TUTTO IL MEGLIO DEL MESSICO di prima parte

TUTTO IL MEGLIO DEL MESSICO (un mese su e giù per il Messico…) Premessa Programmare un viaggio in Messico non è cosa semplice! Il Paese è davvero immenso: ben 2 milioni di kmq, in pratica sei volte l’Italia!. Il fatto è che il Messico è davvero grande: il suo nome per esteso è Stati Uniti Messicani, essendo formato da ben 31...
Scritto da: BEATRICE1973
tutto il meglio del messico di prima parte
Partenza il: 28/07/2005
Ritorno il: 28/08/2005
Viaggiatori: in coppia
TUTTO IL MEGLIO DEL MESSICO (un mese su e giù per il Messico…) Premessa Programmare un viaggio in Messico non è cosa semplice! Il Paese è davvero immenso: ben 2 milioni di kmq, in pratica sei volte l’Italia!. Il fatto è che il Messico è davvero grande: il suo nome per esteso è Stati Uniti Messicani, essendo formato da ben 31 stati federati più il Distrito Federal (DF), che comprende Città del Messico e i suoi sobborghi.

Il Messico offre un’infinità di bellezze naturali, archeologiche e culturali, che sarebbero tutte da vedere! Tuttavia, come prima volta, abbiamo deciso per un tour super classico, organizzato con grande cura, cercando di dare spazio ai siti più belli, alle città d’arte più affascinanti, senza trascurare musei e, perché no, ristoranti e locali tipici e rinomati. Alla fine il nostro itinerario (realizzato nel mese di agosto), cominciato nella capitale e terminato nello Yucatan, ci ha visto visitare le seguenti località: CITTÀ DEL MESSICO – sito archeologico di TENOCHTITLAN – sito archeologico di TEOTIHUACÁN – sito archeologico di TULA – DURANGO e set cinematografico di Villa d’Oeste – CHIHUAHUA – CREEL – BARRANCAS DEL COBRE (Ferrovia CHEPE)– GUADALAYARA – PUEBLA – POZA RICA e sito archeologico di EL TAJIN – OAXACA – sito archeologico di MONTE ALBAN – sito archeologico di MITLA – EL TULE – SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS – Villaggi indios di SAN JUAN DE CHAMULA e ZINACANTAN – CHAPA DE GORZO e CANYON DEL SUMIDERO – sito archeologico di PALENQUE – MISOL HA, AGUA AZUL, AGUA CLARA – sito archeologico di YAXCHILAN – sito archeologico di BONAMPAK – VILLAHERMOSA e Parco Archeologico de La Venta – MERIDA – LA RUTA PUUC: siti archeologici di KABAH, LABNÀ, SAYIL – sito archeologico di UXMAL – sito archeologico di CHICHEN ITZA – TULUM: sito archeologico & Mar dei Caraibi – sito archeologico di COBA’ – CANCUN

Considerazioni varie: – Prima di partire abbiamo raccolto tante informazioni pratiche, da guide e siti web. Le GUIDE/LIBRI da noi utilizzati per l’ organizzazione del viaggio sono stati: “Messico”, Lonely Planet, ed. 2005 (davvero eccellente) “Messico”, le Guide Mondatori (splendida per le mappe e le fotografie) “in Viaggio – Messico-”, mensile n.45/2001, editoriale Giorgio Mondadori “Le guide di Viaggiare – Messico” n.23/1999 ed. Portoria “Messico”, le Guide Traveler di National Geographic, 2002 “Messico”, Guide APA, Zanfi Editori (ottima la parte storica) “Messico, seguire la via dei Conquistadores”, inserto di Panorama Travel, marzo 1999 “I Maya”, “Gli Aztechi” di Von Haghen, Newton ed. (due classici di archeologia) -Non abbiamo fatto VACCINAZIONI particolari, essendo già noi “coperti” per tetano, difterite, epatite A e B. Abbiamo però fatto un’ASSICURAZIONE SANITARIA che coprisse tutte le spese mediche, valida per tutto il periodo all’estero.

– Una volta definito l’itinerario, abbiamo prenotato dall’Italia il volo A/R e un primo volo interno; inoltre abbiamo prenotato l’Hotel nella capitale, perché il nostro arrivo era previsto in tarda serata; – Da mettere assolutamente IN VALIGIA: dizionario spagnolo di conversazione (pochissimi parlano inglese!), medicinali, sacco a pelo (nei pullman notturni e sul treno Chepe fa davvero freddo), una torcia (specie per chi va a Tulum, dove la notte tolgono la luce), un adattatore per le prese elettriche a due lamelle piatte, felpa termica, k-way (in estate piove spessissimo), antirepellente per zanzare, lozione solare ad altissima protezione.

– Qualche considerazione sugli AUTOBUS, il mezzo di trasporto migliore per girare il paese. Sugli autobus di prima classe si sale già muniti di biglietto e con il posto già assegnato: è possibile scegliersi il posto preferito consultando la piantina del bus in biglietteria! Al momento del pagamento vi danno anche la ricevuta per il bagaglio, da conservare sino a quando si scende, per il ritiro. Gli autobus messicani sono efficienti e consentono di andare praticamente ovunque! In particolare sono comodi gli autobus di Prima classe o Lusso, che coprono le tratte più lunghe: sono dotati di comodi sedili reclinabili, bagno e aria condizionata. Questi percorrono le strade principali senza fare fermate; vanno tuttavia piuttosto piano, sia per le condizioni generali delle vie di comunicazione, sia perché sulle strade messicane ci sono infiniti “topes”, i dossi artificiali in cemento rallenta-traffico, che devono essere superati quasi a passo d’uomo.

Noi abbiamo usato numerose compagnie, soprattutto Ado GL Service, ) e Uno ). – Nessun problema per trovare dove DORMIRE: l’offerta è infinita e variegata. Sappiate però che in tutto il Messico le camere si devono pagare “adelantados”, ovvero anticipatamente, all’inizio del soggiorno. 1° giorno: ITALIA – CITTA’ del MESSICO I voli dell’andata: Italia – Londra Londra – Dallas (Texas) Dallas – Città del Messico La prima cosa che ho imparato è stata quella che è meglio prenotare molto in anticipo i voli: noi ad Aprile non abbiamo trovato che questa scomoda possibilità ( e a 1.000 euro a testa) per arrivare in Messico a fine Luglio. Se possibile, dunque, prenotare con largo anticipo. Una breve parentesi per chi, come noi, arriverà in Messico VIA STATI UNITI, magari la nostra compagnia aerea, l’ America Airlines (per intenderci quella i cui 3 voli si schiantarono l’11/09/2001 sulle due Torri e il Pentagono): l’AA ha severissime norme di sicurezza, per cui occorre presentarsi al Check In un’ora prima delle 2 solite. Seconda cosa: potrebbe capitarvi, come è successo a noi, di dover sostenere un colloquio con i funzionari dell’AA, prima di accedere al loro volo. Preparatevi, perché vi capiteranno domande come: “Hai mai rapito un bambino americano?” oppure “Fai parte di qualche organizzazione segreta?” “Sei stato coinvolto in atti criminali, terrorismo, prostituzione, genocidio o persecuzione nazista?” “Hai con te bombe o droga, esplosivi o oggetti pericolosi?” All’aeroporto internazionale Dallas Fort Worth (DFW), uno dei più trafficati del mondo (qualcosa come più di 2000 voli giornalieri in partenza o arrivo da un campo d’aviazione più grande dell’isola di Manhattan!!!), abbiamo dovuto prelevare i bagagli spediti col check in, riconoscerli e affidarli, uno per uno, ad un funzionario dell’American Airlines: i bagagli non riconosciuti vengono distrutti. Poi nuove code, nuovi controlli e infine la coda per il controllo del passaporto: ricordatevi che gli USA richiedono il nuovo passaporto, quello per la lettura ottica. Dopodiché vi viene scattata una fotografia, e vi vengono prese le impronte digitali di entrambi gli indici.

Poi via, verso il Messico… Altre 3,30 ore di volo e atterriamo a Città del Messico, all’AEROPORTO “BENITO JUAREZ” DI CITTÀ DEL MESSICO, che si trova a 13 km dal centro.

Siamo a quasi 10.000 km da casa. Il fuso orario segna una differenza non da poco: -7 ore.

Chiamata dai suoi abitanti El Defe (sta per D.F. Cioè Distrecto Federal), Città del Messico è una megalopoli “saltata” da molti turisti. Certo, è famosa per il suo caos, l’alto tasso di delinquenza… Tuttavia la capitale merita eccome, ricca com’è di capolavori artistici e archeologici di immenso fascino! Eccoci dunque arrivati, prima tappa di questo nostro lungo viaggio.

Recuperiamo i bagagli e facciamo la fila per la dogana. Ci aspetta la ormai celebre “prova del semaforo”: di fronte al poliziotto di dogana si preme un pulsante: se si accende la luce rossa si verrà sottoposti a controlli approfonditi, mentre se scatta il verde si può passare subito. Marito ed io passiamo entrambi indenni, meno male! Abbiamo solo voglia di andarcene in hotel a riposare. Per prima cosa cambiamo un po’ di soldi in una delle tante banche che si trovano nella “hall” degli Arrivi: qui, infatti, sono numerose le “Casa de cambio” e il cambio è buono. Nella Sala Arrivi c’e’ anche uno sportello per il servizio taxi: dando l’indirizzo dell’hotel si paga una tariffa predeterminata (nel nostro caso 105 pesos per lo Zocalo) e si usufruisce di un taxi senza necessità di contrattare, ma soprattutto certi che sia legale e sicuro! Sia sulla Lonely Placet, che su numerosi siti web e nellos tesso aeroporto della capitale abbiamo letto che a Città del Messico esistono tantissimi tassisti abusivi che non disdegnano di rapinare, o addirittura sequestrare, a scopo di estorsione, i malcapitati clienti. Con gli sportelli che si trovano in aeroporto, invece, si paga in base alla zona da raggiungere e si sale su un taxi in regola. A proposito: COME RICONOSCERE UN TAXI REGOLARE (es.Www.Servitaxis.Com.Mx e www.Taxi-mexico.Com) da uno abusivo? Ecco 4 semplici regole (vd. Sito http://utenti.Lycos.It/mariachi10/infoviaggio.Htm): 1) la targa regolare deve recare la lettera L seguita da 4 numeri, con una riga verde sottostante; 2) il numero dipinto in nero sulle fiancate deve corrispondere a quello delle targhe. 3) sul vetro posteriore devono essere appiccicati almeno due adesivi a forma di diamante: sono le tasse di circolazione pagate. 4) Appena siete a bordo, controllate se la faccia del conducente coincide con la scheda segnaletica (“gafete”) apposta di fronte a voi. Si tratta di una carta d’identità laminata e normalmente la foto computerizzata è di qualità mediocre. Dopo un’attesa di circa 45 minuti, trascorsa a rabbrividire fuori dall’aeroporto (piove ed è piuttosto freddo: benché sia fine Luglio troviamo solo 14°), un taxi collettivo ci porta verso il centro storico, nel cuore di questa infinita città. Per quanto riguarda il pernottamento a Città del Messico, le possibilità sono praticamente infinite e per tutte le tasche. Noi abbiamo scelto un Hotel 4 stelle in posizione spettacolare, ossia affacciato sullo Zocalo, in Av Madero 73, nel cuore della città: l’Hotel Majestic (http://www.Majestic.Com.Mx/), appartenente alla catena Best Western ). Abbiamo prenotato dall’Italia, in agenzia viaggi, poi abbiamo pagato una volta arrivati (circa 75 dollari a notte, senza colazione). Non economico, ma in una posizione pazzesca! Nel buio della mia prima notte in Messico, sbircio curiosa la città sotto la pioggerella fine. Attraversiamo il Centro Storico e non so, mi sento bene, nonostante la stanchezza. Non sento la vertigine dell’immenso, quella che mi ha fatta fremere di meraviglia di fronte ai grattacieli di Shanghai o alla folla immensa di Pechino; non mi sento spaesata e intimorita come a Il Cairo. No, mi sento benissimo e rilassata, come in una piccola città: eppure so che Città del Messico si estende per 2.000 kmq, roba che in aereo la sorvoli per 10 minuti e sotto hai sempre e solo case, pazzesco… Fa anche un certo effetto sapere che si trova a oltre 2.200 metri di altitudine, cosa di cui mi accorgerò presto, quando arrancherò sulle Piramidi, senza fiato. Ah! Poi è circondata da due vulcani attivi: lo Iztaccihuatl, detto “la donna dormiente”, perché ha la forma di una donna distesa, e il Popocatepetl, familiarmente chiamato “el Popo”, dal nome di un antico guerriero. So già che la capitale del Messico sorge dove un tempo stava la capitale dell’Impero atzeco Tenochtitlan, meravigliosa città che aveva lasciato basiti gli Spagnoli, giunti qui nel XVI secolo, per la sua bellezza e la sua particolarità: “Eravamo storditi. Le torri e le case così maestose, tutte di pietra massiccia, venivano fuori dall’acqua. Somigliavano a castelli incantati”, scrisse il cronista spagnolo Bernal Diaz del Castello. Era, infatti, costruita al centro di un lago salato, il Texcoco. Le sue strade e i suoi edifici erano imponenti, secondo quanto hanno lasciato scritto gli spagnoli, prima di raderla completamente al suolo. Pareva insomma una Venezia esotica, con canali percorsi da canoe, dighe e piramidi colorate.

Oggi, invece, Città del Messico è enorme, caotica, inquinata, ed è la città più grande del mondo, coi suoi 24 milioni di abitanti. Ma di questo ce ne accorgeremo solo all’indomani, perché arrivati nel nostro delizioso Hotel, veniamo accolti con gentilezza dal Signor Costantino, un Messicano che parla molto bene Italiano. E’ lui che ci accompagna nella nostra piacevole stanza. Il tempo di sbirciare dalla finestra e scoprire di godere di una magnifica vista sulla Cattedrale e subito sprofondiamo in un sonno beato. 2° giorno: CITTA’ del MESSICO- sito archeologico di TENOCHTITLAN – NUEVA E ANTIGUA BASILICA DE NUESTRA SEÑORA DE GUADALUPE – Museo Nacional de Antropologia y Historia “Piove da giorni”, ci comunica il Signor Costantino l’indomani, con la sua voce calma e il tono garbato. Bè, c’era da aspettarselo: arrivare in Messico a fine Luglio significa avere un 95% di probabilità di pigliare acqua tutti i giorni. Poi, quest’estate 2005 sembra essere particolarmente umida e i tifoni sono passati già in Luglio, in anticipo di 2 mesi e passa. La cosa strana è che fa anche piuttosto freddo, diciamo un 14° gradi, che poi durante il giorno salgono a 25/26 e allora sì, che si sta bene. Una bella felpa e i calzettoni sono comunque d’obbligo, sia al mattino che la sera. Usciamo ben coperti, sotto un cielo plumbeo che non promette nulla di buono e siamo già praticamente su Plaza de la Constituciòn, più conosciuta come ZOCALO, “il basamento”. Il suo nome è dovuto al fatto che qui un tempo sorgeva un monumento a Carlos IV che fu abbattuto dopo l’indipendenza messicana: di esso rimase appunto solo il basamento.

La piazza dello Zòcalo è una delle piazze più grandi del mondo (chi dice la seconda, chi terza), ben 4 ettari! Lo Zocalo al mattino presto è quasi deserto, ben altra cosa dal pomeriggio, quando è traboccante di ambulanti, passanti, poliziotti, turisti.

Al mattino presto c’è la Polizia (tanta davvero, in tutti i luoghi turistici) e qualche taxista in attesa. Al centro della piazza c’è la bandiera messicana, davvero gigantesca: è infatti la più grande del mondo! Il Messico ha una tribolata storia ed è un paese recente, essendosi reso indipendente dalla Spagna solo nel 1821. La sua bandiera ricorda quella italiana: rosso, bianco e verde sono infatti i suoi colori, simboli rispettivamente della religione, dell’indipendenza e dell’unità del popolo messicano. L’emblema centrale rappresenta invece la leggenda della fondazione dell’antica città di Tecnochtitlán sui resti della quale poi è sorta Città del Messico. Secondo la leggenda, una divinità solare, Huitzilopochtli, disse alle genti azteche di fermarsi in un luogo dove avessero visto un cactus (nopal) crescere su una roccia; giunti presso un’isola in mezzo a un lago, gli Aztechi trovarono il cactus: su di esso un’aquila straordinariamente grande stava catturando un serpente; quel posto fu chiamato Tenochtitlan, “luogo del cactus sulla roccia” e sarebbe diventato Città del Messico.

Ma torniamo al nostro primo giorno a Città del Messico. Per cominciare alla grande il nostro viaggio ci gustiamo una raffinata colazione al vicinissimo Grand Hotel Ciudad de Mexico (av. 16 de Septiembre 82), uno splendido hotel affacciato sulla Piazza centrale, traboccante di ferro batturo, colonne di marmo, vetri colorati, secondo la moda della seconda metà dell’Ottocento.

L’Hotel è famoso per la prima colazione, da gustare nell’elegante salone al pian terreno, a poca distanza da eleganti voliere dove piccoli uccelli cantano. Costoso (per gli standard messicani, oltre 200 pesos in due, cifra che si spende per una cena, in certi locali), ma consigliato! Poi, rinfrancati dall’ottimo caffè, servito in belle tazze di porcellana, attraversiamo lo Zocalo e ci rechiamo alla Cattedrale.

Magnifica, imponente, la CATEDRAL METROPOLITANA è un tripudio di barocco spagnolo, con fregi e dorature vertiginose.

La facciata barocca risale al 1573, ma negli anni seguenti vennero operate numerose aggiunte, tanto che fu terminata soltanto nel 1813. Posato sul fragile suolo paludoso di Città del Messico, l’edificio è eternamente a rischio, come del resto tutta la città che, a causa del lento sprofondamento in verticale del terreno, viene continuamente sottoposta a delicati restauri e lavori di consolidamento. Una curiosità a riguardo: l’ edificio sorge su un sito Atzeco, esattamente sullo Tzompantli, luogo rituale dove venivano esposti i teschi dei guerrieri nemici uccisi; da qui una leggenda racconta che a farla sprofondare sia la maledizione degli antichi Aztechi! La cattedrale è l’edificio religioso più grande del continente ed è un’enciclopedia d’arte coloniale. È lunga 100 mt e larga 46 ed è divisa in 5 navate. Le sue magnifiche torri, alte 67 m., svettano sullo Zocalo. All’interno ci sono ben 14 cappelle e 5 altari maggiori, il più importante dei quali è l’Altar de los Reyes, posto dietro l’altare maggiore e realizzato completamente con foglie d’oro e legno dorato. E’ davvero splendido, un vero capolavoro in stile churrigueresco, ossia tardo barocco, opera di Jeromino de Balbas (1737). Le tante sculture rappresentano Re e Regine canonizzare. E’ bello camminare in silenzio all’interno. Persone pregano e regna un’atmosfera molto spirituale. Ancora non so che nessun’altra delle tante chiese che vedrò in questo viaggio mi piacerà così tanto quanto la splendida Cattedrale di Città del Messico. E la sera, oh! La sera! Quando fa buio e la Cattedrale viene illuminata e risplende, incantevole…Da vedere, sì. Su un fianco le sorge EL SAGRARIO, costruito nel XVIII in stile barocco, rivestito da un esercito di santi a bassorilievo. E’ un edificio aggraziato con una facciata di pietra decoratissima e una struttura fantasiosa. Anche lui, però, ha crepe impressionanti e fondamenta sprofondate. Lo oltrepassiamo e, pochi passi dopo, siamo all’ingresso di ciò che resta di TENOCHTITLAN: il sito archeologico del Templo Mayor, una delle poche cose sopravvissute alla distruzione spagnola. Il tempio era la rappresentazione della concezione azteca dell’universo. Qui avvenivano le incoronazioni e le consacrazioni. Oggi è possibile visitare i resti del tempio degli Aztechi, con la grande piramide che ne racchiudeva altre sei, poiché ogni sovrano ne costruiva una nuova sopra la precedente. I 2 templi in punta alla piramide del tempio erano dedicati alle due divinità più importanti: in rosso quello per il dio della guerra Huitzilopochtli, in blu quello per il dio della pioggia e della fertilità Tlaloc. E’ sopravvissuta una statua del Chac Mool, messaggero degli dei, che riceveva i cuori delle vittime sacrificali. Ed è davvero interessante lo Tzompantli, il Muro dei teschi, fatto di teschi umani ricoperti di stucco. Nel tempio vivevano migliaia di sacerdoti e accoliti. Una zona, oggi chiamata la stanza dei Guerrieri Aquila, ospitava i militari. Non è un sito particolarmente ricco, ma ci ha comunque colpito, perché per la prima volta incontriamo dal vivo l’arte precolombiana! Inoltre il Sito ospita un bellissimo MUSEO, ricco di stele, oggetti, statue, coltelli di selce per i sacrifici… Ma soprattutto al suo interno c’è la famosa pietra circolare con i rilievi della dea della Luna Coyolxauhqui, scoperta per caso da alcuni operai nel 1978. Bellissime anche due statue identiche, rappresentanti i Cavalieri dell’Aquila, quasi a grandezza naturale. Terminata la visita torniamo sullo Zocalo ed entriamo, attraverso una porticina controllata da militari, nel PALACIO NACIONAL, il Palazzo Nazionale (ingresso gratuito, basta mostrare un documento di identità). Sopra il portale principale pende la Campana di Dolores che, suonata nel 1810 dal prete rivoluzionario Miguel Hidalgo, annunciò con i suoi tocchi l’inizio della Guerra di Indipendenza. Qui ci sta tutto: è la sede del Presidente della Repubblica, del Tesoro, dell’Archivio di Stato e della più grande Biblioteca del Messico. Da uno dei suoi balconi, ogni anno, il 16 Settembre, nella ricorrenza dell’ indipendenza dalla Spagna, il Presidente della Repubblica si affaccia e urla alla folla il famoso grido: “Que viva México!”.

Qui anticamente sorgeva il Palazzo di Montezuma II, l’ultimo imperatore atzeco, distrutto e saccheggiato dagli uomini di Cortés, che frantumarono gli arredi e strapparono le vesti ed i piumaggi per recuperare gli ornamenti d’oro. Sulle sue macerie Cortés fece costruire il nuovo Palazzo che nel 1526 divenne sede del Viceré spagnolo. Semidistrutto durante una rivolta del XVII secolo, il Palazzo venne ricostruito nella forma attuale: un lunghissimo edificio con quattordici patii e una vasta corte centrale che venne decorata negli Anni Trenta con I MURALES DI DIEGO RIVERA (1886 – 1957), il grande muralista messicano. Gli affreschi, eseguiti fra il 1929 e il 1945, rappresentano la storia della civiltà messicana. Meritano di essere visti, anche per conoscere un po’ il Muralismo messicano, movimento nato momento in cui il Messico visse la rivoluzione (1910- 1920) e profondi sconvolgimenti sociali, con il passaggio da paese agricolo a industrializzato; l’ascesa delle classi borghesi e la scoperta delle proprie radici preispaniche. Ammiriamo a lungo i murales, che si trovano sopra la scalinata principale, privi di qualsiasi protezione. Con bei colori accesi Rivera racconta la storia del Messico: gli Aztechi che combattono contro gli Spagnoli di Cortez, ma anche i missionari francescani che battezzano gli indios, i capi della rivoluzione messicana, come Zapata e Pancho Villa, i politici più importanti, come il dittatore Diaz, Benito Juarez, Francisco Madero. Poi, avvertito un certo languorino, decidiamo di andare a pranzo.

Ci spostiamo, sempre a piedi, nella vicina AV 5 MAJO, una bella via di localini. Qui, al numero 52 c’è il Cafè el Popular, noto per le ottime colazioni e gli stuzzicanti pranzetti. Si mangia messicano, a prezzi buoni e servizio veloce. Qui gustiamo i nostri primi tacos. Poco distante, dall’altro lato della via, al numero 39 c’è la Dulceria de Celaja, una delle migliori pasticcerie della città, specializzata in pasticcini dai gusti antichi, come latte e pistacchio. Belli, bellissimi, ma quasi stucchevoli per la troppa dolcezza, comunque da provare! Ancora poca strada e arriviamo davanti alla splendida CASA DE LOS AZULEJOS, la Casa delle piastrelle, risalente al sec. XVI sec, rivestita nel 1737 di bellissime ceramiche bianche e blu in stile Puebla. Durante la rivoluzione ospitò Pancho Villa, Zapata e le loro truppe. Oggi ospita un ristorante Sanbors, una moderna catena messicana, amata dai messicani chic, dove si mangia piuttosto bene. Di fronte si trova la TORRE LATINOAMERICANA, alta 47 metri, il primo grattacielo costruito nella capitale, negli anni Cinquanta. Non ci saliamo, ma passiamo oltre sino al famoso PARQUE DE ALAMEDA, cioè “pioppeto”, un bellissimo parco, dove riposiamo un po’, al sole.

Esso fu creato nel 1592 dal Vicerè Luis de Velasco al posto di un mercato azteco, per poter celebrare i pubblici autodafè dell’Inquisizione, con tanto di roghi per gli eretici. Oggi il grande parco si è riempito di bancarelle, gente, venditori ambulanti. Poi entriamo al PALACIO DE LAS BELLAS ARTES, in stile art nouveau, che ospita alcuni dei più famosi murales di Diego Rivera e Josà Clemente Orozco. Ammiriamo i murales, poi decidiamo cos’altro vedere.

Optiamo per la Basilica della Vergine di Guadalupe. Urge la metro. Se è vero infatti che la zona centrale è piuttosto circoscritta (abbiamo camminato e visto tanto, pur restando nell’arco di pochi km), la città è sconfinata e la Basilica distante, su a Nord. E metro sia. Tanto più che la METROPOLITANA ) è efficiente, veloce ed economica (solo 2 pesos a corsa, non esistono ticket giornalieri o abbonamenti). Ha 10 linee che corrono per 175 chilometri, per un totale di 150 fermate. La metro è in funzione dalle cinque della mattina a mezzanotte. Bisogna fare attenzione alle ore di punta, cioè intorno alle sette della mattina e alle sei della sera: i vagoni sono letteralmente stracolmi e gli scippi in agguato, come ci ha subito raccomandato il solito gentile Costantino… Ci spostiamo velocemente e con una breve passeggiata, attraverso uno straripante mercatino di cibo, souvenir di ogni genere e ninnoli sacri arriviamo alla celebre BASILICA DE GUADALUPE, la protettrice di tutta l’America Latina, la più venerata dell’America Latina, meta di pellegrini da tutto il continente americano.

Secondo la leggenda la Vergine apparve nel 1531 ad un indio di nome Juan Diego e miracolosamente, dopo l’apparizione, la sua immagine rimase impressa sul mantello del giovane. Il Santuario comprende due chiese: la chiesa antica è ispanico-barocca, è tutta storta e pare sprofondare nel terreno. In effetti un’ antica diceria della popolazione locale racconta che Città del Messico, essendo stata costruita sopra alla vecchia Tenochtitlan, sta sprofondando per vendetta dei vecchi dei, i quali vogliono far ritornare in superficie i loro templi. All’interno si trova il quadro della Madonna che si racconta non bruciò durante un terribile incendio che distrusse tutto il resto.

Ma che strano! Anche nella città da cui proveniamo c’è una icona della Madonna, scampata ad un funesto incendio e difatti la ns. Patrona è la Madonna del Fuoco. Colpita dalla coincidenza, compro immediatamente un santino che decido sarà il ns. Portafortuna del viaggio. Il negozietto si trova accanto alla Basilica antica ed è piccolo e semplice. La chiesa nuova è invece moderna e avveniristica e decisamente meno suggestiva! Però è al suo interno che si trova la piccola immagine della Vergine. Riposiamo un po’ seduti all’interno della Basilica e poi, non ancora stanchi, decidiamo di spostarci al Museo Archeologico. Tanta è la voglia di vedere, che non siamo neppure stanchi!

Il lungo viale chiamato Paseo de la Reforma unisce il centro alla Zona Rosa, uno dei quartieri più eleganti e moderni della città. Qui, nel Bosque de Chapultepec, cioè “delle cavallette”, un grande parco verde nel cuore della città, si trova il MUSEO NACIONAL DE ANTROPOLOGIA Y HISTORIA ) , inaugurato nel 1964.

E’ aperto dalle 9 alle 19, escluso lun. L’ingresso costa 38 pesos. Il Museo è una costruzione moderna bellissima. Sul grande atrio d’ingresso si aprono le varie sale in cui sono ordinati i reperti che illustrano lo svolgersi della storia del paese dalle origini; si passa poi nel grande cortile dominato da un immane pilastro avvolto da un velo d’acqua; su questo patio si aprono 12 sale dedicate alla varie civiltà evolutesi in Messico.

Le prime tre sale sono di carattere generale e preparano il visitatore a ciò che vedrà in dettaglio. Le altre sale sono dedicate a: età Preclassica (Valle del Messico), Teotihuacan, Oltechi, Mexica (cioè Aztechi), Oaxaca, Costa del Golfo, Maya, Messico settentrionale, Messico occidentale.

I reperti archeologici sono tanti e splendidi e vanno da oggetti di uso quotidiano e ornamentali, gioielli, armi, utensili per la cucina, la caccia, l’agricoltura, alle sculture e fregi di templi. Tanti i pezzi impedibili, come: 2 statue giganti in basalto degli Olmechi; testa di un giovane uomo di Palenque; maschera funeraria di pietra decorata con conchiglie, turchesi e giada; la Stele de la Ventilla (un raro esempio di colonna segnapunti del gioco della pelota); numerose splendide stele provenienti dal sito di Yaxchilan; una rara statua della dea Coatlicue. Affascinanti anche le tipologie di sepoltura, con i tanti scheletri distesi o in posizione fetale, circondati dal loro corredo funerario. Da non perdere la tomba di un nobile sacerdote di Palenque, con lo scheletro ancora ingioiellato. Ma il pezzo inestimabile è la stra-famosa PIETRA DEL SOLE, il famoso calendario azteco, un lastrone circolare che misura 3 metri e quaranta di diametro e che pesa ben 24 tonnellate, diventato ormai il simbolo del Messico: ci sono rappresentati i cicli temporali degli Aztechi. Si tratta di un calendario scolpito su una pietra circolare larga oltre 3 mt. E ½ e pesante 24 tonnellate. Esso riporta il ciclo di 52 anni con cui gli Atzechi dividevano il tempo. E’ questo che viene riprodotto e venduto in tutto il Messico, come tipico souvenir in pietra o riprodotto su pelle e tessuti.

Apro una parentesi in proposito, citando da http://xoomer.Virgilio.It/esongi/maya.Htm. Maya e Aztechi misuravano il tempo mediante tre calendari.

1) Il calendario religioso era chiamato Tzolkin (per i Maya) e Tonalamatl (in nahuatl) ed era usato per le profezie astrologiche e le decisioni da prendersi negli affari quotidiani. Esso si limitava a dare un nome a ogni giorno, creandolo dalla combinazione di un numero (da 1 a 13) con un nome (da un elenco di 20), a sua volta abbinato al numero del giorno (kin) del calendario per il computo degli anni, spiegato di seguito.

Combinando i numeri da 1 a 13 con i 20 nomi si otteneva un ciclo di 260 giorni con nomi diversi (13 x 20 =260), 2) Il secondo calendario era quello civile, basato sul calendario solare. Era chiamato Haab ed era formato da 18 mesi di 20 giorni ciascuno, più 5 giorni detti Uayeb, per un totale di 365 giorni.

I giorni di ogni mese erano numerati da 0 a 19; i cinque giorni Uayeb erano considerati particolarmente sfortunati.

3) Col nome di “Lungo Ciclo”, “Calendario Totale”, si intende la fusione dei due calendari precedenti, che si ripeteva ogni 52 anni.

Il minimo comune multiplo fra 260 (durata in giorni del calendario sacro) e 365 (durata in giorni del calendario civile) è 18.980: ecco perché un periodo di 18.980 giorni (circa 52 anni) costituiva per i Maya un ciclo importante, al termine del quale si temeva sempre il rischio di una fine del mondo.

Per misurare il tempo lungo i secoli occorreva insomma un terzo sistema di datazione, costituito dai seguenti elementi: kin (giorno) uinal: 1 uinal = 20 kin = 20 giorni tun: 1 tun = 18 uinal = 360 giorni katun: 1 katun = 20 tun = 7200 giorni baktun: 1 baktun = 20 katun = 144.000 giorni La data era formata da cinque gruppi di cifre, che rappresentavano i cinque elementi come in questo esempio: 7.9.14.12.18. Questa data sta appunto a significare: 7 baktun, 9 katun, 14 tun, 12 uinal e 18 kin.

I kin, i tun e i katun erano numerati da 0 a 19, mentre gli uinal andavano da 0 a 17 e i baktun da 1 a 13.

Ciò significa che la data presa come esempio corrisponde al giorno n. 1.078.098 dall’inizio del conteggio: infatti 18 + 12 x 20 + 14 x 18 x 20 + 9 x 20 x 18 x 20 + 7 x 20 x 20 x 18 x 20 = 1.078.098 Data di partenza è considerata il 13.0.0.0.0 (che equivarrebbe allo 0.0.0.0.0, se il baktun cominciasse da 0 anziché da 1), coincidente con quella conclusiva, oltre la quale il ciclo ricomincia.

Un ciclo siffatto ha una durata di 1.872.000 giorni, cioè circa 5.125 anni (1.872.000 = 13 x 144.000).

Anche se non vi è certezza assoluta a riguardo, le date più accreditate a corrispondere a quella di partenza sono l’11 o il 13 agosto 3114 a.C. Del calendario gregoriano e quindi quella conclusiva del ciclo (corrispondente al 13.0.0.0.0) dovrebbe cadere il 21 o il 23 dicembre 2012.

Dunque la data finale coincide, probabilmente in modo non casuale, con un solstizio d’inverno, che i Maya riuscivano a prevedere poiché probabilmente conoscevano il fenomeno della precessione degli equinozi.

N.B. Una profezia annunciava il ritorno del dio Quetzalcoaltl il 1 Giunco. Ebbene, in quella data arrivò Cortes e gli Aztechi cedettero all’avverarsi della profezia, abbandonandosi così alla Conquista.

La visita si protrae sino all’ora di cena. Torniamo verso lo Zocalo e ceniamo nella celebre CANTINA LA OPERA BAR, una vera istituzione! Si narra che lo stesso Pancho Villa vi sia entrato a cavallo, ed abbia ordinato da bere sparando in aria. Il foro sul soffitto, tra l’altro mai coperto, costituirebbe la prova di questo singolare episodio. In Messico la cantina è un luogo fondamentale, dal punto di vista culturale, storico e culinario. E’ una sorta di punto di incontro tra osteria, enoteca, caffè.

La Opera è tra le più antiche e lussuose, tutta traboccante di decorazioni, specchi, legni antichi. Si trova in Calle 5 de Mayo, No.10. Merita, per l’eleganza avvolgente, la musica dei Mariachi, le “botanas”, saporiti e spesso piccanti antipasti serviti gratis se si ordina da bere. Gustiamo anche una buona sopa de verduras, ossia un bollente minestrone. Spendiamo 300 pesos in due. Poi, com’era prevedibile, stramazziamo a nanna, stanchissimi. E l’indomani ci aspetta l’archeologia pura!

3° giorno: -CITTA’ del MESSICO – sito archeologico di TEOTIHUACAN – Coyoacan e Museo Frida Kahlo Se il giorno prima ha diluviato solo verso sera, il terzo giorno a Città del Messico ci regala un’alba pallida, ma carica di premesse. Saliamo all’ultimo piano del nostro hotel, per fare colazione sulla Terrazza del Majestic, e godiamo di una delle più famose viste sulla città, quella sull’intero Zocalo. Poi, ancora infreddoliti, prendiamo la Metro, ormai siamo degli esperti, fino alla fermata del Terminal Norte. Non ci sono turisti sulla metro, non si capisce come mai. Molti sono in viaggio organizzato, è vero; molti magari preferiscono il taxi…Fatto sta che ci siamo solo noi di stranieri e i Messicani ci guardano con una curiosità molto discreta. La metro è uno spettacolo di varia umanità: poveri di ogni ordine e grado vendono ai passeggeri le loro povere cose: fichi, caramelle, gomme da masticare, bibite, frutta secca, banane fritte, patatine, ma anche pile, penne, quaderni, elastici e cd taroccati, che fanno ascoltare su piccoli stereo. Compro un cd di musica romantica per 10 pesos: ci sono anche i grandi successi di Tiziano Ferro, che qui è amatissimo, e canta in spagnolo. Non mancano cantanti improvvisati, musicisti con chitarra o fisarmonica. E’ una cosa che ci ha colpito molto. Di fronte al Terminal Norte c’è la stazione Autobuses del Norte, da cui partono i bus per Teotihuacan (25 pesos solo andata). Il viaggio, che dura un’ora, altro non è che l’intero attraversamento dell’infinita periferia nord di Città del Messico, fino all’entrata del sito. Come nella metropolitana, anche sugli autobus di seconda classe salgono venditori ambulanti, a proporre bibite, tacos, patatine, ma anche unguenti portentosi per la cervicale. Qualcuno suona e canta struggenti canzoni dei Mariachi. Una di quelle cose che chi è in viaggio organizzato si perde e invece è da vedere, senza dubbio, anche per riflettere su ciò che abbiamo qua nella ricca Europa e su quanto invece ci lamentiamo di non possedere. TEOTIHUACAN è di una bellezza superba. Con i suoi grandi viali, le piramidi ed i templi è senza dubbio uno dei siti archeologici più belli del Messico. Sul podio, per intenderci. Quando si arriva alla piana che racchiude armoniosamente le costruzioni, non si può fare a meno di provare dei brividi. Eccola, Teotihuacan, “luogo dove gli uomini si fanno déi”, in lingua Nahautl. Di più: il luogo sacro e cerimoniale degli Aztechi. Immensa: 4,5 km di lunghezza, 13 chilometri quadrati di estensione. Dovevano amarla molto, gli Aztechi: per merito loro Teotihuacan stupiva i visitatori per la sua ricchezza e lo splendore dei suoi edifici, dipinti di rosso e blu, grazie ai colori estratti da minerali e cactus. Eppure poi la città fu misteriosamente abbandonata pochi secoli dopo aver raggiunto il suo splendore, tra il 200 e il 500 d.C. Epidemie? Ribellioni del popolo? Mistero. Certo è che scoppiò un terribile incendio che la devastò in gran parte. Ma Teotihuacan resta un luogo magico, dove si percepisce distintamente la Storia, dove camminare ammirando a bocca aperta gli edifici. Ho letto che qualcuno ha voluto vedere nell’antica città la riproduzione esatta del sistema solare, con il Sole, la Luna e il Viale dei Morti sul quale vi sarebbero alcuni contrassegni indicanti le distanze tra i pianeti del sistema solare. A detta di alcuni ci sarebbero tutti, persino Plutone, visibile solo con un telescopio…

Una splendida mattina primaverile illumina tutto. Le piramidi si stagliano perfette contro il cielo blu. Solo a Monte Alban, seppure su scala minore, proverò una simile sensazione di armonia e bellezza. Cominciamo la visita dal Tempio di Quetzalcoatl (200 d.C.), decorato con maschere del serpente piumato Quetzalcoatl e del dio della pioggia Thlaloc.

Poi ci incamminiamo verso le Piramidi, percorrendo il Miccaotli, il Viale dei Morti, lungo ben 2 km e largo 45 mt.

La PIRAMIDE DEL SOLE è una costruzione imponente. E’ infatti la terza piramide del mondo, dopo Cheope in Egitto e Cholula (sempre in Messico, vicino a Puebla), che però è quasi sepolta nella terra. La sua base misura 222 x 225 metri di lato. I 248 scalini consentono di arrivare in cima, a circa 65 metri di altezza. Fu costruita con un miscuglio di mattoni di creta, paglia, terra ricoperti di pietre e ghiaia. Secondo gli studiosi occorsero 10.000 persone per costruirla! Salire si realizza un’impresa impegnativa, non solo per la ripidezza dei gradini, ma anche per l’altitudine. Eppure lo sforzo vale la pena di farlo, perché il panorama, lassù, è superbo. La vista spazia sulla pianura immensa e tutti gli altri edifici si rivelano di proporzioni armoniche ed eleganti. C’è una nota matematica curiosa da sapere: il rapporto tra il lato di base e l’altezza della piramide del Sole è pari al numero irrazionale pi-greco, proprio come per la Piramide di Cheope a Giza. Coincidenza singolare, no? La PIRAMIDE DELLA LUNA è più piccola rispetto a quella del Sole: la base misura 120 x 150 metri ed è alta 46 metri. Per arrivare sulla cima bisogna scalare i suoi 196 gradini. La salita anche qui è faticosa, ma il panorama sembra essere ancora più bello da lassù, merito della sua particolare posizione, sulla parte più alta del sito. Alcuni fantasiosi scrittori sostengono la tesi che gli edifici messicani e quelli egizi siano stati costruiti dagli stessi autori, in un’epoca antichissima, intorno al 10.500 a.C.! C’è un archeologo britannico, H.S. Bellamy, che addirittura fissa la costruzione delle piramidi maya intorno al 5.000 a.C. Ma chi sarebbero questi antichi costruttori? Qualcuno si sbizzarrisce e crede alla presenza di singolari divinità (forse venute dallo spazio) o a quella di fantomatici “giganti”, presenti in tutte le culture del mondo. Un testimone dei tempi coloniali, Fernando de Alba Ixtilxochitl, riferiva nei suoi scritti che “esistevano giganti nella Nuova Spagna (il Messico): le loro ossa si possono trovare ovunque. Salire le piramidi è un’impresa impegnativa: c’è la ripidezza dei gradini, ma anche l’altitudine. Qui ho avvertito mancanza di aria, una fatica terribile per respirare. Certo che non abbiamo ancora avuto il tempo di acclimatati agli oltre 2.000 metri della capitale e già siamo qui a scalare! , non è il massimo, no… Anche la discesa, comunque, non è facilissima, specie per chi soffre di altitudine. Un consiglio? Lasciar perdere le scale, ma cercare di scendere a zig zag, provare per credere! Una volta scesi andiamo a visitare anche gli altri edifici, come il Complesso di Quetzalpapalotl, che comprende il Palazzo del Giaguaro, con murales che raffigurano giaguari che suonano strumenti fatti di conchiglie; il Tempio delle Conchiglie piumate, il Palazzo di Quetzalpapalotl con le figure mitologiche degli uccelli farfalla scolpite nelle colonne del cortile. Anche il piccolo Museo è interessante, anche se i reperti più importanti sono tutti al Museo di Antropologia di Città del Messico. Ci sono comunque reperti interessanti, come gioielli fatti di denti e conchiglie, sepolture di vittime sacrificali, con i crani fracassati. Mentre si passeggia per il sito, si viene avvicinati dai tanti venditori ambulanti che vendono prodotti d’artigianato, per lo più riproduzioni in ossidiana di statue e sculture, bottiglie decorate per la tequila, tessuti colorati. Noi però acquistiamo una bella scacchiera di scacchi al mercatino subito fuori dall’ uscita n°5 del sito. Tempo di pranzo. Andiamo al famoso ristorante “La Gruta” (sito web www.Lagruta.Com.Mx) ricavato all’interno di una grotta naturale. Ottimo cibo, ottima musica dei mariachi, che vengono al nostro tavolo e mi dedicano la struggente “Besame Mucho”, bellissimo! Finalmente vedo i mariachi, una vera icona del Messico. Ho letto su web ) che il loro nome fu coniato dagli indios Coca nel XVI secolo: “Significava semplicemente “musica” e venne utilizzato per riferirsi a chiunque si dedicasse ad attività musicali. Una definizione più precisa di mariachi, oggi, sarebbe quella di musica del folclore messicano. In ogni caso, attualmente la parola mariachi definisce gruppi di musicisti che si distinguono per l’uso di determinati strumenti, per l’abbigliamento e per il repertorio musicale. Gli strumenti musicali utilizzati dai mariachi sono violini, trombe, chitarre, una vihuela, una jarana chiamata anche guitarra de golpe, un guitarrón, un’arpa diatonica.” Il pranzo è davvero squisito e ce lo gustiamo al fresco delizioso della grotta: una calda sopa de cactus, un piattone di tacos e frjiolatas assieme a birra e Michelada, una celebre bibita messicana, a base di birra e succo di limone, servita in bicchieri ghiacciati, col bordo cosparso di sale…Molto insolita! Col taxi (20 pesos) ci facciamo quindi riportare all’ingresso 1, dove riprendiamo l’autobus che ci riporta in città.

Rientrati, ci dirigiamo velocemente, prima in Metro, poi in taxi), verso i quartieri meridionali e precisamente verso l’elegante quartiere COYOACAN (http://www.Coyoacan.Df.Gob.Mx/),“il luogo dei coyote”(metro Viveros). Situato a circa 10 km a sud dal centro storico, Coyoacán è un elegante quartiere coloniale.

Rimase un piccolo abitato esterno a Città del Messico fino a quando non fu raggiunto dall’ampliamento urbano, una cinquantina di anni fa.

Coyoacán, “luogo dei coyote”, al tempo della conquista spagnola era il quartier generale di Hernan Cortes. Ancora oggi, sulla bella Plaza Hidalgo, tracolma di gente e bancarelle di dolciumi e palloncini, si affaccia la Casa de Cortes, edificio del XVII secolo, ancora utilizzato per gli uffici del Governo.

Questo gradevole quartiere coloniale divenne a inizio Novecento la zona preferita da intellettuali e artisti. E qui vissero anche la pittrice Frida Kahlo (1907-54) e suo marito Diego Rivera. Oggi questo elegante quartiere coloniale conserva una propria identità grazie alle strette vie dell’epoca coloniale, alle sue plazas, ai caffè e all’atmosfera frizzante. Nei fine settimana, soprattutto, musicisti di vario genere, mimi e bancarelle di artigianato richiamano nelle piazze centrali della zona folle numerose e rilassate di ogni ceto sociale.

Arriviamo fin qui per vedere il Museo Frida Kahlo, la casa-museo della pittrice, in via Londres 247.

Cinta da mura blu cobalto e circondata da un giardino tropicale, la Casa Azul di Frida, fu luogo d’incontro di personalità come Leon Trotzky, Nelson Rockfeller, Sergei Eisenstein, George Gershwin. Frida Kahlo ha trascorso qui la maggior parte della sua dolorosa esistenza, condividendo spazi ed emozioni con il famoso muralista Diego Rivera, che sposò per due volte. Il lussureggiante giardino è popolato da idoli precolombiani, la casa conserva ancora i suoi quadri, i suoi costumi da Tehuana e suoi gioielli. Fa un certo effetto muoversi nella sua camera da letto o nella sua cucina. Pare quasi di violarne l’intimità e a tratti ci si aspetterebbe di vedersela comparire accanto all’improvviso, esile nel corpo, lo sguardo ardente e i baffetti che nulla toglievano alla sua femminilità.

Dopo la visita passeggiamo per la bella Piazza Hidalgo, stracolma di gente e bancarelle di dolciumi e palloncini: c’è un concerto-manifestazione in corso pro zapatisti, ma tutto è tranquillo e l’atmosfera è molto festosa. Ci fermiamo a riposare e bere un refrescos (una bibita fredda) a due passi, a “La Guadalupana”, celebre cantina che si trova in Higuera, 14. Poi è tempo di rientrare. Comincia a piovere solo quando fa buio, mentre ci godiamo la cena sulla terrazza di uno dei ristoranti più raffinati della città, “La Casa de Las Sirenas” (Re. De Guatemala 32), da dove si gode una magnifica vista sulla cattedrale illuminata. Splendida giornata, davvero.

4° giorno: – CITTA’ del MESSICO – SITO ARCHEOLOGICO DI TULA – Xochimilco Sole, sole!!! Siamo davvero fortunati: piove la notte e il giorno è splendido, con temperature primaverili che rendono indispensabili felpa e calzettoni, al mattino. E’ ancora presto quando prendiamo un taxi sullo Zocalo e ci facciamo portare in un locale tipico di Città del Messico: la “Churrascheria El Moro”, in Eje Central Lazaro Cardenas 42, Alamada central (metro San Juan de Latran, proprio di fronte). Si tratta di un locale aperto 24 ore su 24, che serve unicamente tazze di cioccolata calda e churros, bastoncini di pasta fritta (tipo bomboloni) e cosparsi di zucchero. Una leccornia! Poi partiamo per l’ antica capitale tolteca di Tula, a 65 km a nord di Città del Messico. Il sito, benché sia stra-famoso per i 4 Atlantes, immortalati in tutte le guide e nelle pubblicità più disparate, non è visitato da molti turisti. Peccato, perché è davvero grazioso. Per arrivarci torniamo al Terminal Norte e poi alla solita stazione Autobuses del Norte. Da qui, con un autobus di prima classe (95 pesos A/R) si arriva in circa 1 ora e 15 minuti. La zona archeologica si trova a 2 km dal centro cittadino; in taxi (si trovano subito fuori la stazione degli autobus) si spendono circa 3 dollari. Tula e i Toltechi, il popolo più civile del Messico preazteco. Venivano da Teotihuacán, dove avevano abitato tra 200 a.C. E 900 d.C., facendone un’immensa città-tempio, gravitante intorno alle piramidi del Sole e della Luna, città destinata a divenire prototipo architettonico di tutte le successive città-santuario del Messico. Poi i Toltechi abbandonarono Teotihuacán e fondarono Tula e Chichén Itzá, città dove alla loro iniziale monumentalità si aggiunsero anche decorazioni scultoree più vivaci e linee meno severe. Agli Aztechi che li sottomisero, i Toltechi trasmisero la scrittura in glifi e le tecniche di costruzione.

Leggo queste informazioni, mentre con una bella passeggiata tra immensi cactus e piante grasse ci dirigiamo verso il cuore del sito. E’ un emozione quando “li” scorgo, bellissimi già da distanza. Unici, soprattutto, nulla di simile in nessun altra parte del Messico! Eccoli, i celebri “ATLANTES”, ossia le enormi statue di pietra giganti (ben 4.60 mt) che si trovano in cima alla cosiddetta Piramide B. La loro funzione era probabilmente quella di sorreggere una copertura andata persa. Gli studiosi hanno stabilito che i giganti di pietra raffigurano Quetzalcòatl, il Serpente Piumato, nella sua manifestazione di Tlahuizcalpantecuhtli, la “Stella del Domani” in veste di guerriero. Saliamo la breve gradinata che porta ad ammirare gli Atlantes da vicino. Sono davvero belli e maestosi. La vista dall’alto spazia sulla bella pianura circostanze, molto verde. Poi scendiamo ad ammirare anche il resto del sito, la piramide semi sepolta che si trova accanto alla Piramide B, i resti del Palacio Quemado, residenza dei sacerdoti, poi il campo del gioco della palla, che è uno dei più grandi del Messico, si dice il più antico. Splendido è un muro, detto Coatlepantli, ossia Muro dei Serpenti, alto circa due metri e decorato con un lungo fregio perfettamente conservato, raffigurante il dio Quetzalcoatl che nasce dalla bocca del serpente piumato. E dopo la cultura lo shopping lungo la stradina che riporta all’ingresso del sito, dove si trova il piccolo Museo Archeologico: ci aspettano le bancarelle di souvenirs! Subito dopo visitiamo il Museo e compriamo un frugale pasto (biscotti e le mitiche patatine Sabrita’s, che compreremo per tutto il viaggio) al distributore automatico accanto alla biglietteria. Quindi si torna a Città del Messico, dove ci aspetta un’escursione deliziosa!!! Un lungo viaggio in treno seguito da un’infinità di fermate di trenino (il Tren Ligero), scendendo all’ultima, ci portano a XOCHIMILCO(http://www.Xochimilco.Df.Gob.Mx/), quartiere all’estremo sud della capitale, circa 24 km dal centro storico.

Tanti anni fa, durante una puntata della fortunata trasmissione “Turisti per Caso”, mi ero innamorata di questo originale quartiere, il cui nome significa “luogo dei campi e dei fiori”. Sì, perché Xochimilco, patrimonio dell’umanita’ dal 1987, è un quartiere veramente caratteristico! Il suo nome significa “luogo dei campi e dei fiori”: in tempo antico qui si rifugiarono le popolazioni tolteche dopo la caduta di Tula. In seguito (sec. XIII) vi si installò una tribù chichimeca. Gli abitanti, conosciuti con il nome di Chinampanecas, erano apparentati agli Aztechi. Ancora oggi Xochimilco è una zona ricca di canali e isolotti ed è ciò che rimane dei chinampas, i giardini galleggianti di Tenochtitlan. Essendo una zona paludosa e in coltivabile, i chinampas erano l’unico modo per sfruttare l’insalubre terreno: erano costituiti da graticci, galleggianti sull’acqua, ricoperti di canne, rami e fango. Queste isole artificiali, separate da canali, erano ancorate al fondo del lago con salici piantati lungo i margini.

Xochimilco è una delle mete messicane più popolari per il divertimento e il relax. Soprattutto la domenica, le famiglie fanno la classica “gita fuori porta”. Centinaia di coloratissime trajineras (originali barconi decorati con fiori di cartapesta), ciascuna condotta da un barcaiolo che rema con un palo, navigano per i canali del il Lago di Huetzalin trasportando gruppi di festaioli e turisti. Si può salire a bordo da uno degli embarcaderos (moli) vicino al centro di Xochimilco. E’ un’esperienza che merita, perché durante la gita, che prevede anche soste ai vivai di fiori e al pittoresco mercatino dell’artigianato, specializzato in legno, si viene continuamente avvicinati da piccole barche, dette trajineras, che portano a bordo venditori ambulanti che vendono di tutto: souvenirs, fiori, pannocchie bollite, grosse mele caramellate, ma anche orchestre di mariachi e fotografi ambulanti… Uno spettacolo meraviglioso, da non perdere.

E’ tutto bellissimo, salvo che maritozzo non si sente bene. Occhi lucidi e stanchezza, ahi ahi ahi. Ceniamo con una buona pizza da Pizza Hut, a due passi dal nostro hotel e poi a nanna prestissimo.

INDIRIZZI UTILI A CITTA’ DEL MESSICO: Pernottamento: Hotel Majestic (http://www.Majestic.Com.Mx/ ) Ristoranti consigliati, oltre alle Cantine: “Cafè el Popular” (Av 5 Majo 52) e “La Casa de Las Sirenas” (Re. De Guatemala 32) Per la colazione: Hotel Majestic Grand Hotel Ciudad de Mexico (av. 16 de Septiembre 82) Da non perdere: Dulceria de Celaja ( Av 5 Majo 39) Churrascheria El Moro, in Eje Central Lazaro Cardenas 42 N.B. Le “cantinas” sono una vera istituzione messicana! Si tratta di locali tipici, un tempo frequentati solo da uomini, un misto tra osterie tipiche e pub: vi si beve, vi si ascolta musica tipica, specialmente quella dei Mariachi e vi si può anche mangiare piatti tipici.

Cito da una guida: “…Qualcosa di più che semplici luoghi d’incontro. Qui si trattano affari, ci si strazia il cuore sulle note delle canzoni tradizionali e nei fumi dell’alcol si stringono amicizie indissolubili che durano una sera.” Qui si possono mangiare le tipiche “botanas”. Con questo nome, dall’apparenza offensivo, ma che in realtà significa stuzzichini, si indicano dei saporiti e spesso piccanti antipasti serviti gratuitamente con la birra ghiacciata. Città del Messico conserva diverse e antiche cantinas. Le più famose sono: – la celebre La Opera Bar , Av 5 de Mayo, 10, tra le più antiche e lussuose, tutta traboccante di decorazioni, specchi, legni antichi. Si narra che lo stesso Pancho Villa vi sia entrato a cavallo, ed abbia ordinato da bere sparando in aria. Il foro sul soffitto, tra l’altro mai coperto, costituirebbe la prova di questo – La Guadalupana, celebre cantina attiva dagli anni Trenta, che ricorda un saloon western, in Higuera, 14.

– El Nivel, Moneda 2. La piùantica, risalente al 1855, vicinissima alla Cattedrale – Salon Corona, Bolivar 24, inaugurato nel 1928 – El Centenario, Vicente Suarez, 42 – La Polar, Guillermo Prieto 129, San Rafael Ristorante consigliato a Teotihuacan: “La Gruta” (sito web www.Lagruta.Com.Mx) ricavato all’interno di una grotta naturale. 5° giorno: DURANGO – set cinematografici di Villa De l’Oeste Lo stato del Durango si trova tra la catena dei monti della Sierra Madre Occidental e offre uno splendido scenario naturale, fatto di bellezze naturali: boschi, valli, fiumi, orti e vigne, e, soprattutto, cactus, deserto e canyon che ne hanno fatto la location perfetta per i film Western. Durango, l’omonima capitale, ne è la capitale! Partiamo da Città del Messico con un piccolo aereo dotato di eliche!!!! Oddio, che senso! A bordo non più di 40 passeggeri, e due i soli turisti: noi! Due ore di volo, un viaggio di 1.490 km che ci porta giù a 1.900 metri, sull’altipiano sul quale sorge Durango. La città ha origini antiche: la sua fondazione risale al 1563, quando cominciò la ricerca dell’oro e dell’argento dalle miniere della Sierra madre. Con un taxi collettivo ci facciamo portare in città. La capitale è piuttosto grande (circa mezzo milione di abitanti), ed è chiamata anche “la città degli scorpioni”, per il numero di simpatici animaletti che, si dice, invadono il paese in estate. Noi però non ne abbiamo visti, aggiungo subito.

Ci facciamo portare in un piccolo e malandato hotel del centro storico, l’Hotel Buenos Aires, in via Constitucion 126. Scopriamo subito che la gente è davvero poco simpatica e socievole. Nessuno ci degna di un sorriso o altro. Zero: si paga in anticipo, come è d’uso in Messico, ci vengono dati due piccoli teli, una saponetta e un rotolo di carta igienica. E’ tutto. Manco “buongiorno”.

Il marito non sta bene per nulla. Ci facciamo portare in taxi ad una Banca che cambi i traveller cheque, una fatica!!!! Poi torniamo verso casa, diamo una veloce occhiata alla bella cattedrale barocca in Plaza de Armas e poi ci rechiamo in un piacevole ristorantino, “Gorditas Gabino” in avenida Constituciòn. La gente guarda storto, senza sorrisi o gentilezza. A Durango molti vestono ancora il stile Western, proprio come i cow boys: jeans, stivali “Durango”, cinturone e fibbia d’argento, cappello a larghe tese e camicia di flanella a quadretti. Noi ci sentiamo come degli alieni. Sperimentiamo cosa vuol dire stare in un luogo dove nessuno parla la tua lingua e tu non capisci la loro! Meno male che un piccolo vocabolarietto ci salva! Mangiato (bene) usciamo per recarci all’Ufficio Turistico Statale, Florida 1006, dove c’è un piccolo caffè- museo del cinema (museo de Cine, 10/19) che però il lunedì è chiuso, che sfortuna! Ci dicono però che sono aperti i sets cinematografici di Villa de Oriente e Chupaderos, i famosi set cinematografici di Durango! Negli anni ‘50 qui si iniziarono a girare vari film western e grandi produzioni statunitensi che qui trovavano bassi costi e ambientazioni perfette. Da allora la cosa è andata avanti al punto tale che si sono costruiti interi villaggi che sono diventati set stabili, adattati di volta in volta alla pellicola in lavorazione. Qualche titolo? da Un uomo chiamato Cavallo a Geronimo, dal famosissimo Quel maledetto colpo al Rio Grande Express, con John Wayne a Gli Invincibili (69), da I cacciatori di scalpo (67) con Burt Lancaster e Telly Savalas a All’inseguimento della pietra verde con Michael Douglas e Kathleen Turner, fino ad arrivare a Zorro (97) con Antonio Banderas.

In taxi andiamo al lontano terminal dei bus e acquistiamo il biglietto del bus della Estrella Blanca per Villa de l’Oeste, a circa 9 km da Durango. Il paesaggio è davvero bello, non c’è che dire: vallate con ranch e mucche in libertà; cespugli e cactus splendidi, cielo suggestivo.

Chiediamo al conducente di lasciarci a Villa de l’Oeste e scendiamo nel nulla. Una casina di legno mal messa è la biglietteria. Oltre all’omino dei biglietti, non c’è nessuno. Il biglietto costa 10 pesos. Il posto è simpatico e sembra davvero di stare in un vecchio villaggio western: ecco il saloon, l’ufficio dello Sceriffo, l’Hotel, la stalla, la prigione, il patibolo con il cappio per i condannati a morte e il vicino cimitero! Davvero divertente, peccato che minacciosi tuoni si stiano avvicinando. Si è pure fatto improvvisamente freddo, si è alzato vento e noi siamo senza felpa, senza kway e mezzi malati…

Ci incamminiamo a piedi, sotto un cielo nero nero, verso il paese di Chupaderos e già cadono le prime gocce.

La fronte di mio marito scotta e io inizio a preoccuparmi. Facciamo l’autostop. Passano Pick Up e tir, ma nessuno si ferma. Io penso che se prendiamo anche il diluvio, ci beccheremo sicuro la polmonite, quand’ecco che, quando ormai disperavamo, un pick up si ferma e una coppia ci fa cenno di salire. Quasi mi accoppo a salire (ma quanto è alto un Pick Up?!) e cado su dei sacchi di patate. Piove, tira vento e siamo in mezzo alle patate, in un luogo ostile: iniziamo a ridere a crepapelle, decisamente non ci manca senso dell’umorismo… Il Pick Up ci abbandona accanto a Chupaderos, ma non ce la sentiamo di addentrarci in visita, così pigliamo al volo un autobus per tornare in città e rifugiarci in hotel. Siamo bagnati e infreddoliti: una doccia bollente non ci salva da febbre, tosse, mal di gola. Maritino brucia di febbre. Io torno da “Gorditas Gabino” solo per prendere qualche hamburger d’asporto e poi ci prepariamo ad affrontare una lunga notte di impacchi freddi e Tachipirina… INDIRIZZI UTILI A DURANGO: Pernottamento: Hotel Buenos Aires, Constitucion 126 (ottimo per la posizione, ma piuttosto squallido). Ristorante consigliato: “Gorditas Gabino” in avenida Constituciòn. Da non perfere: la Cremeria Wallander, all’angolo tra Constitucion 110 Nte e Serdan

6° giorno: Chihuahua Dopo una notte lunga e febbricitante, prima di partire ci concediamo una buona colazione nel posto più carino di Durango: la “Cremeria Wallander”, all’angolo tra Constitucion 110 Nte e Serdan.

Il locale, davvero caratteristico, è celebre per la produzuone di formaggi, dolci e mille altre cose buone. Il locale è tra l’altro splendido, molto Old America, perfetto per una buona colazione. Ci facciamo quindi preparare un cestino con golosi panini e partiamo per Chihuahua (Trasp. Grupo Estrella Blanca primera, 402 pesos). Certo, sarebbe stato logico fare il tragitto di notte, ma non ce la siamo sentita, vista la febbre del marito. Dopo la notte a riposo, invece, stiamo un po’ meglio. Non resta che starcene buonini in pullman fin quasi a sera. Così facciamo. Leggiamo, ammiriamo lo splendido paesaggio delle vallate piene di verde brillante e mucche. E’ davvero bellissimo. Procediamo lenti e arriviamo al tramonto, dopo quasi 2.200km.

Ci facciamo portare in taxi in centro storico, e troviamo una stanza al Nuevo Hotel plaza (Calle 4, 206), un orribile e fatiscente hotel che si trova dietro la cattedrale della città. Della città (quasi 700.000 ab.), capitale dell’omonimo stato (il più grande del Messico), non vedremo altro. Gran bella Chiesa, peraltro, costruita tra 1726 e 1789, con una bellissima facciata barocca che si affaccia sulla bella Plaza de Armas. Poi passeggiamo tra i negozi e acquistiamo scarpe, davvero economicissime. Peccato, perché vedere il famoso Museo de la Revolution Mexicana sarebbe stato davvero interessante.

Ma è tardi e inizia a piovere. Ceniamo in camera coi panozzi comprati al mattino, lottiamo con gli animali che vivono in bagno ed escono addirittura dagli interruttori della luce! Poi andiamo a nanna, stremati.

7° giorno: (CREEL – Riserva degli indios Tahumara) Sveglia all’alba, fuga in taxi alla Stazione degli Autobus e piccola colazione a suon di fette di torta e pseudo cappuccino caldo della Nestlé. Poi via, verso Creel, a 5 ore di pullman (Autobuses Estrella Blanca, economico, 181 pesos). Un paesaggio piuttosto piatto e verde, molto piacevole, ci porta dritti in Paradiso.

Bella, bella, bella. Creel è una chicca, un luogo di montagna che ti cattura con la sua rustica semplicità e la sua aria pura.

Scendiamo alla minuscola fermata dei bus, di fronte ai binari del treno. Un ragazzino ci accompagna prima in stazione, dove chiediamo informazioni sul trenino Chepe (ma ci dicono che non si può prenotare, bisogna presentarsi al mattino, un’ora prima di partire), poi alla Posada Margherita (Av Lopez Mateos 11), una pensione dove con 350 pesos ci offrono pernottamento, cena & colazione per due.

Il luogo mi piace subito da matti: Creel è una piacevole cittadina di 4.000 abitanti, a quasi 2.400 metri di altitudine. La via principale si chiama Av Lopez Mateos e porta alla piazza principale, dove si trovano 2 chiesette e la banca. Lungo questa via si concentra anche la maggior parte degli alberghi e delle agenzie viaggi, che organizzano gite e escursioni a piedi, cavallo, mountain bike.

C’è atmosfera di montagna e odore di pino. La nostra camerina è tutta di legno, con un bel lettone comodo e il piumino morbido e lenzuola profumate. Alla Posada ci informano che, se ci interessa, il pomeriggio organizzano una bellissima escursione alla riserva indiana, così prenotiamo (300 pesos in due). Pranziamo a due passi dall’hotel, in una pizzeria, la “Pizza del Rey”, dove ci servono una pizza-focacciosa molto buona (150 pesos). Poi partiamo per l’escursione, a bordo di una gigantesca auto, insieme a due turiste spagnole.

Piove. NO!!!!! Piove, ma per poco, per fortuna. Poi, ecco, splende il sole e la natura si svela in tutto il suo splendore! Fuori Creel c’è la Valle de los Bongos (valle dei funghi), con le sue splendide rocce di forma bizzarra! Che bello che è. Mi rilasso tra le braccia di mio marito e mi godo il paesaggio: pini fitti e altissimi sembrano non finire mai, finché sbuchiamo al lago Arreco. Non ci fermiamo ora, lo faremo al ritorno, perché ora sfrecciamo verso la terra degli indiani Tahumara, una popolazione numerosa (circa 60.000) che, grazie all’isolamento dovuto al territorio, hanno saputo mantenere intatte molte antiche tradizioni. Ad esempio, molti vivono ancora nelle grotte o in caratteristiche case costruite con tronchi di legno, coltivando mais e fagioli. Sono famosi per le loro doti di corridori: il loro nome significa “coloro che corrono veloci”. L’auto si inoltra sempre più, tra le montagne. Guadiamo fiumi e ci divertiamo da matti col fuoristrada! Leggo sulla guida che questo luogo splendido si chiama “Completo Ecoturistico Arakedo”, una terra che appartiene alle 400 famiglie di indios che vi vivono e che, nei suoi oltre 200mq, ospita pinete, cascate, rocce e il bel Lago Arareko che abbiamo già intravisto. L’auto finalmente si ferma e cominciamo una bellissima passeggiata tra la natura, fino ad arrivare alla Cascada Cusarare. Il suo getto nel vuoto, 30 metri di altezza, è davvero spettacolare. Il panorama sul fiume sottostante e la vallata è magnifico, non si può che restare a bocca aperta…

Una lunga scala ci porta di sotto, ad ammirare da vicino la cascata e sentire le sue gocce sul viso: bellissimo!!! Restiamo incantati a lungo, di fronte a un simile spettacolo, poi facciamo ritorno, non prima di avere acquistato oggettini di legno e fischietti dalle donne Tahumara, davvero belle nei loro coloratissimi costumi. Vivono qui, gli indios, nelle loro grotte. Vendono i loro prodotti di artigianato, senza neppure comunicare con gli stranieri, fedeli alla loro madre lingua. Ne troviamo altri anche sulla strada del ritorno, quando ci fermiamo ad ammirare le verdi acque del lago Arreco. Poi proseguiamo a vedere una piccola missione cattolica e infine torniamo a Creel: neppure 50 km, tra A/R, ma sufficienti per scoprire un mondo lontano anni luce dal nostro.

Piove di nuovo, al nostro ritorno. Passeggiamo ugualmente per Av Lopez Mateos: compriamo frutta fresca, spediamo mail da un piccolo e economico Internet Point (10 pesos per mezz’ora), curiosiamo nei tanti negozietti d’artigianato. Poi scoppia un vero diluvio e facciamo ritorno, fradici, alla Posada! Tempo di cambiarsi e coprirsi con felpe e calzettoni grossi e torniamo nella sala da pranzo, dove tutti gli ospiti consumano la cena insieme! Ci aspetta una zuppa calda di patate, e un piattone di pollo, verdure e pastina di grano. Poi, stanchi, ma felici, ci addormentiamo stretti, sotto il piumone, mentre fuori piove. Eccola qua, la nostra notte più bella in Messico… INDIRIZZI UTILI A CREEL: Pernottamento: Posada Margherita, Av Lopez Mateos 11 Ristorante consigliato: “Pizza del Rey”, Av Lopez Mateos 8° giorno: BARRANCAS DEL COBRE e il mitico trenino Chepe Ci svegliano i raggi di una magnifica giornata. Una colazione, sempre alla Posada, a base di pancake, miele, burro di fragola e marmellata, caffè e pappa di avena, ci prepara ad affrontare al meglio il viaggio in treno. Prima di partire, però, diamo un’occhiata al Museo della Casa de las Artesianas (10 pesos), che racconta la vita e la storia degli indios Tarahumara e la vita del magnate Creel, cui la cittadina deve il suo nome. Poi ci spostiamo alla Stazione del treno, dove scopriamo di non poter acquistare i biglietti del Chepe! Il bigliettaio ci spiega che ha pochissimi biglietti in vendita: 10, e li ha venduti sotto il ns naso a turisti messicani, arrivati molto dopo di noi. Protestiamo vivacemente, ma niente. Ci dice comunque di salire, che ci aggiusteremo con i controllori di bordo. Mah, siamo perplessi. Comunque attendiamo, fiduciosi. Io sono emozionata. Sogno sto trenino da anni, da quando lo prese una mia cugina, nel lontano 1985, raccontando della bellezza del paesaggio. E oggi tocca a me! So che mi aspetta un lungo viaggio, alla scoperta della Sierra Tarahumara, una catena montuosa con vette che toccano i 3.650 metri, solcata da una serie di magnifici canyon, denominati le BARRANCAS DEL COBRE (Burroni del Rame). Ho letto che per capire l’immensità di questi burroni, basti pensare che dei 6 che la compongono, ben 4 sono più profondi del Grand Canyon americano! La Barranca Urique è la più profonda e tocca i 1879 metri. La Barranca Sinforosa è invece la più elevata e Insomma, si tratta di uno delle escursioni più emozionanti e spettacolari che il Messico possa offrire! Lungo questa meraviglia naturale corre la Ferrocaril Chihuaua Pacifico, detta “CHEPE”: da Chihuahua, nell’entroterra del Paese, a Los Mochis, sul Pacifico. Secondo molti si tratta della ferrovia più spettacolare del mondo, un capolavoro d’ingegneria, inaugurato nel 1961, che copre 655 chilometri, attraversa 86 gallerie e 39 ponti sospesi. (Vedi sito web chepe@ferromex.Com.Mx) Con un fischio lontano, il trenino arriva. Sono emozionantissima, ho il cuore che batte.

E’ un momento di allegria e confusione indicibili: gente che scende, gente che sale…I controllori, nei loro abiti di foggia antica, smistano i turisti senza biglietto e assegnano i posti liberi. Ce l’abbiamo fatta, siamo su!!! Prendiamo posto ridendo felici e ci prepariamo a vivere questa nuova avventura.

Con puntualità svizzera il trenino parte. Non è lunghissimo. Abbiamo scelto la Primiera Classe, perché è confortevole, c’è anche il ristorante e soprattutto arriva nelle località più belle da fotografare quando ancora c’è luce. I finestrini però non si possono abbassare, così si staziona tra un vagone e l’altro, un po’ schiacciati.

Bello è bello. Montagne infinite, vallate, cascate…Davvero bello. A EL DIVISADERO il treno sosta circa 30 minuti per permettere di ammirare la vista sul Canyon e gustare ottimi tacos preparati sul momento dalle donnine dei tanti “stand” improvvisati lungo i binari. Il trenino procede lento, oltrepassando ponti sospesi e gallerie buie. Arranca piano, tra montagne e vallate. Poi inizia a piovere e dalle rocce scendono cascate i cui spruzzi arrivano anche al treno. Verso le 20 di sera, quando da tempo fuori è buio e non si vede nulla, ci domandiamo, sospettosi, a che ora si arriverà. I controllori rispondono che siamo in ritardo e che arriveremo non prima dell’1 di notte. L’1??? Ma non dovevamo arrivare sulle 20? Oddio…Restiamo basiti, poi corriamo al ristorante per cenare, ma sorpresa! Il ristorante chiude alle 20, così come il bar. Facciamo appena in tempo a comprare noccioline e patatine e chiudono: sarà la nostra cena. Molti altri turisti restano senza a bocca asciutta, incredibile. Rassegnati, ci sistemiamo alla meglio sui sedili, ci copriamo con il caldo sacco a pelo e sprofondiamo in un sonno popolato da trenini in ritardo e bagagli pesantissimi… Ogni viaggio ha il suo giorno “horribilis”, quello in cui tutto sembra andare storto. Per noi comincia il 9° giorno. All’1 e mezzo i controllori del trenino ci svegliano, urlando che siamo arrivati alla fine del viaggio. Evviva! Siamo a Los Mochis, sul Pacifico! In fretta e furia chiudiamo bagagli e sacco a pelo e scendiamo.

L’aria umida e afosa che ci accoglie fuori è allucinante. Sudiamo copiosamente, mentre usciamo dalla stazione e ci sistemiamo a bordo di un taxi collettivo. E’ caldissimo e l’aria irrespirabile: Creel già mi manca da matti.

Il taxi sfreccia nella scacchiera delle vie di Los Mochis, moderna cittadina (fondata un secolo fa) di 200.000 abitanti. Ci facciamo accompagnare in un hotel pulito e tranquillo, l’Hotel Beltran (Hidalgo 281).

Neppure una doccia tiepida mette sollievo, a causa dell’incredibile umidità. Lo sbalzo di temperatura e altitudine ci regaleranno presto un bel mal di gola… INDIRIZZI UTILI A LOS MOCHIS: Pernottamento: Hotel Beltran (Hidalgo 281).

9° giorno: GUADALAJARA Dopo una notte tumultuosa per via del caldo e dell’umidità insopportabili, alle 6 ci alziamo e facciamo telefonare in aeroporto, per sentire se c’è modo di arrivare a Puebla in aereo. Sì, c’è, via Guadalajara. Inebetiti dalla stanchezza (non abbiamo dormito per il caldo), ci facciamo chiamare un taxi e raggiungiamo l’aeroporto, che si trova fuori città, a 13 km. In aeroporto non c’è ancora nessuno e le zanzare pasteggiano di noi. E’ a questo punto che commentiamo la prima e unica sciocchezza del viaggio: anziché cercare un volo per Mexico City e proseguire poi per Puebla in pullman (2 ore e 30), prenotiamo prima un volo Aerocalifornia per Guadalajara e poi un secondo volo, sempre Aerocalifornia, per Puebla, ma a distanza di 8 ore. Che sciocchi… ma tant’è.

Imbarchiamo i bagagli per Puebla e partiamo con lieve ritardo.

Guadalajara non era prevista, nel nostro tour, benché sia la seconda Città del Messico e abbia tradizioni che vengono considerate tipicamente messicane, come la musica dei mariachi, la tequila, i sombrero e il rodeo messicano, tutti nati qui. Appena arriviamo pigliamo un autobus che ci porta in città, o meglio alla Nueva central Camionera, la stazione degli autobus. Da lì, in taxi, andiamo nel cuore della città. Siamo nello Stato del Jalisco e Guadalajara è la sua capitale.

E’ una bella città, bisogna dirlo, grande (4 milioni di abitanti), vivace, piena di negozi e gallerie d’arte, alberghi e ristoranti.

L’enorme Cattedrale è davvero bella ed è il simbolo della città. Risale al 1618 ed ha decorazioni ricchissime, in un misto insolito di barocco, neoclassico, churrigueresco… I campanili gemelli sono invece della metà Ottocento. Dentro c’è un reliquiario molto famoso, che conserva le mani di una martire, Santa Inocencia. La Cattedrale si affaccia su due piazze: da un lato c’è Plaza de Armas, col bel chiosco di ferro battuto al centro. Da un lato vi si affaccia il Palacio del Gobierno, imponente palazzo di fine Settecento.

Vicinissima c’è una seconda grande piazza, Plaza de la Liberacion, animatissima di bancarelle e venditori di palloncini. Pranziamo proprio qui, in un delizioso ristorante coloniale, con magnifica vista sulla piazza, “L’Antigua”: pranzo tipico con l’immancabile zuppa di verdure bollente, tortillas e formaggio fuso. Dopo pranzo passeggiamo lungo le belle vie del centro, Av 16 de Septiembre e Av Juarez, curiosando tra negozi di scarpe e abbigliamento. Poi ci spostiamo verso la Plazuela de los Mariachis, dove i gruppi di musicisti mariachi suonano a ogni ora del giorno e della notte. Consumiamo in relax una bibita fresca, in attesa di tornare all’aeroporto. Trovare l’autobus giusto è semplice, purtroppo l’autista, benché gliel’avessimo chiesto, non ci fa fermare alla Nueva Central Camionera degli autobus. Noi non la riconosciamo e proseguiamo, trovandoci ben presto sperduti in periferia. Finalmente ci capiamo, solo che staremo in autobus per quasi 40 minuti, prima di ripassarci! Finalmente riusciamo a prendere l’autobus per l’aeroporto, stracolmo all’inverosimile e lentissimo oltre ogni ragionevole sopportazione, tanto che anche gli abitanti urlano più volte all’autista di sbrigarsi. Nulla! L’essere in questione, stupido e maleducato, arriva addirittura a scendere dall’autobus, vicino ad un incrocio, per scegliersi tranquillamente alcuni cd da un venditore ambulante…Senza parole.

Arriviamo in aeroporto appena in tempo, solo che, sorpresa!, il volo non parte e non si quando ripartiremo. Tra rinvii e ritardi, finiremo con l’aspettare oltre 4 ore. Per scusarsi, la compagnia ci offre bibite e salatini schifosetti… Arriviamo a Puebla (volo di 1.000 km) all’1 di notte passata, ma il giorno “horribilis” non è ancora finito… L’incubo non è finito. All’1 e mezza della notte scopro, desolata, che il mio bagaglio non c’è. Sparito.

Faccio immediatamente denuncia. La situazione è irreale: siamo stanchissimi e l’aeroporto vuoto, siamo rimasti io, mio marito e due addetti.

Sono talmente stanca e desolata che non ho neppure la forza di piangere per la rabbia. Mi limito a descrivere il mio bagaglio e a fornire le mie generalità. Quando ci dicono dove pernottiamo e noi spieghiamo che ancora non abbiamo scelto l’hotel, avverto una certa perplessità. Chiediamo alla signorina addetta alle denunce di aiutarci a trovarne uno, usando il suo telefono. Tutti gli hotel della Lonely Planet sono pieni! E’ venerdì e Puebla è amatissima dai Messicani, che amano trascorrerci week end. Nulla, tutto pieno. L’addetta ci invita a richiamarla l’indomani per scoprire se il bagaglio salta fuori e poi ci carica su un taxi, chiedendo al tassista di aiutarci a trovare un hotel libero.

Noi siamo stremati. L’aeroporto Serdan è pure lontano dalla città, ben 24 km! L’autista, meno male, è gentile, il primo dopo giorni. Ci porta in diversi hotel, ma nulla.

Alla fine, stremati, troviamo una camera all’Hotel Real Best Western****, 90 euro la doppia senza colazione, ma siamo talmente stanchi che qualsiasi prezzo sarebbe andato bene…

Prendiamo possesso della splendida stanza, con mega paesaggio sulla città, e crolliamo sul letto a 4 piazze! Io, però, preoccupata per il bagaglio, dormo pochissimo.

10° giorno: PUEBLA L’indomani ennesima sorpresa: la ragazza della reception ci ha addebitato una notte in più sulla carta di credito. Meno male che sul cellulare ci è arrivato l’avviso! Impieghiamo 1 ora per spiegarci con le ragazze della reception… Parliamo con ben 4 persone diverse, poi, finalmente, capiscono! Con in tasca due brioche rubate al buffet della colazione, usciamo. Pigliamo un taxi e partiamo alla scoperta della città.

Puebla è proprio bella. Si trova a oltre 2.000 metri di altitudine, in una bella zona contornata da montagne, tra i quali l’Iztaccíhuatl ed il Popocatèpetl, due grandi vulcani. La città fu fondata nel 1531 da un gruppo di coloni spagnoli che la chiamarono Ciudad de los Angelos, presto divenuto Puebla de los Angelos. Oggi è la capitale dell’omonimo stato e, con oltre 1 milione e 350.000 abitanti, è anche una delle città più grandi del Messico. E’ celebre per la sua bella architettura coloniale colorata e l’utilizzo delle maioliche di Talavera, ceramiche policrome smaltate che rivestono la maggior parte delle cupole delle chiese. Per la sua bellezza, Puebla è considerata un vero gioiello del Messico: il suo centro storico è Patrimonio dell’Umanità dal 1987. Purtroppo esso ancora riporta i danni del pauroso terremoto del 1999 (quasi 7° Richter) che lesionò molte case, chiese, palazzi e causò parecchi morti. La nostra prima tappa è il MUSEO AMPARO, 2 Sur 708 (25 pesos).

Prima, però, chiamiamo in aeroporto per avere notizie. La signorina della notte prima ci dice che il bagaglio è stato ritrovato a Guadalajara e dovrebbe arrivare in serata. Dovrebbe, sottolinea. Eppure sono rinfrancata e mi godo la visita del museo.

L’Amparo è un museo privato con raccolte precolombiane e pezzi coloniali. Le collezioni sono davvero preziose. Mi colpisce una collana hasteca fatta con 17 piccoli teschi d’osso, ma anche i tanti vasi a forma di animali, tra cui un paio a forma di paperelle, ma anche il mobilio di epoca coloniale è interessante. Poi, con un taxi, ci facciamo portare dall’altra parte della città, all’ EX CONVENTO DE SANTA ROSA Y MUSEO DE ARTE POPULAR POBLANO, 14 Poniente 305 (10 pesos). Ex convento, ex ospedale psichiatrico, ex dormitorio, ora finalmente museo, contenente opere di artigianato, mobili e soprattutto la celebre immensa cucina del Convento, tutta in ceramica, bellissima!!! Qui pare sia stato inventato il celebre “mole pueblano” (pollo con salsa al cioccolato). L’origine di questo piatto ha una storia assai curiosa. Siamo nel XVI secolo. Le monache del convento di santa Rosa a Puebla furono prese dal panico quando vennero a sapere che il vescovo della diocesi, senza preavviso, stava per rendere loro una visita. Non avendo nulla da offrire che fosse all’ altezza di cotanto ospite radunarono tutte le provviste del convento. Mescolarono quindi diversi tipi di peperoncini a mandorle, a pomodori, a cipolle, a aglio, a pane, a tortillas, a banane, a grani di sesamo, a zucchero, a uvetta secca, a strutto, a foglie di avocado ed a tantissime erbe aromatiche e spezie. Pestarono il tutto e lo fecero cuocere per diverse ore aggiungendo per ultimo un po’ di cioccolato per togliere un po’ di asprezza al mole. E mentre la salsa sobolliva, sacrificarono e arrostirono l’unico tacchino del convento. Quando il vescovo arrivò, gli fu servito il tacchino ricoperto da questa salsa miracolosa che fu apprezzata moltissimo.

Poi ci spostiamo a piedi al TEMPLO DE SANTO DOMINGO.

La Chiesa di San Domenico è molto famosa per la ricchissima Cappella del Rosario, un magnifico esempio dell’arte churrigueresca (il barocco messicano), eretta nel 1690. Da notare, le statue di angeli davanti all’atrium, simbolo di Puebla. Ammiriamo, rapiti, la bellezza delle decorazioni.

Tempo di pranzo: tempo dunque di mole poblano, uno dei piatti nazionali del Messico. La parola “mole” deriva dall’atzeco “molli” e significa salsa aromatica al peperoncino. Ci sono tanti altri ingredienti a creare la tipica salsa scura da servire su pollo o tacchino e tra questi il cacao, che le conferisce un aroma particolarissimo.

Essendo la sua preparazione lunga e laboriosa, è riservata solo per le grandi occasioni. Comunque nei negozi specializzati si trovano moles già pronti per l’ uso. Il mole più famoso si gusta nel celebre ristorante “Fonda de Santa Clara”, av. 3 Poniente 307 (http://www.Fondadesantaclara.Com/index.Php?newlang=english), il più famoso ristorante di Puebla.

E’ qui che arriviamo, molto affamati: l’ambiente è raccolto e carinissimo, i camerieri gentili e i piatti stra abbondanti. E il mole…Bhè…Da provare, sicuro…Ma non posso dire che mi sia piaciuto! Davvero strano, sì…Per palati decisamente “aperti” alle novità! Dopo un buon bicchierino di Rompope, il liquore all’uovo tipico, è tempo di visitare il cuore della città. La PLAZA PRINCIPAL, piazza centrale, è detta anche qui zocalo, ed è un’area verde, costeggiata da bei portici cinquecenteschi. Animata da venditori ambulanti e bancarelle, la piazza è un luogo molto piacevole. Giusto per evitare le gocce di pioggia che stanno cadendo, e in attesa che la Cattedrale apra, ci ripariamo in una bella caffetteria (appartenente all’omonima catena che si trova in giro per tutto il Messico) , “Italian Coffee” (www.Italiancoffee.Com) , che serve frappè e cappuccino più che discreto.

Accanto si trova la CATTEDRALE, davvero superba! E’ la seconda Cattedrale del Messico e fu edificata, in stile rinascimentale, tra il 1588 e il 1649. Una curiosità: è la Chiesa che compare sulle banconote da 500 pesos. La Cattedrale ha un magnifico altare ottagonale, realizzato dall’artista Manuel Tolsa nel 1797 e ricorda l’altare di San Pietro. Sulle colonne che circondano lo spiazzo di fronte la cattedrale si trovano statue di angeli, da sempre simboli della città. Belle le torri, alte ben 69 metri. Accanto alla cattedrale, su 5 oriente, si trova l’immensa Biblioteca Palafoxiana ), la più antica delle Americhe: contiene oltre 42.000 volumi e oltre 5.000 manoscritti. Essa si trova al primo piano della Casa de la Cultura, un tempo il vescovado della città. La Plaza Principal ospita anche l’elegante PALACIO MUNICIPAL, in stile neoclassico francese. Poco distante si trova la CASA DE LOS MUNECOS, un palazzo settecentesco rivestito di ceramica rossa, raffiguranti figure danzanti, davvero bello!. Proseguendo si può camminare sino a CALLE 6 ORIENTE, una via famosa per i negozi di caramelle e dolci artigianali, per cui Puebla è famosissima, e per un liquore, il Rompope, a base d’uova, davvero delizioso! (io ho comprato questo: http://www.Rompopes.Com/NuestrosProductos.Html) Il numero di pasticcerie è incredibile! I dolci sono bellissimi e stra calorici, zeppi di zucchero e glasse. A due passi si trova la bellissima CASA DEL ALFENIQUE, all’incrocio tra 4 Oriente e 6 Norte, un palazzo seicentesco famoso per gli stucchi della sua facciata, che ricordano una caramella fatta di albume, zucchero e mandorle, l’alfenique, appunto, tipica della città.

Siamo al BARRIO DEL ARTISTA (tra 6 Norte e 8 Oriente), un quartiere caratteristico, una sorta di Montparnasse messicana, dove comprare le splendide ceramiche Talavera, altro orgoglio della città.

Le ceramiche Talavera sono un intrigante mix di arte araba, spagnola, italiana e cinese. Le più antiche erano con disegni blu su fondo bianco. Furono i frati domenicani di Talavera de la Reina, in Spagna, a importarla in Messico, nel Cinquecento. Dal Seicento queste superbe ceramiche cominciarono ad utilizzare anche il verde, il nero e il giallo. In seguito si cominciarono a decorare con motivi a fiori e animali. Vicino al Barrio del Artista si trova EL PARIAN, un bel mercato di artigianato, dove è bellissimo curiosare, tra bancarelle e musicisti improvvisati. Poi, a malincuore, ci spostiamo in taxi alla stazione degli autobus per prenotare gli autobus per i giorni successivi e ne approfittiamo anche per cenare velocemente, con pizza, yogurt e macedonia, acquistati nei tanti ristorantini della stazione. Infine, sempre in taxi, facciamo ritorno all’Hotel dove, verso le 23 della sera, arriva il bagaglio smarrito! Sommo gaudio! Felicissimi, piombiamo a nanna…

INDIRIZZI UTILI A PUEBLA: Pernottamenti: Hotel Real Best Western e Hotel Imperial (Av 4 Ote) Hotel Imperial (Av 4 Ote) Ristorante consigliato: la “Fonda de Santa Clara”, av. 3 Poniente 307, dove si gusta l’originale mole poblano!

11° giorno: Poza Rica e rovine archeologiche di El Tajin.

Sveglia all’alba per cambiare Hotel e spostarci all’Hotel Imperial (Av 4 Ote), davvero bellino, pulito e confortevole. E a metà prezzo, rispetto al Best Western! Tempo di lasciare i bagagli, pagare la camera e spiegare al proprietario che rincaseremo solo a sera tardi, e ci facciamo portare in taxi alla stazione degli autobus: colazione veloce, che si parte per lo Stato di Vera Cruz, destinazione Poza Rica! Roba da matti, affrontare in giornata un’escursione così massacrante, ma non volevamo assolutamente perderci la visita di uno dei più bei e meno turistici siti archeologici del Messico: El Tajin! L’autobus di Segunda Classe carica tutti: da bordo un omino urla fuori il nome della destinazione finale, richiamando i passeggeri. 4 ore e ½ di grida dopo, di film violenti sparati a tutto volume e di curve e burroni, fino alla rassicurante pianura, finalmente arriviamo a Poza Rica, “pozzo ricco”, città petrolifera piccola e congestionata. Nessun turista all’orizzonte.

Prendiamo un piccolo e “sgarrupato” autobus che ci porta alle rovine, una ventina di km di distanza.

L’autista ci fa scendere ad un bivio, poi proseguiamo a piedi, lieti di poterci sgranchire! Se Poza Rica ha pozzi petroliferi in periferia, le rovine sorgono invece in una zona splendida e verdissima, ricca di piantagioni di aranci e vaniglia, che qui viene universalmente coltivata: la vaniglia di Papantla, piccolo centro qui vicino, è infatti la più famosa del Messico ed è venduta in ogni parte del paese.

Eccoci qua, nel cuore della regione abitata dagli indios Totonachi. Eccoci arrivati nella terra dei Voladores, “Los Voladores de Papantla”, che qui avremo la fortuna di vedere… Il sito si presenta moderno. All’ingresso, dopo i tanti negozietti, ci sono il piccolo Museo, un ristorantino, una caffetteria e la biglietteria. Mangiamo un panino al volo e entriamo. Una passeggiata ci porta al sito di El Tajin, uno dei siti archeologici più belli del Messico, ancora in buona parte sepolto nella giungla tropicale.

L’impatto è subito splendido. Rarissimi i turisti stranieri, ma, ovunque, famigliole di Messicani, che la domenica, approfittando dell’ingresso gratis (per loro, noi paghiamo), vengono alle rovine per un pic nic. Veniamo osservati con curiosità e diverse persone ci chiedono di dove siamo, sorridenti e curiose. Tutti sembrano amare l’Italia e gli Italiani, che bello… El Tajin, “Uragano” in lingua totonaca, è un sito splendido ed è il più importante centro cerimoniale delle culture classiche (dal 300 al 1200 d.C ) del Golfo del Messico. Doveva essere una città davvero bella, con le sue belle piramidi stuccate e dipinte di rosso e blu! Poi, verso il 1200, in seguito ad un incendio, probabilmente appiccato dai vicini Chichimec, la città fu abbandonata e cadde nell’oblio. La giungla la inghiottì per 800 anni. Fu riscoperta dagli Spagnoli nel 1785, ma gran parte dei lavori sono stati effettuati solo di recente, nel 1992: essi ci mostrano parecchie strutture, spesso non ancora identificate (tanto che si chiamano Estructura A, Estructura B, C…), grossomodo divise in due zone: la parte intorno alla celebre Piramide delle Nicchie e la parte più in alto, El Tajin Chico (Piccolo Tajin). All’ingresso si trova il Grupo Plaza del Arroyo, costituito da 4 piramidi a gradoni, intorno a un’ampia piazza. Proseguendo si arriva alla Plaza Menor, che fa parte del centro cerimoniale più importante. A poca distanza sorge la Estructura 5, con la statua di una divinità: il dio del tuono o della morte.

Accanto c’è il più importante dei 17 campi per il gioco della pelota: è il Juego de la Pelota Sur, risalente al 1150. Ha sei magnifici rilievi che illustrano il gioco. Accanto alla Plaza Menor c’è invece ciò che rende unico nel suo genere il sito: la splendida Piramide de Los Nichos (Piramide delle Nicchie), davvero unica. E’ davvero imponente: emerge dalla giungla con i suoi 18 metri. E ha i fianchi scavati a nicchie a intervalli regolari: 365 per l’esattezza. Una per ogni giorno dell’anno. Può essere insomma considerato un calendario. Con un sentiero si passa al El Tajin Chico, in una natura quasi selvaggia e verdissima.

Interessante è anche il Juego de la Pelota Norte, anch’esso decorato a rilievi.

El Tajin Chico conserva grandi strutture, anticamente colorate, un tempo forse dimora di funzionari e sacerdoti. Gli edifici spesso sono decorati con mosaici di pietra. Numerosi sono i motivi a greca.

La struttura più importante di questa parte è la Plaza de las Columnas, con colonne scolpite con scene di rituali praticati dalla classe dirigente. , esteso su gran parte della collina, ma non ancora ricostruito.

Visitiamo tutto con calma, godendoci la visita e la bellezza del luogo.

Un Messicano ci avvisa che alle 15 si esibiscono i VOLADORES. Ci accomodiamo nella piccola piazzetta dell’ingresso e ci incantiamo a vedere lo spettacolo. Il rito è noto col nome di “Danza di quelli che volano” ed è un rito antico, probabilmente legato alla fertilità, intento a propiziarsi le forze della Natura. 5 uomini, nei loro costumi colorati, si arrampicano con agilità fino alla cima del palo, altissimo. Con loro portano le corde con cui si legheranno, alla vita.

Secondo alcuni, l’uomo al centro sul palo simboleggia il Sole: egli si sistema sulla cima e comincia a suonare un tamburo e un flauto. Suona per molto tempo, mentre gli altri si sistemano e legano con cura. Poi, quando cessa di suonare, gli altri quattro uomini si lanciano nel vuoto all’indietro, a rappresentare Terra, Aria, Acqua e Fuoco. Si librano per 13 volte intorno al palo, per un totale di 52 cerchi, il numero magico che costituiva il sacro secolo precolombiano!!! Infine “planano” a terra con delicatezza, bellissimo! Noi restiamo a bocca aperta per tutta la durata dello spettacolo, dopodiché curiosiamo nei tanti negozietti e compriamo boccette con estratto di vaniglia e uno strumento curioso, un tubo che, capovolto, produce un suono simile all’acqua che scorre. Quindi torniamo alla stazione degli autobus, in tempo per scoprire di aver perso l’autobus per Puebla per soli 3 minuti. Tocca aspettare 3 ore e mezza. Pazienza! Inganniamo l’attesa leggendo e mangiucchiando, poi, finalmente, partiamo.

Sarà un viaggio estenuante, per colpa della lentezza del mezzo: 6.30 ore straziati dai film a tutto volume e dalle grida del “buttadentro” che grida “Puebla Puebla” in tutti gli angoli in cui si ferma l’autobus… Arriviamo a Puebla alle 2.30 della notte! Pigliamo un taxi notturno per l’hotel, dove probabilmente il proprietario ci dava per dispersi… Crolliamo a letto distrutti, senza neppure toglierci gli abiti. Tanto, si parte alle 5.30!!! Che rabbia, pensare che la colazione era inclusa…Unico caso in tutto il viaggio!!!! 12° giorno: OAXACA (si pronuncia “Ohuaha”) Partenza prima dell’alba, quando è ancora buio. Il taxi sfreccia veloce nella città deserta. Arriviamo in perfetto orario alla stazione. Bevo qualcosa di caldo, sbocconcello una brioche e poi partiamo.

Cinque ore di viaggio che trascorrono benissimo, a bordo di un autobus finalmente stracomodo (GL Esecutivo, 282 pesos), con tanto di caffè self service. Il paesaggio è brullo e suggestivo, grazie alle infinite coltivazioni di agave. Le curve, invece, sono davvero fastidiose…Sono felice, quando arriviamo, 400 km dopo! Ci aspetta la Posada Catarina, in Aldama 325 (www.Hotelesoaxaca.Com), un hotel delizioso, in pieno centro storico, col fascino delle antiche case coloniali, tutto colorato e allegro.

La stanza è bella e confortevole, tutta in legno. Il bagno è ampio e pulitissimo. Usciamo per cambiare il denaro e mangiare in un piccolo ristorantino, la Posada Mexicana, cucina tipica messicana: sopa di verduras, tortillas, pollo, patatine e flan, il tipico crem caramel.. Ci accorgiamo subito di essere in una zona bellissima della città, quasi di fronte al Mercato cittadino.

Prima ancora di averla vista, Oaxaca mi fa innamorare.

Solo che siamo davvero stanchissimi…Così ci prendiamo un pomeriggio di relax, per mettere ordine nel bagaglio, fare il bucato, dormire un po’, leggiucchiare.

Ripasso gli appunti preparati prima di partire: lo stato dell’Oaxaca si trova a sud della Repubblica Messicana ed è circondato dalla Sierra Madre Oriental e dalla Sierra Madre del Sur, al centro di tre belle vallate, le Valles Centrales.

Oaxaca, la capitale omonima, si trova a oltre 1.500 metri di altitudine. Fu fondata nel 1529 sui resti della città azteca Huaxyacan (“nel naso della zucca”), ed i suoi abitanti, che discendono da tribù zapoteche e mixteche, sono famosi per la loro allegria, la musica e le feste. Considerata una delle capitali più belle del Messico, la capitale conserva bellissime chiese, interessantissimi negozi di artigianato e due fantastici siti archeologici a poche decine di chilometri. Insomma, è una tappa davvero impedibile! In questa terra, infatti, si svilupparono due delle grandi culture del México precolombiano: quella Zapoteca (“il popolo delle nuvole”), con il centro in Monte Albàn, e quella Mixteca, la cui capitale fu Mitla. Leggo che dal 1987 Oaxaca e Monte Albán sono state incluse dall’UNESCO nel Patrimonio dell’Umanità! Inoltre, per chi ama le cose buone, Oaxaca è la città del cioccolato! E’ infatti qui che si produce il miglior cioccolato del Messico! Verso sera usciamo per curiosare.

Il Mercato ci calamita all’istante, anzi “i” mercati, data la loro vicinanza! Il MERCATO BENITO JUAREZ, fondato nel 1892, è il luogo giusto dove acquistare cioccolato, formaggi, verdure, frutta, ma anche souvenirs e oggetti di artigianato. Si trova tra Flores Magon e 20 de Novembre. Pieno di cosine da comprare è anche il vicino MERCATO 20 DE NOVEMBRE, tra Cabrera e 20 de Novembre. I mercati ospitano tantissime e colorate bancarelle di frutta e verdura, tappeti, oggetti in paglia, cuoio e legno, tappeti e arazzi e tanto, tantissimo cioccolato! Molta è anche la frutta (meloni, cocomeri, cocco, papaia, ananas…), venduta intera oppure tagliata sul momento e venduta in bicchieroni di plastica. Golosissimi i “churros”, dolci a forma di bastoncino, morbidi, fritti e ricoperti di zucchero. Qui si comprano anche le cavallette, “chapulines”, fritte e vendute in cartoccini, spruzzate di limone. Se ne vedono vere e proprie montagne, all’interno del mercato! Una leggenda dice che se le mangerete, tornerete a Oaxaca! Gironzoliamo a lungo, per i mercati, affascinati dai colori e gli odori. Poi, con una bella passeggiata arriviamo al ristorante prescelto per la cena, “El Naranjo”, uno dei ristoranti più famosi del Messico. Si trova vicino in centro storico, due passi dallo Zócalo, in Av Valerio Trujano, 203.

Il ristorante coloniale, piccolo e raccolto, ospita nel suo patio, tra le fronde, piccoli tavoli preparati con sobria eleganza, ovviamente a lume di candela. L’atmosfera è rilassata e piacevole: qui tutto invita alla conversazione a due, ed è tutto molto romantico.

Ad un tratto, una signora affabile, vestita di morbidi pantaloni di lino e ampia camicia, esce da una porta e passa tra i tavoli, a salutare i commensali. E’ lei: Iliana de la Vega, una delle cuoche più famose del mondo (vedi http://www.Oaxacainfo.Com/iliana.Htm e ! Gentilissima, ci augura una piacevole serata. Noi ci diamo alla cucina oaxaqueña, caratterizzata dall’uso abbondante di salse piccanti e abbondanza di spezie di vario tipo. Oaxaca é famosa per il quesillo (tipo di formaggio a pasta filante), i gustosissimi chorizos (salsiccine rossicce), i tamales avvolti in foglie di banano e una miriade di tipi di mole (piatto fatto in base al chile e il cioccolato), che comprende quello nero, giallo e rosso. Il più famoso è il nero, a base di banane, pepe, peperoncino, cannella, cacao, servita di solito col pollo.

Noi ordiamo piatti tipici: la Botana Oaxaquesa, un antipasto col meglio della cucina regionale, il Chile Poblano, un delicatissimo Filate de Pez , il tutto annaffiato da buona birra fresca. Non rinunciamo neppure al Pastel de la casa, una crostata ricca di golosità! Il conto, certo salato per lo standard messicano (591 pesos) non ci fa pentire di essere venuti qui. Quando la Vega esce di nuovo dalla cucina, ne approfittiamo per ringraziarla della piacevolissima serata; le diciamo che siamo venuti dall’Italia anche per gustare le sue prelibatezze e che siamo felici di averlo fatto. Mio marito, che dipinge, le regala un suo catalogo di opere. La Vega si illumina e non smette più di ringraziarci e inchinarsi. Davvero gentilissima… Pochi minuti dopo, un cameriere viene al nostro tavolo e ci spiega che la Chef sarebbe lieta di offrirci il tipico Mezcal! Quello di Oaxaca è infatti considerato il migliore del Messico! E’ un liquore ottenuto, come la tequila, dalla spremitura delle foglie di una pianta grassa, il maguey. A garanzia della purezza del prodotto, all’interno della bottiglia viene inserito un verme, parassita della pianta, che si conserva perfettamente per anni e che si dice conferisca un particolare sapore a questo prodotto. Ce lo gustiamo, e poi corriamo a nanna, felici di sprofondare tra le lenzuola fresche e profumate della nostra posada.

13° giorno: OAXACA E MONTE ALBAN. Per cominciare al meglio la giornata, niente di meglio che una ricca colazione al “Cafè Alex”, Diaz Ordaz 218: omelette, marmellata, brioche, frutta, tazzone di caffè molto buone e a buon prezzo! Poi ci spostiamo a piedi in Mina 518, all’ hotel Rivera del Angel e lì prendere l’autobus che porta al sito archeologico di Monte Alba.

L’autobus costa 60 pesos A/R oppure supplemento di 15 pesos per ritorno in ora diversa da quella stabilita.

Occhio perché occorre entrare proprio nella hall dell’hotel, pagare lì, e dal cortile interno partire con l’autobus, non dalla strada principale. Il tragitto è breve, a 10 km a sud ovest di Oaxaca, circa mezz’ora di bus. Il bus esce dalla città e sale gradualmente sulle colline, finché arriva in un punto panoramico, dove sorge il sito archeologico MONTE ALBAN, la “montagna bianca”, che domina sulla vallata ed è incorniciato da suggestivi rilievi.

Monte Alban fu fondato intorno al 500 a.C. Dagli Olmechi e con loro divenne un centro culturale, economico e religioso di primaria importanza. Nel VI sec. A.C. Arrivarono gli Zapotechi, che ne fecero una città elegante, con templi allineati e profumati di incenso. C’erano splendide cisterne che raccoglievano acqua piovana e un elaborato sistema di irrigazione rendeva fertile la terra, coltivata a cereali e alberi da frutto su terrazze. Nelle vallate attorno si cacciavano cervi e uccelli. I commerci fiorivano e la città ospitava affollati mercati all’aperto, dove si vendevano beni del luogo, perline di giada importate, oggetti in pietra, metalli, minerali, colori. Era, insomma, una terra ricca e piacevole. Poi, come in altri siti, iniziò la decadenza (800 d.C.) e Monte Alban fu abbandonata, per ragioni sconosciute.

Seguirono i Mixtechi, popolo che la trasformò in un immenso cimitero. Qui, infatti, sono stati scoperti oltre 220 siti funerari, colmi di gioielli.

Cuore del sito è l’immensa Gran Plaza, attorno la quale si trovano tutti le principali costruzioni del sito. Il sito è molto elegante: le linee sobrie e il rigore geometrico ne fanno uno dei più belli dell’intero Messico. In posizione centrale si trovano gli Edifici G, H, I, templi con all’interno tombe. Un tunnel sotterraneo, non visitabile, collega l’Edificio H col Palazzo.

Accanto agli edifici c’è un edificio, l’Osservatorio, eretto attorno al 100 d.C. Esso èl’unico tempio al di fuori dei canoni di simmetria delle città precolombiane: devia infatti di 45° verso est dall’asse nord-sud e la sua sommità è volta a sud-ovest; probabilmente era usato dagli Zapotechi per i loro studi astronomici. Esso è decorato con geroglifici scritti sulle sue mura. Le tombe più importanti di Monte Alban sono purtroppo attualmente chiuse: la Tomba 7, che conteneva più di 500 oggetti preziosi in oro, ambra, turchese e manufatti in argento e cristallo (oggi conservati al Museo Regionale di Oaxaca) e la Tomba 104, decorata da immagini di Cocijo, dio della pioggia zapoteco e Pitao Cozobi, dio del Grano. La Piattaforma Nord e la Piattaforma Sud hanno entrambe gradini in pietra e balaustrate. La Piattaforma Nord è la più grande struttura del sito. In cima alla gradinata ci sono due file di colonne crollate, che un tempo dovevano supportare un tetto. Di fianco alla piattaforma settentrionale, sulla strada che porta verso l’uscita, si trova il Campo del gioco della pelota, non grande, ma molto ben conservato. Molti i bassorilievi presenti nel sito. Il più famoso è quello della GALERIA DE LOS DANZANTES, sul lato ovest della Plaza, vicino al Tumulo M. E’ così chiamato perché vi sono raffigurati degli uomini che sembrano danzare, anche se probabilmente si tratta di schiavi torturati, nemici delle città vicine, che si contorcono per il dolore. In alcuni edifici del sito, denominati Strutture K, L, IV Sur, H, sono stati rinvenuti oggetti preziosissimi (come la celebre maschera di giada del dio pipistrello rubata il giorno di Natale del 1985 dal Museo Antropologico di Città del Messico e poi fortunatamente ritrovata), oggi al Museo Nazionale di Antropologia. Nel Museo del sito, accanto all’ingresso, si trovano un gruppo di teschi di bambini relativi ad un sacrificio e dei teschi di persone che hanno subito trapanazioni craniche per fini, si suppone, terapeutici. Terminata la visita, facciamo rientro in città. Ci fermiamo a mangiare un delizioso e gigante hamburger con patatine fritte all’hotel Rivera del Angel, poi con un taxi ci facciamo portare in centro storico.

La piazza principale di Oaxaca si chiama PLAZA DE ARMAS, più nota come Zocalo, animatissima ad ogni ora del giorno. E’ una bella piazza, in ristrutturazione, circondata da portici, con tanti caffè e ristorantini. Qui si affacciano il Palazzo del Governo e la Cattedrale, del XVI secolo, dedicata all’assunzione della Vergine Maria. Purtroppo risulta danneggiata dai terremoti che hanno colpito nei secoli la zona. Adiacente allo Zocalo c’è piazza Alameda de Leon, una tranquilla piazza punto di ritrovo, dove sostare e riposare.

La città conserva altre belle chiese, come la Chiesa de La Compania (la Compagnia di Gesù). Ma la più bella, da non perdere, è L’IGLESIA DE SANTO DOMINGO, l’ex Convento di San Domenico, splendidamente coloniale. E’ un monastero incredibile, voluto dai Domenicani nel 1570. Ha una stretta facciata con elaborate sculture su 4 file e due imponenti torre campanarie, con tracce di barocco. L’interno è un tripudio di bassorilievi policromi di stucco bianco e decorazioni in oro, in perfetto stile Puebla. All’interno nel chiostro c’è il MUSEO DE LAS CULTURAS DE OAXACA, il Museo Regionale indispensabile per comprendere la storia del Paese dalla civiltà precolombiana ad oggi. In particolare, esso ospita i corredi funerari rinvenuti a Monte Alban, come la Tomba 7, ricca di gioielli e oggetti preziosi. Ci sono reperti archeologici e riproduzioni di oggetti di uso quotidiano e ornamentali, gioielli, armi, utensili per la cucina, la caccia, l’agricoltura, statue e fregi di vari templi. E’ una visita fondamentale per comprendere ciò che si è visto e che si vedrà in questa meravigliosa terra. Da una delle finestre panoramiche ammiriamo i magnifici Giardini Etnobotanici, situati dietro la chiesa, ricco delle piante originarie di Oaxaca. Oaxaca è famosa anche per l’artigianato: ceramica di terracotta, oggetti di latta e legno, gioielli, le alebrijes, figure animali in resina, tappeti, coperte, arazzi, ma anche abiti in cotone. Alla Casa de las Artesanias, Matamaror 105, (www.Casadelasartesanias.Com.Mx), cooperativa che riunisce 80 laboratori di artigianato, compriamo camice (150 pesos cad.) e un completo gonna-camicia di pizzo di grande qualità (250 pesos).

Ma il centro storico è ricco di negozi splendidi, tra la Chiesa di Santo Domingo e lo Zocalo: è la via Alcalà, la più chic della città. Qui si possono ammirare i magnifici tappeti che hanno reso celebre la capitale: i tappeti tradizionali sono fatti con telai a cintura e a pedale e vengono tinti con materie naturali; il rosso viene dalla grana, una coccinella parassita del cactus, fatta essiccare; aggiungendo un po’ di succo di limone diventa arancione; l’ azzurro si ottiene invece da una pianta cotta ed essiccata. I tipici tipici hanno elaborati disegni geometrici o figure di dei. Trucchi per riconoscere un tappeto di qualità? Deve avere una trama fitta, non deve fare le antipatiche pallottoline di lana, se strofinato a lungo, e non si sgualcisce una volta steso per terra. Ne ammiriamo di splendidi nel negozio “La Mano Magica”, dove sono presenti i lavori del famoso Arnulfo Mendoza. Se si ha tempo si può visitare il paese di Teotitlan, da dove vengono i tappeti migliori. Resta il tempo solo per una cenetta, con frutta e yogurt comprati nelle bancarelle del mercato (20 pesos in tutto).

continua il viaggio…



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