Bruce è un nome di cane

“Bruce è un nome di cane in Inghilterra (non in Australia), ed era anche il cognome dei nostri cugini scozzesi. L’etimologia di Chatwin è oscura, ma lo zio Robin, suonatore di fagotto, sosteneva che in anglosassone chette-wynde volesse dire sentiero tortuoso”. “Sparsi tra i miei progenitori e parenti c’erano tuttavia non pochi...
Scritto da: eloisa_v
bruce è un nome di cane
Partenza il: 26/07/2001
Ritorno il: 27/09/2001
Viaggiatori: da solo
“Bruce è un nome di cane in Inghilterra (non in Australia), ed era anche il cognome dei nostri cugini scozzesi. L’etimologia di Chatwin è oscura, ma lo zio Robin, suonatore di fagotto, sosteneva che in anglosassone chette-wynde volesse dire sentiero tortuoso”.

“Sparsi tra i miei progenitori e parenti c’erano tuttavia non pochi personaggi leggendari, le cui storie m’ infiammavano l’immaginazione: …” Chatwin, “Anatomia dell’irrequietezza”; una delle mie bibbie.

Sono una viaggiatrice. Il mio è un nome che ricorda i bovini, ed infatti di cognome faccio Vacchini.

Un po’ meno poetico di quello di Chatwin, ve lo concedo, ma vi garantisco che i bovini hanno un rapporto fortissimo con i sentieri tortuosi … La prima decisione che ho preso da piccola è stata quella di seguire sentieri sconosciuti e diventare “avventuriera”.

Sono solo architetto, ma non lascio morire il mio sogno d’infanzia: appena posso prendo il mio zaino e mi lascio portare via.

L’anno scorso mi è venuta voglia di Messico. E mi son messa a pensare… Barragan.

Nei libri, le case di questo genio dell’architettura messicana appaiono in colori sgargianti, caldi e gioiosi. Che emozioni daranno dal vivo? Barragan era un genialoide, un glorioso matto, ed è morto solo in una grande casa, vicino ad una fonte che sapeva di zen, nella calma di un patio rosa e con alcuni vasi ricoperti di verde umidità.

Era un uomo altissimo, bello e silenzioso che passava molto tempo con i suoi quadri ed i suoi crocefissi, a pregare.

Come può sopravvivere oggi il silenzio dei suoi patii dipinti di rosa, ora che il centro di Città del Messico ha divorato i quartieri in cui sorgono le sue costruzioni? Non saranno stati fagocitati dal brusío di una capitale enorme e mobile, che avanza come un blob e che sprofonda giorno dopo giorno nel soffice terreno bonificato dagli Aztechi? Devo andare a vedere? Devo andare ad ascoltare? Vorrei un giorno sentire anche il rumore dei Mariachi di Guadalajara, visitare la Durango che mi ricorda tanto De André e i film di John Wayne; vorreri sentire il rumore dei bicchieri di Tequila battere sul bancone dei bar; i cani che si grattano le pulci e chiamarli per nome (ehi, Bruce!); cantare nelle processioni dedicate alla madonna di Guadalupe; ascoltare i canti nelle cattedrali barocco-messicane e churringueresche.

E poi in Messico ci sono pure Diego Rivera, Frida Kahlo e Orozco.

E ancora, i Maya, gli Atztechi, i Tolmechi, gli Zapotechi, gli echi, i fichi, forse i cachi…

Non dovrei andare a vedere? Non dovrei andare ad ascoltare? Messico è anche un il paese di cani. Randagi, soli, magri compagni del sole.

Sono tornata da quasi un anno, e ora vorrei farvi partecipi del delirio di quel viaggio. Mia madre ed i miei amici hanno conservato per me la posta elettronica che inviavo loro dai numerosi internet café incontrati per strada. Ho tentato di ridurle e scremarle, e ve ne presento una parte… da qui capirete quanto il mio problema sia quello di frenare le parole, più che quello di tirarle fuori…È un racconto che dura due mesi.

Ma in fondo, chi vuole andare in Messico deve avere quella pazienza e quella voglia di perdere tempo, tipica di chi si rosola felice al sole guardando un mare di colori sgargianti.

Ultime parole prima di inziare: un grande grazie a Cristina e Barbara di tpc, che, con i loro itinerari e i loro consigli in privato via mail, mi hanno dato tanti simpatici ed appassionati consigli! “carissimi tutti, un saluto velocissimo prima di partire per le grandi piramidi di teuhaiticanicicaniuan che non so mai come si dice…! Il viaggio è andato bene: A Francoforte sono saliti a bordo 100 niños cantores de Mexico che poi per fortuna non hanno cantato. In aeroporto lo sdoganamento ed il recupero dei bagagli sono stati i più celeri di tutta la mia vita. Alla coda per i taxi ho scelto un signore piccoletto, che mi sembrava simpatico. Prima di farmi salire a bordo, si è presentato: “ho-la—yo—soy–alf-re-do”, sillabando ogni parola e sgranando gli occhi come se si trovasse davanti un’idiota, mi ha mostrato una tessera che aveva al collo. “Hola Alfredo, mi nombre es Eloisa y tengo que irme al centro. Aquí tiene, esa es la dirrección de mi hotelito.” “¡Carramba señorita, habla español! ¿Usted es argentina?” eh sí, ridete pure, ma pare che il mio accento bonareense sia alquanto spiccato, e che qui gli argentini non siano particolarmente ben visti! Non parliamo poi di quelli di Buenos Aires. Alfredo mi ha caldamente consigliato di prendere un qualsiasi altro accento… ma come si fa? L’hotel è carino e pieno di piante. La stanzetta è minuscola. Questa città è meravigliosa e vastissima. Dall’aereo non se ne vede la fine: un mare di case e case e case e ancora case. Sono uscita alle 7.30 stamattina, ed ho guardato la città svegliarsi e le piccole botteghe che vendono cibo per la strada. Cuociono tutto lì sul marciapiede, in grosse pentole di rame scaldate con fuocherelli improvvisati.

Il centro è tutto pavimentato di cotto e la cattedrale è enorme. È tutta storta e la facciata principale dà su di una “piazza” vuota (il celebre “zocalo”) grande quando 4 volte piazza del duomo o forse più.

La gente è cordiale e sorride molto. Le strade sono percorse da un numero enorme di maggiolino wolkswagen colorate di verde-kermit dei muppet show : i taxi ufficiali !. E’ tutto quello che mi posso permettere di vedere stamane. Devo partire! Ciao!” “Eccomi arrivata a Querétaro. Peró come è questa bella cittadina coloniale! Una città fatta di case a due piani, sopra a tutti i tetti troneggiano le botti di cemento per l’acqua, e sopra le botti il cielo, e sotto al cielo le chiese arzigogolate con le piastrelle delle cupole lucide sotto al sole cocente. Le piastrelle sono arrivate dalla Spagna nel 1700 e sono ancora lí a brillare.

Sto cominciando a respirare aria di viaggio a pieni polmoni. La campagna é davvero stupenda: piena di cactus, fichi d’india, alberi piccolini e piante tipo yucca alte sino a cinque metri. Ma andaimo con ordine.

La partenza da Mexico DF è stata un poco rocambolesca poiché subito un ragazzino ospite dell’hotel mi voleva assolutamente sposare. Allora, grazie alla complicità del portiere sono scappata dal retro.

Il bus per Teotihuacàn era sghangheratissimo, con il parabrezza rotto tenuto insieme da scotch marrone (largo e colloso per fortuna). Ma non è mica finita qui: lo scotch teneva incollato al parabrezza rotto un enooooorme crocefisso in legno…”un crocefisso crocefiggente un cristo piangente e sanguinante” che mi ha fatto un po’ impressione.

Il bus ha tentato di lasciare la città, ma l’impresa è stata ardua. Traffico impressionante (che Roma o Napoli gli fa un baffo di cera!) e strade chilometriche che si snodano in tratti di sopraelevata per superare le innumerevoli baraccopoli di lamiera, tristissime ed assolate.

Le baraccopoli si aggrappano alle colline come le zecche ad un cane (Bruuuceee!) e le case sembrano moltiplicarsi a velocità esorbitante. Le strade che salgono in collina vanno sú dritte verso la cima, senza formare una sola curva. Le donne cariche di panni sporchi o bagnati devono percorrerle quasi a 4 gambe per vincere la pendenza. Mentre osservavo quel formicaio di città un bambino mi si addormenta sulla spalla. Visto che pure il padre baffuto al mio fianco che lo teneva in braccio dormiva e russava della grossa, il bimbo me lo sono caricato sulle ginocchia io, poverino.

A San Juan de Teotihuacán ho posato i bagagli all’alberghetto triste dove alloggio e sono corsa subito alle piramidi.

Sole cocente, caciara, venditori ambulanti a gogó, turisti rossi come peperoni, donne che vendono fischietti in terracotta e che ti fischiettano dritto dritto nel timpano per farti sentire che bel suono artigianale hanno i loro animaletti di terra…Insomma, un casino. Della pace originaria del luogo non ne resta nemmeno il più pallido ricordo.

I messicani si arrampicano sulla piramide del sole gridando alla misericordia divina e una volta arrivati in cima succede il pandemonio. Gli adulti alzano le braccia al cielo e pregano urlando e cantando; i bambini vomitano tutte le coca cole ed i dolci con cui gli adulti li hanno farciti poco prima della salita; vengono aperti miriadi di zaini contenenti i sali per far rinvenire la nonna svenuta, premi consolatori per una mamma dolorante o cicchetti per il nonno in catalessi. Poi ridiscendono raccomandandosi alla vergine di Guadalupe e sedendosi su di ogni scalino, gridando alle vertigini. Devo dire che lo spettacolo è diverso da quello dignitoso e regale che mi aspettavo… ma insomma, le sorprese non mancano di stupirmi.

Il giorno seguente era Domenica. Il giorno in cui tutti i messicani vanno in gita scolastica ai siti archeologici poiché l’entrata è gratuita.

… Ho deciso di anticiparli e mi sono alzata prestissimo per essere lì davanti al cancello all’ora dell’apertura. Il sole era appena sorto e nella zona archeologica non c’era nessuno. L’allungarsi delle ombre sulla grande avenida de los muertos, visto dalla cima della piramide della luna è davvero uno spettacolo mozzafiato. Accanto a me stava rannicchiato un messicano immerso in una preghiera silenziosa che sfiorava il sonno. In silenzio mi sono seduta non troppo vicino a lui per non disturbarlo. Ero cosí emozionata! Non cercheró di spiegarvi cosa mi sia successo lí, perché è troppo difficile. L’unica cosa che vi posso dire (e che mi sembra di avere capito) é che queste antiche popolazioni avessero il culto del movimento. Il Dio movimento? Si, forse è così.

Tutto ció che scorre, che striscia, e che soffia sembra essere sacro: acqua, sangue, serpenti, vento, il corso del sole , della luna e degli astri. Quindi, anche il sito é tutto un movimento: Le piramidi sorgono e spariscono dietro ad effetti prospettici inaspettati. Camminando lungo la “avenida de los muertos” tutto cambia e si muove con te ad ogni tuo passo. Si passa da un luogo dove tutto si raccoglie attorno ad un altare sacrificale a un luogo dove tutto accelera e si libera verso l’orizzonte Sembra un luogo immobile ed eterno; invece è un ballo senza sosta; un tango sensuale tra i volumi costruiti ed i vuoti scavati nella campagna.

Al ristorante di Tula, il giorno dopo ho incontrato 5 ingegneri italiani… Sono venuti a costruire una macchina industriale. In questo luogo sorgono cementifici e raffinerie. Non sembravano molto felici di essere qua. Si sentivano tristi e malinconici. Non so dirvi se erano più stropicciati loro o le loro mantelline gialle di tela cerata.

Abbiamo chiacchierato di Beppe Signori masticando fagioli e bevendo una buona birra.

Stasera qui a Querétaro ho deciso di viziarmi: ristorante su piazza alberata con musicisti. Oltre ai musicisti fissi (ogni ristorantino all’ombra dei tamarindi ha un suo suonatore privato) sono venuti al mio tavolo due giovani che si sono messi a strimpellare la “mia” Comandante Che Guevara, che tanto mi fa venire malinconia di Cuba e di quella Avana vecchia e scricchiolante. Menu: carne con una salsa al tamarindo, e un guacamole delizioso con un poco di peperoncino fresco abbastanza dolce.

Questa città coloniale è una calda meraviglia e la gente ha l’aria di stare bene. Le case sono tutte dipinte di 1000 colori, e le ragazze escono la sera vestite di tutto punto e piene di nastri colorati nei capelli.

Ci sono moltissime chiese enormi , piene di statue con i capelli veri. Ci sono cristi piangenti sotto la corona di spine (vere), statue piene di sangue (spero finto) avvolte in eleganti vestiti (veri, di stoffa).

Avvolte in teli di lino merlettati, sante cecilie e ermenegilde e esmeralde hanno sguardi piangenti, terrificati o adoranti. Avvolti in manti rosa, celesti o viola, alcuni spagnoli auto proclamatosi santi e vestiti da conquistadores spiccano nelle nicchie, eretti su altari di stoffe pregiate. Ma poi ci sono pure statue fatte di lingue di fuoco dove bruciano peccatori di tutte le fogge con sguardi pentiti: nelle fiamme stanno i preti, le donne, alcuni uomini ricchi e poi, lì in un angolo vi è una fanciulla che viene salvata da un san francesco che arriva su di una nuvola e la prende tra le sue braccia.

Ieri mi sono cimentata per la prima volta con gli acquarelli. Dopo due pennellate mi sono ritrovata attorniata da bambini vocianti ed entusiasti. Poi hanno visto le mie pennellate ed hanno cominciato a ridere… ah, ma ho deciso che non mi arrendo. Abbiamo riso tutti insieme.” San Miguel de Allende: “Dormirò all’ostello della gioventù. Passerò la notte in un dormitorio, sui soliti letti a castello traballanti. La cittadina è molto bella e folcloristica. Molti americani in pensione hanno deciso di trasferirsi qui e di trasformare questo posto in un agglomerato di casette rimodernate per bene. I patii traboccano di piante e di sculture di cristi e di putti. Fa un po’ ridere ma è affascinante, e l’ambiente ti riempie di tranquillità. È tutto il giorno che cammino tra queste viuzze ammirando i lavori di artigianato. Ci sono dei quadretti tridimensionali con temi religiosi che sono delle piccole meraviglie naïf. Le stradette sono tutte acciottolate e si aprono di colpo su giardini-piazze pieni di panchine in ferro battuto, dove riposano vecchini col cappello di panama…

A pranzo, sono entrata in un buchetto di ristorante ed ho provato dei tacos ripieni di zucchine e mais che erano una vera goduria.

Accanto a me sedevano due nonnine sprint americane che vi avrebbero tanto fatto ridere: cukident, cappelloni di paglia a tesa larga (almeno 20 centimetri), magliette rosa Miss Piggy con rossetto in tinta e… dulcis in fundo scaaaarp de teeniiis. Naturalmente mi hanno frastornato di ooooouuuuuuhhhh, chiedendomi se viaggiassi sola, quante lingue parlo e da dove vengo. Poi se ne sono uscite inciampando nei loro ooouuuhh e nei loro lacci adidas.

Me ne sono andata ai giardini dello zocalo (piazza principale, ritrovo cittadino) dove due povere messicanine tentavano di suonare un brano di Paganini nel chiosco centrale. Soffiava un vento pauroso, e i mulinelli di polvere non risparmiavano nè loro, nè i loro spartiti.

Ho saputo che qui c’è un vecchissimo e piccolo teatro e che quella sera un quartetto russo avrebbe dato un concerto. Mi è sembrata una cosa buffa andare a teatro per sentire musica da camera nel bel mezzo della campagna messicana. Teatro bellino e vecchio davvero. Scricchiolava paurosamente.

C’erano solo americani. In verità sono tutti vecchi hippies che ti guardano con aria sognante e un poco rimbambita. Diciamo che la “mise da teatro” era alquanto esilarante: indossavano vestiti lunghi e rigorosamente bianchi, le donne erano ricamate di merletti e pizzi, ma tutti, E DICO TUTTI si sono presentati con le teva ai piedi!!!!! sì, le teva, quei miei sandali che metto per andare al bagno, gli stripstrap americani ! In teatro, quando i russi (rigorosamente in lungo di seta blu notte) si sono messi a suonare brahms e chaikowsky, si è sentito uno stttrrrrraaap coordinato, attorno a me tutti si sono levati le teva, si sono seduti a fior di loto e, ad occhi chiusi si sono messi a massaggiarsi le palme dei piedi!!!! … Devo dire che il vero spettacolo l’hanno dato gli spettatori!!! Il concerto? Così cosà.

Inciso: Per fortuna non ho dimenticato le tre regole d’oro dell’ostello: svegliarsi presto per trovare il caffè e i piatti puliti, scegliere un letto a livello inferiore per potersi svegliare di notte a far pipì senza cadere nel letto sottostante (non ci sono mai le scalette, e allora lascio il letto superiore alle più agili), ed infine (ma questo viene al primo posto ) scegliere un letto vicino ad una finestra per ovviare agli effluvi tipici di un dormitorio: creme, sandali, piedi, biancheria sporca, acque di colonia, aliti pesanti, deodoranti tahitiani e via discorrendo.” “Continua la corsa verso le cittadine coloniali e le miniere d’argento. Sono a Guanajuato, una cittadina carina carina che fa tutta su e giù come un paesino greco. Viuzze lastricate, donnone cariche di ogni ben di dio, i soliti uomini col cappello di paglia, le solite bimbette meravigliose dagli occhi profondi e neri, pettinate con mille fiocchetti colorati.

La campagna si fa sempre più bella. Qui è dolce e collinosa, piena di campi di mais. A lavorare i campi ci sono intere famiglie: gli uomini dai cappelli panama puntano aratri tirati da cavalloni dalle zampe incorniciate da grossi ciuffi di pelo. Dietro, le donne seminano. I bimbi si siedono nei campi, guardano e non piangono quasi mai. Ho l’impressione di essermi tuffata in un documentario.

Ogni giorno provo una nuova specialità messicana. Oggi era il turno di piadine di mais arrotolate attorno ad un pasticcio di pollo e pomodori, coperte da formaggio e da una salsa amara di cioccolata e peperoncini per niente piccanti. Un sapore davvero particolare che ho gustato molto ed ho accompagnato con una “negra modelo” birra messicana scura dal sapore fresco e per niente “impiastricciante la lingua” come le birre bionde normali.

Ho visitato la casa museo di diego rivera e devo dire che ho visto un paio di disegni strabilianti. Mi sta aumentando la brama di disegno. Saranno questi colori forti che danno voglia di colorare qualsiasi pezzo di carta? L’ostello qui è molto bello: camere altissime, letti singoli, un patio pieno di piante e gabbie di canarini (e un bagno per 30 persone, ma questo incupirebbe solo la mia sorella maggiore e un qualche amico schizzinoso ).” “los árboles filtran un ruido de ciudad.

Caminos que se enrojecen al abrazar la rechonchez de los parterres. Idilios que explican cualquiera negligencia culinaria. Hombres anestesiados de sol, que no se sabe si se han muerto. O.Girondo”

“Real de Catorce, la cittá fu fondata verso la metá del XVIII secolo. Il suo nome originario, Villa Real de Minas de Nuestra Señora de la Limpia Concepción de Guadalupe de los Álamos de Catorce, venne per qualche ragione accorciato”… E ti credo! Sembra il nome di una confraternita! Le “avventure” non sono mancate.

Partendo da Guanajuato il paesaggio é cambiato dopo circa due-tre ore di viaggio (e due cambi di autobus). È comparso il deserto. Grande, magnifico e pieno di arbusti. Ogni tanto si scorge un temporale lontano che si avvicina, investe l’autobus e se ne va. La vegetazione si é fatta via via piú strana, fino alla comparsa di enormi yucche di tre metri di altezza. Sembrava che il deserto si volesse coprire di colonne. Mai visto uno spettacolo simile.

Real de catorce è una mitica cittá fantasma. Una volta era uno dei luoghi piú ricchi del Messico. Il bus percorre la strada acciottolata piú lunga del mondo inerpicandosi sulle montagne ed attraversando paesini estremamente poveri dove una volta sorgevano palazzi coloniali. Ora vi dimorano le capre ed i galli.

I cactus sono di mille fogge: dai piccoli peyotes (invisibili all’occhio inesperto) alle yucche, ai famosi cactus lampadario (quelli di tex, per intenderci), a grandi cactus rotondi come cuscini coperti da spine rosse. Tra i cactus volano uccelli blu cobalto che sfavillano al sole. Nel cielo ho visto volare parecchi rapaci di piccola taglia.

Naturalmente i sedili del bus sono mezzi rotti, come il bus stesso. La gente che sale é povera ma spesso molto bella. Credo sia il risultato di qualche miscuglio di sangue con gli indios huichol, una delle uniche etnie indio sopravvissute agli spagnoli.

Ho visto parecchi huicholes: sono vestiti con abiti coloratissimi, ricamati, e portano strani cappelli ricoperti di pon-pon rossi e blu. È gente molto bella e molto riservata. Vendono oggetti fatti con perline colorate schiacciate su un fondo di cera: animali, maschere e oggettini di vario tipo.

Ho conosciuto nel frattempo un giapponese che sta facendo il giro del mondo in un anno. Ci siamo avviati insieme verso il centro. La via principale di Real é affiancata da grandi plastiche blu che coprono bancarelle di ogni tipo. Vendono souvenirs della statua miracolosa di s.Francesco. La statua è esposta nella grande chiesa decorata del centro e viene spesso visitata da pellegrini a caccia di miracoli. Il centro é malandato ma ha un qualcosa di tutto particolare, sembra un set di un film sulla rivoluzione messicana. Non mancano i cani randagi e pulciosi, dallo sguardo intelligente, affamato e spesso un poco triste; lo stesso sguardo di chi non riceve abbastanza coccole (Bruce?). Vi sono cani in ogni città ed in ogni villaggio che ho visitato sinora. Sono davvero tantissimi.

Accettiamo l’invito di due tipi che si offrono di aiutarci a trovare una stanzetta e di portarci a cavallo l’indomani. Tutti gli alloggi sono al completo, è stagione di pellegrinaggio alla statua del santo. Che fortuna!!! Hotel S.Francisco…

…Il santo ci ha messo nei guai, il santo ce ne tirerà fuori? Si.

Rimane una sola camera con un “grande” letto (dimensioni francesi), e senza bagno. Il prezzo è mica male, e chiedo al giapp se gli va di condividere il misero lettino. Poverino, sembra un poco perso… Mi ringrazia e ride, ride di continuo. “eh beh…” penso “che sará mai? é solo un poco strano!” la notte qui è impressionante. Ci siamo recati al cimitero. Davanti alle mura del cimitero si ha una vista mozzafiato sulle colline circostanti. Ci sono dei fuochi accesi: sono studenti messicani che aspettano la notte con una bottiglia di tequila. Ci fermiamo con loro presso il fuoco e arriva la notte. Spunta una luna enorme e piena da dietro al cimitero ed illumina tutte le colline. L’odore di cespugli secchi si fa piú forte la notte, e si mescola con l’odore del fuoco. All’albergo scavalco il giapp e mi addormento subito, malgrado lui russi come un orso in letargo e che mi rubi sempre la coperta di lana che odora di muffo. La luce abbaglia giá alle 7 di mattina. Facciamo colazione per strada. Sotto ad una tenda blu ci offrono due “gorditas”: specie di pitas, o saccottini di tortilla ripieni con quello che vuoi. Davvero ottime. E pói sono arrivati i cavalli,…

La prima tappa era tutta in discesa, su una stradina di pietra giú per una gola profonda. Come al solito i cavalli prediligono il bordo del precipizio… Chissá poi perché sembra loro piú facile scendere da quella parte. Gentilmente li spingi contro montagna e loro se ne tornano sul bordo…E senti rotolare giú i sassi che smuovono con gli zoccoli…

E tu guardi giú il fondo del canyon, ascolti le aquile che gridano e ammiri le montagne piene di cactus che fanno da cornice ai resti di miniere e case appartenenti ad un’epoca ormai sconosciuta e lasci che il cavallo faccia poi quel che gli pare. Al girare una curva il mio cavallo si deve essere spaventato. Si é rizzato sulle sue zampe e non voleva continuare. Gli ho parlato gentilmente e non sí é imbizzarrito oltremodo. Prima che la guida venisse a picchiarlo l´ho convinto a continuare. Qui i cavalli li trattano davvero duramente, povere bestie. Molto presto ho cominciato a soffrire di manco di circolazione e male di chiappe… La donnona messicana che viaggiava con noi invece aveva un deretano enorme e se la rideva divertita. Era la sua prima gita a cavallo e delle selle in plastica durissime non poteva fregargliene meno. Il giapp rideva, come al solito, con la sua risata aspirata e un poco fuori posto. Dopo tre ore di cavallo siamo arrivati nel deserto e la guida ci da il segnale. Finalmente una pausa! “John Grady, un po’ malfermo sulla panca, masticava il cibo con una certa pesantezza. Rawlins lo guardò e disse: Non verrai mica a dirmi che sei stanco, eh? No rispose John Grady. Ero stanco cinque ore fa.” (McCarthy, Cavalli selvaggi.) La guida cammina e sembra cercare qualcosa, il ragazzo del donnone messicano si illumina e mi quarda: “peyote”, sussurra tra i denti esposti in un grande sorriso.

La guida ci chiama .”por aquí! aquí está!”. Lo raggiungiamo.

Piccolo e seminterrato, il peyote è come una arancia verde e piena di pelucchi. “La porta sacra per incontrare gli dei.” Gli stregoni huicholes ne consumano in quantitá importanti, ma solo a loro è permesso incontrare gli dei, e lo possono fare una volta sola l’anno.

Perció avevo deciso di non provarlo. Etica, ma pure un poco di fifa: dicono gli indios che la pianta sceglie chi illuminare… fatto sta che molta gente non sopporta la sostanza e passa due giorni vomitando… Ne ho mangiato un pochino, solo per assaggiarne il sapore amarissimo e farmi passare la sete. Il messicano invece ne ha trangugiati 4 grandi pezzi… Alla fine (dopo altre 4 ore di cavallo) non ne potevo davvero piú ed ho percorso l’ultimo tratto di strada ritta sulle staffe, il fondoschiena ormai coperto di vesciche. Ho guardato il messicano. Mi guarda con sorriso ebete e mi confessa avere solo avuto una prolungatissima e piacevolissima erezione accompagnata da un estremo senso di benessere per tutto il viaggio… mah.

Ultima nota umoristica: il giapp quasi piange quando al ritorno, sedutosi con estrema difficoltà sul sedile del bus, ha visto l’inizio del film che era in programma per il viaggio. Si trattava di un film con Mel Gibson più bello che mai che spronava un cavallo al galoppo! “no more horse riding PLEEEASEEE” . Anche lui ha molto sofferto la sella.

Ora sono a Zacatecas, camera spoglia, triste e molto decadente, ma mi é parso di essere la regina taitú, visto che il giapp l’ho lasciato a San Luis de Potosì e il lettone doppio è tutto per me! La cattedrale churringueresca e le miniere d’oro sono impressionanti. Visite doc.

La mattina, per strada incontri vecchini accompagnati da muli carichi di vasi in ceramica pieni di “idromele”: in verità succo prelevato dalla base dell’agave. Una bevanda nutriente e dolcissima. Ho fatto colazione bevendone due bei bicchieroni chiaccherando con un vecchino davvero simpatico.” “nu chiagne maddalena che dio c’aiuterá e presto arriveremo a Durango”! E’ stata dura ma ci sono arrivata, a Durango.

La cittá non mi sembra ‘sto granché, ma la campagna qui attorno é davvero meravigliosa. Si respira effettivamente aria di western. Mi sono infilata all’ufficio turistico per informarmi sulla fattibilitá di una visita ai set cinematografici di John Wayne e lí chi ti incontro? Un architetto. Ha insistito per mostrarmi i suoi lavori in corso non appena ha saputo che sono ticinese. È un fan dell’architettura del nostro paese, e quando gli ho promesso di mandargli dei libri è svenuto.

All’albergo, la sera, apro la porta e mi ritrovo davanti lui, la moglie e la figlioletta di un anno… “vieni a cena con noi? ” Hanno fatto passare tutti gli alberghi della città per trovarmi! Che sorpresa! Che carini! Cosí mi sono cambiata e sono uscita con loro. Il ristorantino era davvero davvero carino, con mariachi che suonavano dal vivo, un ristorante-patio coperto pieno di piante (banani e ficus altissimi), gabbie piene di canarini cinguettanti, stelle di latta appese al soffitto, maschere di scheletri (come sempre qui in messico scherzano con la morte e ci sono scheletri dappertutto).

Eugenio ed Anahì mi hanno fatto assaggiare un’ottima tequila con del succo di pompelmo e delle specialitá davvero ottime. È stato molto bello e ci hanno dovuto cacciare fuori a pedate nel sedere alle tre del mattino.

La mattina stessa Anahì mi ha scorrazzato in giro per tutti i dintorni. I set western sono divertenti ma un poco deludenti: manca la puzza di cuoio e di cavalli e i set cadono in pezzi.

Unica cosa che non manca, sono i cani randagi e pulciosi di sempre. Ma fanno parte del décor, qui più che mai.

“Nel tardo pomeriggio attraversarono una strada diretta a sud e alla sera raggiunsero il Johnson’s Run, si accamparono accanto ad una pozza d’acqua lungo la riva del torrente in secca, abbeverarono i cavalli e li impastoiarono lasciandoli al pascolo. Poi accesero il fuoco, scuoiarono la lepre, l’infilzarono su un ramo verde e la misero ad arrostire ai margini del fuoco. John Grady aprì la sacca da campeggio ormai annerita dall’uso, tirò fuori una piccola caffettiera smaltata ed andò al torrente a riempirla.” “Rawlins arrotolò una sigaretta, l’accese con un tizzone e si appoggiò indietro alla sella. Sai cosa ti dico? Ci farei facilmente il callo a questa vita.” (Mc Carthy, Cavalli selvaggi) Eh sì, pure io. A parte le selle in plastica delle lunghe cavalcate, questo luogo che sa di cow boys mi ha affascinato. Ci resterei volentieri, ma si deve partire per il sud. Giro di boa. Si parte sul mezzodí con un bus scanchignato i cui freni scoppiano e gracchiano a piú non posso. Per fortuna i finestrini sono apribili e non c’è aria condizionata. Sobbalzando nelle buche (tante) della strada duraghense il bus si é lasciato la cittá alle spalle per entrare in un paesaggio incredibile fatto di conifere pseudo-marittime e ranch di mucche fra campi di fiori gialli. Sembrava la sceneggiatura di “la casa nella prateria”. E poi lì in mezzo a tutta quella pace, ai fiori, alle mucche che li brucavano.. Sblengh stonatura, una bidonville. Qui la chiamano cittadina, ma é una bidonville, né piú né meno. Ora si cambia paesaggio e saliamo su montagne che sembrano massi astratti, geometrici, con gole profonde e aquile che spiccano il volo. Bello davvero. Ma sblengh, altra bidonvillina con bimbi rossi in viso che vendono pesche e fichi d’india. Siamo a 3000 metri, la notte deve fare freddo. Poveri bimbi, coi geloni sulle guance! Ma non ci fermiamo; il bus va ad una velocitá davvero fuori luogo e sembra di essere su di una giostra, curve di qui, curve di lá. I bambini a bordo cominciano a vomitare sui sedili, ma nessuno ci fa caso e lo chauffeur sorpassa sulle doppie linee, in curva e sui precipizi. E i bimbi vomitano. Il paesaggio é comunque una favola. Dopo 6 ore di viaggio, scendiamo dalle montagne, ma dov’é l’oceano? La strada si é radrizzata e i bimbi hanno smesso di vomitare. Fuori non vi sono più i bambini con i fichi d’india. Ora vedo molti venditori di manghi e le conifere hanno lasciato spazio alle palme tropicali. Abbiamo superato un dislivello di 3000 metri e siamo al livello del mare in zona tropicale: fuori fa un caldo bestia. I vetri del bus scottano. Lo chauffeur accende l’aria condizionata e tutti chiudiamo le finestre.

ma l’oceano dov’é? Guardo fuori: un fiume color caffellatte é pieno di mucche e bimbi che fanno il bagno. Si tuffano in acqua dalle schiene dei bovini. E poi ci sono i venditori di mobili sulle loro sedie a dondolo sotto a tetti di paglia, un qualcuno preferisce appendersi un’amaca. E poi alberi di mango e pascoli di capre. Accidenti, ecco un’altra bidonville presso uno stagno di acqua putrefatta, e strade di terra piene di pattumiera,… e sullo sfondo una raffineria.

Ma dove sará l’oceano? Casine casine casine casine casine tuuuuutte uguali con il serbatoio dell’acqua sul tetto che spunta come un fungo e poi casine casine casine casine casine…

Finite.

E l’oceano? Di nuovo casine casine casine, queste più grandi, e colorate. Casine casine casine casine casine casine casine, ma quante!?!casine casine casine casine casine…

Finite Ma dove sará ‘sto cribbio di oceano? Ora ci sono palme. E venditori di mango seduti su delle cassette. Una farmacia e un meccanico, dobbiamo essere vicini al centro oramai. Una discoteca? Allora ci siamo, c’é pure un internet café…

Ecco la centrale dei bus di Matzatlan. E una cappella. Una cappella? Attenzione, perchè qui scatta il segno della croce, e non me lo voglio perdere: Sballonzollati a destra e a sinistra dalle molte buche sull’asfalto, i messicani sono soliti addormentarsi. Spesso perdono l’equilibrio persino seduti sul loro sedile. Ma quando si passa davanti ad una cappella o una chiesa resuscitano e, SINCRONIZZATI COME UNA SQUADRA DI DANZA IN ACQUA, SI SEGNANO DUE VOLTE E SI BACIANO L’INDICE DESTRO!!!!! Anche stavolta non mi hanno deluso. Ridacchio.

È una scena spettacolare che tento di non perdermi mai. Sono lì tutti tranquilli e poi, come telecomandati, ZAC, tutti insieme si segnano! Sono coordinatissimi! Ma insomma dov’é sto oceano? siamo a 100 metri dalla spiaggia, lo so dalla mia cartina, e ancora non lo si vede?! Acquisto il biglietto notturno per Guadalajara e me ne vado alla sua ricerca…

“¡Y ante todo està el mar! ¡El mar!…Ritmo de divagaciones. ¡El mar! con su baba y con su epilepsia. O.Girondo” Che belli ‘sti calzoni che strappi con le cerniere e dientano bermudas! E via le scarpe, giù a sentire l’acqua salata coi piedi. Respiro a fondo. Vedere il mare è sempre stato per me un evento straordinario. L’emozione che provavo da piccola non è cambiata per niente. E il tramonto… Sulla spiaggia abbondano i ristorantini sotto ai tetti di paglia. Mi fermo e comando una specie di zuppa fredda con scamponi, polipo e ostriche con pomodori, cocomeri, peperoni,… Una delizia, anche se ancora non so come la penserá il mio intestino. Io so solo che ne ho piene le scatole di fagioli e pollo! Dormo sul bus e la mattina arrivo a Guadalajara. Non é molto accogliente e cammino molto nelle prime luci della cittá prima di trovare una cameretta squallida e rumorosissima. E poi non si puó fare pipí in ‘sto gabinetto! é troppo vicino al lavabo, e per chinarsi, bisogna abbracciare il lavabo e incastrarsi tra i due.., e non é certo un lavabo nuovo, e nemmeno il water… Mannaggia la pancia, e meno male che ne ho poca! (?)” “Sono scappata da Guadalajara dopo una sola notte. Mi sentivo a disagio, la camera era rumorosissima, la gente strana, ma forse ero solo io. Tanti mendicanti, tanto rumore, tanto caldo, la cittá mi confondeva e mi sembrava truce quando invece dovrebbe essere la cittá allegra che ha dato i natali alla musica mariachi e alla tequila.

Ero tristissima e mi sentivo soffocare. Mi sentivo minacciata da qualcosa, e mi dicevo che se fossi rimasta lì mi sarebbe successo qualcosa di sgradevole. E allora sono scappata come una codarda. Di Guadalajara mi resterà il ricordo per altro meraviglioso dei murales di Orozco e del bellissimo complesso che li ospita.” “La cittadina di Morelia mi ha accolto con un grande sorriso. É una cittá fantastica! tutta di pietra e su due piani, tipica cittadina coloniale. Forse la piú bella che abbia visto sinora. E pensare che qui non mi volevo neppure fermare! Appena scesa dal bus mi sono sentita subito meglio. L’ albergo aveva una stanzetta tutta dipinta di rosa, con un bagno grande dove si puó fare pipí senza abbracciare il lavabo…

A poco più di un’ora da Morelia c’è il lago di pAAtzcuaro, si pronuncia proprio cosí: paaaaatzcuaro, dopo la “a” bisogna mormorare tutto il resto in fretta! E’ un posto dove ancora sopravvive una comunitá india molto interessante. Per una volta il cattolicesimo qui non ha fatto solo che ammazzare: il vescovo Quiroga ha mandato via a calci in culo un conquistador che macellava tutti gli indios, si é stabilito qui e ha dato loro i fondi per sviluppare la loro capacitá nell’artigianato. I villaggi si sono sviluppati in armonia e sono davvero piacevolissimi da vivere tuttora. Quando sono arrivata a Patzcuaro, la mattina presto, il cielo era coperto e la nebbia saliva sulle montagne… Sembrava di nuovo di essere in un documentario. Mi sono diretta al mercato, dove ho comperato uno scialle e fotografato dei macellai. Stavano tutti in fila dietro ad un bancone in piastrelle, e quando mi hanno vista con la macchina foto hanno preso un pettine dai loro taschini e si sono rifatti la messa in piega ridendo. Ho passeggiato per le due piazze principali bellissime (zocalo) ritmate da colonnati in pietra o in legno. Da una vecchina ho comperato del pan dolce e della frutta (2 guayabe, 1 mango e 1 banana). Il guayabe è un frutto piccino dal un profumo favoloso, ma il gusto lascia a desiderare e poi é poco digeribile.

Sono entrata nella grande chiesa. La navata centrale era percorsa da uno sciame di gente che procedeva inginocchiata verso un catafalco circondato da enormi ceri. Sul tavolone ricoperto da tessuti celesti giaceva una statua fatta di mais secco e ceramica raffigurante una madonna sdraiata. La gente, una volta giunta alla statua la toccava e si segnava. Sussurrando con una vicina di banco ho scoperto che quella statua fu fatta fare proprio dal vescovo Quiroga e sembra sia miracolosa dai suoi primi giorni di “vita”. La chiamano “nuestra virgen de la salud”. Fuori dalla chiesa, su una bancarella, ho trovato dei piccoli oggetti in argento che vengono venduti ai pellegrini per chiedere il miracolo… Ci sono braccia, gambe, mani, seni, occhi, cuori, donnine, orecchi, ometti, neonati, e così via.

Ogni stipulante di miracolo acquista un “milagrito” (miracolino) in argento, entra in ginocchio in chiesa, benedice se stesso ed il milagrito toccando la statua, si alza, si dirige dietro alla navata ed appende con un filo colorato il milagrito ad un grande pannello in velluto rosso. E il miracolo è in tasca.

Sono entrata in un negozietto davvero carino e ho visto una statua di questa vergine messicana. Non aveva i capelli biondi e gli occhi azzurri. È messicana davvero, e molto bella.

È stata scolpita dagli indios e ha pure un qualche elemento della loro credenza originale come luna e stelle. La statua mi ha guardato con una grande dolcezza, mostrandomi il suo manto azzurro pieno di oggettini in argento e io mi sono arresa. L’ho comperata.” Taxco, capitale dell’argento. É una cittá abbastanza grande tutta in salita. Le strade, quando non sono trasformate in scale, sono un labirinto, percorso senza sosta dalle piccole maggiolino verdi dei taxi e da bussini urbani di altri tempi. La scorsa notte due messicani sono arrivati all’albergo alle due di mattina e si sono messi a far l’amore. Gridavano e parlavano a gran voce. “Guaaapoooo”, gridava lei “Miii amooorrr” rispondeva lui. Ora, immaginatevi le camere dell’albergo: sono piazzate lungo un corridoio buio e, visto che non hanno finestre, l’unica aria che viene a dissipare un po’ di umidità entra da una finestra grigliata che da… sul corridoio! Gli innamorati avevano preso la camera di fronte alla mia… era come averli lì accanto a me! Dopo due ore di “guaaapo” e di “mi amooor me matàààs” (amore mio mi uccidi…), non sapevo più se ridere o piangere. Non smettevano cinque minuti che tutto ricominciava. Amore latino, mi dicevo. “mais ce n’est pas possibile bordel! Arrêtez où je viens dans votre chambre avec un seau d’eau gelée!!! On veut dormiiiiiiiiiiiiiiiiir! Bordel de merde!” I francesi in fondo al corridoio ne avevano proprio abbastanza! Ne ho aprofittato. “¡dàle, vamos, que somos todos celosos!…¿necesitan ayuda?” E tutto l’albergo è scoppiato in una fragorosa risata. Silenzio.. Ma è durato poco.

Dopo altre tre ore di “guaaapoooo, me matàààss” se ne sono andati. Abbiamo sentito aprirsi la porta… A quel punto tutta l’ala nord dell’albergo si è messa a battere le mani e a fischiare.

Poi il vicino di stanza ha cominciato a russare, e tutti in coro “Nooooooooooo…!” I francesi se ne sono andati stamane presto. Avevano gli occhi pesti e l’umore sotto le scarpe.

“Sono giunta a Puebla, passando per Malinalco: il “il nido delle aquile”, un posto incredibile. Malinalco é un paesotto pieno di chiese coloniali una piú bella dell’altra. Gli spagnoli hanno conquistato questo luogo mentre gli aztechi stavano costruendo il loro tempio piú incredibile, il nido delle aquile appunto. La cittadina é incastrata tra monti e scarpate. Il clima, a quasi 2000 metri, é caldo e umido, la vegetazione rigogliosa, il paesaggio incredibile. Le scarpate fanno eco a qualsiasi rumore della vallata. Nei boschi volano le farfalle… Ma che farfalle! sono tra le piú grandi che io abbia mai visto: quasi come una mia mano, gialle nere blu rosa e marroni. Per arrivare a questo villaggio perso tra le montagne ho dovuto cambiare tre bus.

Sono passata da quello di prima classe a quello scanchignato con la musica folkloristica a tutto volume…: “deee criiistaaal, mi corazoooon es echooo de crissstaaaaalll”,o ancora “yoooo te aaaaamo, te perdí, que tooonto, perooo te amoooooo” …E tacchete… tutti i passeggeri si segnano…(?) Ah sì, abbiamo passato una cappella.

Sono scesa dal bus traballante che ancora vibrava dalla discesa dal monte e mi dirigo ad un hotel piccolino ma carino, consigliato dalla guida.

Sembra chiuso… Busso, entro nel patio tirando una cordina colorata che fuoriesce dalla porta di metallo verde.

Il cortile é pieno di felci e nel centro troneggia un enorme collage di plastiche colorate raffigurante l’ onnipresente “nuestra señora de guadalupe”: la Madonna messicana avvolta nel manto azzurro in piedi su di un disco di luna sorretto da un bimbo. Nessuno. Torno all’esterno e incontro una vecchina di 90 anni un poco sorda. Mi dice che i padroni arriveranno alle sei. Sono le 4 e 1/2. La vecchina mi invita ad entrare, e per un’ora e mezza mi intrattiene. Ha una voglia matta di parlare ed è molto curiosa. Mi offre una sedia rotta e mi riempie di domande, sommergendomi allo stesso tempo di racconti della sua gioventú.

“¿Sos de Mexico?” (dove messico sta per Messico city), “No, vengo da più lontano.” “ah..¿America?, ¿la Frontera?” Tento di spiegarle da dove vengo. “Yo soy europea, me vine desde Europa. Tuve que cruzar el Océano.” Mi guarda perplessa. La sua faccia fatta di rughe profonde come canyons e mobile come la plastilina vibra di indecisione. Gli occhi mi fissano, mentre osservo la mole di rughe che si incrociano e corrono via tra un occhio e l’altro, per tornare a disegnare il contorno delle labbra e disperdersi a centinaia sulle guance. Non ho mai visto tante rughe tanto profonde in un solo viso. Sono belle, in un certo senso mi ricordano le pitture aborigene che illustrano i canti dell’origine della vita.

Non credo abbia mai visto il mare, la vecchina. Allora le dico che ho dovuto salire su un aeroplano e volare per 14 ore. Sorride, le mancano tutti i denti inferiori, peró ha tutti quelli superiori, calcificati e solidi. Un aereo? Si, questo lo capisce, ne ha una idea meno confusa, meno infinitamente lontana.

E’ simpatica la vecchina. “vorrei venire con te e vedere il mare, ma le mie gambe mi fanno male” Solleva la gonna in lana, a tessunto scozzese. Le calze di lana arrivano sino al ginocchio, poi le gambe nude. Sono magrissime e lisce come quelle di un bambina, e il confronto tra le gambe pallide e lisce con la faccia abbronzata, rugosissima e bucata mi viene spontaneo. Continua, la vecchina, e mi dice che non ha famiglia “in questa triste vita, le persone sposate soffrono persino di piú che quelle sole! Vero che é una triste vita?” “diosito non mi ha voluto. Un giorno mi sono svegliata e non potevo né parlare né muovermi. Il parroco mi ha dato l’estrema unzione ..Ed io mi sono ripresa!!!!” Lei lo sa, sulla montagna, dopo varie centinaia di scalini si arriva al tempio: davvero un’emozione grande. Ci vado. Prima di partire tento comunque di convincerla che la via non è per niente triste. Sorride. Sicuramente pensa che ho ancora il tempo per pensarci.

Fate conto che tutto é stato scolpito da una sola pietra. Il tempio, con le sue sculture, i suoi scalini, la sua parte centrale rotonda, il suo banco interno con le statue di aquile e giaguari, tutto é stato scavato da una unica pietra. E non conoscevano il metallo! Come avranno scavato tutto ciò? Con cunei di legno, lisciando poi tutto con la sabbia, come facevano gli egizi? Nella parte centrale del tempio, quella con le sculture, venivano iniziati i guerrieri, che dovevano perforarsi il naso e versare il loro sangue in un apposito buchino circolare scavato nel pavimento…

Mi sono sdraiata sui resti dell’altare sacrificale in cima alla piramide ad ascoltare gli uccelli, che hanno un canto simile ad un pianto (quello degli aztechi o quello dei sacrificati in nome dell’aquila?). Dal paese giù in basso saliva il suono della banda e i rumori della festa e del mercato. Mi sono addormentata e nessuno é venuto a strapparmi il cuore, in nessun senso. Poi sono scesa al mercato. Mi sono offerta un gelato al limon in onore di Paolo Conte.

I mercati sono bellissimi: appendono dei teli di plastica di tutti i colori tra le case, coprendo tutte le vie. Sotto, la gente si siede per terra ad esporre tutta la sua mercanzia: peperoncini, fichi d’india, uva, peperoncini secchi, avocados, melograni, salsicce, trippa, pantaloni,calzini…Insomma di tutto.Ci sono molte bancarelle che vendono strane piadine di pasta di mais farcite di carne, mais, formaggio, o chile. “ “Cari miei, Puebla é veramente carinissima! tutte le case coloniali sono coloratissime, decorate con antiche piastrelle spagnole. Una cittá dalla bellissima atmosfera. Sto imparando a mangiare dalle bancarelle: fanno delle cosine deliziose.

Su un trabiccolo di metallo mettono delle braci e vi posano sopra un disco di metallo. Poi, con una pressa fatta da due dischi anche loro di metallo schiacciano una pallina di pasta di frumento. Ne esce un disco quasi perfetto che posano sul disco di metallo ardente. Mentre cuociono i dischi sopra il disco che é una vera musica, ti chiedono che ripieno desideri. Naturalmente chiedo sempre “algo que no pique”(qualcosa che non sia piccante). Finora ho gustato: fiori di zucca e zucchine, pollo, mozzarella e ciciarón (che non ero io quando parlo poco, ma una specie di impasto di ciccioli di maiale e mandorle), funghi violacei ma molto buoni, patate e pomodori, prosciutto e persino “nopal” (foglia del cactus del fico d’india…). Costano pochissimo e inoltre puoi chiaccherare con la donna che te li prepara. E’ un mondo affascinante, questo delle donne al mercato. Tutte portano lunghi grembiuli pieni di pizzi e le loro mani volano tra la pasta e la pressa con estrema eleganza. Si scottano con dignitá quando girano le tortillas sul disco ardente di metallo, e sorridono sempre. Il mercato di taxco é forse uno dei piú affascinanti che ho visto finora: un labirinto di scale strette che salgono e scendono fra le spezie, le erbe secche, i vecchietti col solito cappellaccio bianco e i sandali che racchiudono piedi neeeeeeeri e unghie neeeeeeeere. E poi pesce, e mazze che volano a tranciare teste e code di pesce, e verdura e frutta attorniate da nugoli di vespe felici, e plastiche, penne, fogli e cartelle scolastiche, e tessuti e cappelli, stivali e sandali, tovaglie e grembiuli, e pokemon e snoopy (che loro chiamano “esnopi”).

In albergo, la sera tutto ad un tratto la luce si è spenta.”.¿..Che pasa?” mi dico, visto che spesso ormai mi ritrovo a pensare e sognare in lingua spagnola… Esco in corridoio e mi scontro con due inglesi attoniti in piedi in mezzo all’atrio con le pile in mano. “do you speak spanish? Could you please ask them what’s going on?” mahh… Scendo le scale e chiedo al custode cosa sia successo. Un cavo si é bruciato ma l’elettricista non verrá, é quasi sicuro…Mañana. Eh si, siamo o non siamo in Messico?! Ho comunicato la buona novella agli inglesi. Ci siamo fatti una bella risata e ci siamo seduti nel mini salotto dell’atrio al primo piano. Loro stanno facendo uno pseudo giro del mondo in nove mesi. Mi raccontano di bus e treni cinesi. Ad un tratto spunta la testa bionda di un finlandese, e poi quella della sua ragazza. E cosí la panne d’elettricitá ci riunisce nel buio ed a lume di torcia chiacchieriamo per quasi tre ore. “caaaldo caaaldo caaaldo, Oaxaca, …Questa è la capitale di molte leccornie fatte di salse di cannella e peperoncino e cioccolata e pollo e maiale e tante altre cosette che non mancheró di provare domani al mercato affollato, colorato, vociante ed allegro.

Sono contenta, l’ostello è pieno. È bello incontrare un po’ di gente col sacco in spalla, dopo tre settimane di mezza solitudine. Entrare in un ostello affollato é come pagarti una truffe in una cioccolateria di Parigi in un periodo di dieta.

Ho fatto un lungo viaggio in bus per arrivare. Al terminal si incontrano spesso vecchine che chiedono informazioni di viaggio tutte agitate. Dicono che non ci vedono bene e non riescono a vedere l’orario sul biglietto. So benissimo che non sanno leggere, ma schiaccio un poco gli occhi anch’io e dico che é davvero scritto molto piccolo ma che no, ancora il bus non é stato annunciato, che non si preoccupino, che chiamano sicuro fra 15 minuti, la avvertiró signora, 4 orecchie sono meglio di due. E ridono ridono le vecchiette con i loro enormi cesti di vimini colorati pieni di chissá quale mercanzia.

Sul bus mi ritrovo accanto ad un predicatore della bibbia…

molto gentile. Aprofitto per chiedergli perché la patrona del Messico, la vergine della Guadalupe, ha una luna sotto ai suoi piedi. Come pensavo, la figura della vergine di Guadalupe nasce da una mescolanza di cristianesimo e culti indigeni. La vergine dagli occhi azzurri si è fatta nera e messicana, ed il suo manto si è riempito di astri. Luna e stelle azteche fanno da sfondo ad un volto dagli occhi neri e la chioma di pece.

Gli ho detto che trovavo bello che la vergine assumesse nel mondo vari volti e che non fosse sempre bionda e con gli occhi azzurri. La vergine é un sentimento di bellezza, e quindi non ha una sola forma.

Mi ha guardato come fossi una marziana un poco scettico, ma non ha saputo rispondermi. Mi ha detto che i cristiani hanno la veritá e che tutto il resto é idolatria. Poi, visto come lo guardavo, si é corretto un poco e per finire mi ha detto che avevo ragione e che é una cosa a cui pensare, questa del fatto che la divinitá sia un sentimento.

Ho mangiato al mercato, dove una ragazza mi chiedeva di tutto, da quante sorelle avessi a dove vivo, a come viaggio…Tutto mentre mi serviva pollo col mole (salsina strana dai vari ingredienti), per fortuna non troppo piccante. Prima di servirlo, la cuoca mi ha fatto entrare in cucina ad intingere il mio indice nell’ enorme pentola del mole per farmelo assaggiare!!! Due limonate e via. Le cavallette fritte e cosparse di chili non sono riuscita a provarle. Ero tentata… giusto per provare… ma no, non ce l’ho fatta. Eh lo so che dopo che ho mangiato il vermone del legno in australia con gli aborigeni mi avete creduto capace di ogni schifezza, ma i “chapulines” non ce l’ho proprio fatta ad assaggiarli.” “Monte Alban.

Il luogo è di una calma che sfiora l’inquietudine.

ho avuto subito la sensazione che questo luogo abbia davvero molto a che vedere con Teotihuacan. A prima vista sembra essere tutto diverso, ma ci sono le stesse regole di movimento. Non so come esprimerlo, ma gli edifici, per la loro posizione e la loro costruzione, creano movimento e luoghi di transizione e poi luoghi di raccoglimento, rivelando sempre nuove e sempre più stupefacenti prospettive.

Queste piramidi, a differenza di quelle egizie, ti prendono e ti lanciano contro il cielo, buttandoti tra gli astri. Una specie di elicottero. A tratti spariscono, per poi riapparire ad un tratto, prenderti e lanciarti sù e poi sù e poi sù. In egitto le masse delle piramidi mi sono invece sembrate immobili ed eterne ed intoccabili. Qui le masse sono uno strumento di movimento.

Sono poi tornata in città a vedere la chiesa di Santo Domingo: taaaanto oro che ti abbaglia. Tutto l’interno è un bagliore, statue di santi in legno dipinto su altari dorati coperti da stucchi d’oro. Davvero impressionante. E pensare che il secolo scorso questa chiesa era usata come stalla e deposito di viveri dallo stato!!! questi messicani sono davvero pazzi.” “cercado de flores entre flores amarillas y rojas brincan los pájaros, un sol purpureo trajina cantos celestiales.

cerco alegre, jardin de flores, cuando le pedirás a dios que deje caer la lluvia.

tengo árboles de cahimbo y chicozapote en el jardin de mi casa, donde llegan los niños ratones a comer frutas que corresponden a mi familia.

cerco alegre, jardin de frescor sublime consigame una hamaca para recostar mi sueño.

la risa te ganara si vieras al sol atorado del pescuezo en el cacalosuchitl.

el colibri y la flor conversan mientras las mariposas se la pasan espiando.

cerco alegre, jardin de flores, cuándo le pedirás a dios que deje caer la lluvia.

Il messaggio di oggi è questa favolosa poesia indigena, forse maya, tradotta in spagnolo per il museo di Oaxaca. Godetevela.” “Eccomi in Chiapas, nel mezzo delle montagne della guerriglia di zapata. L’ambiente è molto calmo e gli indigeni sono vestiti di cose coloratissimissime e sono molto belli, specialmente le bambine, come al solito.

Il viaggio è stato duro, una notte intera sul bus con conducenti che cantano a gran voce mentre guidano a grande velocità lungo le strade tortuose della costa pacifica. Qui mi mettono semplicemente i bambini tra le braccia. Le donne mi guardano e mi danno i loro bimbi da tenere se devono occuparsi d’altro, come comperare un biglietto o fare la pipì. Ed è successo anche oggi, quando mi sono coccolata una fatina dagli occhi neri come il carbone mentre la sua mamma, alla stazione degli autobus, andava al bagno.

E intanto penso a te, Margherita, amica mia. Con la tua nuova bimba tra le braccia. Spero di vederla prestissimo e coccolarmela per almeno due ore! Goditi le notti calde d’estate sdraiata finalmente sulla tua pancia ora vuota e leggera! A Oaxaca ho incontrato una ragazza inglese: Cathy. Abbiamo deciso di proseguire insieme sino a Merida. La nostra avventura è cominciata a Zipolite, piccolo villaggio di pescatori sulla costa pacifica. Siamo arrivate a Zipolite che già era buio, ma la signora Tomasa aveva una capanna col tetto di paglia per noi, munita di zanzariera a tenda sopra il letto. Abbiamo mangiato un guacamole e siamo andate a dormire cullate dal rumore assordante dell’oceano.

I due giorni seguenti ci siamo godute il relax sulle amache, i salti tra i cavalloni che ci travolgevano, mandandoci a capriole sott’acqua. Godevamo soprattutto le docce all’aperto e la cucina della signora Tomasa.

Ho fatto una scorpacciata di pasta con gli scampi, birra fredda fredda, oceano e nuvole.

Mentre eravamo lì, senza preavviso sono spuntate dalla sabbia vicino al mio piede destro delle tartarughine di mare!!! Con la signora Tomasa, aiutati da tutti i bambini del villaggio abbiamo allontanato i cani e scavato nella sabbia per mettere in luce un nido!!! Abbiamo raccolto le neonate in due grandi bacinelle, salvandole così dai molti cani della spiaggia e dagli uccelli. Tomasa se ne occuperà sino a quando le tartarughe saranno abbastanza grandi da cavarsela senza essere mangiate. “Quando ero piccola, le tartarughe non erano una rarità, ma adesso i miei figli devono imparare a conoscerle. Solo così le rispetteranno un giorno.” Santa Tomasa. Che emozione tenere le piccole tartarughe tra le dita, mentre ti accarezzano con le zampette a spatola ! Ora siamo a San Cristobal de las casas. Foresta del Chiapas.

Abbiamo visitato due paesini nella foresta qui attorno ed è stato molto interessante davvero. Qui cattolicesimo e la religione derivante direttamente dalla popolazione Maya preispanica si fondono per creare riti e credenze a dir poco affascinanti. Il pavimento in pietra della chiesa di epoca coloniale è cosparso di profumatissimi aghi di pino e candele. Gli indios Maya sono accucciati per terra e pregano mangiando pop corn, bevendo rum e coca cola, sacrificando polli. Ci sono uomini seri e scuri in volto e le loro donne con i bimbi sulle spalle avvolti in scialli coloratissimi. Non mancano le statue simili a vere mummie, coperte di specchi e avvolte in nastri colorati. I santi che non hanno elargito miracoli in numero sufficiente vengono spogliati dei loro nastri colorati e degli specchi e messi in castigo sulla parte sinistra della chiesa. Chiesa che non ha panche né sedie. La navata è decorata con aquile e giaguari.

I vestiti tradizionali maya sono elaboratissimi tessuti ricamati e fabbricati a mano. Mille colori, tanto rosso e magenta, una enormità di fiori. Una giornata piena, commovente fin nel più profondo, ed affascinante.

“Palenque. Per arrivare qui oggi siamo scese da 2000 metri s/livello del mare a 80… Il bus correva tra le curve … stomaci abbastanza contrariati per tutte le 5 ore di viaggio. Fuori nella campagna i bambini correvano per le coltivazioni di banane o si tuffavano nudi e contenti nell’acqua dei fiumi. Quando siamo scese dal bus per poco non sveniamo dal caldo! Un meraviglioso compatto e soffocante caldo da giungla.

Un caldo “apostrofante”, nel senso che ti taglia in due e ti lascia lí con il fiato sospeso a vedere cosa succederá.

Con Cathy abbiamo deciso di andare a dormire fuori Palenque città, e nella giungla abbiamo trovato un villaggetto di capannine a buon mercato. Abbiamo affittato la capanna “colibrí”. Un posto da sogno, pieno di fiori della giungla rossi come il sangue. Milioni di zanzare si sono subito gettate su di noi. La capanna era molto bella e molto foderata di zanzariere, fuori la giungla è piena di scimmie urlatrici, colibrí, tucani e serpenti. Non abbiamo visto niente di tutto questo, ma sapevamo che c’erano.

Cena sotto la grande tettoia di paglia del bel ristorante. Un piatto di riso, pesce di acqua dolce e verdure strane del posto. Alcuni cubani si sono messi a grattare le loro zucche secche seghettate e Cathy mi ha guardato divertita mentre cantavo a squarciagola le canzoni habanere insieme a loro.

Il giorno dopo, alle sei di mattina eravamo giá sulle rovine di Palenque per vedere sorgere il sole dal tempio… del sole (di per l’appunto).

Una giornata favolosa, passata anche grattandoci le gambe e ririempiendole di antibrumm. L’umiditá credo fosse al 99%, e la temperatura attorno ai 40 gradi… Un forno umido terribile! A mezzogiorno eravamo giá da tempo al riparo della selva. Ci siamo tuffate in una cascata di acqua fredda fredda che abbiamo incontrato sul percorso. La chiamano “El baño de la Reina”. Ci siamo sentite nel nostro elemento. Nude e felici.. Tanto non c’era nessuno! Il giorno dopo alle 6 di mattina giá aspettavamo il bus che ci ha portato alla frontiera guatemalteca. Il furgoncino ci ha portate al grande enorme fiume di frontiera dove ci hanno caricato su una barchetta lunga e stretta col tetto di palme secche. Il ragazzino alla guida ha evitato quasi tutti i grandissimi mulinelli che si formano nell’acqua fangosissima di questo enorme fiume: l’Usomacinte. Sulle sue rive donne messicane e donne guatemalteche lavano i loro panni… La barca si é avvicinata alla riva guatemalteca e ci ha fatto scendere. Cathy confonde subito il grugnito di un enorme maiale nero per il suo stomaco. Ho capito,… è affamata davvero! Al posto di frontiera un olandese matto come un cavallo si é messo a fare i capricci perché non voleva pagare 5$ ai doganieri guatemaltechi. Sopra la sua testa erano appese le foto con i brutti ceffi dei delinquenti ricercati in Guatemala. Alcune foto erano state tracciate con una croce. Quelli erano stati presi, o uccisi, chissà. Noialtri ci siamo guardati come per dire “ma questo é proprio un imbecille!” ed abbiamo tirato fuori 5$ ciascuno mettendoli bene in vista, come per dissociarci da questo suo comportamento.

Quando il doganiere si é davvero arrabbiato, ha pagato.

E noi abbiamo tirato il fiato.

Aspettando che comparisse l’autista del bus per Flores, e poi aspettando che bevesse le sue birre, abbiamo passato un po’ di tempo con i bambini del posto: ho disegnato una qualche scemenza sul mio diario, divertendomi a guardare le loro espressioni, mentre da un cerchietto facevo nascere un viso, i capelli, una manona, un pesce, un gallo. Ad ogni figura nuova ridevano tutti tantissimo. “Disegnami ancora un pollo! Ma nooo, hihihi, non lì, nella mano del ragazzo coi ricci. È il tuo “chico”?” Eh si certo che è il mio chico. Che te credevi, che disegnassi il tuo? E chi è il tuo chico? Lui? Lo disegnamo? Il bus ha percorso strade di terra battuta per 3-4 ore, cotonando tutte le nostre già fantastiche pettinature di polvere. Siamo passati nel bel mezzo di una campagna favolosa, piena di palme da cocco e banani e quelle strane colline rotonde ed appuntite.

Il bus si é riempito di gente del luogo, raccolta nei paesini colorati dove tutti girano in biciclette sgangherate o passano le giornate nelle amache. Cathy ed io abbiamo deciso di lasciare subito Flores per preferirle il villaggio di “El Remate”, un villaggeto di pescatori delizioso, dove si mangia su terrazze di legno a lume di candela (la luce se ne va spesso a spasso.. E si rimane al buio), dove le bambine vanno al lago a lavare i panni e tornano a casa con grandi vasi colorati pieni di acqua in equilibrio sul capo.” “Le rovine di Tikal sono tuttora immerse nella giungla. Passeggiando nel mattino il nord non si sa dove sia, sei costretto a seguire il sentiero senza sapere se stai girando a vuoto. Segui i cartelli, e gli alberi sono pieni di tucani e scimmie di tutti i tipi. E questi li abbiamo visti davvero. Poi, tutto ad un tratto, appaiono i templi da dietro le palme e le felci!!!! Un’emozione grandissima. Ci siamo arrampicate sul tempio numero 4 appena in tempo per vedere le nebbie del mattino dissolversi sulla giungla e le scimmie urlatrici riempire la selva con le loro grida, mentre là in fondo sorgeva il sole. Dalle cime degli alberi spuntavano le cime degli altri templi, con le loro creste bianche e dignitosamente deboli rispetto al verde lussureggiante dell’oceano di foglie.

La sera abbiamo mangiato un ottimo piatto di pasta e verdure al lume di candela, con la luna piena che si rifletteva nelle acque del lago e un prete nella chiesa accanto (una baracca cadente) che urlava nel microfono che dio ci ama.

Gli ho creduto.” “Lasciato il Guatemala ed attraversato il Belize per rientrare in Messico. Case di legno coloratissime, uomini neri come cubani o giamaicani e tante isole sulla barriera corallina al largo del mar dei caraibi.

Adesso siamo nei caraibi messicani. Oggi mi sono tuffata nelle azzurre acque caraibiche con delle pinne, una maschera ed un tubo, direttamente dal ponte di un enorme catamarano! Abbiamo fatto snorkeling nella corrente che ci portava dolcemente lungo tutta la barriera corallina fra le piú belle del mondo. Sotto di noi, a un 5-15 metri, abbiamo visto pesci angelo, Barracuda a frotte, branchi di pesci blu e rossi, neri a puntini blu, trote di corallo,…E molti molti pesci di diverse forme e colori. Era cosí affascinante che spesso prendevo fiato e pinnavo giú sul fondo a veder i coralli da vicino. Siamo persino andati su un muro di corallo, e dall’altra parte si sprofondava nel blu fino ad almeno 80 metri ed era tutto blu blu blu profondo. Poi Cathy ed io siam saltate sù sul traghetto ed abbiamo lasciato l’isola di Cozumel senza rammarico estremo. Infatti Cozumel è piena di americani chiassosi e stranamente poco cordiali, sbruffoni e comandori, che mi é venuto un rigetto. Volevamo in effetti scappare al piú presto da questo paradiso terrestre invaso dai “gringos” che parlano a voce troppo alta, necessitano sempre un intrattenimento o qualcuno che li applauda o che gli faccia cantare una canzone. Avevamo voglia di silenzio e di fagioli nelle tortillas. Basta aria condizionata al massimo e pankakes!!!! Per caritá, parlatemi in spagnolo e fatemi soffrire il caldo nei ristoranti dove vige la regola del ventilatore a soffitto traballante, con le sedie e i piatti di plastica marrognola!!! Una volta arrivate a Playa del Carmen però, invece di andare al bus terminal, ci siamo lasciate affascinare dalla spiaggia ed i bar aperti fino a tardi, coloratissimi e pieni zeppi di tequila, birra e ventilatori. Così ci siamo scambiate un’occhiata e siamo entrate in una pensioncina nascosta dove la padrona, ballando la salsa ci ha fatto un grande sconto sul prezzo della camera. Abbiamo passato due-tre giorni sulla spiaggia e tra le onde turchesi del mar dei carabi riconciliandoci con il mondo. Ieri poi è stato divertente scoprire la seconda vita della nostra pensioncina sulla spiaggia: stavamo facendo la nostra pennichella serale in camera, quando abbiamo sentito molte donne recitare il rosario… Ma visto che eravamo addormentate e rimbambite dal sole non ci abbiamo fatto molto caso. Quando poi ci siamo svegliate completamente e siamo uscite in veranda abbiamo visto una ventina di donne sedute di fronte a due tavoli di plastica. Nel mezzo faceva la sua bella figura una statua della vergine del Carmelo, con due candele e alcuni gingilli, e fiori tra le dita. La padrona, che aveva smesso un attimo di ballare in occasione della festa della vergine, ci è venuta incontro, ci ha baciato con trasporto e ci ha presentato la vergine. Siccome il rosario era finito, era tempo di riempire lo stomaco e non solo lo spirito. Così siamo state invitate, ci siamo sedute tra le donne ed i bambini e abbiamo mangiato una qualche “empanadas”con loro.

Dopo un po’ tutte se ne sono andate, chi a pulire la casa, chi ad accudire ai figli, chi a bere rhum e ballar la salsa (la padrona della pensione fa parte di questo ultimo gruppo…! è sempre ubriaca!) Adesso Cathy è in spiaggia perchè è mortificata dal pallore inglese della sua pancia. Io già mora so’.” “L’arrivo del veicolo per Cancun-Chichen Itzà non ha orario. Bisogna solo attendere e sperare che una volta arrivato, abbia poi voglia di ripartire. Ma poi la stazione ha un sacco di ventilatori e vedere i turisti in arrivo e in partenza è spesso fonte di momenti ilari assai.

Stiamo lasciando Playa del Carmen, e la padrona della pensione é venuta a salutarci mentre facevamo i bagagli. È entrata ballando a ritmo del paio di rhum che aveva giá bevuto e si é messa a spazzolarsi i capelli con la spazzola di Cathy davanti allo specchio, muovendo le chiappe di qua e di la come una vera ballerina cubana… Di 50 anni.

Poi ci ha baciato calorosamente augurandoci una vita formidabile e se n’é andata ancheggiando a ritmo della canzone in voga qui: “suaveciiito, besame suavecito”…

Siamo partite su di un bus di seconda o terza classe per Cancun, dove non ci siamo fermate. Il bus era pieno di gente da scoppiare, e Cathy ha passato due meravigliose orette accanto ad una mamma con neonato dall’odore pungente di latte andato a male… Con questo caldo l’odore di bebé diventa qualcosa di particolarmente spiacevole.

Siamo scese che il bus era stato ridotto ad un pessimo stato da rifiuti di ogni genere, dai semi di zucca mangiucchiati e risputacchiati, alle lattine di coca e alle chips. Per la gioia dei nipotini miei adorati, vi comunico che no, niente sputi per terra. Quelli no.

Un altro bus della stessa classe ci ha portato sino a Piste, un villaggino presso le rovine di Chichen-Itzá. Abbiamo trovato una camera davvero bellina bellina in un bungalow dal tetto di paglia e con i muri dipinti: giungla, fiori, pappagalli e giaguari. Ventilatore a soffitto, bagno privato e due mega lettoni con enormi baldacchini-zanzariere. Ci siamo sentite due principesse. Aprofitteremo che domani è domenica, e come al solito non si pagano i siti archeologici. Risparmieremo sul biglietto d’entrata a Chichen Itzà, biglietto carissimo (quasi il triplo di tutti gli altri siti): vili calcoli da “mochilleros”(viaggiatori con lo zaino, …In poche parole avaracci).” “Stamattina siamo andate alle rovine, presto presto che il caldo qui é abbastanza soffocante, data l’umiditá vertiginosa. Le rovine erano molto belle, siamo salite subito sul “castillo” ed abbiamo ammirato la bellissima vista sulla foresta bassa circostante, poi abbiamo girovagato per un 5 ore tra i palazzi ed i mercati del passato, fotografato i templi con i bassorilievi di teschi umani, aquile e giaguari che si sbaffano con estremo piacere cuori umani. Nel campo del gioco della palla piú grande del mesoamerica abbiamo ammirato altri bassorilievi di giocatori vincitori e vinti, con o senza la loro testa .

Passavamo camminando con aria innocente e rapita da un gruppo di spagnoli ad un gruppo di italiani a quello dei francesi a quello tetesko, rubando informazioni da ogni guida (sempre per la legge dei “mochilleros”, poi io traducevo a Cathy, che mi ha offerto una “negra modelo” quella sera stessa, quale paga). Questo ci ha permesso di scoprire qualche curiosità senza però legarci ad un tour con guida, che alla lunga è sempre un pochino noioso, oltre che costoso.

Un budello umido e caldissimo, a tipica volta maya, ci ha permesso di scoprire una piramide sotto la piramide del Castillo. Alla fine del cunicolo un tempio custodisce una bellissima scultura di giaguaro ancora completamente dipinta di rosso (il colore degli dei) a puntini blu.” “Sono a Merida, Yucatan, e devo dire che Cathy ed io siamo felici di essere tornate in Messico. Mi sento meglio qui, in una ennesima cittá coloniale, con ristoranti dalle sedie di plastica, i ventilatori a soffitto e i piatti dalla dura plastica beigina…Che non mancano mai.

Questa città strana ha pure un certo profumo cubano, siamo infatti a pochi chilometri dalla grande isola coccodrillo!!! Ho visto vendere molti Cohiba e Monte Cristo, e credo proprio che domani sera mi fumeró un Cohiba, perché no? Penseró forte forte a Daniel e al maestro del Daiquiri che ci accendeva i Cohiba nel bar di Hemingway. Penserò ai bar dove, fumando Cohibas bevemmo tanto rhum, persi nei canti del Che e nel progetto di restauro di quella bella casa su Paseo del Prado. Chissà come stanno Augusto e le sue aragostine, Alexander dagli occhi di smeraldo, Luz e la sua salsa, le bambine, gli architetti dello studio statale e tutti quanti… Cathy comincia ad accusare la stanchezza del viaggio. È in viaggio da nove-dieci mesi: Nuova Zelanda, Australia, Giappone, Tailandia, Borneo, Messico… Ora ha malinconia di un armadio e di scarpe che non siano i suoi sandali teva. I suoi sandali le hanno tramutato i piedi in due cose a striscie nere e bianche: dove il sole ha raggiunto la pelle, ora sono quasi neri, ma dove il sandali teva hanno stretto la loro impietosa morsa.. Beh, bianco latte. Ogni volta che voglio fotografare i suoi piedi da giro del mondo, scappa ridendo. Non ce la farò mai. E pensare che in Borneo si è pure dipinta le unghie di blu oceano, e lo smalto brillantinato ancora si vede un pochetto! Sarebbe una foto storica, ma lei non me lo permette. I suoi piedi raccontano di mille avventure. Ci sono i segni delle sanguisughe della nuova zelanda, le vesciche degli scarponi, i graffi degli scogli, .. Niente da fare. Non trova che la cosa sia tanto poetica. Scappa.

Ha voglia di vestiti diversi e olii pro fumati, la povera povera Cathy, ma ha ben poca voglia di inghilterra!!!! e soprattutto ben poca voglia di tornare a lavorare.” “Ma avete visto la catastrofe? Forse siete già a nanna, ma credo proprio che le nortizie dell’ultimo minuto abbiano fatto rizzare i capelli in testa a tutti quanti.

Qui, camminando per le strade, tutti i negozi, bar e uffici hanno la televisione accesa e scuotono tristemente la testa. Molta gente qui ha parenti che lavorano a New York.

Che angoscia.

Avrei tanto voluto portarti lassù, Dani. Te lo avevo promesso. Ti dicevo “vedrai, ti porto a New York, andremo da Gaspare e dai suoi figli altissimi, ci prepareranno un party messicano ed inviteranno la loro amica nera che ha una voce da sballo. Poi ti porterò là in cima, e sentirai la potenza del metallo che si muove sotto ai tuoi piedi, tanto da farti perdere l’equilibrio. E ci metteremo lì a guardare tutto dall’alto, quasi fossimo gabbiani.” Mi dispiace tanto non poter tener fede alla promessa. Ma andiamoci lo stesso a New York, dai? Ditemi cosa si dice al di là dell’oceano. Sono sotto shock, così come Cathy. Una frase sola scivola fuori tra i denti di tutti i messicani: “ed eccola: la terza guerra del mondo è arrivata.” “Ultimo giorno a Merida, Ma cari miei, tutto il mondo sembra tingersi di sangue ogni minuto che passa.

Proprio ieri Cathy ha avuto notizie di altre sparatorie nella giungla e di turisti morti presso San Cristobal. A sentire queste cose ci si é un po’ accapponata la pelle… Eppure San Cristobal de las casas e Palenque ci sono sembrati paesi piú che civili e tranquilli. E invece sangue sangue e ancora sangue. E ancora oggi non si può passare davanti ad un bar senza vedere in tv tutte quelle immagini di gente che si butta dalle finestre al 100mo piano, l’aereo che finisce contro i gemelli, e quelle meravigliose due torri che vengono giú con tutta quella gente dentro! Ancora non ci credo.

Con Cathy poi siamo andate a mangiare qualcosa la sera, ma ci veniva solo da piangere. Ho avuto per fortuna notizie di Gaspare, Martina e Patrick, tutto ok, stanno bene. Grazie a Dio. Gaspare ha assisito piangendo a tutto quanto dalla sua terrazza sul tetto, da dove si godeva una vista mozzafiato su tutto lower Manhattan (e se me la ricordo!). L’aereo che arrivava, il botto, il fumo, il crollo.

Ora pare che sia tutto silenzioso. Mi sembra strano pensare a quella stanza dove ho dormito senza il rumore delle sirene della polizia o di qualche pompiere, i clacson delle auto, il rombo dei bus…” “Uxmal.

Questi Maya erano davvero dei decoratori del diavolo! Si mettevano tutti insieme, e con un delicato e superbo lavoro a catena creavano delle sculture-mosaico di fattura davvero eccellente. Tutte queste pietre scolpite servivano da pannello, un pannello di pietra all’interno del quale poi colare il cemento. Un pannello che (al contrario delle nostre tavole in legno) non si butta e che decora l’edificio allo stesso tempo. Altro che facciate in pietra applicata! Ingegnoso… come fare tutto con un solo gesto ed un solo materiale.

Muri grossissimi e lisci sostengono la parte decorata. Tutto si sviluppa in diagonale verso l’esterno. Praticamente hai l’impressione che ti cada addosso parte dell’edifico, con tutti i suoi sghiribizzi di aquile, teschi,serpenti, nidi di rondine e pippistrelli vari che vivono con le rondini in questi luoghi meravigliosi e terribili.

Uxmal? Mille immagini di nasuti dei della pioggia.” “Cathy è partita per Città del Messico. Io domani me ne vado a Campeche, la patria del pirata gamba di legno. Il tempo stringe ora. “ “Campeche, cittá di pirati. Ma lo sapete che é una meraviglia? La cittá coloniale é dipinta di mille colori pastello e vivaci. Tutte le case sono state restaurate quando la città é stata dichiarata patrimonio dell’Unesco. Una cittadina piacevolissima sul golfo del Messico, piena zeppa di pescatori. Le barchette, che assomigliano a piroghe ma un poco piú grandi, sono provviste di lenze lunghissime in bambú. Oggi mi piacerebbe fare il lungomare sino al porto dei pescatori e mangiare in una di quei loro ristorantini tutto-plastica. Il caldo qui é davvero pazzesco, non pensavo ormai fosse più possibile peggiorare il caldo dei giorni scorsi, ma qui si é costantemente bagnati fradici dalla testa ai piedi!!! La notte mi sistemo sul letto senza nemmeno disfarlo per avere piú cotone tra me e il materasso disastrosamente caaaaldo. Mi piazzo con gli arti a raggiera (tipo un ragno), esattamente sotto al ventilatore per prendere il massimo dell’arietta sventolata dal prezioso aggeggio. Son cosí stanca che giá alle 9.30 dormo. Oggi é il 15 di settembre, e come tutti sapete (..???!) il 15 di settembre é la festa nazionale messicana. La gente gira per le strade a cavallo, con sombreri e vestiti ricamati, sventolando le bandiere messicane, suonando trombe e trombette. Mi son fatta 8 km a piedi sotto al sole, ed ho raggiunto il forte di San Miguel. Questo forte é la sede di un museo incredibile con le maschere di giada le piú impressionanti che io abbia mai visto…(ma poi io di maschere di giada non ne avevo mai viste!!!!!!). Le maschere funerarie sono composte da mosaici di pietre di giada e riproducono un viso umano con una delicatezza indescrivibile. Le labbra sono di corallo, gli occhi di conchiglia e ossidiana, i denti di conchiglia. Una cosa da svenire dalla bellezza.” “Sempre Campeche, sempre un caldo della miseria. Sudatissima girogagavo annoiata nella cittadina deserta. È la domenica dopo il giorno dell’indipendenza: girano solo poche mamme con bimbi piangenti perchè hanno sonno, o sete, o vogliono gelati.

Stasera prendo l’autobus alle 19.00 e ci starò per ben 18 ore, prima di raggiungere Città del Messico. Ieri alle 21.00 mi sono diretta in piazza, dove un gruppo di Mariachi cantava canzoni tragiche di amori spezzati, morti o lontani. Iniziava la festa dell’inipendenza messicana.

La piazza si è andata riempiendo rapidamente di gente che mi arrivava si e no al petto… Qui sono più piccoli ancora che nel resto del Messico! Con i miei 175 cm ero la più alta, o quasi, in tutta la piazza!!!! Mi sentivo un poco in colpa per essere così grande e così davanti… Così ogni tanto lasciavo il posto a una mamma con il figlio attaccato alla tetta…

È poi arrivato un cantante chiamato “angel”, in tutto e per tutto la versione campechana dell’italiano Nino D’angelo, persino nel nome. Cantava come i Mariachi canzoni tradizionali di amori persi, morti o terminati tragicamente. Sulle note di “cooomo te vaaa mi amooor, comooo te vaaaaa,” (e poi non mi ricordo…) “te encontràs bieeeen mi amooor, sin engaaaañaaar, que desde que te fuiste ammmoooooor, a mi puerta el amoooor nuncaaa volviòoooo” (o qualcosa del genere…) anche il cielo ne ha avuto abbastanza ed è venuto giù un acquazzone tropicale! La gente è corsa tutta sotto a tendoni improvvisati, mentre il cantante si complimentava con noi che poveretti non avevamo un tendone… E ci tacciava di coraggiosi amanti della buona musica…Mah…Mi è parsa un po’ una beffa…

Mi sono goduta la pioggia in tutta la sua frescura, l’acqua mi ha rinfrescato bene, e quando ha smesso di piovere l’angelo ci ha fatto asciugare in due minuti ed il caldo è tornato a farsi asfissiante..

poi è stata la volta di noiosissimi ballerini pseudo-maya-aztechi-che non si capiva bene, saltellanti su piedi calzati da sandali di daino e caviglie agghindate di campanellini ricavati da speciali noci, piume in testa e vestiti luccicanti di lamè dai colori più sgargianti.

Dopo di loro sono arrivati i Mariachi veri e propri: e cioè IL MARIACHI più famoso della zona: “aguila del mar”. Non vi dico il gruppo… Dunque, tutti piiiiccoli, tanto che gli strumenti erano quasi più grandi dei musicisti! Il chitarrista, a cui calava la palpebra, sembrava avere un pezzetto di scotch attaccato alle dita, e scuoteva queste dita corte corte sulle corde della chitarra come per disfarsi di quello scotch antipatico ed irriverente. La sua mano era l’unica cosa che si muovesse.

Se ne stava ferrrrmo ed immobile davanti al suo microfono, dove ogni tanto lanciava un fischio da cow boy per animare la canzone. C’era poi una specie di contrabbasso antico da passeggio, come il suo suonatore dalla panza che sfondava il gilé. I due trombettisti erano i più svegli, uno dei due portava degli spessi occhiali da sole, simili a quelli portati dal poliziotto messicano di “chips”, ve lo ricordate? Pareva un vero mafioso, con quel vestito pieno di nastri colorati e bottoni d’oro sul velluto nero! Poi c’era il violinista, …Secco e vegliardo come il suo violino, che già non suonava quasi più. Secco e magro, con la palpebra quasi del tutto abbassata, pareva doversi addormentare da un momento all’altro. E il cantante?????!!!! Aguila del mar era vestito di bordeaux, le gambe ad “U” come un vero cow boy e si tirava su i calzoni ogni due minuti! “peeero laaa pooortaaa no es laa culpaaaaableeeeeeee, si tu atraaaaas esteeees lloooooorraaaaandoooooo”…Canzone che parla di una giovine donzella innamorata rinchiusa dai genitori in casa, mentre il cupo innamorato è fuori che si lamenta e la innalza a martire. Tutti i sombreri ricamati della banda fanno “si”, per sottolineare la tragedia.

Si sono susseguite velocemente altre orchestre e canzoni tradizionali, fino a che, alle 23.00 tutto si è fermato per l’annuncio dell’indipendenza. Sileenzioooo. Un bimbo piange,…Sberla. Ha smesso.

Una signora ha aspettato che i soldati vestiti di verde caki con tanto di casco sfilino sul palco sotto al balcone “da duce” del municipio. Il capofila dei soldati fa roteare la tromba a mo’ di majorette e poi la scuote sù e giù quasi volesse asciugarla della sputa nel tubo… Però suppongo, vista la serietà di pubblico ed esecutori, che si tratti di una danza militare. La signora legge con fare solenne tutta la dichiarazione di indipendenza in cui spiccano vari divieti di praticare una qualsiasi altra religione che non sia la cattolica, pena la morte. Mi sa che qui non amano molto nessun tipo di cambiamento.

Poi è la volta del sindaco che grida “viva messico!” e tutta la piazza “viva!” ma non è finita. Il sindaco si è messo a nominare tutti gli eroi dell’indipendenza messicana, tipo Morelos, Bustamante, eccetera.

Ad ogni nome la folla risponde “viva!”. Per fortuna nel corso del mio viaggio ho imparato alcune cose sulla storia del Messico. Ho quindi capito a chi si riferissero ogni volta. Hanno suonato una campana (anche questo è un preciso riferimento alla storia della guerra dell’indipendenza)…

A questo punto dovrebbero partire fuochi d’artificio …Ma niente… Silenzio di tomba. Dopo un paio di minuti di imbarazzante silenzio, danno il via all’inno nazionale lo stesso. Mano sul cuore, la palma verso il basso, concentrati e seri, tutti insieme… Fa impressione. E io che nemmeno so qual è la melodia dell’inno svizzero. Ma non l’hanno cambiato, quello svizzero? Mah.

Alla fine dell’inno, i fuochi non sono ancora partiti… Partono ora, quando già sul palco si esibisce un gruppo di danza folclorica bellissimo, con i sombreri e le gonne a ruota di mille colori.

La gente si volta di scatto a 180 gradi ogni due secondi, per vedere ballerini e fuochi allo stesso tempo! Sembra ballino la macarena, scuotendosi tra il folclore e i fuochi, per non perdersi niente.

Alla fine torno in albergo sfinita, rinunciando ai combattimenti di galli, visto che sono già quasi le due! “ “Sono pronta per questi ultimi 10 giorni di metropoli.

Primo giorno a Messico city. Qui ho ritrovato Cathy, che ripartirà con me per l’Europa sullo stesso aereo! Devo ammetterlo: Prima di partire ho sempre guardato con molto scetticismo al nome Diego Rivera, ma ora che sono qui e che me lo sono trovato davanti… Me ne sono completamente innamorata. Queste enormi pitture sono estremamente commoventi. Sono contenta di averle viste adesso, perché raffigurano una storia del Messico che prima di partire mi era completamente sconosciuta. Ora, ogni muro acquista un significato profondo e commovente che a vedere queste pitture in un altro momento mi sarebbe sfuggito senz’altro.

Non sono poi mancati gli incontri fortuiti con piccoli e grandi mercati, dove non abbiamo mancato di fare un qualche acquisto divertente per piccoli regali frivoli alle famiglie.

Qui all’ostello c’e’ di tutto. Dallo pseudo sciamano un poco hippy statunitense (vecchierello e un poco noiosetto), all’aspirante attore di telenovelas dal Costarica, all’irlandese disperato a cui hanno rubato sino alle mutande alcune settimane fa sulla costa del pacifico, ai tedeschi che, accidenti a loro, stanno facendo il giro del mondo in un anno, a vari sudamericani (argentini, peruviani e così via) davvero simpatici. Tante risate, un po’ di problemi intestinali che mi vedono correre disperata per le strade della citta’ alla ricerca di un museo e dei suoi bagni lindi e puliti dove mi sento in colpa ancor prima di chiudere la porta!!!!! Qui all’ostello ho incontrato un architetto di Montevideo. Si chiama Octavio ed ha un vocione che risuona allegro per le stanze ogni mattina quando ci prepara il caffè. Tra tutti e due dovremmo riuscire a scovare dove si trovano le case di Barragan. I giorni passano velocissimi tra i metro’, le strade affollatissime, i mercati e il poco shopping.

Spira un venticello benvenuto, visto che spazza via anche gli odori peggiori di una citta’ enorme come questa.

I giornali mostrano foto di fuoco e fiamme, aerei e Bush, ma la gente non sembra fare una grinza.

Il sabato è giorno di mercato nel quartiere di s.Angel.

Cosi’ stamani con Cathy siam saltate su sul primo bus che passava di qua e siamo corse di la’. Naturalmente abbiamo trovato un bancone dove fanno le migliori tacos del Messico: fior di zucca, funghi, pollo, formaggio o manzo.

Abbiamo fatto una mangiata de l’ostrega per poi bighellonare su e giu pel mercato. Stasera esco con Pedro. Ricordate l’amico di Felice? Felice mi ha dato il suo indirizzo e Pedro stasera mi porta fuori alla scoperta di cose nuove.

All’ostello già si mormora che secondo loro stasera non torno… Pedro al telefono sembrava simpatico.” “Ho visto e visitato la casa di Barragan!!!!! La sua casa privata e la Casa Guilardi, o Ghilardi, dove la padrona gentile mi ha mostrato corridoio giallo, piscina blu e rossa e patio classico rosa-Barragan.

Anche il patio della casa privata di Barragan è sempre rosa e immerso nella calma dell’acqua e delle verdi umidità dei vasi. Fuori, la città esplode nel traffico, ma lì regna la calma più assoluta, e gli alberi si cullano nel vento.

È la maniera migliore per terminare questo viaggio.

Domani Pedro mi ha invitato da lui e promesso un giro turistico … Che bello! È davvero simpatico. Molto artista e molto matto.

Quindi a presto felloni! Vedro’ di godermi questi ultimi alzabandiera dello zocalo con la presenza di mezzo esercito messicano vestito di verde-rana con caschi e mitragliette, banda cittadina e una bandiera di 20 m2 almeno. Mi godro’ pure le ultime avocados le ultime inalazioni di puro gas metropolitano, gli ultimi Rivera, gli ultimi bimbi colorati.

Affronterò le ultime tacos di fiori di zucca con il chile verde fresco, che ha un gusto eccellente e sembra freddo ma poi esplode nella gola con gioia infinita, e aspetterò che la birra faccia il suo dovere domando l’incendio.

Adesso sono arrivati gli argentini che come sempre baciano senza avarizia. Con loro e’ arrivato pure Octavio da Montevideo bagnato fradicio da tanta pioggia battente.

Vado a farmi una chiaccherata, cercando di non ridere troppo della cantilena del cordobese argentino, che e’ da morire! a presto e”

“Ven, déjate caer conmigo en la cicatriz lunar de nuestra ciudad, ciudad puñado de alcantarillas, ciudad cristal de vahos y escarcha mineral, ciudad presencia de todos nuestros olvidos, ciudad de alcantilados carnívoros, ciudad dolor inmóvil, ciudad de la brevedad immensa, ciudad de sol detenido, ciudad de calcinaciones largas, ciudad a fuego lento, ciudad con el agua al cuello, (…), ciudad tejida en la amnésia, resurrección de infancias, encarnación de pluma, ciudad perro, ciudad famélia, suntuosa villa, ciudad lepra y cólera, hundida ciudad. Tuna incandescente. Aquila sin alas. Serpente de estrellas. Aquí nos tocó. Qué le vamos a hacer. En la región más trasparente del aire.” Carlos Fuentes, Mexico DF



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