Marocco, sapore di menta

Grandi città, deserto e montagne
Scritto da: Irenitatiffany
marocco, sapore di menta
Partenza il: 22/07/2010
Ritorno il: 01/08/2010
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
Diario di viaggio in Marocco Luglio 2009

di Irene Marcarelli

Mercoledì 22 luglio 2009

E’ arrivato il momento, finalmente! Parto, parto di nuovo e stavolta in dolcissima compagnia. Un sogno che si realizza, un viaggio con premesse del tutto diverse e tanta gioia perché posso condividere le emozioni con chi amo. In macchina io e Ivan arriviamo fino a Roma, dove nel pomeriggio abbiamo il volo per Madrid. Arriviamo alle 20.30 e dopo una mezzoretta di metro siamo al nostro hotel, a due passi dalla Gran Via. Cenetta veloce a menù fisso e subito all’Art Bar a La Latina dove incontriamo Simona e Alessandro. Il localino è intimo e danno uno spettacolo di flamenco: si tratta di una coppia di ballerini brasiliani, strepitosi! Il livello è davvero alto, ci mettono un’energia incredibile e la trasmettono al punto che non riesci a star fermo sulla sedia. A mezzanotte però andiamo via, l’indomani ci si deve alzare presto.

Giovedì 23 luglio 2009

Lasciamo Madrid sotto la pioggia e torniamo all’aeroporto di Barajas, dove impieghiamo più di mezzora per raggiungere il nostro gate. Assurdo, dovrebbero mettere delle navette oltre che i tapis roulants. Il volo Easy Jet è comodo e in due ore ci porta a Marrakech: è ufficiale, siamo in Marocco! Prendiamo un bus pubblico e in dieci minuti arriviamo in hotel, prenotato da Olga che conosce un po’ di gente qui a Marrakech ed è stata così carina da aiutarci. L’hotel de Foucauld è vicino alla Moschea, la Koutoubia, spartano ma con tutte le comodità, anche l’aria condizionata. Fa molto caldo, i 45° si sentono tutti, è caldo secco e non si suda ma accipicchia se picchia! Iniziamo il nostro giro dalla piazza più famosa di tutto il Marocco, ovvero Djemaa el Fna, un riassunto vivente di tutta la storia e la cultura marocchina. Si tratta della piazza del mercato della medina di Marrakech, dove gli uomini e le donne della città trascorrono praticamente la loro vita! Ci incamminiamo verso il centro della piazza e subito siamo avvicinati da due tipi, uno che mette un serpente intorno al collo di Ivan e un altro che mi poggia una scimmietta sul braccio mentre urlo di no! Iniziamo bene, io l’ho sempre detto che amo sperimentare e scoprire ma quando mi impongono una cosa senza chiedermi il permesso divento una belva! Quella scimmia avrà avuto decine di zecche per non parlare dell’alito poi! Scaccio via il marocchino e aspetto che Ivan si liberi del serpente per addentrarci nel primo Suq del nostro viaggio. Si tratta praticamente di un mercato coperto con dozzine di botteghe che vendono qualunque cosa, dall’artigianato locale in cuoio, alla seta, ai tappeti, dalle arance ai datteri, dalle chincaglierie agli argenti, dai polli alle dentiere usate. E’ un vortice di colori e di odori in cui si è continuamente richiamati dalle voci dei venditori che cercano in ogni modo di attirarti e farti acquistare la loro merce offerta a prezzi altissimi! L’imperativo è contrattare, fino alla morte, per loro è un gioco, se non ci stai si offendono e si sentono non rispettati perché loro alla fine abbassano il prezzo ma solo dopo averti fatto vedere tutto ciò che c’è nel negozio e averti messo tra le mani una gran quantità di merce che tu dovresti comprare. Come inizio è un po’ scioccante, per cui scuotiamo il capo e andiamo alla ricerca di acqua perché la sete è infinita e l’aria sempre più secca e arida! Capitiamo davanti ad un Hammam pubblicizzato con volantini da un tizio all’ingresso stesso del centro benessere e ci facciamo volentieri convincere a fare il nostro primo trattamento: mi fanno spogliare, mi offrono il tè alla menta, il primo che assaggio e che subito apprezzo e poi sauna, fanghi, scrub, e massaggio con l’olio di Argan che per me ha un odore insopportabile! Ci tengono sotto quasi due ore per 35 euro a testa e quando ci ritroviamo dopo la strigliata io e Ivan siamo più rilassati per riprendere il giro sotto il sole infuocato. Arriviamo al Palais Badii, residenza della dinastia saadiana, e poi finiamo nel quartiere ebraico, il Mellah, guidati da un ragazzino dall’ovvio nome di Mohammed. Ad ogni angolo troviamo qualcuno che vuole improvvisarsi guida per guadagnarsi qualche banconota (alle monetine storcono gli occhi!). Altro giro nel suq per comprare tè alla menta (che in realtà è menta essiccata per farci infusi, che poi scopriremo essere buonissima!) e qualche pezzo di ambra dal profumo celestiale. Si ritorna in albergo e nell’aprire la porta ci si spezza la chiave nella toppa per cui passa una buona mezzora prima di riuscire ad entrare in stanza e dare sfogo al mio primo attacco di colite marocchino! Crolliamo per due ore e poi ci prepariamo per un giro serale alla piazza Djemaa el Fna: fa ancora caldo e la vista che ci appare è quella di decine di tavolate piene di gente in mezzo all’aria affumicata dalle griglie dove si cuoce la carne. Risuonano i tamburi e la gente è tanta come in un formicaio, i suq sono ancora aperti e così le botteghe, i ristoranti, gli Hammam. Insomma, come a New York non c’è differenza tra giorno e notte. La nostra cena è a base di cornetti, succo di frutta e qualche banana per poi crollare, sfiniti dall’afa e dalla stanchezza, in un lungo sonno.

Venerdì 24 luglio 2009

La sveglia è stata come da un letargo, colazione e incontro con la tipa dell’agenzia per organizzare il tour: 4 giorni tra le montagne dell’Atlas, le gole del Dadès, La valle del Draa e il deserto oltre Merzouga, per il quale ci hanno chiesto 520 euro tutto incluso. Si parte domattina alle 7. Intanto ci armiamo di coraggio ed usciamo affrontando di nuovo i 40° e la folla. Ci dirigiamo verso il Palais Royal di Assan II e visitiamo le tombe saadiane poi facciamo un giro nella kasbah, un quartiere molto carino, pulito e ordinato dove ci sono delle botteghe come quella del pollarolo che ha i polli vivi nelle gabbie, poi il cliente arriva, sceglie il pollo, lui glielo uccide, lo fa a pezzetti, lo pesa oramai dissanguato e glielo vende. Ecco come si supera il problema della mancanza delrigorifero! Continuando la passeggiata vediamo un ragazzo che tesse al telaio e compriamo due sciarponi di seta molto belli. A Place des Ferblantiers mangiamo un buonissimo couscous al montone e poi fuggiamo in albergo storditi dal troppo calore ed io da un nuovo mal di pancia causato dal condimento speziato del couscous. Solite due ore di riposino in cui praticamente sveniamo e poi doccia e di nuovo piazza! Facciamo un giretto nei suq dove oramai ci vediamo propinare sempre la stessa merce e poi ci fermiamo sulla terrazza panoramica di un bar e, allietati da un bel venticello, guardiamo muoversi le centinaia di persone su e giù per la piazza: è uno spettacolo! Prendiamo una pizza per calmare un po’ la fame e non è niente male. Intanto il sole abbandona la piazza dalla quale inizia a salire l’odore della brace, il suono sempre più incalzante dei tamburi e dei pifferi degli incantatori di serpenti, le urla dei venditori di arance e succhi. Dopo aver riacquistato le forze ci incamminiamo verso un quartiere non ancora esplorato dove Ivan compra dei dolci al miele, azzeccosissimi! Quella sarà la nostra cena perché, tornati in albergo, prepariamo gli zaini per la partenza e crolliamo ancora una volta, come fa Dante alla fine di ogni canto dell’Inferno (mi sa che anche a lui accadeva per il caldo!)

Sabato 25 luglio 2009

Sveglia alle 6.30 (ma non doveva essere una vacanza??) e partenza per il tour con il nostro autista dal nome di Monsif. È giovane e chiacchierone e sembra molto professionale per cui le premesse sono buone anche se l’auto è una piccola Matiz infuocata che se si accende l’aria condizionata non cammina più! In 4 ore, dopo varie soste in vallate mozzafiato e montagne rosse coi picchi stagliati contro l’azzurro terso, arriviamo a Ouarzazate. Il caldo è forte e stordisce e quando Monsif ci lascia nella kasbah restiamo un pelo disorientati. Ma, come al solito, nemmeno il tempo di guardarsi intorno che siamo avvicinati da un indigeno che si propone come guida, o meglio si impone, perché non ci lascia più e così decidiamo di seguirlo. In effetti Ouarzazate è un dedalo di vicoletti e lui ci spiega la differenza tra i vari quartieri ovvero l’ebraico, il musulmano e il berbero. Ovviamente il giro termina dal venditore di tappeti, un tuareg blu completamente vestito di blu elettrico con tanto di turbante blu, che noi abbiamo solo salutato. Altra tappa è la farmacia berbera dove invece acquistiamo erbe miracolose contro il mal di testa e il raffreddore. Hai visto mai?! Con il bottino magico ci dirigiamo al ristorante dove mangio gli spiedini, per me oramai collaudati contro la colite, e Ivan invece un ottimo tagine di carne e verdure, caldo e piccante ma da leccarsi i baffi. Monsif ci conduce poi a Zagorà dove arriviamo dopo altre 4 ore di viaggio durante il quale ogni tanto perdiamo i sensi per il caldo ma il bello non è ancora arrivato…giunti al limite del deserto il simpatico tuareg del castello di tappeti ci dice che dobbiamo farci due ore di dromedario per arrivare alle tende dove pernotteremo. Ci consiglia di acquistare due bottiglie di acqua a testa e delle sciarpe per farne un turbante che ci servirà a proteggerci dalla sabbia, così imparo ad arrotolare il turbante alla Lawrence d’Arabia con un’estremità che pende per poi coprire il viso in caso di tempesta di sabbia! Mi piglia un colpo e in realtà la cosa si rivela molto peggiore di quanto mi aspettassi: salita sul dromedario mi bastano 5 minuti per capire che mi sarei spaccata la schiena. Ad ogni passo della bestia, sull’asfalto prima e sulla terra battuta poi, si viene violentemente sbattuti su e giù, su e giù, mentre la colonna vertebrale ma soprattutto la cervicale urlano vendetta. Resisto una ventina di minuti e poi salto giù dal dromedario affiancandomi al cammellaio Mohammed, un ragazzo di 25 anni che guida la carovana di turisti cui ci eravamo uniti. Decido di farmela a piedi, Mohammed mi chiede se sono sicura, fa ancora molto caldo nonostante il sole stia tramontando e il passo deve essere molto veloce per tener testa ai dromedari. Gli dico che farei qualunque cosa pur di non stare sulle gobbe di quelle bestie e lui annuisce dicendo che è completamente d’accordo con me, specie se si tratta, come stava accadendo, di andare sulla terra e non sulla sabbia del deserto, che invece ammortizza di molto l’impatto. Io questa differenza nemmeno la immaginavo né certo sapevo che ci avrebbero fatto scammellare sul duro! Chiacchiero del più e del meno in francese con Mohammed e resisto, a fatica, un’oretta. Intanto si alza il vento che ci riempie il viso di sabbia finissima per cui siamo costretti a coprirci. È buio e non vedo quasi più dove metto i piedi mentre la fatica mi costringe a rallentare finendo in coda alla carovana. La paura di perdermi nel deserto, perché oramai sentivo la sabbia sotto i piedi, mi fa urlare il nome di Mohammed che ferma tutti e mi aiuta a risalire sul mio dromedario. Altri 45 minuti di tortura, il vento ci riempie occhi e orecchie di sabbia, è buio e le tende sembrano così lontane….finalmente si arriva al campo ma quando scendo dalla bestia le gambe non mi reggono più e collo e spalle mi bruciano. Il caldo è ancora afoso e sono le 21.30: ma chi cavolo ha detto che nel deserto c’è l’escursione termica?? Mes cojons! Ci offrono un bicchiere di tè alla menta bollente (perché tira su) e svengo. Boum! Pressione sotto i piedi e schiena rotta, mi stendono nella tenda sul giaciglio di fuoco e riesco giusto a mangiare una simmenthal di emergenza per recuperare le forze. Dopo un po’ si cena con un favoloso tagine di pollo con verdure, bollente pure quello. Mi sento leggermente meglio e fuori della tenda c’è un pazzesco cielo stellato, la sabbia sotto i piedi è tiepida e i nostri berberi ci suonano e cantano musiche popolari. Non siamo ancora nel vero deserto ma ci siamo solo noi e intorno è buio e silenzio. Mi stendo nella tenda e resto bloccata tutta la notte con un mal di schiena che non mi permette nemmeno di girarmi. Verso le 3.30 l’aria si rinfresca e i 50° del giorno ci abbandonano. Ivan dorme ma io veglio fino all’alba quando finalmente riesco a rimettermi in piedi scorgendo un enorme scorpione rosa appena al di fuori della mia tenda. Che giornata…

Domenica 26 luglio 2009

Il sole appare lentamente da dietro le dune e alle 6.30 l’aria inizia di nuovo ad essere irrespirabile. Per la prima volta vedo quel sole come un nemico…mi aspettano 45 minuti di dromedario per raggiungere le auto dei nostri autisti. Certo, perché scopro che si poteva arrivare molto più vicino alle tende in auto ma il percorso “turistico” prevede che si faccia tutto il tragitto sui dromedari perché è più folkloristico…non mi bastano tutti i santi del calendario per sfogarmi, ovviamente tra me e me! Alle 8.30 siamo di nuovo in macchina con Monsif che, in 6 ore con sosta al villaggio delle rose per il pranzo, ci porta fino alle Gole del Dadès. Il paesaggio è bellissimo, molto vario e sorprendente. Non ci saremmo mai immaginati che calando dalla catena dell’Atlante potessimo scoprire un Marocco così affascinante di gole e vallate e montagne arrotondate, dai contorni originalissimi e frastagliati. L’hotel La Kasbah du Village alle gole è suggestivo perché giace ai piedi di un costone roccioso rosso, lungo il corso di un fiume. Finalmente un posto rilassante e dove l’aria è più fresca perché i raggi del nemico sole non arrivano, bloccati dalla montagna che ci sovrasta. La camera è accogliente e la doccia ci sembra un sogno. Puzzavamo come maiali! Mi rinfresco e vado sulla riva del fiume a scrivere il mio diario mentre Ivan schiaccia un pisolino. Al suo risveglio facciamo due passi e poi ceniamo alla grande con couscous, patatine fritte e vino rosso. Io mi sento molto meglio ma Ivan brucia e così scopriamo che ha la febbre alta. Il finto deserto ha colpito ancora! Torniamo in stanza e crolliamo per un sonno di più di dieci ore.

Lunedì 27 luglio 2009

Sveglia e partenza per Tinghir e le gole del Todra. Sono così profonde che si sta freschi e possiamo passeggiare un po’ coi piedi nell’acqua gelata di un ruscello. Abbiamo ripreso le forze per affrontare il tragitto fino ad Erfoud. La sosta pranzo è a Rissani, alla Maison du Tuareg dove ci offrono un’ottima pizza speziata ripiena di carne e verdure, accompagnata dal solito tè alla menta ustionante. È qui che facciamo la conoscenza del personaggio più originale di tutto il viaggio: il signor Mamadou che con le sue battutine sugli italiani e sulle persone che hanno “le couscous dans la tête” ci ha fatto morire dalle risate e ci ha venduto ben due tappeti! A me ha regalato una borsa di lana intrecciata a mano dopo avermi riempito la testa di…couscous! Si riparte per Merzouga e arriviamo alle 16 circa a Tirhi, l’albergo da cui si parte coi cammelli verso le tende. La mia prima richiesta è di farci sapere il costo di un Quad per arrivare alle tende. L’hotel è bellissimo, alle porte del deserto e con vista sulle prime dune di sabbia rossiccia; ha anche una piscinetta nella quale ci tuffiamo assetati di fresco e di libertà dopo tante ore di auto. Mentre siamo in acqua si avvicina un tizio dell’hotel per dirci che la piscina è a pagamento: 5 euro a persona. Ok. Dopo la nuotata ci inoltriamo tra le prime dune giusto per provare l’emozione dell’esplorazione…ci sono dei cammelli a riposo e insetti vari ma principalmente c’è la sabbia, calda e lucente sotto il sole che batte forte e silenzioso…tutto troppo bello. Manco a pensarlo che iniziano i problemi: ci viene comunicato che il 4×4 costa 1000 dirham ovvero 100 euro circa ad andare e altri 100 a tornare! Altrimenti, due ore di dromedario il cui solo pensiero mi fa salire le lacrime. Poi ci fanno pagare la piscina e ci avvertono che bisogna muoversi e decidersi perché la cena si fa alle tende nel deserto e il buio incombe. Nel mentre, ci accorgiamo della presenza di altri ospiti nell’albergo: una famigliola di olandesi, lui, lei e due figli (tutti alti almeno 2 metri!), un po’ disorientati perché parlano solo l’inglese mentre qui si comunica in francese. Gli chiedo se aspettano anche loro i dromedari e decidiamo di dividere le spese e prendere tutti insieme il 4×4! Detto fatto arriva il nostro Tuareg (un po’ fumato mi sa) col Quad e si inizia l’avventura più emozionante di tutto il tour! Esperienza incredibilmente eccitante salire e scendere giù per le dune con una jeep che sembra rotolare su se stessa come nelle montagne russe, il Tuareg che spinge sull’acceleratore in salita e poi giù a rotta di collo in discesa con una musica arabeggiante di sottofondo e intorno solo sabbia… il Tuareg è su di giri, ogni tanto inchioda e ci fa scendere per farci un pezzo a piedi mentre lui ci gira intorno e la cosa a noi tutti piace tantissimo (tranne alla ragazzina olandese che ha il vomito e gli occhi fuori dalle orbite!). La sabbia è calda e il sole sta tramontando….un sogno! Infine arriviamo alle tende, molto più spartane che a Zagorà, coi materassini buttati in terra, luridi, su cui passare la notte sotto le stelle tra centinaia di scarafaggi neri che si aggirano intorno ai nostri piedi…santo cielo, non sarà facile. È buio pesto e Ivan sparisce tra le dune in perlustrazione per una mezzora facendomi preoccupare non poco. Gli facciamo luce con una torcia e finalmente lo vediamo tornare mentre la nostra cena è in tavola: un ottimo tagine di carne di pecora, non abbondante ma da leccarsi i baffi e poi ci prepariamo per le stelle. Uniamo tutti i materassini e facciamo una barriera di zaini per fermare la processione di scarafaggi, io mi intabarro con pantaloni nei calzini, maglietta lunga e sciarpa intorno alla testa giusto per non ritrovarmi le bestie nelle mutande e poi, tra le braccia di Ivan, il sonno ha il sopravvento mentre osserviamo un mare di stelle cadenti su di noi… fino alle 4, quando arriva l’aria freddina che ci costringe a rannicchiarci battendo un po’ i denti.

Martedì 28 Luglio 2009

Alle 6.30 ci alziamo e facciamo un giretto tra le dune in attesa di veder sorgere il nemico sole e con la tranquillità di avere un Quad che ci riporterà indietro in venti minuti…e invece…la macchina non c’è, ci sono invece 6 cammelli che ci attendono con i Tuareg che fingono di non sapere nulla. Ovviamente non riusciamo a contattare l’hotel e siamo costretti a farci due ore sotto un sole cocente, a passo di cammello molto più soft sulla sabbia che non sulla terra di Zagorà ma comunque molto faticoso. A parte il dolore alla schiena, siamo tutti molto arrabbiati per questa presa in giro: abbiamo pagato un Quad anda e rianda e ci ritroviamo nelle mani di questi imbroglioni che ci rigirano a piacere loro! Non è una bella sensazione. Appena giunti in hotel, mi tuffo in piscina per riprendere fiato e forze poi mi fiondo sul ragazzo dell’hotel e ci faccio una sacrosanta litigata urlando in francese con questo maleducato inospitale albergatore, che pretendeva di aver ragione; mi faccio ridare indietro i soldi minacciando di chiamare la polizia! Gli olandesi mi ringraziano e ci salutiamo perché ognuno riprende la sua strada. Monsif ci attende, anche lui contrariato per il comportamento di questa gente. Ci fa le sue scuse, ma lui non c’entra nulla, ovviamente. O meglio…l’organizzatrice del tour dovrebbe informarsi meglio sui posti dove manda i turisti! Pazienza, si riparte. Nonostante tutto, questa esperienza del deserto è stata bellissima e il ritorno in cammello ci ha permesso di vedere ogni duna, capire il percorso da fare per aggirarla, vedere la sabbia sottile scorrere lungo i crinali delle dune, il sole far cambiare colore alla sabbia, sentire la fatica dei cammelli le cui zampe affondavano e si piegavano mentre il morso li costringeva a stare nella linea tracciata dal cammelliere che, scalzo, ci conduceva. Le ombre lunghe della carovana cambiavano forma ad ogni giro di duna creando giochi di intrecci quando si curvava per poi sciogliere nuovamente tutta la fila che nel silenzio rispettava un calore sempre più insopportabile, causato dall’abbraccio del deserto. La mèta sembrava davvero un lontano miraggio ma poi è tornato l’asfalto. Facciamo doccia e colazione, salutiamo gli olandesi e ripartiamo con Monsif alla volta di Erfoud dove saremo mollati in attesa di un bus che partirà alle 20.30. Non c’è verso di partire prima e così ci ritroviamo da soli, coi bagagli, stanchi morti sotto un sole di 50 gradi almeno e con nove ore davanti per attendere un bus che, in una notte di viaggio, ci porterà a Fes. Non ci sono luoghi freschi dove stare e così ci sediamo ai tavolini di vari bar a prendere bibite fresche, poi andiamo all’Internet point (senza aria condizionata) dove mandiamo notizie a casa per 5 dirham l’ora. Per pranzo troviamo un bel ristorantino con aria condizionata dove mangiamo un’ottima carne con contorno, altro giro, altri bar e finalmente si fanno le 21 e arriva il nostro bus CTM. Aria condizionata ma sedili stretti e scomodi dove non è stato facile dormire. Peccato che col buio ci siamo persi in paesaggio dall’alto dell’Atlante. Io sentivo solo le tremende curve che mi facevano venire la nausea mentre pregavo che quella nottata finisse presto. Abbiamo fatto una sosta di 40 minuti in un posto dove si mangiava carne alla brace (credo fosse la cittadina di Errachidia) e poi altre 4 ore di viaggio durante le quali io e Ivone abbiamo dormito come due pietre riaprendo gli occhi a Fes! Finalmente! Alle 5.30 del mattino siamo a Fes!

Mercoledì 29 luglio 2009

Entriamo all’hotel Ibis Moussafir alle 6 del mattino e la stanza non è ancora disponibile ma ci offrono divanetto, colazione e piscina. Perfetto, il tempo di mangiare e crolliamo sui lettini della piscina per un paio di ore. Poi nuotatina, giro alla stazione per prenotare i biglietti per Casablanca e finalmente alle 11.30 ci danno la stanza! L’hotel è molto carino, la piscina grandiosa, l’aria più fresca (cioè meno bollente) e la gente più tranquilla di Marrakech! A mezzogiorno arriva la nostra guida, amico di Monsif, di nome Uafì, giovane e bello, che ci porta in taxi fino alla piazza del Palais Royal con sette porte, una per ogni giorno della settimana che lui tenta di dire in inglese ma non ne azzecca nemmeno uno.  E’ che Ivan non capisce il francese per cui gli abbiamo chiesto di spiegarci le cose in inglese ma vorrei farvi sentire la pronuncia di un marocchino: da brividi! Entriamo poi nella Mdina di Fes, patrimonio mondiale dell’Unesco, un mondo a parte in cui si entra come nel Paese delle Meraviglie, senza più trovarne l’uscita… Infatti la guida è necessaria e il nostro ragazzone è bravissimo, conosce tutti lì a Fes, ci porta nelle migliori botteghe, ci fa visitare le Moschee, la scuola coranica, i diversi quartieri dove ci sono i venditori di pesce, di carne, di stoffe, tappeti e frutta secca. Infine entriamo in un negozio di articoli in pelle e cuoio, su tre livelli e salendo si arriva ad una terrazza dalla quale si apre la vista su qualcosa di strabiliante: la conceria! Si tratta di una piazza di vasche colorate contenenti le tinture per le pelli che sono state acquistate all’asta al macello del paese. Qui, bruciati letteralmente dal sole, uomini dalle braccia possenti rigirano le pelli, una dopo l’altra e le bagnano ripetutamente nelle vasche finché non prendono il colore e poi le stendono ad asciugare, immersi anche loro nell’acqua tinta di rosso fuoco, verde, giallo, azzurro, ocra, marrone… Tutto intorno un brulicare di altri omini che preparano le pelli da dare ai tintori, le seccano al sole, le passano in acqua e calce per togliere il cattivo odore, le lavano e le portano alle vasche, dove gli omini colorati le tuffano nelle tinture. Un lavoro che si svolge ininterrottamente per ore ed ore, dal mattino presto fino a sera inoltrata. Il gestore del negozio ci dice che fanno molta fatica ma che sono pagati molto bene; noi abbiamo i nostri dubbi e proviamo una sensazione di pena davanti a tale scena, pur se scioccati dalla peculiarità di questa tannerie unica al mondo! Senza parole e cotti dal sole, scendiamo le scale del negozio e torniamo in strada. Uafì ci porta a pranzo da Zohra, una specie di casa privata tutta tappezzata di tappeti e arazzi, dove ci servono tagine di pollo alle olive e un dolce. Torniamo in albergo a riposare e ce ne stiamo in piscina fino a sera, cena in hotel e nanna: la temperatura così alta ci toglie le forze e dopo una mezza giornata in giro non desideriamo altro che relax.

Giovedì 30 luglio 2009

La nostra guida ci porta a fare un altro giro nei suq ma stavolta siamo molto più riposati e ce la godiamo. Visitiamo altre moschee e il quartiere ebraico, compriamo un bel piatto in ceramica colorata che adesso fa parte del nostro arredamento, e i datteri freschi da portare ai papà. Inoltre prendo delle camicine tipiche per me, Armi e Iaia. Nel primo pomeriggio torniamo in hotel per un tuffo in piscina e poi ci incamminiamo verso Fes moderna dove prendiamo un tè alla menta seduti al bar. Ivan compra mezzo chilo di dolcini ed io quasi svengo per il caldo che fa, perfino le panchine in pietra sono bollenti e ci si scotta il sedere ad appoggiarvisi! Atroce. Fine serata rilassante in hotel.

Venerdì 31 luglio 2009

In stazione, treno per Casablanca: puntuale, pulito e comodo. Arriviamo così in aeroporto e dopo innumerevoli controlli passaporto ci imbarchiamo per Madrid. Lì facciamo uno scalo di qualche ora e poi volo per Roma. Siamo abbastanza stanchi, Carla e Giampi ci portano a casa di Mauro e lì crolliamo.

Sabato 1 agosto 2009

Sono a Roma mia. Spesa di frutta e verdura al mercato del Quadraro, pizzetta a taglio per antipasto e poi a Frascati per pranzo alle fraschette. Rientriamo a casina in serata e riempio la cucina di odore di menta, ambra e infusi marocchini dai magici poteri di guarigione…della nostalgia!



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