Trasudamerica

Trasudamerica (versione con fotografie su http://www.albi.cjb.net) Mexico, D.F. OAX, OAX Chiapas Yucatàn Mexico, D.F. L'atmosfera appiccicaticcia di Città del Messico si è fatta sentire subito, appena il comandante ci ha augurato un buon soggiorno aprendo le porte del 767 atterrato da poco. Del resto già dal finestrino della fusoliera...
Scritto da: Albino Pagliari
trasudamerica
Partenza il: 06/11/1998
Ritorno il: 29/11/1998
Viaggiatori: in coppia
Trasudamerica (versione con fotografie su http://www.Albi.Cjb.Net) Mexico, D.F.

OAX, OAX Chiapas Yucatàn Mexico, D.F.

L’atmosfera appiccicaticcia di Città del Messico si è fatta sentire subito, appena il comandante ci ha augurato un buon soggiorno aprendo le porte del 767 atterrato da poco. Del resto già dal finestrino della fusoliera avevo intuito la vastità del Mostro, come viene soprannominata la capitale. Un deserto di cemento, l’aereo che sorvola i tetti di case basse e fittissime che riempiono una vallata stretta tra due vulcani ancora in attività : El Popo e l’Ixtaccihuatl C’è chi se ne innamora; io faccio fatica ad amarla. Un caos di auto impazzite su larghi e lunghi viali che la trapassano fin nelle viscere . E la piazza centrale? – se si può trovare un centro in una megalopoli da 25 milioni d’anime – Lo Zocalo (così si chiama) è totalmente intasato di macchine e autobus sbuffeggianti e clacson e taxi-maggiolone e rumore, il tutto compresso in una cappa di smog che si può nettamente intuire mentre si decolla o si atterra. Chi si affeziona a questo marasma ci è riuscito ritagliandosi la propria città selezionandone luoghi, locali, vie e piazze, tra la sconvolgente scelta proposta. Ma sinceramente non mi troverei a mio agio a giocare a domino in una cantina, a pochi metri dal caos di fuori.

Forse bisogna avere pazienza e darsi più tempo; io invece ero inevitabilmente trascinato dalla foga turistica di vedere il più possibile nel minor tempo possibile: il Museo Nacional de Arqueologia (autentico gioiello da non perdere!) lo Zocalo sempre pullulante di persone – indios in testa – in protesta (già qui scorgiamo i primi Zapatisti) il tempio Mayor Azteco distrutto dai conquistadores per costruirci sopra la Cattedrale i murales filo-rivoluzionari di Diego Riveira che si trovano nel Palacio Municipal il quartiere di Coyocan – un ex paesino coloniale risucchiato nella megalopoli che conserva i suoi tratti vivaci con il Museo di Frida Kalho e la casa di Trotzky la Plaza de las Tres Culturas tanto abbruttita dai palazzotti dei tempi moderni quanto ricca di storia e significati politici: qui tanto sangue venne versato: fu infatti allo stesso tempo teatro della più sanguinosa battaglia tra spagnoli e Aztechi e sede della violenta repressione del malcontento studentesco nel 1968, durante la quale parecchi giovani perdettero la vita. E ancora: la folla delirante (decine di migliaia?!?) che un’innocente mercoledì mattina assembra la collina delle basiliche della Virgin de Guadalupe, la Madonna Nera. Un luogo di meditazione, vera fede religiosa che si manifesta attraverso riti quantomeno pittoreschi che ti fanno dubitare e pensare ad un certo fanatismo persino. Ma io credo nella convinzione della gente messicana che qui percorre sulle ginocchia la piazza antistante per raggiungere l’altare e l’agognato tappetino scorrevole elettrico sovraffollato dei tanti fedeli in adorazione. La Madonna è la vera patrona di tutto il Sudamerica E come dimenticare la visita a Teotihuacan?! Il luogo dove gli uomini divennero dei si trova a 50 km circa a nord-est di Città del Messico; questa misteriosa e allo stesso tempo grandiosa civiltà si sviluppò in concomitanza con il massimo splendore dell’impero romano in Europa. La città giunse infatti a contare oltre 300.000 abitanti! E saliti sulla gigantesca Piramide del Sole tutto ciò sembra impossibile. All’orizzonte riesco a scorgere solo piccoli paesini, la concentrazione urbana della capitale sembra lontanissima; non c’è traccia nemmeno della rigogliosissima vegetazione che invece nelle zone più meridionali della federazione messicana ha letteralmente divorato chilometri e chilometri quadrati di palazzi piramidi e resti di grandi insediamenti.

E allora, dove sono andati a finire tutti? Teotihuacan influenzò fortemente le culture del resto del Mesoamerica, dai Toltechi (che probabilmente la conquistarono) ai Maya del tardo periodo stanziatisi in Chiapas, Yucatàn, Guatemala e Honduras, ad oltre 1000 km più a Sud! Recenti studi hanno addirittura scoperto contatti di tipo commerciale con l’impero Incas del Perù. Ed il culto del serpente piumato – Quetzalcoatl – è nato qui per poi diffondersi successivamente con i Toltechi. Queste costruzioni maestose sono il frutto di grandi intelletti – non c’è dubbio. Quando arrivarono gli europei tale civiltà era sparita da secoli – ma questa è una storia che si ripete per tutti i popoli di queste latitudini. Forse è stata una catastrofe ecologica, causata dall’iper sfruttamento agricolo di queste terre a farle spopolare e rendere la regione così come ci appare oggi, arida e brulla. Grazie all’ira distruttrice dei fratelli iberici non si sono salvati che pochi scritti ed alcune costruzioni; una volta sconfitti gli indigeni, i templi ed i palazzi venivano distrutti; al loro Palazzo posto sorgevano gli immancabili Zocalo – Cattedrale – Municipale. Solo la fittissima selva più a Sud ha conservato come uno scrigno segreto la vita pre-colombiana; i ritrovamenti archeologici più importanti risalgono infatti solo a tempi recenti. La sera nel DF è un grande impasto come del resto la città: si passa dall’incredibile calma piatta dello Zocalo e dintorni al frastuono della Zona Rosa, il quartiere turistico dove alloggiamo. E’ difficile comunque trovare uno dei locali di cui i vari Taibo II o Cacucci ci parlano, in cui la tranquillità sembra regnare padrona; piuttosto mi saltano all’occhio i vari McDonald e surrogati dove vengono serviti piatti pseudo-messicani dai condimenti e salse nordamericanizzati. E’ facile che sia questa voglia di emulazione del fratello a stelle e strisce, il cercare di avvicinarcisi – e la TV e il governo fanno del loro meglio in questo senso – a rendermi ostile l’ambiente, almeno questa è l’impressione dopo il breve soggiorno di 5 giorni.

OAX, OAX L’arrivo a Oaxaca (leggi Ua-ha-ca) è sconvolgente. Sembra di passare dalla notte al giorno. Solo 2 ore prima si faticava ad ascoltare gli annunci al check-in in una sala d’attesa assurda a metà tra i lavori in corso di una Roma che si prepara ai mondiali di calcio e un labirinto di corridoi e gates e duty free simboli del dio-commercio.

Ora, giunti in questo aeroporto sereno e tranquillo tanto da scambiarlo per una stazione ferroviaria della bassa padana, sembra di tornare a respirare. E a grandi boccate. Sfogliando la mitica ed essenziale guida scegliamo la pensione che ci ospiterà: è la Posada Margarita dove una doppia ci costa 90 pesos C’è chi si è fermato a vivere qui, dopo una vita di corse e fughe e cambi di rotta. E il perché, lo si scopre, piano piano, camminando, stando seduti su una delle panchine del piccolo Zocalo all’ombra di alcuni almendros assaporando dei gustosi tamales o delle chapulines (cavallette). Mah! devo dire che preferisco un buon bicchiere di mezcal. Ci troviamo nella zona famosa per la produzione di questo liquore, ricavato come la Tequila dalla pianta dell’agave maguey. Più popolare e meno raffinato del suo stretto parente, ne può essere riconosciuta la genuinità osservando il fondo della bottiglia, che deve contenere il verme sviluppatisi e vissuto nella pianta stessa da cui è stata estratta la bevanda Lo stato Oaxaca – di cui la città omonima ne è capitale – ha in percentuale la maggiore rappresentanza (il 75 % della popolazione) di etnie indios del Messico. Zapotechi, Mixtechi, ed Olmechi prima di tutti, si sono alternati dando vita a civiltà prospere, siti e costruzioni dal gran sapore cerimoniale. Monte Alban ne è un significativo esempio con le sue piattaforme che dominano le 3 vallate della regione nel punto ove esse confluiscono; probabilmente era centro religioso dove i sacerdoti praticavano il rito del sacrificio umano in onore degli dei, mentre la popolazione viveva nella regione dominata da quelle alture.

In piazza incontriamo un signore sui 40, di chiari lineamenti maya che insieme ad un suo collaboratore vende pubblicazioni varie. Ci colpisce subito. Sarà forse che le i libri non sono esattamente pubblicazioni varie, e che scorgiamo fotografie di rivoluzionari di ieri e oggi sulle copertine, Il fatto è che ci lasciamo attrarre, ci fermiamo a discorrere con il piccolo maya. Scopriamo che lui è uno scrittore e tra i testi in vendita ce n’è uno suo, che raccoglie gli articoli già usciti su un giornale locale (La Cantera). Si intitola La Revoluciòn Indigena Mundial, dal retro leggo che vorrebbe dimostrare il filo che collega la antica filosofia maya, l’anarchismo magonista di inizio secolo e il moderno pensiero indigeno libertario. Il pomeriggio, andiamo alla presentazione del libro del nostro amico utopico-magonista, nell’università di Oaxaca. Per quel che capisco, Escobedo ha fatto sua la causa indigena. In Messico il problema esiste e si manifesta in maniera drammatica. Il mitico subcomandante Marcos è soprattutto un grande comunicatore. Egli infatti è riuscito a denunciare la situazione degli indios, sfruttati e privati dello stesso diritto di sopravvivenza dagli imperialisti del Nord (D.F. In testa) senza arrivare ad uno spargimento di sangue inutile. Ora le sue idee sono conosciute in tutto il mondo, purtroppo più all’estero che in patria. Del nostro bravo scrittore mi piace e stupisce come conservi tanta speranza e convinzione in idee utopicamente bellissime – e non trovo altri aggettivi -, come riesca a far coincidere la forza delle sue affermazioni e il suo spirito autoironico, passando dalla definizione di colonialisti imperialisti esclavisti conquistadores a spiegarci dove trovare un vicino ristorante vegetariano sempre col sorriso sulle labbra.

Ma non faccio tempo a godermi un riposino sull’erba verde di un prato che già è ora di partire per S.Cristobal – ci aspettano 12 ore di pullman stavolta Chiapas Alla ricerca degli Zapatisti … Ma come? La guida (Raoul) che ci accompagna ai vicini villaggi indios di San Juan Chamula e Zinacantan giura e spergiura che qui di guerriglieri non se ne vedono che la gente vive bene e non ha appoggiato la rivolta! Mah, sarà forse perché lui è un dipendente dello stato ed effettivamente conduce una vita d’alto livello rispetto alla media locale. A me sembra invece che la povertà sia a dir poco dilagante. E chissà mai perché non vedo più nordamericani in giro – avranno forse paura di esser linciati sul posto? I numerosi turisti sono per lo più europei – italiani in testa. Non conto più i bambini che mi chiedono delle monetine vendendomi dei chiclets, miriadi di braccialetti, pupazzetti del subcomandante di tutte le dimensioni, foulard e magliette rivoluzionarie o semplicemente mi chiedono di scrivere sul loro quaderno il mio nome la provenienza e la cifra versata (come fossero dei esattori di tasse). Per una fotografia riusciamo a spuntare 10 pesos e per 2 pezzi (orecchini, medaglie?) di ambra … Giusto in tempo, prima di ammalarmi – o forse è semplicemente la vendetta di Moctezuma che “finalmente” arriva. Sta di fatto che riesco ad uscire dalla camera per vedere il Canyon del Sumidero, vicino a Tuxtla. E’ un po’ una delusione, forse perché le fin troppo ricche piogge dei giorni precedenti (Mitch è appena passato da queste parti) hanno sporcato il fiume di detriti o perché la diga 20 km più in là costruita per la costruzione di una imponente centrale idroelettrica ha calmato in maniera eccessiva le acque del rio che adesso sembra poco più di un grosso ed innocuo “fosso” di campagna. Comunque si ammirano coccodrilli, avvoltoi, pellicani e cascate di origine pluviale che formano stranissime forme nella pietra erosa. La ferita del canyon arriva ad un massimo di oltre 1000 metri di profondità, da dove i Maya preferirono gettarsi piuttosto di finire in mano spagnola…

Lasciamo i 3000 metri e oltre per scendere giù verso la pianura dello Yucatàn. Si passa sulla strada che incrocia località come Ocosingo, centro della rivolta. E’ un continuo diluvio, piove in maniera forsennata; dal finestrino si possono intravedere le capanne degli indio e i piccoli campi che coltivano. Dopo, 5 ore per fare forse 200 km, dalla lussureggiante Selva Lacandona arriviamo a Palenque. Ed anche l’esercito ci avvista! Controlla i documenti e i buoni “propositi” di tutti i viaggiatori del torpedone per poi lasciarci finalmente andare avanti. La “città” sorge a circa 300 m. Di altitudine: ormai la montagna lascia il passo al caldo tropicale della umidissima regione. Io mi sento più a mio agio tanto che gli acciacchi dei giorni scorsi spariscono. Il villaggio dove noi turisti veniamo accolti è insignificante. Ma tutti aspettiamo la visita al grandioso sito omonimo. E l’attesa non viene delusa. Non so quando vedrò ancora qualcosa di simile. A qualche chilometro da dove abbiamo preso il combi raggiungiamo il vero insediamento di Palenque. Nemmeno gli indios Lacandoni nei loro abiti bianchi, messi lì come soprammobili all’ingresso dell’area, possono scalfire tanta bellezza. El Palacio, El Tempio de Las Inscripsiones, con la cripta contenente la misteriosa tomba del signore di Pakal, regnante dell’ultima dinastia dominante questa città-stato maya. Questo pezzo di archeologia ha dato adito a molteplici interpretazioni, non ultima quella ufologica Una coda di persone sudate e prese dalla claustrofobia sale e scende i viscidi gradini che portano alla tomba. Qui sotto l’umidità raggiunge livelli indescrivibili. E tutt’intorno, vegetazione fittissima: arbusti piante agenti atmosferici hanno nascosto per secoli questo patrimonio. Gli esperti sostengono che ciò che è stato riportato alla luce è solo una piccola parte del sito originale. Abbiamo la certezza di camminare sopra possibili resti di altri edifici, piramidi, tombe e sfiorare ma senza poter ancora vedere chissà quali altre meraviglie. Dal complesso del Palacio si erige anche una torre che probabilmente aveva una funzione astronomica. I maya erano grandi studiosi e raggiunsero livelli di conoscenza molto elevati nel campo matematico e astronomico in particolare. Nel sito si trovano numerose altre rovine, ma il biglietto è ripagato con la sola scalata di una delle “piramidi”; una volta giunti in cima, la vista si perde verso la pianura dello Yucatàn, ricoperta di foreste fittissime. A Palenque rimaniamo solo un giorno per poi prendere un altro autobus con destino Mèrida, la Parigi del Messico.

Yucatàn Non ti capisco. E’ il significato in lingua maya del nome di questa regione. Ed anche la riposta che i conquistadores si sentivano riportare dagli abitanti locali alla domanda “Dove siamo?”. Ora, questa penisola è diventata una delle mete più sognate dell’occidente ricco. Spiagge e mare dei Caraibi da cartolina ad est, abbinato a possibili visite ai numerosi siti archeologici maya della zona la rendono particolarmente appetibile da turisti in viaggio con la formula “tutto compreso”. Qui non ti fanno mancare niente, addirittura sulla costa maya – come è stata ribattezzata – puoi pagare in dollari. E i ragazzotti a stelle e strisce ritornano a vedersi. Cancun è stata addirittura costruita su un progetto made in USA, è chiamata dagli yucatechi veri gringolandia; spostandosi verso sud la presenza nordamericana diminuisce, ma resta comunque molto elevata. Le bellezze naturali sono però ancora intatte; il mare è stupendo, le spiagge pulite, la barriera corallina resiste alle orde di sub senza scrupolo. Non è precisamente la destinazione ideale per chi ha scelto invece una vacanza alternativa. Piuttosto capita di re-incontrare persone già incrociate nel lungo peregrinare attraverso tutto il Messico; come se fosse la culla dove noi fai-da-tè ci siamo dati appuntamento per il riposo finale dopo le fatiche accumulate nell’entroterra. Per quanto riguarda le attrazioni archeologiche, merita una nota Chitzen Itzà, a circa 3 ore dalla costa caraibica, con la famosa piramide della Fanta, da quel che mi dicono i miei amici, il più grande campo del Juego de la Pelota, il Cenote sacro, l’osservatorio. Anche Uxmàl, 80 km a sud di Mèrida, nello Yucatàn nord-occidentale, è un luogo famoso dove però rimaniamo delusi dalla chiusura per restauro della piramide dell’indovino, ma troviamo degli stranissimi animali che ci destano curiosità; infine Tulùm, 50 km a sud di Playa de Carmen raccoglie in sé rovine – non ci fanno più effetto rispetto alle meraviglie già incontrate i giorni precedenti – e l’accesso al mare, bellissimo, dove ci buttiamo per il meritato refrigerio tra gli scogli e le pietre degli antichi edifici del sito.

Albi



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