi regalerò la mia prima aragosta: alla griglia, senza salse o pesanti condimenti, assolutamente deliziosa! Come a Key West, ma ancor più in grande stile, la festa a Miami si accende di sera. L’Ocean Drive straripa di gente, gli alberghi in stile art decò si sfidano a colpi di suoni e luci, la gente balla e beve per strada, tutto sotto gli occhi di pazienti poliziotti che vigilano un po’ dovunque. Una festa anche per chi non è in vacanza. Sabato 20 – Miami L’ultimo giorno a Miami lo inauguriamo con una colazione al Focaccia Rustica a Coconut Grove, delizioso quartiere residenziale a sud di Miami. Con la pancia piena ci andiamo quindi a lustrare gli occhi girando per le vie di Coral Gables, rubando qualche sogno di fronte alle lussuose ville e agli splendidi viali del quartiere. Il sole alto e scintillante ci suggerisce che è ora di ritentare la spiaggia, perciò salpiamo alla volta di Key Biscane; e sarà proprio qui, sulla spiaggia bianca del Crandon Park, che riusciremo a trovare quell’angolo di paradiso caraibico che avevo agognato fin dal primo giorno. La giornata finalmente calda ci consente di bearci tra le palme e provare un piccolo bagno (che solo mio marito avrà il coraggio di affrontare interamente). Sul finire del pomeriggio facciamo un salto al faro di Key Biscane e un’ultima passeggiata fra le mangrovie, poi ci rimettiamo nel traffico e rientriamo a South Beach. La sera ci concediamo un doppio bagno di folla in Lincoln Road, dove ceniamo al Van Dyke Cafe, e in Ocean Drive. Ora che il clima era divenuto ottimale siamo pronti per ritornare ai freddi milanesi; è appena giunta l’estate che dobbiamo già tornare in primavera. E poi dicono che non c’è più la mezza stagione.


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