Magia del Marocco

Trovo finalmente il tempo necessario per raccontare per scritto il mio viaggio in Marocco svoltosi nell'estate 2005. Io e il mio fedelissimo compagno di viaggio Jacopo partiamo da Torino all'alba, alla volta di Casablanca. Arrivati un po' spaesati all'aereoporto di Casà, tutti la chiamano così, veniamo letteralmente prelevati da un tassista...
Scritto da: Raoul
magia del marocco
Partenza il: 26/08/2005
Ritorno il: 11/09/2005
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Trovo finalmente il tempo necessario per raccontare per scritto il mio viaggio in Marocco svoltosi nell’estate 2005.

Io e il mio fedelissimo compagno di viaggio Jacopo partiamo da Torino all’alba, alla volta di Casablanca.

Arrivati un po’ spaesati all’aereoporto di Casà, tutti la chiamano così, veniamo letteralmente prelevati da un tassista che ci porta in un albergo in centro che abbiamo scoperto essere di categoria chic, e infatti non risulterà molto economico.

Partiamo alla ricerca della moschea di Hassan II la terza più grande del mondo arabo e l’unica visitabile in Marocco. Nel lungo tragitto a piedi scopriamo Casablanca che si rivela essere un posto infame, sporco e mal concepito. La moschea invece è imponente ed è bellissimo afficciarsi sul lungo mare per guardare dei ragazzi che si tuffano coreggiosamente in un mare sporco e agitato. Lasciamo Casablanca proprio il giorno dopo e ci dirigiamo a Fez. Tutta un’altra storia!!!!! Innanzitutto un gentilissimo signore in treno ci indica un albergo (Pension Hotel Dalila Bab Oued Zhoun n.26 Median Fes 0021298616955 moroc90@hotmail.Com )in prossimità di una delle porte alla medina (città vecchia), in cui ci troviamo benissimo e sarà fondamentale per la continuazione del nostro viaggio. Fez è fantastica, la medina è rimasta intatta dal Medioevo e si inerpica su una collinetta sulla cui sommità siu trova un cimitero, in un groviglio di stradine in cui è facilissimo perdersi. Conosciamo un ragazzo berbero, Aziz, che ha un bellissimo negozio nel suk (mercato) e parla italiano, quel posto con il suo “angolo berbero”, il tè a tutte le ore, e i personaggi più assurdi della città che vanno e vengono diventerà la nostra seconda a casa a Fez. Ma il viaggio deve continuare, così con una coppia di italiani, un giovane attore inglese ed un muratore neozelandese conosciuti in albergo, e forti dei contatti forniti da Aziz partiamo per il deserto, destinazione Rissani.

Il viaggio si svolge su un cosiddetto chicken bus dove si è stipati come sardine e si elargiscono mance a chiunque ti rivolga la parola, ma sembra di far parte di un servizio del National Geographic, con signore dai vestiti sgargianti e vecchietti che russano come cammelli. Arriviamo a Rissani dove ad accoglierci troviamo un amico di Aziz, Alì che ci invita a pranzo a casa sua e fa massaggi berberi a tutti per scongiurare i problemi intestinali che sembrano essere prossimi per la maggior parte di noi. Dopo aver riposato un po’ partiamo con una jeep per Merzougat, dove un grande erg (una parte di desero sabbioso) è la principale attrazione. Infatti ci installiamo in una albergo realizzato come fosse una casbah (Auberge Erg-Chebbi 061351656bauberge_ergchebbi@yahoo.Fr) e partiamo subito per la tanto agognata spedizione nel deserto a bordo di un cammello.

L’esperienza lascia il segno: il rosso del deserto contrasta col blu del cielo e l’ondeggiare del cammello ti culla. Fantastico! Ci ospita una famiglia berbera che ha tutti gli animali possibili escluso il maiale e che ci offre anche la cena 8° dir il vero è tutto incluso nel costo non proprio economicissimo dell’escursione) e la notte trascorre insonne ad ammirare le stelle che ci sovrastano.

Ritorniamo all’albergo-casbah il giorno dopo e dopo un pomeriggio trascorso tra la doccia e il letto e una cena all’aperto interrotta da una bufera di sabbia con due, e dico due, gocce di pioggia, partiamo l’indomani dopo aver contrattato un passaggio in jeep fino a Ouarzazate con uno degli amici di Ali che gironzolano per la hall dell’albergo. Attraversiamo le gole del Draa e godiamo della vista della via delle casbah, ripromettendoci che quando torneremo in Marocco ci fermeremo in questi villaggetti abitati da gente ospitale e ricchi di macchie di verde ricavate dall’opera di canalizzazione dei piccoli corsi d’acqua che coraggiosamente si insinuano tra l’aridità del paesaggio.

In serata si arriva a Ourzazate, città costruita per noi poveri “occidentali” che non riesciamo a vivere senza le comodità della nostra civiltà. Dopo una serata passata a bere la birra comprata nel supermercato di fronte all’albergo (molto economico e pulito devo dire – Hoyel Royal chez Belkaziz 24 av.Mohammed V 044882258) i nostri compagni di viaggio di Milano partono per il ritorno e i reduci si organizzano per visitare la grande casbah di Ait Ben-oudoudou. Una meraviglia! Questa enorme costruzione in pisè ancora abitata da 12 famiglie è stata dichiarata dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, è una meta turistica quindi bisogna destreggiarsi tra venditori di cianfrusaglie, comitive di signori inglesi affaticati e guide improvvisate, ma la visita vale veramente la pena.

La prossima tappa è la tanto attesa Marrakech, ma intendo spendere un paio di parole sul viaggio tra le vette dell’Alto Atlante in chicken bus che ci ha portato alla maggiore città imperiale del Marocco. Forse questa è la parte del paese che più mi ha colpito; infatti le montagne, ricchissime di minerali, hanno delle colorazioni a dir poco psicadeliche: alla base blu e poi rosse, oppure spaccate nel mezzo e divise tra una metà azzurra e l’altra verde. Incredibile! Sembra di trovarsi nell’ultima scena di 2001 Odissea dello Spazio.

Invece Marrakech si rivela una delusione. A parte la fatica di trovare un albergo libero e a basso prezzo, sono comunque tutti concentrati in una vietta che si snoda a partire da Piazza Jamaa El-Fna, in pienissimo centro, la città è caotica, turisticissima tanto da sembrare snaturata e terribilmente calda, e quando ci si trova in una alberghetto in cui dimorano circa 200 persone stipate ovunque e con solo due bagni la cosa diventa difficile da gestire. Ma mi rimarranno impresse una paio di immagini di Marrakech, le bizzare conoscenze fatte in albergo (praticamente un enclave occidentale) e il minareto della moschea che si staglia illuminato nella notte mentre cerco un po’ di refrigerio sul terrazzo. La mitica piazza, supposto crocevia di artisti, saltimbanchi, cantastorie e incantatori di serpenti, mi è sembrata in realtà un covo di disperati che si ridicolizzano per spillare un po’ di soldi ai turisti. L’attrazione migliore è rappresentata dai cantastorie, bisognerebbe solo sapere l’arabo..

Tutti un po’ intristi e con un giudizio forse viziato dalla sistemazione scomoda, dal troppo caldo o dal periodo sfortunato (siamo a metà agosto, quindi altissima stagione) andiamo a cercare un po’ di refrigerio e di pace alle cascate di Ozoud a 100 Km da Marrakech, con una macchina presa in affitto. La gita ci dà nuova carica e dopo gitanti locali, scimmie, acqua freddissima e una ambiente rilassante siamo pronti per l’ultima tappa: Essouira.

Dopo aver perso l’ultimo bus della giornata per la nostra destinazione contrattiamo un passaggio in taxi con un signore che prima della partenza passa a salutare tutta la sua famiglia che ci saluta felice, forse era l’unica corsa da giorni. E qui arriviamo in un paradiso; Essaouira è fantastica con i suoi bastioni sull’Atlantico, il porto vivace, gli alisei sferzanti, i gabbiani, le gallerie d’arte, le strade larghe e la gente gentile.

Affittiamo un appartamento con terrazza sul mare tramite un ragazzo che conosciamo la sera stessa del nostro arrivo. Rimarrà il ricordo ideale del Marocco, fatto di rilassatezza e bel vivere cullati dalle onde che si infrangono proprio sotto casa nostra e da dei tramonti mozzafiato.

Dopo cinque giorni trascorsi nell’assoluta pace dei sensi ci tocca salutarci. Io e Jacopo partiamo per Casablanca da dove partiremo per l’Italia e i nostri compagni di viaggio proseguono per Chefchoua, nel Rif.

Ora il derserto, i monti dell’Atlante, l’oceano, i dromedari e le migliaia di tajin gustati sono parte di me e mi chiamano a gran voce per tornare in questo paese incastrato nelle maglie del tempo.



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